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Autore Discussione: ALDO GRASSO.  (Letto 77245 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Febbraio 09, 2011, 11:01:39 am »

A fil di rete

Le verità sgradevoli dell'«Infedele»

Per fortuna non c'era Lorella Zanardo, la Karl Popper de noantri.

«Berlusconi dimettiti, l'Italia è un bordello chiede una piazza sempre più indignata. Sono i giudici che tentano il golpe ma il popolo mi segue risponde lui; spalleggiato da una Lega turbata ma leale. Ha ragione l'Italia che si vergogna o è solo moralismo a senso unico? Qual è il vero scandalo?». Prometteva bene la puntata dell'Infedele: gli ospiti di Gad Lerner erano Adriano Prosperi, Vittorio Messori, Sabrina Nobile, Francesca Izzo, Maria Teresa Meli, Igor Iezzi, Umberto Brindani, Giorgio Stracquadanio. C'era persino un'intervista a Iva Zanicchi (La7, lunedì, ore 21.15).

Per fortuna non era presente Lorella Zanardo, la castigamatti della tv. Se no avrebbe potuto accusare la trasmissione di furbizia: la puntata sul «bunga bunga» era andata benissimo e, seguendo le perfide leggi dell'Auditel, Lerner era ancora lì a parlare del bordello Italia, delle notti di Arcore, di Ruby e di altre minorenni. E invece, a parte le fastidiose interruzioni di Stracquadanio (ormai i talk di approfondimento sono a livello del Processo del lunedì di Aldo Biscardi), tutto è filato liscio (il «bunga bunga» alza l'audience). Del resto, come ha sostenuto un ospite in studio, «L'infedele serve anche a dire le verità sgradevoli».

Quando Berlusconi telefonò a Lerner

Per fortuna non c'era Lorella Zanardo, la Karl Popper de noantri. Altrimenti, ne sono sicuro, avrebbe tirato fuori la storia dei minorenni in tv. Sì certo, Ruby, Iris, tutta colpa di quella tv che mette in mostra i bambini, e quanto male fanno quelle trasmissioni come Ti lascio una canzone o Io canto dove si esibiscono bambini che imitano gli adulti nelle movenze sensuali, negli ammiccamenti, negli sguardi complici; bambini che si riempiono la bocca di «questo nostro amore», di «quello che le donne non dicono», di «quando nasce un amore»; bambini offerti come caricature di adulti.

Per fortuna non c'era Lorella Zanardo, se no l'avremmo sentita inveire contro il conduttore: «Scusa Gad, ma non dici niente del tredicenne che si è esibito al PalaSharp?».

Aldo Grasso

09 febbraio 2011 © RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/spettacoli/11_febbraio_09
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« Risposta #46 inserito:: Febbraio 17, 2011, 12:22:10 pm »

A fil di rete

Masi chiama l'Isola logorrea da incubo

Improvvida telefonata a Simona Ventura, ridicola sia per inopportunità che per insipienza


Non c'è mai fine al peggio e c'è da presumere che il prossimo anno, terminato l'incarico a Viale Mazzini, Mauro Masi si presenti come candidato all'«Isola dei famosi». Intanto, l'altra sera, ha fatto le prove, con un'improvvida telefonata a Simona Ventura, ridicola sia per inopportunità che per insipienza (è di quelli che si credono spiritosi). Se il reality, da lunedì ufficialmente sdoganato dalla direzione generale della Rai, gli parrà troppo impervio potrà pur sempre fare l'opinionista del trash, accanto a Vladimir Luxuria e Alba Parietti (Raidue, lunedì, ore 21,03).


Tutta l'attenzione di questa nuova edizione era concentrata su Raffaella Fico che, secondo quando emerge dalle intercettazioni dello scandalo, avrebbe partecipato alle cene di Arcore. Così nella scheda di presentazione si è sottolineato il fatto che la ragazza è cresciuta senza aver mai dimenticato i valori fondamentali: «Sono molto cattolica», ha dichiarato la Fico, nota per «aver perso la verginità solo dopo essere uscita dal Grande Fratello» (l'aveva messa all'asta per un milione di euro).
Il tono della trasmissione che tanto piace a Masi è questo. Dialogo fra la Ventura e la Parietti: «Briatore ce l'ha più grande... intendo la barca, il resto non lo conosco». Simona al concorrente Thyago: «Ti piacciono le donne oppure sei molto democratico?», giusto per capire cosa si intenda per democrazia in tv.


Daniel McVicar ha perso un figlio in un incidente stradale un mese fa e Luxuria sermoneggia sulla libertà di elaborazione del lutto. Per non essere da meno la Parietti, cha da poco ha perso la mamma, vuol far sapere al mondo intero che anche a 50 anni si può restare orfanelli. Simona continua a urlare, l'inviato Daniele Battaglia ha il dinamismo di un bradipo abbarbicato al suo albero, Eleonora Brigliadori stordisce l'intera compagnia per la sua incontinenza verbale. Ma il problema è Masi: al telefono è un incubo, più logorroico della Brigliadori.

Aldo Grasso
16 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it/spettacoli
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« Risposta #47 inserito:: Febbraio 17, 2011, 12:23:16 pm »


La lettera

Masi: La mia telefonata all'«Isola»

Il direttore generale Rai replica alle critiche rivoltegli da Aldo Grasso nella sua rubrica


Ho già espresso in più occasioni la stima e il rispetto che nutro nei confronti di Aldo Grasso, ma questa volta sono in totale disaccordo con il suo commento sull'Isola dei famosi. Non perché mi riguarda personalmente, ma perché - a mio avviso - è ingiustificatamente miope.
La telefonata che ho fatto in diretta a Simona Ventura, peraltro durata meno di un minuto, è stata dettata da due motivi:

1) da una ovvia cortesia aziendale sollecitata in questo caso, nella mia visione, da una serie di attacchi ingiusti e faziosi ricevuti a priori dalla conduttrice del programma per le scelte fatte,

2) per evidenziare le procedure della Rai in tema di trasparenza del televoto; tema particolarmente delicato, in quanto al centro di polemiche anche per quanto riguarda il Festival di Sanremo; il mio intervento si era reso infatti obbligatorio - e sottolineo obbligatorio - da un provvedimento dell'Autorità Antitrust comunicatoci formalmente pochi minuti prima dell'inizio della trasmissione e chiaramente evidenziato dalle agenzie di stampa nella stessa serata e il giorno successivo.

Mi consenta poi due considerazioni finali. La prima è che non credo che l'episodio in sé meriti particolare attenzione, ma se lo si fa forse sarebbe stato meglio vedere la questione nella sua interezza. La seconda è che le mie letture giovanili (cito solo per esempio e per pura passione personale il Conrad di «Lord Jim», il Mishima di «Confessioni di una maschera» e un pò tutto Dostoevskij) mi hanno insegnato, quando si è convinti e in buona fede, a metterci la faccia anche per sostenere qualcosa molto lontano dalle proprie radici culturali e professionali. Anzi forse proprio per questo. So che non è molto politically correct ma tant'è...


Mauro Masi (direttore generale Rai)



La risposta di Aldo Grasso
Gentile dottor Masi, spero che lei si renda conto che, grazie alla sua telefonata, L'isola dei famosi è la prima trasmissione a ricevere in diretta la benedizione della direzione generale. Il servizio pubblico non aveva altri programmi da indicare come modello virtuoso? (a.g.)


da - corriere.it/spettacoli
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« Risposta #48 inserito:: Febbraio 18, 2011, 05:00:41 pm »


LA GIORNATA PIU' SIMBOLICA

L'inno di Roberto al Festival

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta.
Dal torpore sanremese, dal suo torpore di questi giorni convulsi e insieme tragicomici. Tocca a Roberto Benigni, a cavallo di un caval, dare un senso a questa serata di canzoni «storiche», celebrare la messa della giornata più simbolica del Festival, «nata per unire». Ci mancava la sua esegesi dell’inno di Mameli (unico inno al mondo che porta il nome del paroliere e non del musicista), in cui, tra tante citazioni colte e forbiti riferimenti, riesce a infilare Ruby Rubacuori e «Le mie prigioni» di Silvio (pausa) Pellico; ci mancava il suo inno all’Italia per ritrovare un po’ di orgoglio, un po’ di identità nazionale. E allora viva l’Italia, l’Italia liberata, l’Italia del valzer,
l’Italia del caffè… Van De Sfroos, sfidando persino le ire leghiste, ha cantato De Gregori perché c’è una sola cosa che unisce indistintamente tutti gli italiani, ed è la canzone, la nostra sola «religione civile».

Non la bandiera, non il made in Italy, non la moda, non le forze armate, non la Nazionale. Forse Sanremo, in quanto rito, auto-rappresentazione collettiva, festa civile finalmente affrancata dai suoi contenuti specifici (questo spiegherebbe, ogni anno, il costante successo di pubblico nonostante la modestia dello show). Per la serata dedicata all’Unità d’Italia—finora la più divertente e la più ispirata di questo Festival— c’era tutto lo stato maggiore della Rai, più vari politici, felici di farsi un po’ sbeffeggiare da Luca & Paolo e poi da Benigni, più il piccolo olimpo dei presenzialisti, pieno di Tinti e Rifatte, il pubblico ideale cui offrire il simpatico kitsch del «Va, pensiero» interpretato da Al Bano (un sudista per la hit della Lega!).

Che la serata sanremese ci serva da lezione: le celebrazioni non sono polverose feste della nostalgia o della retorica. Sono invenzione, gioia, canto e incanto, amor proprio e amor di nazione. Se la canzone ci unisce, l’Inno di Mameli, al più presto, ci desti!

Aldo Grasso

18 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #49 inserito:: Aprile 08, 2011, 06:47:41 pm »

A FIL DI RETE

La brutta immagine della Rai sull'Unità

Ha chiuso mestamente in anticipo Centocinquanta, il varietà nato per celebrare l’anniversario dell’Unità d’Italia, condotto da Pippo Baudo e Bruno Vespa. Nell’ultima puntata si sono esibiti alcuni ballerini, reduci da Ballando con le stelle (Fiona May, Barbara De Rossi e Hoara Borselli, la collaboratrice del ministro La Russa), sono intervenuti Massimo Ranieri (ormai una presenza fissa sulla rete), Massimo Ghini, grandissimo interprete di cinepanettoni ma ormai modesto attore drammatico (Raiuno, mercoledì, ore, 21.15). Con Centocinquanta però, la Rai ha fallito il suo appuntamento con la Storia, la nostra storia. Per una serie di grossolani errori. Per rafforzare la festa dell’Unità d’Italia del 17 marzo, il programma avrebbe dovuto precedere quella ricorrenza e contribuire non poco a crearla (è uno dei doveri del Servizio pubblico, ovviamente su Raiuno e in prima serata).

Invece è successo il contrario: per impreparazione e per altri motivi che non conosciamo il programma è partito la sera del 17 marzo (e vogliamo ricordare le interviste di Manuela Arcuri?). I temi della memoria e dell’identità sono delle grandi narrazioni collettive e la tv generalista gioca un ruolo fondamentale nel promuovere l’unità nazionale a livello simbolico, collegando gli individui e le loro famiglie al cuore della vita nazionale, offrendo al pubblico una immagine di sé e del Paese come una comunità consapevole, generando un più ampio spazio pubblico, oltre le routine dell’esistenza quotidiana. Centocinquanta era un programma di rievocazioni, più sull’onda della nostalgia che su quella della ricostruzione storica. Per questo genere di ricordi bastava Pippo Baudo, che in passato più volte ha dimostrato di saperci fare; del tutto sbagliata l’ibridazione con le interviste e i dibattiti di Bruno Vespa.

Che brutta immagine la Rai ha fornito di sé e dell’anniversario dell’unità d’Italia!

Aldo Grasso

07 aprile 2011(ultima modifica: 08 aprile 2011)© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - corriere.it/spettacoli/11_aprile_07/
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« Risposta #50 inserito:: Maggio 23, 2011, 10:48:03 pm »

ECCESSI, PROMESSE, OMISSIONI

Al mercato delle grida

Le elezioni si vincono anche con le campagne elettorali, è ovvio. Le quali, per loro natura, sono illusorie e menzognere: conservano insomma il peccato originale della politica senza preoccuparsi di doverlo giustificare. Dal dopoguerra a oggi è quasi sempre stato così: un anno sono state vinte per lo sgomento del «salto nel buio », un altro per il timore della «dispersione dei voti», un altro ancora per la «legge truffa»: già, basta agitare lo spettro della paura e il più è fatto.

Ma cosa succede quando la propaganda si sostituisce del tutto al confronto politico? Alla vigilia dei ballottaggi in città importanti come Milano e Napoli ci troviamo in questa situazione: il peso dell’enfasi elettorale è cresciuto così a dismisura da farci smarrire ogni contatto con la realtà. Si critica molto il Grande Fratello televisivo, ma mai come ora abbiamo avuto la sensazione di vivere in un reality, dove l’insulto è libero, la carognata metodo e il voltafaccia prassi quotidiana.

Sono elezioni amministrative, si dovrebbe discutere di cose concrete e invece assistiamo alla più feroce, alla più astratta, alla più miracolistica forma di proselitismo finora mai attuata: in premio persino due ministeri a Milano! Come se l’intesa fra amministratori e amministrati fosse un brutto format, come se il rapporto fra ribalta e retroscena fosse del tutto arbitrario (non a caso, le parole più sincere di questa campagna sono quelle rubate a un «fuori onda», quando Formigoni se l’è presa con la Moratti e la Santanchè).

Di questa competizione elettorale, nei tanto invocati «faccia a faccia» di Sky, ci sono rimasti in mente due episodi: Letizia Moratti che accusa Giuliano Pisapia di essere un ladro, Luigi de Magistris che accusa Gianni Lettieri di mettere Napoli «nelle braccia della camorra». Così l’insulto fa presto a tracimare dalla tv ai giornali, dai giornali al Web, dal Web al passaparola. Ecco, i due poli di questa campagna sono proprio questi e vanno ben oltre le tradizionali «sparate elettorali»: da una parte, l’«offesa dell’ultimo minuto », anche la più feroce, affrancata ormai dall’idea che ogni accusa vada provata, che ogni menzogna vada risarcita; dall’altra la «promessa dell’ultimominuto», un tipo di impegno che non ha bisogno di essere giustificato con la sua sostenibilità, ma che è lanciato apposta per stupire, secondo il metodo delle televendite. Ha importanza se l’Ici ha messo in crisi i Comuni, se l’Ecopass è stato voluto proprio dalla Moratti? E Pisapia non dovrebbe spiegare con chiarezza se il suo programma prevede o no una maggiore tassazione per i cittadini? Da questo punto di vista si spiega molto bene l’offensiva mediatica di Silvio Berlusconi, l’occupazione selvaggia dei telegiornali, la sua crociata contro il «pericolo comunista », la demonizzazione dell’avversario. Si spiega bene, ma altrettanto bene non si giustifica, aggiunge solo distorsione a distorsione. Se al primo turno la Moratti non è riuscita a ottenere la vittoria, la colpa non è di chi le ha organizzato la campagna elettorale, amministrando lei la città dal 2006.

Le previsioni fosche delle agenzie di rating sullo stato di salute dell’economia italiana si basano sulle cifre non sulle promesse. Per riconquistarci un futuro dobbiamo tornare ad affrontare i problemi concreti, a fare i conti della serva, a guardare in faccia gli uomini che ci devono guidare, a considerare i cittadini come cittadini. Non sempre chi vuole il nostro bene viene votato: e il motivo è lo stesso per cui la correttezza viene spesso scambiata per viltà.

Aldo Grasso

22 maggio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #51 inserito:: Giugno 07, 2011, 02:06:57 pm »

Autolesionista rinunciare a 5/6 milioni di spettatori a puntata

La tv di Stato ha scelto il suicidio

Nessun network licenzierebbe uno così

Dalla Rai segnale di sudditanza psicologica e ideologica: Santoro andava contrastato con trasmissioni migliori


MILANO - Michele Santoro e la Rai si sono lasciati, questa volta hanno fatto sul serio. Dopo trent'anni di tumultuosa convivenza, dopo un breve «tradimento» con Italia 1, dopo un estenuante braccio di ferro con l'ex direttore Mauro Masi, è venuto il momento del clamoroso addio. «Hanno inteso definire transattivamente il complesso contenzioso», si legge in una nota diffusa dalla Rai, con un linguaggio che richiama più i divorzi fra star che le cause di lavoro.

L'OSSESSIONE - Inutile girarci intorno: per Silvio Berlusconi Annozero era diventato un'ossessione. Qualcuno gli avrà pure spiegato che la trasmissione spostava pochi voti e che un servizio pubblico non è a totale disposizione del governo. Non c'è stato verso: Berlusconi voleva la sua testa e il nuovo dg di Viale Mazzini, Lorenza Lei, gliel'ha consegnata con una risoluzione consensuale. Nonostante la condizione di martire lo esaltasse, non dev'essere stato facile per Santoro, specie negli ultimi tempi, lavorare «coattivamente» al programma, tutelato dal pretore del lavoro e non più dalla Rai. È stato più volte osservato come Santoro abbia sempre dato il meglio di sé (almeno in termini di ascolti) quando viene provocato, quando, drammaturgicamente, riesce a trasformare il suo personale patimento in un sacrificio. Però, a ogni puntata, c'era una grana, uno di quegli intoppi che ti impediscono di lavorare con serenità.

IL PARADOSSO - La situazione ha comunque del paradossale, dell'inverosimile: qualunque network, in qualunque parte del mondo, non licenzierebbe mai uno come Santoro. Bisogna essere autolesionisti per liquidare un programma che veleggia sui 5 o 6 milioni a puntata, con picchi che superano i 7 milioni e uno share che va oltre il 20%. Tutte le volte che si atteggia a Masaniello, Santoro è insopportabile, ma nessuno può negare che sappia fare bene il suo mestiere. Lo sa fare, eccome! Nel tempo si è atteggiato a ideologo unico delle nostre coscienze, si è comportato come un televenditore di libertà, ha sviluppato il suo ego in maniera ipertrofica, si è circondato del peggior giustizialismo, si è convinto di «essere la perla del Servizio pubblico», ha agito spesso con disinvoltura intellettuale, ma ha sempre garantito all'azienda profitti e ascolti: avere una trasmissione che rende all'azienda il doppio di incasso rispetto ai costi e chiuderla è una follia.

LA NOVITA' - Il divorzio sarà anche stato consensuale, ma la Rai lancia un segnale di debolezza, di insicurezza, di sudditanza psicologica e ideologica. Lo abbiamo scritto mille volte: sul piano della comunicazione c'era un solo modo per combattere Santoro, fare una trasmissione più interessante della sua. Tentativi ne sono stati fatti, gli esiti li conosciamo: fallimentari. Cosa farà ora Santoro? Si parla di un suo passaggio a La7. Se così fosse, potremmo assistere a una mezza rivoluzione in campo televisivo. Per la rete di Telecom, maggio è stato il mese dell'exploit: gli ascolti medi sono quasi raddoppiati, facendo registrare un 4,5% in prime time che, negli ultimi quindici giorni, è diventato un 5,3%. Artefice primo del risultato è stato Enrico Mentana, che ha saputo occupare gli enormi spazi lasciati liberi da un'informazione sospesa tra partigianeria e pressapochismo. Con un telegiornale delle 20 che viaggia, attualmente, su una media di 2.500.000 spettatori (11,6% di share), e un'edizione delle 13.30 che supera il 1.100.000 spettatori, il direttore ha «illuminato» l'intera rete ed è stato sapiente nel «fare squadra». Se arrivasse anche il pubblico di Santoro ci sarebbe da ridere. E sarebbe un chiaro segnale che Berlusconi non fa più paura.

ALDO GRASSO

07 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica/11_giugno_07/
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« Risposta #52 inserito:: Giugno 07, 2011, 02:08:33 pm »

A fil di rete

Senza Gabanelli la Rai può chiudere

«Report» vale il canone perchè è l'unica trasmissione che ha conservato la missione del servizio pubblico


MILANO - Fra le trasmissioni di successo, «Report» è l'unica che conserva la missione di servizio pubblico nella sua accezione più alta, di indagine e di senso civico. Se la Rai si lascia sfuggire Milena Gabanelli può chiudere bottega, diventerebbe un'azienda televisiva fra le altre, faticherebbe non poco a giustificare la richiesta di un canone.

LE INCHIESTE - Non basta fare le inchieste, bisogna anche chiedersi che esito hanno avuto, come sono andate a finire. In queste puntate di fine stagione, «Report» fa il punto sul suo lavoro, a cominciare dalla «puntata riparatrice» chiesta dall'Agcom (una vera assurdità che mette a nudo il carattere essenzialmente politico delle nostre Autorità di garanzia) a compensazione di un'inchiesta del 24 ottobre sulla manovra economica. In assenza di un intervento diretto del ministro Giulio Tremonti, Stefania Rimini ha intervistato Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis chiedendo loro un giudizio positivo sull'operato del governo: una vera assurdità targata Agcom.

EXPO 2015 - Il servizio che più mi ha colpito è stato quello sull'Expo 2015: la questione dei terreni, la speculazione edilizia, il ruolo di Lucio Stanca che spavaldamente rivendicava il doppio stipendio di parlamentare e di a.d. di Expo 2015 (non è che la Moratti ha perso le elezioni anche per queste arroganti storture?), il fallimento dell'affascinante progetto Boeri-Petrini sugli orti planetari che pure aveva affascinato il Bureau International des Expositions: «Questo progetto - conclude la Gabanelli - è troppo rivoluzionario. Si preferisce il supermarket del cibo e i tradizionali padiglioni e quando la fiera finisce si smobilita e si edifica. A meno che il nuovo sindaco, che dovrà correre perché fra 4 anni si inaugura e c'è ancora tutto da fare, non abbia il coraggio del nuovo. Una domanda: ma la Moratti rimane commissario straordinario?».

Aldo Grasso

07 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/spettacoli/11_giugno_07/
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« Risposta #53 inserito:: Giugno 08, 2011, 04:00:42 pm »

SANTORO, GARIMBERTI E ZAVOLI

Rai, il silenzio dei garanti

La vicenda del divorzio di Michele Santoro da Viale Mazzini rappresenta un danno oggettivo per l'azienda

   
Ma in tutta questa vicenda di Santoro qual è il ruolo di Paolo Garimberti?
Un presidente di garanzia della Rai può accontentarsi di fare il pesce in barile limitandosi a dichiarare il suo «profondo rispetto per il diritto di ciascuno di essere artefice del proprio destino»? È indispettito per non essere stato coinvolto nella trattativa?

Da qualunque parte la si legga, la vicenda del divorzio di Michele Santoro da Viale Mazzini rappresenta un danno oggettivo per l'azienda. Sì, è vero ci sono rilevanti questioni politiche e partitiche (come sempre, quando si parla di Rai), ma un presidente di garanzia deve innanzitutto tutelare il servizio pubblico che idealmente gli è stato affidato. Se non ci riesce, se viene messo da parte, se viene trattato alla stregua di un notaio, beh forse è il caso di inviare un segnale forte, dare persino le dimissioni, come in passato ha fatto Lucia Annunziata. Santoro faceva un programma fazioso, «anti-sistema», paradiso degli indignati, a volte con il gusto di irridere l'avversario, lo abbiamo detto più volte, però era anche uno dei pochi programmi che teneva in piedi e «illuminava» Raidue (insieme a X Factor, già cancellato, e a Simona Ventura, dal futuro incerto). In una democrazia matura, in un servizio pubblico, ad Annozero si contrappone un altro talk di segno opposto. Ci hanno provato ed è andata male. Così, la rottura appare non solo come una vendetta personale di Berlusconi, che attribuisce a Santoro la sconfitta nei ballottaggi e come il capitano Achab insegue ossessivamente il suo leviatano, ma anche un danno oggettivo per la Rai. Nel primo round Santoro aveva sconfitto il direttore generale Mauro Masi, costringendolo ad andarsene, nel secondo, ai punti, con guanto felpato, Lorenza Lei ha piegato Santoro, indebolendo però l'azienda.

Se il sistema tv italiano non fosse così anomalo, il cambio di guardia di un conduttore o di un giornalista non dovrebbe suscitare tanto scalpore, esattamente come succede nella carta stampata: ciascuno è artefice del proprio destino. Ma con Viale Mazzini, da tempo bottino di guerra dei vincitori, e con Mediaset, di proprietà del presidente del Consiglio, le cose non stanno così. Se, come probabile, Raidue rischierà il tracollo, di chi sarà la colpa? Il presidente Garimberti sarà in grado di chiedere la testa della Lei nel caso in cui La7 «rubi» una consistente fetta di audience alla Rai?

Di fronte alle proteste dei direttori di rete - Mauro Mazza, Massimo Liofredi e Paolo Ruffini - che hanno abbandonato la sala consiliare per contestare le proposte di palinsesto decise dalla Lei, il presidente di garanzia si limita a prenderne atto? Saltato il consiglio di amministrazione previsto per domani, forse è il caso che, nel frattempo, Garimberti si faccia sentire, forte e chiaro, per tutelare un bene che è di tutti.

Un segnale ce lo aspettiamo anche da Sergio Zavoli, presidente della commissione di Vigilanza Rai, soprattutto per la grande stima professionale e istituzionale che proviamo per lui. Non si può andare avanti trattando la Rai come spoglie di guerra (per di più di una guerra di bande cui non è estranea la Lega, fino a ieri corifea del «Roma ladrona»). Dei morti si parla sempre bene e quando, giorni fa, è mancato Biagio Agnes tutti a dire che aveva tenacemente difeso l'azienda e garantito il pluralismo. Forse è il caso che Garimberti e Zavoli si facciano lodare anche da vivi.

Aldo Grasso

08 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/editoriali/11_giugno_08/
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« Risposta #54 inserito:: Ottobre 06, 2011, 05:25:22 pm »

A fil di rete

Se Lavitola impallina i cronisti

L'uomo è apparso furbissimo, scaltro, a suo modo abile

Potrò anche sbagliarmi, ma ho avuto la netta impressione che Valter Lavitola, nella ormai famosa partecipazione alla nuova trasmissione di Enrico Mentana, «Bersaglio mobile», non si sia fatto impallinare dalla pur nutrita schiera di cacciatori (Carlo Bonini, Corrado Formigli, Marco Travaglio e Marco Lillo), ma che anzi li abbia in qualche modo usati per mandare messaggi a chi di dovere.

È un'impressione nata più dall'osservazione dei tratti fisiognomici del latitante, del tono delle sue risposte, dell'ostentata, immobile sicurezza e, non ultimo, dalla strana decisione di darsi in pasto a «feroci» cronisti giudiziari.

La domanda che tutti gli facevano era «Ma lei che mestiere fa?» (giornalista, imprenditore ittico, brasseur d'affaires, filantropo, consigliere del Principe, manutengolo? Non si è capito); la domanda che oggi, a due giorni di distanza, dobbiamo invece porci è un'altra: a chi si rivolgeva veramente Lavitola, da quel luogo sicuro e misterioso del Mar dei Carabi? L'uomo è apparso furbissimo, scaltro, a suo modo abile. Interrogato sulla sua presunta appartenenza alla massoneria, dopo una breve digressione biografica, risponde perentorio: «La massoneria insegna a stare zitti». Appunto: così zitti che uno va in tv per più di due ore, da latitante, a raccontare i fatti suoi: «Sono stato definito uomo nero, spregiudicato, o faccendiere, anche se non ne conosco il significato. Io sono determinato e non soffro di timori reverenziali verso nessuno. Sono inviso a buona parte dei collaboratori del Presidente. Alcuni di loro mi sono cordialmente antipatici». Faccendiere? Proviamo ad aiutare Lavitola a comprenderne il significato.

Mercante, trafficante per conto terzi, chi si affaccenda (dal latino «facere», fare) per compiere intrighi, più o meno leciti, o svolgere nell'ombra attività di mediazione con la pubblica amministrazione. È la faccia losca del lobbista.

Aldo Grasso

30 settembre 2011 07:41© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/spettacoli/11_settembre_30/lavitola-grasso_73a498b2-eb24-11e0-bc18-715180cde0f0.shtml
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« Risposta #55 inserito:: Dicembre 18, 2011, 04:26:26 pm »

Padiglione Italia

Il mistero del San Raffaele avvolto nei troppi «si sapeva»

Da Berlusconi alla Regione Lombardia: quanti erano a conoscenza della situazione dell'ospedale di Don Verzè?


«Ma si sapeva». Ogni volta che cerco di commentare con qualcuno le sconcertanti rivelazioni sul caso don Verzé ricevo sempre la stessa risposta: «Ma si sapeva». Dunque, dagli anni 80 si sapeva che il San Raffaele era pesantemente indebitato. Si sapeva che i vertici dell'ospedale ricevevano dai fornitori, in contante, una mazzetta compresa tra il 3 e il 5% che il prete imponeva come condizione per lavorare.

Si sapeva che Cal, quel Mario Cal morto suicida e secondo gli inquirenti il vero dominus dell'associazione a delinquere, «non faceva nulla di importante che Verzé ignorasse». Si sapeva che c'era un losco traffico con il Brasile (da un'inchiesta di Report si è appreso anche che alcuni dirigenti del San Raffaele vi «andavano a ragazzine»). Si sapeva delle spese faraoniche di don Verzé, dal jet privato alla costosissima cupola su cui è issato l'arcangelo Raffaele, dagli hotel di lusso alle numerose ville. Pare si sapesse tutto.

Già, ma chi sapeva? Probabilmente Silvio Berlusconi, grande amico e protettore di don Verzé. Probabilmente la Regione Lombardia, che ha sempre ritenuto il San Raffaele l'ospedale di punta «dell'eccellente sanità lombarda» e non ha mai avuto problemi nel concedere importanti finanziamenti per la ricerca e per le cure assistenziali. Probabilmente Nichi Vendola che nel 2010 (l'altro ieri) ha sottoscritto un accordo con don Verzé per la nascita in Puglia della Fondazione San Raffaele del Mediterraneo. Certamente le banche che hanno coperto il buco economico stimato dalla società di consulenza Deloitte intorno ai 1.476 miliardi. Forse anche la Curia qualcosa sapeva, visto che nel 1973 l'allora cardinale Giovanni Colombo sospese don Verzé a divinis. Forse anche i professori dell'università Vita-Salute San Raffaele. Forse anche la Lega: il San Raffaele non si trova nella fiabesca e incontaminata Padania?

Tutti sapevano, tutti erano a conoscenza dei traffici del prete maneggione. Hanno taciuto. Magari perché la Fondazione Monte Tabor non ha l'obbligo di pubblicazione dei bilanci. Magari perché il San Raffaele è comunque un ottimo ospedale, pieno di ottimi medici. Magari per convenienza. Abbiamo taciuto perché la missione giustifica i mezzi. Crediamo così di avere la coscienza pulita per il solo fatto di non averla usata.

Aldo Grasso

18 dicembre 2011 | 9:52© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_dicembre_18/san-raffaele-mistero-di-chi-sapeva_5e7561c6-2952-11e1-b27e-96a5b74e19a5.shtml
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« Risposta #56 inserito:: Gennaio 10, 2012, 10:52:09 pm »

A «Che tempo che fa» il presidente del Consiglio seguito da 6 milioni di telespettatori

Il premier «strano» ha spezzato l'identità totale tra politica e tv

Si esprime come un preside in consiglio di facoltà ma non dimentichiamo che è il luminare al capezzale del moribondo


Domenica sera, mentre il presidente del consiglio Mario Monti rispondeva alle domande di Fabio Fazio, su Twitter c'era già qualcuno che l'accusava di non avere verve. Come se la verve fosse la qualità prima per tirarci fuori dalle secche, come se la verve fosse una polverina magica che ci aiuta a passare dalla tragedia al malessere e, magari, dal malessere a un lieve imbarazzo. Niente verve, dunque. E poi la severa grisaglia, la cravatta non firmata, il sarcastico epiteto di «rigor Monti». Altre accuse al Monti comunicatore: usa un linguaggio accademico, è soporifero, fa battute che capiscono solo in pochi, gesuitico, risulta evasivo. Viene accusato persino di essere un esibizionista, attratto irresistibilmente dalle telecamere. Qualcuno, nel Pdl, vorrebbe persino impedirgli di fare battute, visto che il referente del sottotesto è inevitabilmente Silvio Berlusconi. Eppure, a proposito di evasività, Monti ha detto una cosa che dovrebbe essere la regola d'oro della comunicazione politica: «La politica seria impone risposte più meditate». Meditate non mediatiche. E, comunque, Monti è un così cattivo comunicatore che, senza verve, è partito con cinque milioni di pubblico ed è arrivato, a fine intervista, a circa otto.

La prima impressione, già verificata nel salotto di Bruno Vespa e nella lunga conferenza stampa di fine anno, è che, nella liturgia del rapporto fra tv e politica, ci troviamo di fronte a un corpo estraneo che, come una pietra d'inciampo, ci pone ancora domande sulla tv e sulla politica. In questi ultimi anni, qualcosa di indistinto e temibile aveva fatto passi da gigante: l'identità totale fra tv e politica. La quale, per vocazione demagogica, da sempre sa scendere a patti con il medium egemone.
Arriva al punto di assumerne le sembianze, di farsi programma fra i programmi. In questo senso, la storia della rappresentazione della politica sembrava arrivata al suo compimento, con la scomparsa della politica medesima. La politica, infatti, rischiava di diventare un sistema autoreferenziale, non più speculazione sulla realtà ma realtà essa stessa, dove i segni vivono di mobilità perpetua, disancorati da ogni referente, prigionieri dei sondaggi.

Il fatto nuovo è che con il governo tecnico o «governo strano» la politica in tv ha cambiato genere, ha abbandonato l'infotainment, quella strana mescolanza in cui informazione e intrattenimento, comico e serio, reale e surreale si fondevano in una nuova forma espressiva. L'avvento dell' infotainment , con la sua manifesta strategia di conferire appeal alle notizie, aveva affrancato il politico dal dire la verità. La sua «verità» consisteva solo nel lusingare gli umori della «gente».

È vero, il presidente Monti si esprime come un preside in un consiglio di Facoltà, ha come universo di riferimento il costume anglosassone dell'understatement, si abbandona a un umorismo molto sofisticato (a Fazio dice «lei è preparatissimo», sapendo bene che non lo è, in materia). Ma non dimentichiamo che lui è il luminare chiamato al capezzale del moribondo cui si chiede competenza, chiarezza, determinazione, non altro. La stranezza consiste nel fatto che Monti parla di cose concrete («È un governo che di fronte ad un Parlamento così responsabile è riuscito a fare cose importanti, come cambiare il sistema pensionistico»), di consapevolezze («Nella vita politica degli ultimi mesi abbiamo visto che un certo disarmo bilanciato tra forze politiche che in passato si confrontavano molto aspramente ha consentito di prendere decisioni in modo pacato e condiviso»), persino di stati d'animo («Sento un po' di pena per i politici che sono così trattati male dall'opinione pubblica»). E pazienza se il suo umorismo richiama più Karl Kraus di Bombolo! La stranezza di Monti spariglia la recita, «la videizzazione della prostituzione politica»; la stranezza produce straniamento, diversità di osservazione.
L'unico appunto è che Fazio si è comportato da sparring partner. Il nostro sogno è di assistere su Raiuno, in prima serata, a un confronto fra Mario Monti e Giuliano Ferrara: al più alto e raffinato livello di comunicazione. Poi basta, poi solo fatti.

Aldo Grasso

10 gennaio 2012 | 10:13© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_gennaio_10/grasso-monti-dafazio_15f37d28-3b56-11e1-bd31-7de06b9c283b.shtml
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« Risposta #57 inserito:: Gennaio 18, 2012, 12:18:59 pm »

Grazie, Capitano

Quando ci vuole ci vuole. Ci sono espressioni che, pur usurate dalla quotidianità, conservano una loro volgarità di fondo.
Ma in circostanze come queste, quando l’intontito comandante della Concordia sembra non rendersi conto del disastro che ha combinato, assumono persino un che di nobile, quasi fossero l’ultima risorsa della disperazione.

La drammatica telefonata tra Francesco Schettino e il capitano di fregata Gregorio Maria De Falco della Capitaneria di porto di Livorno è forse il documento che meglio testimonia le due anime dell’Italia. Da una parte un uomo irrimediabilmente perso, un comandante codardo e fellone che rifugge alle sue responsabilità, di uomo e di ufficiale, e che si sta macchiando di un’onta incancellabile.

Dall’altra un uomo energico che capisce immediatamente la portata della tragedia e cerca di richiamare con voce alterata il vile ai suoi obblighi. In mezzo un mondo che affonda, con una forza metaforica persino insolente, con una ferita più grande di quello squarcio sulla fiancata.

Il capitano De Falco fosse stato sulla nave sarebbe sceso per ultimo, come vuole l’etica del mare. Al telefono non può che appellarsi al bene più prezioso ed esigente che possediamo: la responsabilità personale. Ogni volta che succede un dramma la colpa è sempre di un altro, persona o entità astratta non importa. Eppure la responsabilità personale — quell’insieme di competenza e di senso del dovere, di cura e di coscienza civica — dovrebbe essere condizione necessaria per ogni forma di comando, in terra come in mare.
E invece le nostre miserie e le nostre fragilità ci indicano sempre una via di fuga, ben sapendo che il coraggio rende positivi anche i vizi e la viltà rende negative le virtù.

Quella frase «Vada a bordo, cazzo!» («Get on Board, Damn it!» così tradotta nei tg americani) è qualcosa di più di un grido di dolore, di un inno motivazionale, di un segnale di riscossa. Il naufragio è uno degli archetipi di ogni letteratura perché illustra i rischi dell’esistenza umana nel corso della «navigazione della vita». Esso rinvia agli atteggiamenti fondamentali che si assumono nei confronti del mondo: in favore della sicurezza o del rischio, dell’estraneità o del coinvolgimento negli eventi, del ruolo di chi sprofonda e di chi sta a guardare dalla terraferma.

Ma ci vuole un grido che scuota e ci infonda coraggio, che, ancora una volta, ci richiami alle nostre responsabilità. Ecco perché ieri su Twitter era l’hashtag più utilizzato, una sorta di mantra collettivo. Ecco perché vorremmo, in ogni occasione, per chi guida il Paese o per chi fa semplicemente il suo mestiere, ci fosse qualcuno come il capitano De Falco che ci richiamasse perentoriamente all’ordine. (Intanto, su Internet, c’è già chi vende la t-shirt con la frase. E qui torniamo all’Italia degli Schettino).

Vada a bordo, e quello non ci è andato (ora è a casa agli arresti domiciliari in attesa che la giustizia faccia il suo corso e che la coscienza gli ridesti il senso dell’onore). Due uomini, casualmente due marinai campani, due storie: l’una che ci umilia, l’altra che tenta di riscattarci. Grazie capitano De Falco, il nostro Paese ha estremo bisogno di gente come lei.

Aldo Grasso

18 gennaio 2012 | 9:55© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_gennaio_18/grasso-grazie-capitano_5e27d752-419a-11e1-9408-1d8705f8e70e.shtml
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« Risposta #58 inserito:: Gennaio 18, 2012, 10:08:20 pm »

A fil di rete

L'euforia fuori luogo di Milly Carlucci

L'allegra spensieratezza in contrasto con la tragedia della Costa Concordia


Era in corso la tragedia della Costa Concordia e ogni immagine che non riguardasse l'isola del Giglio pareva inopportuna, quasi stridente. Per questo La7, dopo che Enrico Mentana, prontamente, aveva organizzato uno speciale, ha fatto molto bene a sospendere la prevista prima puntata dello show di Serena Dandini.

Così si comporta un vero Servizio pubblico e mi piacerebbe ne prendesse nota chi, nel governo Monti, si sta occupando della ristrutturazione della Rai. Sarà questa la ragione principale per cui l'allegra spensieratezza di «Ballando con le stelle» mi è parsa così fuori luogo, con tutta quell'euforia che esondava dal viso troppo levigato di Milly Carlucci (Rai1, sabato, ore, 21.20). Ma non è la sola ragione di imbarazzo. Non riesco a rassegnarmi alla partecipazione di Gianni Rivera. Quando ha iniziato la performance personale, «Test di attitudine al ballo», sembrava una manichino sperduto in qualche anfratto di un grande magazzino.

Ma come può un grande calciatore come Rivera distruggere in un attimo la sua leggenda, accettare penosamente di farsi dare i voti da un certo Guillermo Mariotto, subire le spiritosaggini di Ivan Zazzaroni, sottoporsi alle opinioni di Sandro Mayer? Chi ha amato il calciatore Rivera (per come giocava, per come si comportava in campo, per come è stato sbattuto fuori dal Milan) prova non poco disagio a seguire le sue esibizioni in questo circo. Tra l'altro, attualmente è presidente del settore scolastico della Federcalcio. La prima puntata è stata pubblicamente elogiata dal direttore generale Lorenza Lei (si vede che il suo sangue emiliano non è insensibile alle balere): «"Ballando" ha vinto due volte. La prima con gli ascolti: sfiorare il tetto di 6 milioni di telespettatori il sabato sera è un risultato importante per Rai1 e per l'azienda. La seconda dimostrando che la professionalità supera ogni polemica». Forse, in nome di quella decantata professionalità, la seconda puntata non sarebbe dovuta andare in onda. Anche sul Titanic si ballava.

Aldo Grasso

17 gennaio 2012 | 17:46© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_gennaio_17/grasso-milly-carlucci_868e00ec-40d5-11e1-b71c-2a80ccba9858.shtml
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« Risposta #59 inserito:: Gennaio 29, 2012, 11:42:29 pm »

Padiglione Italia

Il tempo della politica senza gossip

Siamo passati dal lato B all'analisi dello spread


Chi ha visto le Olgettine? Si pratica ancora il «bunga bunga»? Dov'è finito il corpo delle donne? Sembra un'epoca remota quella in cui, ogni giorno, si discuteva della profana Triade «sesso-danaro-potere» , il terribile virus che aveva inquinato le massime istituzioni della vita pubblica.

Ogni giorno, tra compiacenza voyeuristica e sdegno moralistico, si raccontava delle imprese del Capo, del lettone di Putin, del favoloso harem di Sputtanopoli. Per ogni atto politico bisognava «cherchez la femme». Poi basta: solo morigeratezza e continenza. Dal colore al bianco e nero, da Forza Gnocca al Corpo docente, dal cabaret al convento.

In un attimo siamo passati dai cicalecci sulle ministre sexy, sulle hot line scrupolosamente intercettate, sulle battute da caserma sul lato B della Merkel all'analisi dello spread, alle incertezze della crescita, ai bollettini delle agenzie di rating. «La torsione etica e politica delle ultime settimane - ha scritto Aldo Nove - farebbe pensare a una bonifica ormonale di salubre disintossicazione dopo un'overdose nazionale». Con i soldi pareva possibile comprare tutto, regalare farfalline d'oro alle accompagnatrici, concedersi notti esotiche e anche erotiche, ma ora i soldi mancano e i sogni di potenza svaniscono.

Il mestiere di retroscenista è stato deprivato della sua sostanza gossipara: non c'è più nulla da scoprire, in senso figurato e in senso reale e Vallettopoli finirà per essere rubricata come la versione senza freni inibitori di Tangentopoli: alla mazzetta è succeduta la mezzana, al lotto il letto.

Insomma, la rinascita impone rigore, sobrietà e un infuso quaresimale. Ed Eros e Priapo che fine hanno fatto? Con tutto il tempo libero a disposizione hanno disarmato i remi? Hanno chiuso i conti con la suburra? Difficile crederlo, solo che le relazioni pericolose, le foto compromettenti, le notti brave non interessano più, rientrano nella sfera del privato. Un velo di ipocrisia si stende ora sulle alcove.

Lele Mora è in prigione, Fitch ci declassa, la redenzione del Paese è anche un atto di contrizione.

Aldo Grasso

29 gennaio 2012 | 8:26© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_gennaio_29/grasso-padiglione-italia-politica-senza-gossip_57f8a372-4a49-11e1-bc89-1929970e79ce.shtml
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