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Autore Discussione: ALDO GRASSO.  (Letto 77336 volte)
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« inserito:: Settembre 24, 2008, 12:02:02 pm »

A fil di rete

Il sindacalese di Lilli Gruber


A ridatece er puzzone! Una stagione è finita per sempre, improbabile che Giuliano Ferrara torni in tv, a breve termine, difficile che una trasmissione riesca ancora a proporci quei percorsi di conoscenza che sono stati la caratteristica principale di «Otto e mezzo». La comprensione degli avvenimenti di cui si discute in video nasce solo dal confronto di idee (ma prima di tutto bisogna averne, presupposto di cui la tv del quotidiano non tiene conto).

Quante lettere sono arrivate sul nostro Forum per ribadire un solo concetto! Che è questo: io non la penso come Ferrara però non riesco a fare a meno delle sue discussioni! Per questo sarebbe stato più opportuno cambiare nome all'appuntamento, cambiare collocazione, cambiare le carte in tavola. E invece «Otto e mezzo » e rimasto «Otto e mezzo», salvo che ha condurlo, sbaraccata la vecchia redazione, ci sono Lilli Gruber e un suo sparring partner, Federico Guiglia (La7, dal lunedì al venerdì, ore 20.30).

Pur continuando a essere un convinto europeista, non credo però che il Parlamento europeo faccia miracoli: la Gruber è sempre la Gruber (a parte le labbra), con quella sua aria da Sarah Palin altoatesina, quel suo parlar sindacalese, quel mettersi di traverso, nel corpo e nello spirito. Per non scivolare nei pregiudizi, voglio portare un esempio concreto: l'economista Tito Boeri, al di là delle sue convinzioni, è una persona estremamente civile, garbata, professionale e professorale. Ebbene, per la prima volta, è stato tirato per la giacca in una quasi rissa. Colpa di quel comandante dell'Alitalia, Fabio Berti, simpatico come una picconata in faccia, ma colpa anche di un dibattito fintamente imparziale. Così fintamente imparziale che la Gruber, mentre scorrevano i titoli di coda, ha fatto a Maurizio Sacconi la domanda che un giornalista non dovrebbe mai fare: «Ministro, si sente di essere ottimista?». Perché non «come vede il bicchiere?». Per dire: lo sparring partner è stato più puntuale nelle domande del campione.


Aldo Grasso
24 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 21, 2009, 12:47:18 pm »

SCENARI

Se Fiorello passa a Sky

Il conflitto con Mediaset: dalla ritorsione per l'Iva ai nuovi mercati


Svanito il trasferimento di Kakà al Manchester City, quello di Fiorello a Sky potrebbe essere la notizia dell'anno.
Fin troppo clamorosa per essere vera.

Uno show teatrale registrato dalle telecamere di Sky non significa per forza che Fiorello stia per diventare il volto nuovo della tv di Rupert Murdoch. Anche se...

Le ipotesi di scuola, come si dice in questi casi, sono più che interessanti. La lettura della ritorsione di Murdoch nei confronti di Berlusconi per l'inopinato raddoppio dell'Iva sugli abbonamenti è la più facile ma anche la più banale. Le cose non stanno così. In un momento di crisi generale e di conseguente discesa degli investimenti pubblicitari quello che eventualmente potrebbe interessare a Sky è la torta della tv generalista, che è ancora consistente e generosa. Del resto, alcuni canali di Sky attuano ormai un'offerta da tv generalista, non solo con la riproposta dei programmi più significativi di Rai e Mediaset, ma anche con una politica tesa a conquistare le fasce più ampie dell'audience.

Se, con il posticipo di calcio e qualche film di successo, Sky proponesse una prima serata con Fiorello il gioco sarebbe fatto. Del resto, stiamo vivendo una fase di trapasso in cui il pubblico sta mandando precisi segnali di una trasformazione delle proprie abitudini, pronto ad abbracciare le nuove piattaforme se attratto da un contenuto capace di mobilitarlo. E fra i due poli della tv generalista gratuita e della tv a pagamento si aprirebbe una vasta area di conquista. Piacevolmente occupata da Fiorello. Quanto al protagonista di questa vicenda, si aprirebbe per lui un’occasione unica: sarebbe il primo showman italiano a simbolizzare il volto non di una rete ma di una piattaforma.

Soprattutto non avrebbe più problemi di spazi e di orari, al limite potrebbe avere un canale tutto per sé, una specie di canale laboratorio dove fare radio, musica, tv e spot con Mike Bongiorno. Oggi è fantatelevisione, domani non più.

Aldo Grasso
20 gennaio 2009

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 12, 2009, 03:40:09 pm »

A fil di rete

Ceronetti, Signorini e i paradossi della tv

Ci sono momenti in cui bisogna rassegnarsi all'inconoscibile, all'indecifrabile.

È così, non ci si può fare nulla, meglio limitare i commenti.


Guido Ceronetti ha infine ceduto alle sirene della tv ed è andato da Fabio Fazio a presentare un suo libretto di poesie.
Ho amato (e amo) tantissimo Ceronetti, ho avuto il privilegio di vedere nascere il suo teatro domestico, a Cetona, al punto di vergognarmi non poco con lui per il mestiere che faccio. Porto nel cuore alcune sue parole sulla tv: «Accendere il televisore è spegnere il bambino »; «Un certo grado di iconofobia è necessario alla purezza morale. Siamo in una pattumiera terrificante di immagini in movimento: le peggiori sono quelle che stanno lì, davanti a un tavolo, e parlano». Vederlo in tv mi ha creato sconcerto. Ma è un problema mio, non suo. Era già successo con Elemire Zolla.

Anche il comedian Piero Chiambretti ha sentito il bisogno di dire la sua sul caso Englaro, e sul caso Mentana. Chi non sa dovrebbe tacere, ma la regola non vale per la tv. Anzi. Per «approfondire » il discorso Chiambretti ha invitato Maurizio Costanzo ed Emilio Fede. L'uno ha inventato la «tv del dolore» e l'altro si è vantato di aver «gestito » la vicenda di Vermicino, il buco nero della nostra storia televisiva. Ancora una volta la tv si parla addosso e affida alle piovre mediatiche la sua legittimazione.

Due settimane fa, Alfonso Signorini ha maltrattato in diretta il «cappio espiatorio », ovvero la hostess dell'Alitalia Daniela Martani. L'ha umiliata davanti al paese intero, dicendole che sta rubando un posto di lavoro. Il tono era esagerato ma la sostanza giusta. Lunedì, Signorini ha regalato la copertina di «TV Sorrisi e Canzoni» alla hostess del Grande Fratello, intervista per l'occasione dall'«amico del cuore» Massimo Giletti. Olè. «La vita rimescola dati e dadi; l'ultima parola, su tutto, la dirà il silenzio» (Ceronetti).

Aldo Grasso

12 febbraio 2009
da corriere.it
« Ultima modifica: Febbraio 13, 2009, 10:38:21 am da Admin » Registrato
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 13, 2009, 10:39:01 am »

La televisione e la crisi

Quel milione di euro a Bonolis

Il Servizio pubblico e un «modello virtuoso»


Che strano Paese, l'Italia. Operai e impiegati in cassa integrazione, aziende che collassano da un giorno all'altro, il prodotto interno ai minimi storici ma Paolo Bonolis prende un milione di euro per condurre il Festival. Qualcosa non torna. L'amministrazione Obama ha fissato un tetto massimo di 500 mila dollari ai salari dei grandi dirigenti delle aziende destinatarie dei fondi di salvataggio. Il provvedimento ha due scopi: puntare a una maggiore trasparenza e soprattutto dare l'esempio. Per una vecchia legge morale: se l'insegnamento non viene dall'alto, nessuno muove il primo passo. Che strano paese, l'Italia. Non è solo la Banca centrale a suggerire fosche previsioni (crescita zero, diminuzione delle esportazioni, compressione dei salari), lo è piuttosto la realtà quotidiana: molte famiglie non arrivano alla quarta settimana del mese, negozi in crisi, il precariato giovanile a livelli drammatici.

Eppure Paolo Bonolis, presentatore televisivo, e Roberto Benigni, lettore televisivo di Dante, prendono dal Festival di Sanremo una barcata di soldi. C'è anche Maria De Filippi (il suo compenso andrà in beneficenza), corsa tris della scuderia Lucio Presta. Bonolis si difende dicendo che ha lavorato per un anno al Festival come direttore artistico. Insomma, lavora a progetto, è il co.co.co. più ricco d'Italia. Complimenti.

E dire che il Servizio pubblico televisivo, proprio perché si rivolge alla stragrande maggioranza delle famiglie, proprio perché ha un'audience la cui consistenza principale è rappresentata dalle fasce meno abbienti della popolazione, avrebbe il dovere di porsi come modello virtuoso. Poco vale la giustificazione che i soldi per Bonolis e Benigni li tirano fuori gli sponsor. No, li tiriamo fuori noi: prima con il canone, poi al supermarket.

Non passa giorno che i nostri governanti non ci esortino al sacrificio: per l'Alitalia, per uscire dalla crisi, per risanare i conti pubblici.

Il presidente Silvio Berlusconi ha recentemente affermato «che tutti quanti in coscienza dobbiamo dare il nostro piccolo contributo affinché questa crisi non sia così drammatica». Ha ragione, se però, in coscienza, il contributo cominciasse a venire da una manifestazione musicale come Sanremo avrebbe anche un valore simbolico (non moralistico). Riguardo poi ai sacrifici, chi li fa e chi li predica la pensano in modo differente.

Ma ai primi è data scarsa possibilità di dirlo.


Aldo Grasso
13 febbraio 2009

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 15, 2009, 03:12:53 pm »

A FIL DI RETE

«Scherzi» volgari e conformisti


E se il comunismo volesse dire anche buon gusto? Faccio fatica a seguire Scherzi a parte, trovo che sia la trasmissione più volgare e conformista della nostra tv (Canale 5, giovedì, ore 21.10). Dopo la figura barbina fatta l'altra sera da Amauri e da Fabio Quagliarella spero che le squadre di calcio vietino ai loro tesserati di prendere parte alla trasmissione: ma c'è sempre una moglie che vuol apparire, c'è sempre un amico che... Per dire il livello della trasmissione: la produttrice Fatma Ruffini (che, naturalmente, chiude a chiave una burla che la riguarda) ha ritenuto di mandare in onda uno scherzo idiota fatto a Gigi D'Alessio in cui compare anche Enrico Mentana. Cornuto e mazziato! Fra i conduttori c'è Claudio Amendola uno che si vanta di aver sempre votato Democrazia proletaria, Rifondazione ma mai Pci, mai Pds, mai Ds. Quasi a dimostrare che uno duro e puro come lui è difficile trovarlo.

E agli intervistatori che gli fanno notare come il suo spirito proletario strida un po' con il lusso di cui si circonda (ultima arrivata una barca da 4 milioni di euro), l'ex «coatto de Roma» risponde sempre: «Il comunismo oggi non vuol dire Lenin e Stalin. Vuol dire giustizia sociale, pagare le tasse, vivere moralmente sani, non sprecare, non sfruttare, pagare i contributi, seguire gli insegnamenti di Gesù Cristo». Sullo spreco e sull'uso indebito degli insegnamenti di Cristo è meglio sorvolare. Ma la lettura di Scherzi parte potrebbe essere un utile esercizio critico per capire la fine del comunismo, almeno della sua parte più ideologica e salottiera. La coerenza è gradita, ma il buon gusto obbligatorio. In coppia con un campione della grevità come Teo Mammucari, Amendola riesce a esacerbare il programma, a renderlo ancora più gretto. Scherzi a parte, ma una cosa non ho mai capito, da ingenuo: se uno è comunista perché non vive da comunista?

Aldo Grasso
14 febbraio 2009

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Febbraio 20, 2009, 03:42:17 pm »

a fil di rete

Gruber, il trionfo del Luogo Comune

Il merito principale di un conduttore non è di dire cose intelligenti (alla Piroso) ma di farle dire ai suoi ospiti.
 

Vorrei tanto ricredermi su Lilli Gruber, ma per quanti sforzi faccia non ci riesco.

Appena affronta un tema di cui ho qualche vaga cognizione, mi accorgo che in lei agisce potente il Demone del Luogo Comune. Il merito principale di un conduttore non è di dire cose intelligenti (alla Piroso) ma di farle dire ai suoi ospiti. Come faceva Giuliano Ferrara. Come non riesce a fare la Gruber.

Aveva in studio due «numeri uno» come Carlo Freccero e Giorgio Gori e ha strappato loro solo balbettanti frasi fatte. Per confermare la sua vocazione di canale colto, di nicchia, La7 ha contrapposto alla seconda serata di Sanremo Quinto potere, il celebre film del 1976 di Sidney Lumet dedicato alla tv. Il film è stato anticipato, come nei migliori cineforum, da una puntata speciale di «Otto e mezzo» che si prefiggeva di spiegare quali strade prenderà la tv del futuro. In un curioso cortocircuito temporale tra passato e futuro, il film ha dato più risposte del dibattito. Certo, le domande in gioco erano di portata epocale: la tv generalista è destinata a morire? Il web cannibalizzerà tutti gli altri media? Come può la sinistra italiana instaurare un rapporto meno snob con la tv?

Quando Gori afferma, con echi francescani, che la sinistra deve «imparare a comprendere e amare le audience», si capisce come nello studio aleggiasse ancora l'idea moraviana di un pubblico televisivo «di serie B». Anche Luxuria, vincitrice dell'«Isola dei famosi», ha dichiarato di guardare poco la tv, di perdersi Sanremo per andare a teatro. Spesso i progressisti compiono il paradossale errore di leggere l'avvenire del piccolo schermo con strumenti del passato e la tv appare loro come uno strumento pericoloso, che ci impone passivamente cosa consumare, per chi votare. Salvo poi frequentarla.

La Gruber fa tv e si crede Peter Finch, Gori fa programmi ed è come Faye Dunaway: esulta quando «fa centro», con gli ascolti.

Aldo Grasso
20 febbraio 2009

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« Risposta #6 inserito:: Febbraio 23, 2009, 06:19:11 pm »

Il personaggio Popolarissimo fra i tifosi

In redazione e in tv una lunga battaglia per lo sport pulito

«Il doping è autodistruzione»


La prima cosa che Candido mi diceva incontrandomi nei corridoi del Corriere era questa: «Ma come fa a piacerti il Grande Fratello? Io quella porcheria non la guardo mai». «Candido, se non lo guardi come fai a giudicarlo? », tentavo di rispondergli. Non c’era verso, l’unica strategia per non privarsi dei suoi discorsi ed evitare di parlare del Grande Fratello era di accompagnarlo a pranzo, in mensa. Il paradosso di questo straordinario uomo stava in questi suoi gesti apparentemente indecifrabili.

Il direttore storico della Gazzetta dello Sport, il giornalista sportivo più popolare d’Italia, un intellettuale di grande sensibilità amava incontrare le persone nella mensa aziendale: nella mezz’oretta del pranzo aveva modo di informarsi su varie cose, di salutare una cinquantina di persone che lo riverivano con affetto, di soddisfare la sua curiosità in mille campi. Sapeva tutto di tutto: mercoledì a Luca Traverso, direttore divisione Corriere-Rcs, grande tifoso genoano, ha tenuto una lezione su Enrico Preziosi e sul dramma del tifoso risucchiato sotto il pullman della Fiorentina. Un discorso di grande umanità. Unito alla fanciullesca felicità di aver ricevuto un premio a Barcellona. Pur essendo il giornalista più preparato e anche più attento agli sport cosiddetti minori non si atteggiava mai a Solone. Per questo guardava la tv con diffidenza; per questo non è mai diventato un personaggio televisivo, si è sempre tenuto alla larga dal circo mediatico.

Veniva invitato spesso in tv, in tutte le principali trasmissioni sportive, ma come ospite. È stato persino imitato con grande spirito da Maurizio Crozza a «Quelli che il calcio» condotto da Fabio Fazio (in verità, Candido subito storceva un po’ il naso quando sentiva battute come questa, poi però abbozzava: «Varenne, a fine carriera, smetterà di correre e farà lo stallone. E anch’io, tra pochi mesi...»), masi è sempre rifiutato di far parte della compagnia di giro. Lui apparteneva alla carta stampata, e ci teneva sempre a precisarlo. La sua prima preoccupazione era che la tv stava divorando lo sport. Dal punto di vista professionale, innanzitutto: «In questi anni—diceva spesso— abbiamo dovuto ripensare i giornali. Oggi devi dare per scontato che la gente sa già che cosa è successo quando compra il giornale. E devi costruire delle storie, entrare dentro l’anima degli sportivi perché quello è l’unico posto dove le telecamere non possono arrivare». Ma anche dal punto di vista morale, aspetto che lo interessava ancora di più: «Esiste un mercato del cattivo gusto e il trionfatore è Aldo Biscardi. Imbattibile. I più casinisti, i presidenti peggiori li trova sempre lui. Ha fiuto. Siamo amici, ma la sua è una tv che non mi piace». Candido assomigliava molto a «Candide», il protagonista del racconto di Voltaire.

Credeva in un mondo migliore, lavorava per un mondo migliore, continuava a lavorare per rendersi sopportabile la vita. I suoi numerosi interventi al «Processo» del Giro d’Italia si tramutavano in sfuriate contro il doping: «Il doping è una vera tragedia; per il ciclismo, sport umanamente eccezionale, rappresenta una sorta di maledizione. Ma è tutto lo sport che corre verso una sorta di autodistruzione, con la ricerca sempre più esasperata della prestazione, a scapito della fantasia e della tecnica. È tutto più muscolare e sui muscoli purtroppo si può agire con le sostanze dopanti». Quando andava in tv sembrava che venisse da un altro pianeta. Mentre gli altri si scannavano, lui cercava di usare ancora parole desuete come «morale», «etica», «sportività», di proporre esempi positivi, campioni dello sport ma anche modelli di vita. Parlava spesso di Giacinto Facchetti, Sara Simeoni, Livio Berruti, Deborah Compagnoni. Su Marco Pantani, che amava moltissimo, ha versato lacrime amare di delusione. Mala risposta che più lo caratterizza è quella che dava ai giornalisti che lo stuzzicavano sulla sua squadra del cuore: «Ho tifato per il Milan, per la Juve, per l’Inter e per la Roma. Tutto purché il campionato fosse vivace, nell’interesse della mia ditta, la Gazzetta dello Sport». Candido, il campionato di calcio ti ha dedicato un minuto di raccoglimento.

Aldo Grasso

23 febbraio 2009
da corriere.it

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« Risposta #7 inserito:: Marzo 17, 2009, 03:45:53 pm »

A FIL DI RETE

E anche Di Vittorio ha il suo «santino»

Troppo agiografica la fiction Rai sul fondatore della Cgil con il bravo Pierfrancesco Favino
 

MILANO - Qui non si parla di Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 1892 - Lecco, 1957), contadino, autorevole esponenti del sindacato, segretario della Cgil, autodidatta, deputato, efficace comunicatore, sposato due volte. Qui non si parla delle licenze storiche che gli sceneggiatori si sarebbero prese. No, qui si parla di fiction. E devo tristemente constatare che ci troviamo di fronte all'ennesima agiografia, l'unico modello cui sa appellarsi la serialità italiana secondo frusti stilemi: il «santo» da vecchio, un flashback, l'infanzia infelice (il piccolo cafone è costretto a guadagnarsi un tozzo di pane scacciando i corvi dai terreni arati), la lotta, le donne e gli amori, la beatificazione.

LA FICTION - L'agiografia della fiction Rai è figlia della lottizzazione, la sua mala pianta; spero che un giorno si arrivi ad analizzare in profondità questo fenomeno pervertito. Un «santino» non lo si nega a nessuno a destra, come a sinistra. «Pane e libertà. Giuseppe Di Vittorio» è la miniserie scritta da Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella e Alberto Negrin e diretta dallo stesso Negrin. L'agiografia si distende con un andamento vagamente da film western (il buono è Di Vittorio, il cattivo è don Luca, il latifondista, e il brutto è tutto il resto), ambientato però in Puglia facendo ricorso a un'iconografia da «Quarto stato» di Pellizza da Volpedo. Naturalmente Pierfrancesco Favino è bravo, davvero molto bravo, ma è solo in questa lunga cavalcata nel deserto della fiction italiana. E poi in due puntate bisogna farci stare tutto: il lavoro nei campi, le tragedie familiari, i primi scioperi, la fondazione della scuola serale, la repressione dell'esercito, l'assalto alla Camera del Lavoro di Bari, il Parlamento, l'esilio a Mosca, la guerra di Spagna... Negrin è un bravo regista. Molte delle sue opere però sono sempre vittime di una ragione politica superiore: da «Operai» (1969), a «Viaggio nel terrore», a «Pane e libertà».

Aldo Grasso
17 marzo 2009

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« Risposta #8 inserito:: Marzo 18, 2009, 10:28:05 am »

STRATEGIE

Divi per uscire da ghetto della tv di nicchia

Alla ricerca di un modello di audience più appropriato


MILANO - Intanto Sky Vivo diventa Sky Uno per scrollarsi di dosso una sorta di cattivo auspicio. Tempo fa, quando i dirigenti di Sky diedero vita un canale con tendenze generaliste pensarono di invitare Maurizio Costanzo con un programma che si chiamava «Stella». Ma gli esiti non furono quelli sperati. Così, fra gli addetti ai lavori, Sky Vivo diventò subito il suo contrario, con spreco di scongiuri (di qui, forse, l'immotivato e invido risentimento di Costanzo nei confronti Mike, reo di spalleggiare Fiorello). La vera ragione della scelta generalista è un'altra. Nell'ormai guerra dichiarata fra Sky e Mediaset (con il supporto della Rai) bisogna metter in conto una eventualità: che Mediaset e Rai abbandonino la piattaforma Sky per costruirne una propria, a integrazione del digitale terrestre.

Decisione non facile per la Rai: le sue reti satellitari sono infatti pagate da Sky e non si vede dove Viale Mazzini possa reperire altri soldi per tenerle in vita; inoltre, come Servizio pubblico, la Rai dovrebbe essere aperta a tutte le piattaforme. Decisione non facile ma probabile. Ecco perché Sky si sta attrezzando per una rete rivolta a tutti, per uscire un po' dal ghetto della tv di nicchia. Solo creando eventi (finora relegati allo sport, visto che il settore cinema è poco attrattivo), solo sfondando nel settore intrattenimento, solo incrementando la «tv dei divi» (Fiorello, Cuccarini, Panariello, e un domani, chissà, persino Celentano, Mike...) si può dare uno scossone alla fisiologia degli abbonamenti. Tuttavia, parlare di tv generalista è un azzardo. Per definizione la pay tv non può essere generalista. La presenza di Fiorello ci suggerisce invece un modello di audience più appropriato: Sky punta a costruirsi un pubblico di tendenza, una via di mezzo tra la generalista e la tv di nicchia, il pubblico che si espande con il passaparola (o passaimmagine).



Aldo Grasso
18 marzo 2009


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« Risposta #9 inserito:: Marzo 21, 2009, 12:14:51 pm »

Gli Asor Rosa e i Costanzo passano «i mike» restano

Mai sottovalutare l'ultimo padre della patria tv

Nessun presentatore al mondo ha mai avuto un simile privilegio: segnare tre epoche


Privilegio Mai dire Mike. Mai pensare di sbarazzarsi dell' ultimo padre della patria televisiva. Mai prendere sottogamba l'uomo che ha trasformato la vita in quiz.
 
Mike Bongiorno è stato il primo presentatore della Rai, anno 1954. Mike è stato il primo presentatore di Canale 5, anno 1980 (che allora si chiamava ancora Telemilano e metteva in onda I sogni nel cassetto). Mike sarà la star starter di Sky Uno, la versione omnibus della PayTv. Nessun presentatore al mondo ha mai avuto un simile privilegio: segnare tre epoche, essere insieme padre, figlio e spirito, vanto di tre modi diversi di fare e intendere la tv. Perché questo è il segreto della sua eterna giovinezza televisiva: mentre gli altri si muovono, si agitano, si danno un gran daffare lui resta fermo come un Budda, maestro di filosofie orientali e orientabili.

A dir la verità, la sua saggezza si è sempre fondata sulla professionalità assoluta, sull'impegno, sulla dedizione totale. Tanto che per alcuni, questo suo essere un evento aurorale, è stato il facile pretesto su cui fondare una mitologia negativa: le sue apparizioni televisive sono state descritte come la fodera invisibile della mediocrità.

«I MIKE» RESTANO - Non tenendo conto che anche un mito televisivo è un modo di descrivere in forma narrativa le cose essenziali della vita: per fortuna gli Asor Rosa e i Costanzo (due grandi equivoci della Sinistra italiana) passano, i Mike restano. Mike è un candido perché non ha mai tentato, facendola, di prendere le distanze dalla tv, di distruggerla con la pretesa di svelarne i meccanismi occulti.

Sta ora per iniziare una terza vita televisiva, sul satellite (Mike in the Sky), forse per poter essere più vicino alla sua religione lavorativa: il pubblico è il soggetto al di sopra di tutti i soggetti, per il cui bene tutto si giustifica. Non servirlo tutti i giorni è un peccato, è il peccato. Segna tre epoche, nessun presentatore ha questo privilegio

Aldo Grasso
21 marzo 2009

da corriere.it
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« Risposta #10 inserito:: Aprile 09, 2009, 11:17:46 am »

Quando i talk show sostituiscono i tg


La tv italiana manifesta il suo lutto e la sua parteci­pazione all’immane tragedia che ha colpito l’Abruzzo cancellando i reality: è toccato prima al Grande fratello (in onda ieri sera) e poi a X Factor. Anche altri spettacoli «leggeri» hanno su­bito la stessa sorte; l’importante però era sottolineare la gra­vità del momento rimuovendo l’«indecenza» (o supposta tale) di un genere. In altre occasioni simili erano stati i tg a prendere in mano la situazio­ne, con lunghe edizioni straor­dinarie. Ma anche con molte in­certezze di programmazione: le reti generaliste non hanno un canale dedicato esclusiva­mente alle notizie e in passato non sono mancate le polemi­che sull’incapacità di mantene­re viva una finestra informati­va. Questa volta è successa una cosa apparentemente stra­na: la gestione principale delle notizie è passata ai talk.

Lune­dì sera, nel momento più drammatico, il coordinamento era in mano a Porta a porta (Raiuno), a Matrix (Canale 5), Otto e mezzo (La7). Certo, in collaborazione con i rispettivi tg ma l’impronta era quella del talk. Suppongo che la decisio­ne sia stata presa per due moti­vi: il primo è che ormai esisto­no le reti all news, le tv locali e soprattutto il web con nuove forme di citizen journalism. La tv generalista preferisce dare un’impronta più colloquiale, più familiare; il secondo è che bisognava omogeneizzare quel misto di informazione e intrat­tenimento che ormai caratteriz­za tutta la giornata. Del terre­moto parlano trasmissioni come Uno mattina, Omnibus, Cominciamo bene, Mattino cinque, Italia allo specchio, Po­meriggio cinque, La vita in diretta, ecc. Il talk show si esal­ta quando diventa centro di raduno virtuale o, meglio, una formidabile macchina narrativa a basso costo (anche le que­stioni che pone, però, sono low cost) e, insieme, instaura una forma di controllo sulla vita sociale come nessuna altra trasmissione riesce a fare.

Aldo Grasso

da corriere.it
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« Risposta #11 inserito:: Aprile 12, 2009, 12:06:22 am »

Lo show di santoro sul terremoto

Zizzania in tv


Ancora una volta Santoro ha fatto il Santoro. Dietro il paravento della libertà d’informazione, di cui è rappresentante unico per l’Italia, isole comprese, ha allestito una trasmissione all’insegna del più frusto slogan politico «piove, governo ladro». Non di pioggia si trattava, ma di un terremoto che finora ha fatto 290 vittime e quarantamila sfollati, raso al suolo paesi, buttato giù case, seminato distruzione.

Ma i morti non lo fermano, la commozione non lo trattiene. Se ha in mente una tesi, che tesi sia. La tesi era che bisognava comunque attaccare la Protezione civile, specialmente Guido Bertolaso, i Vigili del Fuoco, la comunità scientifica che non ha dato ascolto agli avvertimenti di Giampaolo Giuliani, gli amministratori locali, il ponte sullo Stretto, Berlusconi, il governo. A dargli manforte in studio ha chiamato l’ex magistrato Luigi De Magistris, candidato alle Europee con l’Italia dei Valori (che acquisto per la politica!) e l’esponente di Sinistra e Libertà Claudio Fava. Contro aveva, e hanno fatto un figurone, Guido Crosetto del Pdl e Mario Giordano.

Il giornalismo di Santoro funziona così: con l’aiuto delle poderose inchieste di Sandro Ruotolo e Greta Mauro ha intervistato una signora che si lamentava di un ritardo di un paio d’ore dei soccorsi, un signore che diceva di aver freddo, di un altro ancora che cercava riparo in tende non ancora montate, una studentessa che preoccupata aveva lasciato l’Abruzzo per tempo, un medico che denunciava la mancanza di bottigliette d’acqua nel suo reparto. Ne è uscito così un quadro di devastazione organizzativa da aggiungersi alla devastazione reale. Da un punto di vista simbolico, se un dottore chiede aiuto per la mancanza di qualcosa significa il fallimento dei soccorsi, l’impreparazione della Protezione civile, lo sfascio.

Di fronte a una simile tragedia, ma soprattutto di fronte al meraviglioso e commovente impegno dei Vigili del fuoco, dei volontari, della Protezione civile, dei militari, di tutte le organizzazioni che hanno passato notti insonni per salvare il salvabile, Santoro si è sentito in dovere di metterci in guardia dalla speculazione incombente, di seminare zizzania con i morti ancora sotto le macerie, di descrivere l’Italia come il solito Paese di furbi, incapaci di rispettare ogni legge scritta e morale. Santoro la chiama libertà d’informazione. Esistono gli abusi edilizi, ma forse anche gli abusi di libertà.

Aldo Grasso
11 aprile 2009

da corrirere.it
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« Risposta #12 inserito:: Aprile 23, 2009, 10:43:16 am »

LA SINISTRA E I REALITY

L’Unità, Gramsci e la scoperta del Grande Fratello

Sei pagine del quotidiano sulla vittoria di Ferdi

di ALDO GRASSO


Che bello, l’Unità ha finalmente sdoganato il Grande Fratello; benvenuta fra noi mostri! Il giornale fondato da Antonio Gramsci e diretto ora da Concita De Gregorio ha dedicato alla vittoria di Ferdi ben sei pagine: copertina, fondo del direttore, testimonianza di un’attrice rom, intervista a un autore del GF, analisi di Carlo Freccero, intervista a Luxuria, commento preoccupato dello scrittore Roberto Alajmo. E dire che fino a poco tempo fa il reality era considerato la sentina di tutti i vizi possibili e immaginabili, lo schifo fatto tv. Si vede che le teorie gramsciane sul nazional-popolare alla lunga fanno effetto. Sì, qualche cautela c’è ancora ma l’interdetto è caduto.

L’ultimo eroico resistente è Marco Belpoliti che dalla prima pagina della Stampa ci avvisa che non esiste più differenza tra spettacolo e vita e che gli intellettuali italiani sono stati piegati dal «pensiero unico» della neotelevisione berlusconiana. La verità è che il GF ha messo in scena il «sociale» e con il «sociale» non si scherza, bisogna fare i conti. Per questo la De Gregorio osserva che «televotare un rom aiuta a sentirsi antirazzisti... e costa poco». Insomma, va bene tutto ma attenzione: la realtà è ben altra cosa. Freccero parla della rivincita televisiva delle minoranze. Vladimir Luxuria spiega che il reality mette gli spettatori a contatto con realtà chiuse in cliché crudeli ma «qualche interrogativo in più la gente se lo pone dopo aver visto me, un trans, in tv». Eh, certo, qualche interrogativo in più. Alajmo (prestigioso consulente di Agrodolce, una delle più insulse soap mai realizzate dalla Rai) pensa infine che questo GF sia stato «un lavacro rituale per la cattiva coscienza degli spettatori». Sdoganamento sì, ma con giudizio.

Il paradosso di queste sei pagine è che fino a ieri l’Unità si era sempre lamentata di una realtà troppo televisiva, plastificata, mediatica (come direbbe Belpoliti). Adesso scopre che la tv è meglio della realtà: l’una è un sogno, «una festa del Principe», l’altra una schifezza. Come recita un titolo del giornale, «la tv cambia, il Paese no». Potenza del telecomando.


23 aprile 2009
da corriere.it
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« Risposta #13 inserito:: Maggio 06, 2009, 05:57:08 pm »

Il Cavaliere visto in tv

Il contrattacco per trasformare la crisi in successo

Forse non era il caso di andare a «Porta a porta» a lavare i panni sporchi di famiglia


Con lucido cinismo, Giulio Andreotti ha sempre sostenuto che una smentita è una notizia data due volte. Forse non era il caso di andare a «Porta a porta» a lavare i panni sporchi di famiglia. Ma Berlusconi è fatto così: prova fastidio per i consigli ed è sicuro di saper volgere a suo favore anche le situazioni più sfavorevoli. Lo hanno dato spacciato mille volte e lui se l’è sempre cavata, rafforzando la sua immagine di invincibile.

Com’è successo con il terremoto d’Abruzzo: invece di piangersi addosso e di imprecare contro la malasorte che perseguita i suoi governi ha trasformato una tragedia in trionfo personale. Ma ecco che, nel momento in cui il suo consenso è alle stelle, arriva un altro terremoto, quello della crisi familiare. Nello studio deserto di Vespa campeggia una scritta: «Adesso parlo io» e il monologo non si è fatto attendere; come gli applausi in studio. Nonostante negli sventati anni della contestazione si predicasse a gran voce che «il privato è pubblico», i fatti hanno sempre smentito questa equiparazione, specie in termini di comunicazione.

Invece di gridare alle menzogne della stampa, Berlusconi dovrebbe considerarsi fortunato di vivere in un Paese non così bigotto come l’America dove i comportamenti privati non sfuggono al giudizio. Però l’Avvenire, che è il giornale dei vescovi, questa volta non gli ha fatto sconti ed è andato giù duro. Per la parte di trasmissione che riguardava la sua vicenda personale, Berlusconi ha sostenuto con forza che sua moglie è stata vittima di due menzogne alimentate dalla stampa di sinistra. Ora proprio questa confusione di piani (Veronica strumento inconsapevole di un complotto politico) è un’offesa per una moglie. Che gli ha solo chiesto ragione di cose che riguardano loro due, la loro vita di coppia. Forse non avrebbe dovuto chiedergliele a mezzo stampa.

A un certo punto, Berlusconi ha detto: «Mi spiace che tutto sia andato in pasto ai giornali o alle tv». Veramente alle tv, che in un modo o nell’altro sono sue, il pasto ieri sera l’ha servito lui. E se «Porta a porta» alimenterà altre trasmissioni, altri «Ballarò», altre parodie la colpa sarà difficilmente attribuibile alla sinistra. Insomma, di fronte a due cataclismi ha applicato la stessa logica: ribaltare il momento negativo in uno positivo. Con l’Abruzzo ci è riuscito, col ciclone Veronica non si sa.


Aldo Grasso
06 maggio 2009

da corriere.it
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« Risposta #14 inserito:: Maggio 12, 2009, 04:13:24 pm »

A Fil di rete

Littizzetto, per favore se la prenda con Fazio

Fabietto e il decoratore di idee
 

Testo scritto per Luciana Littizzetto, se un giorno avrà la bontà di interpretarlo.

«Fabio, ma la smetti di romperci i maroni con questo Pelagatti, questo Pappagalli, come cavolo si chiama? Peregalli. Non avesse la colf che tutti i giorni gli spolvera il buffet vorrei vedere se viene ancora qui a fare l’elogio della polvere. Ma compratevi un Folletto e an­date a pulire le scale dei vostri condomini! Lo so che tutto è venuto dalla polvere e tutto ri­torna nella polvere ma, nel frat­tempo, mi fate venire l’allergia, sembrate due acari che fanno testamento e si spartiscono la forfora.

Fabio, va be’ che adesso ti è preso il vizio di presentare i li­bri dei tuoi autori, le mogli dei tuoi autori, gli architetti dei tuoi autori ma non hai un bel giardino privato dove discutere con Peregalli di Renzo Mongiar­dino, roba da ricchi milionari, e non romperci le palle con le vo­stre manie catacombali! Quan­do parla, il tuo Peregalli, se la tira come un primo della classe che vuol fare bella figura davan­ti alla maestra, questo John Ru­skin della mutua, questo Rober­to Calasso del ceto medio rifles­sivo, questo Guido Gozzano dei parvenu della cultura.

Caro il mio Balengo, lo so che sei cresciuto sui testi di Claudio Baglioni ma non farti abbindolare dal primo che ti spiega che «museo» deriva da «musa».
Fabietto, come dite voi a Savona? Qualcosa come 'Me pa’ che vuscia’ scia-a cunte de musse', che poi vorrebbe di­re... Lo sai bene cosa vuol dire.
Mi sembrate quei due famosi copisti che hanno passato l’ulti­ma parte della vita a trasformare la loro casa in un museo di Babele, in cui si ammucchiano libri e antichità, dizionari di idées reçues e trompe l’oeil, boiseries, ninnoli, cuscinoni orientaleggianti, stucchi, cineserie, turcherie, arazzi, busti, vasi, conchiglie, fossili, polvere, polvere, polvere. Come ap­pare Peregalli mi viene da starnutire. Fabietto, ma avevi pro­prio bisogno di un decoratore di idee?».

Aldo Grasso
12 maggio 2009

da corriere.it
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