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Autore Discussione: ALDO GRASSO.  (Letto 77427 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Febbraio 10, 2014, 05:33:24 pm »

Padiglione Italia

La purezza del sindacato? Una maglietta bianca in tv
Lui dice che è per la salute: «Senza la maglietta sto mal».
Non è vero, è solo civetteria, un segno distintivo


La prima cosa che colpisce di Maurizio Landini è quella T-shirt bianca che fa capolino dalla camicia. Ormai un segno distintivo, come usava negli anni Sessanta nei film americani. Lui dice che è per la salute: «Senza la maglietta sto male. La porto da quando ero bambino e non ho mai smesso». Non è vero, è solo civetteria, un segno distintivo. Da quando va in tv, e ci va spesso, anche un sindacalista duro e puro, in fabbrica a 15 anni come saldatore, ha capito che l’immagine ha la sua importanza.

L’autodidatta Landini è più furbo di quello che appare: davanti ai cancelli delle fabbriche indossa dozzinali felpe rosse con la scritta Fiom, ma quando frequenta i salotti televisivi, e li frequenta spesso, non trascura il look: capelli scarmigliati, parlata emiliana, toni barricadieri senza mai cadere nel politichese. E poi maglietta bianca sotto la camicia, come James Dean in Gioventù bruciata. Il suo modello nostrano è Carlo Freccero.

Il successo televisivo nasce dal fatto che ormai la triade Camusso, Bonanni, Angeletti ha perso qualsiasi appeal, è puro apparato, con tanto di auto blu. Per questo Landini piace a Renzi e piace ai grillini. Piace ai lavoratori, ma soprattutto al pubblico televisivo che ha sempre bisogno di un Robin Hood che a Che tempo che fa dica che i soldi bisogna prenderli ai ricchi, alle transazioni finanziarie, ai capitali scudati. Se lo dice il figlio di un cantoniere (quarto di cinque figli), lo slogan fa ancora un certo effetto, anche se lui a 25 anni ha abbandonato la fabbrica per fare il sindacalista a tempo pieno (e prima o poi i soldi degli altri, si sa, finiscono).

S’intuisce che Landini vorrebbe conquistare maggiori spazi in Cgil: i rapporti con Susanna Camusso sono pessimi, la spaccatura sembra vicina. Da giorni si parla di un esposto della Cgil contro la Fiom: il casus belli starebbe nel rifiuto da parte del leader dei metalmeccanici di sottoscrivere un accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, che stabilisce le regole della rappresentanza in fabbrica e prevede sanzioni per chi non si adegua alle intese.

Forte del consenso televisivo, Landini tira dritto: tanto i veri problemi non trovano mai soluzione, servono solo ad alimentare discussioni in tv. Basta non dimenticare la maglietta della salute!

09 febbraio 2014
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Aldo Grasso

Da - http://www.corriere.it/cronache/14_febbraio_09/landini-grasso-maglietta-bianca-b2c06f52-9168-11e3-a092-3731e90fe7ac.shtml
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« Risposta #91 inserito:: Aprile 04, 2014, 04:25:47 pm »

I linguaggi diversi di Sciarelli e Zoro

di Aldo Grasso

Il mercoledì sera, su Rai3, si può misurare la distanza che esiste fra il linguaggio di «Chi l’ha visto?» (anno di nascita 1989) e quello di «Zoro», giusto per capire le molte anime della sinistra, i modi diversi con cui si esprime. La prima tentazione, nel seguire le vicende governate da Federica Sciarelli (la misteriosa scomparsa di Elena Ceste, la sparizione di Marisa Comessatti, la nonna di Laigueglia, il vuoto lasciato da Eleonora Gizzi, l’insegnante scomparsa da Vasto...) è di saldare la trasmissione al passato, irrimediabilmente al passato, al mondo di una cultura nazional-popolare cui appartengono anche Bersani, la Camusso, molti giovani dell’apparato pd e tutto quel ceto politico-intellettuale di sinistra cresciuto all’opposizione dell’eterna Dc e quindi convinto della sua superiorità culturale, a prescindere. «Gazebo» rappresenterebbe, invece, il rinnovamento che si agita a sinistra.

Nel presentare «Chi l’ha visto?» Angelo Guglielmi sosteneva che il programma «è la nuova forma di romanzo popolare che, se una volta traeva spunto dalle storie vere della gente comune e di esse forniva una copia abilmente manipolata, oggi, nella nuova versione televisiva, quelle storie offre in diretta al di là di ogni mediazione o manipolazione». Ecco, ma i Cuperlo, i Fassina, i Civati, i giovani turchi e i parrucconi recalcitranti sono la proiezione politica della stagnazione di Federica Sciarelli? E Diego Bianchi è il simulacro di Matteo Renzi, che lo voglia o no?

Le cose non sono così semplici, ovviamente. A differenza dei «signori della conservazione», «Chi l’ha visto?» a volte si prende carico di quella quotidianità che la politica di sinistra sembra aver escluso dai suoi interessi. E a Renzi manca molto l’ironia di Zoro (yes we can). Però... L’idea, però, che l’area del «dissenso democratico» abbia il volto dolente di «Chi l’ha visto?» è un’impressione da non sottovalutare.

4 aprile 2014 | 07:41
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_aprile_04/i-linguaggi-diversi-sciarelli-zoro-1c653400-bbb8-11e3-a4c0-ded3705759de.shtml
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« Risposta #92 inserito:: Aprile 21, 2014, 11:30:52 pm »

A fil di rete
La metamorfosi di La7 tra talk show e speciali
Di Aldo Grasso

A poco a poco, sotto l’impulso di Enrico Mentana, La7 si sta trasformando in una sorta di all news generalista, un ibrido curioso: rubriche, tg, talk show, speciali; persino Maurizio Crozza sta diventando uno dei più seguiti opinionisti politici. Ormai «Le strade di San Francisco», «Il commissario Cordier», «L’ispettore Barnaby», le repliche di «Sex and the City» vanno considerati come riempitivi: la linea editoriale della rete passa altrove.

Passa dal mattino, come mi è già capitato di sottolineare: la rassegna stampa di «Omnibus», il talk con Andrea Pancani e Alessandra Sardoni, «Coffee Break» con Tiziana Panella, «L’aria che tira» con Myrta Merlino. Il mattino, dal punto di vista mediatico, ha l’oro in bocca; è interessante perché dimostra come la tv abbia inglobato la radio, si è fatta radio. Negli anni 80, per esempio, andava in onda «Radiodue 3131», condotto da Corrado Guerzoni. Ebbene, quella rubrica è il modello della tv del mattino: la grande invenzione di Guerzoni fu quella di convocare politici in studio, prima di andare in Parlamento, per affrontare con loro alcuni temi di stretta attualità e soprattutto per dettare l’agenda giornaliera di discussione. I temi proposti dalla trasmissione diventavano poi centrali sia per la tv che per i giornali.

Di nuovo, oggi, c’è una curiosa inversione: quello che si discute in video spesso diventa centrale per il Parlamento. Come conferma il caso dei grillini (che ormai frequentano tranquillamente i vari programmi), la visibilità del politico, e dunque la sua importanza, dipende dalle sue partecipazioni televisive. Se Gianfranco Rotondi, tanto per citare un altro caso, non offrisse con generosità la sua disponibilità ai vari talk show, probabilmente sarebbe da tempo finito in un cono d’ombra a giocare all’ultimo dei democristiani.

E poi, caschi il mondo (anche meno), c’è sempre pronto uno speciale di Enrico Mentana.

17 aprile 2014 | 08:05
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_aprile_17/metamorfosi-la7-talk-show-speciali-754cc6d4-c5ed-11e3-8866-13a4dbf224b9.shtml
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« Risposta #93 inserito:: Maggio 01, 2014, 07:46:07 pm »

A fil di rete
Report e la Gabanelli mostrano le più radicate magagne italiche
L’inchiesta supera il talk politico.
Lunedì sera su Rai 3 è in onda Milena Gabanelli con Report: la puntata sulle tasse è stata seguita da oltre due milioni di persone

di Aldo Grasso

Bisogna essere grati a Milena Gabanelli e alla squadra di «Report». Non si ricorda, nella storia della nostra televisione, un altro programma che abbia saputo mettere all’indice con tanta potenza i peggiori vizi e le più radicate magagne italiche. Diciamo che, se a ogni puntata fosse seguito il necessario intervento per aggiustare il fattaccio denunciato, saremmo oggi un Paese migliore. Il problema è che raramente questo è successo, raramente la rubrica delle buone notizie si è riempita di qualche «lieto fine» seguito alle inchieste presentate.

Ma la forza del programma non sta solo nella scelta di temi che indignano e fanno riflettere su tutto quello che non funziona, sulle anomalie tipiche del nostro paese, è anche nella chiarezza con cui li espone per renderli comprensibili a tutti, nell’accuratezza con cui vengono svolte le ricerche, nel ritmo narrativo con cui le inchieste sono costruite, mai a rischio noia. E non era impresa facile.

L’altra sera si parlava di tasse, uno dei nervi più sensibili e scoperti della nostra società (Raitre, lunedì, ore 21.10). Oltre ad aver ricostruito il meccanismo (purtroppo a volte crudele) di funzionamento di Equitalia e Agenzia delle Entrate, Paolo Mondani è volato a Dubai per intervistare Diego Maradona, tornando sul suo contenzioso con il fisco dopo lo show con tanto di gestaccio a «Che tempo che fa». Per una volta, si è capita meglio l’intera questione: Diego non ha rinunciato alle solite provocazioni («Befera è più famoso di Tevez e Maradona, ma per che squadra gioca?», «Il signore lo faccio a Dubai»), ma è emersa con più chiarezza la storia di com’è nata la sua presunta evasione fiscale. Il problema con «Report» è che, arrivati alla fine, ti lascia sempre addosso un senso di scoramento sul nostro Paese, una sensazione amara di non saper più di chi fidarti.

30 aprile 2014 | 09:32
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DA - http://www.corriere.it/spettacoli/14_aprile_30/report-gabanelli-mostrano-piu-radicate-magagne-italiche-01a9ca22-d026-11e3-b822-86aab2feac59.shtml
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« Risposta #94 inserito:: Maggio 06, 2014, 12:00:11 am »

Se nel carrello della spesa non c’è il senso del ridicolo
Lo scivolone di Pina Picierno del Pd che cerca visibilità a ogni costo, anche sfiorando il ridicolo

Di Aldo Grasso

Peggio di P.P. (Piero Pelù) c’è solo P. P. (Pina Picierno). Invece di rispondere con ironia alle accuse del rocker fintamente maledetto, ha pensato di vergare un trattatello sociale con sfumature celentanesche: «Quando la politica va veloce succede che il rock diventa lento... Probabilmente Pelù era impegnato in una registrazione di The voice e non si è accorto di quanto stava avvenendo nel nostro Paese. Forse non sa che gli 80 euro che il governo Renzi ha deciso di redistribuire a chi ha sempre pagato non sono un’elemosina come l’ha definita lui, ma il primo passo verso l’equità sociale».

Giuseppina Picierno, detta Pina, è la capolista del Pd alle Europee per la circoscrizione Sud e non perde occasione per avere un po’ di visibilità, spesso a costo del ridicolo. Come la storia dello scontrino da 80 euro. La scorsa settimana, il 23 aprile, nel corso di un’intervista al canale tv di Fanpage.it, a proposito del bonus Irpef da 80 euro per lavoratori dipendenti e assimilati in busta paga a fine maggio, aveva detto: «Chi dice che è troppo poco non conosce evidentemente le condizioni reali della vita delle persone, perché 80 euro al mese significa poter andare a mangiare due volte fuori, significa poter fare la spesa per due settimane».

Con la storia della spesa per due settimane è andata a Ballarò, è stata intervistata da tutti i giornali, si è fatta conoscere. E pazienza se è stata sbeffeggiata in lungo e in largo. Lei conosce come si fa politica dalle sue parti. Diplomata al Liceo Pedagogico e Sociale di Vairano Scalo, si è laureata con 110 e lode in Scienze della Comunicazione all’Università di Salerno con una tesi di laurea sul linguaggio politico di Ciriaco De Mita. È entrata in Parlamento nel 2008 grazie a Walter Veltroni (per accomodarsi poi con Franceschini, con Bersani, con Renzi...) e, soprattutto, alla defenestrazione di De Mita come capolista del Pd in Campania. Da brava massaia, non butta mai via niente.

Una volta in radio, parlando di un possibile accordo con l’Udc di Casini, ha teorizzato la politica del «dolce forno». Forse voleva dire «doppio forno», ma con 80 euro bisogna accontentarsi.
Intanto, la Pina rivolta lo scontrino e le idee come un abito, per servirsene più volte.

4 maggio 2014 | 08:23
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_04/se-carrello-spesa-non-c-senso-ridicolo-4eb00122-d352-11e3-a38d-e8752493b296.shtml
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« Risposta #95 inserito:: Maggio 10, 2014, 06:51:48 pm »

A fil di rete

Serviva più cautela nel rifare Berselli
di Aldo Grasso

Al programma «Quel gran pezzo dell’Italia. Era già tutto scritto ma ci eravamo distratti» manca un elemento fondamentale. Manca Edmondo Berselli. Capisco l’intenzione degli autori (Marzia Barbieri Berselli, Riccardo Bocca, Romano Frassa, Andrea Quartarone), capisco il loro profondo amore, ma capisco anche che Edmondo è insostituibile. Proprio per questo sarei andato più cauto. Senza di lui è impossibile rifare l’operetta morale sugli intelligenti d’Italia, si rischia la parodia.

«Venerati maestri», il libro su cui poggia la prima di sei puntate ispirate ai suoi scritti e alle sue memorabili intuizioni, era un testo venato da una tristezza malinconica (la tristezza di chi ha letto molto, di chi ha buon gusto, di chi è dotato di una prosa smagliante) che qui si stenta a ritrovare, resta solo il cabaret.
Il programma, condotto in studio da Riccardo Bocca, voce fuori campo di Gioele Dix e interventi in stile guru di Carlo Freccero, gioca sulla famosa trilogia di Alberto Arbasino, a proposito delle figurette e figuracce culturali in Italia: si inizia come «giovane promessa», ci si consolida nella condizione di «solito stronzo», ci si innalza infine alla stima del «venerato maestro» (Rai3, giovedì, ore 22.50).

Certo, il materiale di repertorio è sempre molto interessante (il giovane Benigni, il giovane Battiato, il giovane Moretti, il giovane Ferrara, il giovane Vasco Rossi, il giovane Baricco...), specie se accompagnato dai testi di Edmondo, ma appena si ritorna in studio si perde «il gesto eccentrico, il tocco marginale, lo scarto inatteso dell’ironia».

«Nei momenti di malumore, sempre più frequenti, io confesso che non mi piace nulla. Non mi piace un romanzo, non mi piace un film, la musica, la televisione, non mi piace praticamente niente di quanto vien prodotto in Italia». Questo l’incipit di «Venerati Maestri». Possiamo farlo nostro, chiedendo scusa per il malumore?

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10 maggio 2014 | 07:39

Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_maggio_10/serviva-piu-cautela-rifare-berselli-b9fa0792-d803-11e3-8ef6-8a4c34e6c0bb.shtml
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« Risposta #96 inserito:: Maggio 12, 2014, 11:28:41 am »

Padiglione Italia

Se lo stipendio è una trincea
La ribellione di Corradino

di Aldo Grasso

Mineo di lotta e di governo. A passare per taccagno non ci sta. «Non sono un taccagno, è che io il pizzo non lo voglio pagare». Il nuovo caso nel Pd si chiama Corradino Mineo (14.000 euro al mese). Il senatore si è rifiutato di versare una quota al Pd siciliano, che si trova con i conti in rosso. «Da quando è iniziata la mia avventura, ho versato nelle casse del Pd 27.000 euro e ho sostenuto direttamente molte altre spese per le campagne elettorali». Come ha spiegato l’ex direttore di RaiNews24, «per accettare la candidatura ho lasciato la Rai e una retribuzione più alta».

Alla Rai, lo stipendio di Mineo, di lotta e di governo, era di oltre 300.000 euro (lordi) l’anno, uno dei più alti. Gli hanno ricordato che il contributo di solidarietà serviva «anche a pagare il personale che rischia il posto e non si trova nell’angosciante dilemma di poter scegliere fra un lavoro e una candidatura in Parlamento».

A passare per traditore non ci sta. In commissione al Senato, Corradino ha contribuito all’approvazione dell’ordine del giorno Calderoli (non partecipando alla votazione). Il ministro Maria Elena Boschi gli ha invano chiesto di rispettare «il senso di appartenenza a un gruppo». Mineo di lotta e di governo è stato sprezzante: «Non mi dimetto, ma devo in qualche modo esprimere il mio dissenso». Sta con Pippo Civati e alla riforma del Senato di Renzi preferisce la proposta Chiti.

A passare per lottizzato non ci sta. Corradino, ex manifesto, sostiene di non aver avuto alcun vantaggio dalla politica. A Fabrizio Rondolino che lo accusava di essere stato «aiutato» dal Pci-Pds-Ds («Non avresti mai fatto il direttore di RaiNews24. Sei stato nominato da un partito. Non avresti mai fatto nemmeno il redattore ordinario, se il partito non ti ci avesse messo»), ha dato appuntamento in un tribunale. Che caratterino!

Per sua stessa ammissione, però, la sua carriera si è svolta sotto il segno di Sandro Curzi, il mitico Telekabul, che da direttore lo ha assunto al Tg3 e da consigliere di amministrazione lo ha piazzato alla direzione di RaiNews24. Nel porgere le notizie, nel «purificare» le proprie passioni, Corradino non ha mai tradito il mentore.

Mineo di lotta e di governo: la sola cosa che non passa mai.

11 maggio 2014 | 09:23
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/14_maggio_11/se-stipendio-trincea-ribellione-corradino-6854eda6-d8d2-11e3-b8f7-5c1c0bbdabb2.shtml
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« Risposta #97 inserito:: Maggio 15, 2014, 10:43:19 am »

Il dietrofront di grillo sulla tv
Conversione di un leader

Di Aldo Grasso

Beppe Grillo ospite del salotto di Bruno Vespa? Succede anche questo, nel nostro piccolo mondo alla rovescia. È come veder allenare la Juve da Clarence Seedorf o chiedere al ministro Franceschini di educare le masse con la tv.

Grillo si è deciso al gran passo, che sarà lunedì prossimo, perché ha scoperto che in campagna elettorale Internet non basta, serve anche la tv istituzionale. E chi meglio di Vespa, la «terza Camera dello Stato»? L’ultima volta che si sono visti è stata 31 anni fa. Era una serata elettorale, la Dc di De Mita crollata, Vespa faceva Vespa e Grillo il giullare, per alleggerire quel mare di chiacchiere.

La cosa che più stupisce è che fino a poco tempo fa la tv era per Grillo una ossessione: «Ho fatto la tv per 40 anni, fa male non per quello che viene detto ma per quello che si vede. Noi non andremo in tv, noi la occuperemo... La tv è morta da un pezzo, gli unici a non saperlo sono quelli che ci vanno». E ancora, i talk show li ha sempre descritti come luogo di massima perversione tra politica e tv perché «condotti abitualmente da giornalisti graditi o nominati dai partiti». Per non parlare della fatwa lanciata nel 2012, quando ai candidati del Movimento impartì perentorio: «Chi partecipa ai talk show deve sapere che d’ora in poi farà una scelta di campo».

A cosa si deve questo cambio di strategia? Il M5S ha costruito la sua fortuna sulla Rete, sul web, sul blog. E in effetti molto della comunicazione del Movimento, ogni giorno, passa da lì. Ma fin dall’inizio questa è stata soprattutto la retorica tipica del «vaffa», perché la tv ha invece svolto un ruolo decisivo: la comunicazione di Grillo è passata anche attraverso i suoi palinsesti, con proclami, interviste, frammenti di comizi e di spettacoli, efficaci perché contrapposti ai politici «tradizionali» seduti a discutere in studio. Dopo le ultime Politiche, però, qualcosa è cambiato: sono emersi i primi personaggi tra le truppe parlamentari, qualcuno ha svelato un po’ di «presenza», e così gli spettatori dei talk hanno imparato a conoscere i vari Fico, Di Maio, Di Battista. Ora il cerchio si chiude con il grande ritorno del Capo, a ristabilire una leadership, a sottolineare una primogenitura, forse ad anticipare un nuovo cambiamento del suo ruolo, anche politico, nel Movimento.

La prova generale si è avuta a Bersaglio Mobile con Enrico Mentana: è andata bene. Abituati a sentire Grillo urlare nelle piazze, e cavalcare costantemente la linea sottile (e sempre più confusa) che sta tra il comizio e la gaglioffaggine, sarà interessante capire come questa carica comunicativa reagirà con il curiale salotto di Vespa.

Grillo presume molto di sé, si vive come uomo della Provvidenza (la sua sola presenza servirà a «salvare» la vituperata tv?); il fool turpiloquente si fa ora stratega comunicativo e politico.

Certo, gli arresti dell’Expo, gli scandali continui lo aiutano non poco a cavalcare il malcontento degli elettori, a uscire dalla sua immobilità prepolitica (attraversata da una vis letale), a fare nuovi adepti, a «purificare» gli scontri interni e le polemiche che si porta dietro. A meno che Vespa non lo anestetizzi e ci restituisca un Grillo d’antan, con differenti ruoli in commedia ma con lo stesso stile comunicativo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
13 maggio 2014 | 07:37

Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_13/conversione-un-leader-9dc5dd16-da5c-11e3-87dc-12e8f7025c68.shtml
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« Risposta #98 inserito:: Maggio 22, 2014, 05:32:56 pm »

Il leader dei cinque stelle a porta a porta
Davanti a Vespa, Grillo abbassa i toni
Mai avremmo creduto di vederlo in quel salotto, ma la politica è l’arte dell’impossibile...

Di ALDO GRASSO

«La mia è una mossa politica, sono qui per combattere un pregiudizio...». Beppe Grillo si dice commosso di entrare nello studio di Porta a Porta ma svela subito che il pubblico è «la coreografia del Paese, pagato per non dire nulla». Perché Grillo è andato da Vespa? Perché ha scherzato sulle accuse rivolte in passato al conduttore? Per almeno tre motivi. Il primo è il più ovvio, teorizzato dallo stesso leader pentastellato: «Vado a Porta a Porta per rivolgermi a quella gente di una certa età che ha un pregiudizio su di me e per dirgli che non sono né un violento né un esagitato». Ha ripetuto che rappresenta una «rabbia buona». Il secondo motivo è per ribadire la sua leadership, come Casaleggio ha fatto andando ospite di Lucia Annunziata. Quando il gioco si fa duro, entra in azione il Capo: «La nostra sarà una marcia trionfale». Il terzo motivo, il meno esplicito. Grillo cerca uno sfondamento a destra, cerca di prendere voti anche dai moderati che non hanno più fiducia in Berlusconi ma sono interessati a certi temi su cui l’ex comico ha molto insistito. Come l’Expo: «L’Expo deve chiudere, certo c’è la mafia dappertutto in quel posto». Dopo gli arresti, la tangentopoli da larghe intese può veicolare verso il M5S i voti di strati di società che non ne possono più, ma che qualche settimana fa non l’avrebbero preso in considerazione.

Entomologia dei media: la vespizzazione di Grillo o la grillizzazione di Vespa? Mai e poi mai avremmo creduto di vedere Grillo nel salotto di Vespa ma la politica, com’è noto, è l’arte dell’impossibile. Grillo è costretto a fare un mini comizio, un po’ per volontà sua, un po’ per le domande incalzanti del conduttore. Se interrotto, è meno efficace. Del resto, il pubblico di Vespa, il «fossile», è tradizionalmente anziano, non è abituato ai toni esasperati, ad arringhe turpiloquenti. Si può dire che la classe politica è «una società a delinquere di stampo legale» che verrà cacciata, ma non in modo violento. L’abilità del comico, con la sua «pancia d’attore», è quella di cavalcare tutti i mal di pancia del Paese (per questo ha molto seguito), senza però mai indicare una soluzione che non sia l’avventura. Succeda quel che succeda, «non mi interessa».

20 maggio 2014 | 07:08
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_20/davanti-vespa-grillo-abbassa-toni-0c167fea-dfdb-11e3-a33f-94f3ff75232d.shtml
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« Risposta #99 inserito:: Maggio 22, 2014, 05:37:31 pm »

A fil di rete
Jay Leno da Fazio: grande lezione di tv

di Aldo Grasso

Chissà cosa avrà pensato Jay Leno, uno dei più grandi conduttori della tv americana ospite domenica di Fabio Fazio a «Che tempo che fa», della tv italiana. La speranza è che i consigli che Fazio gli ha chiesto, parlando molto di sé lungo tutta l’intervista, abbiano lasciato il segno. Un’intervista che pareva la negazione del modo di fare tv di Leno, resa ancor più surreale dalla traduzione simultanea. Il 6 febbraio scorso Jay Leno ha lasciato dopo ventidue anni di messa in onda su NBC la conduzione del «Tonight Show», un pezzo della storia della tv ma anche di storia della cultura americana. Dal suo divano sono passati tutti quelli che valeva la pena di intervistare: politici, attori, musicisti, personaggi che stavano attraversando il loro quarto d’ora di celebrità.

Curiosamente, Leno si ritira nello stesso anno in cui anche David Letterman ha annunciato l’addio al suo show: due maestri che si sono dimostrati grandi anche nel cogliere il momento di fare un passo indietro senza aspettare che la brillantezza dei loro programmi si appannasse, lasciando spazio a una nuova interessante generazione di conduttori, da Stephen Colbert a Jimmy Fallon, che da Leno ha raccolto il testimone su NBC.

Lo stile di Leno è stato molto diverso da quello di Letterman, anche perché i loro show sono stati molto influenzati dall’umore della città da cui vanno in onda, Letterman da New York, Leno da Los Angeles: forse meno cinico, ma incredibilmente comunicativo e comico. Per dire, è uno che prima di ogni puntata s’intratteneva a lungo fuori onda con il pubblico in studio, improvvisando sketch a volte anche più brillanti di quelli nel programma. E proprio al pubblico ha dedicato con umiltà e commozione il discorso di chiusura del suo «Tonight Show». Una lezione da non dimenticare.

20 maggio 2014 | 08:49
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_maggio_20/jay-leno-fazio-grande-lezione-tv-75bd4cfe-dfdf-11e3-a33f-94f3ff75232d.shtml
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« Risposta #100 inserito:: Maggio 29, 2014, 10:56:58 pm »

A fil di rete

Il catalogo elettorale dei luoghi comuni
di Aldo Grasso

Domenica sera, nell’attesa dei risultati elettorali, pensavo al solito teatrino di luoghi comuni che di lì a poco sarebbe iniziato. Che gli exit poll sono mendaci, che bisogna attendere, che in passato ci sono state brutte sorprese... È andata più o meno così, ho seguito Enrico Mentana, ma fortunatamente mi sono imbattuto nel blog «Cattiva maestra» di Emanuele Menietti (il Post) dove venivano elencate tutte le frasi fatte che si sentono dire in video prima dei risultati elettorali.

Si andava dai primi intervistati («Aspettiamo i dati reali», «È troppo presto per fare previsioni, sappiamo come è andata altre volte»...) agli inviati nelle sedi di partito («Qui c’è un clima di grande attesa»?, «Per ora ci sono poche persone, ma la sala si sta riempiendo»...?), senza tralasciare gli inviati del bicchiere mezzo pieno («Qui i dati arrivano molto lentamente», «Il dato delle proiezioni è diverso da quello reale parziale...») e con un particolare riguardo alle parole più ricorrenti («forchetta», «forbice», «dato reale»...).

L’elenco di Menietti è divertente e, fatalmente, lo si potrebbe estendere ad altri programmi. Di più: lo si potrebbe applicare anche ai varietà, a certe fiction (Christian Metz la chiamava «la grande sintagmatica»). Per una ragione molto semplice: la comunicazione mainstream può funzionare solo per stereotipi, rafforzati da quel motore primo che è la ripetizione.

Ogni catalogo di idées reçues si sviluppa tra due poli: il linguaggio e il costume. E poiché l’uno è il rispecchiamento dell’altro, l’ironia linguistica diventa parodia dei comportamenti e gli indugi sulle mode culturali si trasformano in scorci sulle irresponsabilità verbali. Come sostiene Nicolás Gómez Dávila, «quando un luogo comune ci colpisce crediamo di avere un’idea nostra». Ecco spiegato il segreto dello strepitoso successo dei luoghi comuni.

27 maggio 2014 | 08:45
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_maggio_27/catalogo-elettorale-luoghi-comuni-3f3abfa8-e55d-11e3-8e3e-8f5de4ddd12f.shtml
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« Risposta #101 inserito:: Giugno 01, 2014, 06:07:55 pm »

A fil di rete

Il volto meno noto di papa Francesco
Nella puntata de «La Grande Storia» dedicata a papa Bergoglio, si raccontano i suoi anni argentini e la sua capacità di costruire un legame di prossimità con i fedeli
di Aldo Grasso

Poco dopo il recente viaggio apostolico di Papa Francesco in Terra Santa, «La Grande Storia» ha dedicato alla vita di Bergoglio una puntata curata da Maite Carpio (Rai3, giovedì, ore 21.05). La parte più interessante di «Papa Francesco - La storia di Jorge Bergoglio» è stata quella che ha raccontato le vicende che ancora sfuggono alla sovraesposizione mediatica di quest’ultimo periodo, cioè i suoi anni argentini, i passi mossi nella Compagnia di Gesù, le sue posizioni sulla «Teologia della Liberazione», il periodo dell’«esilio» a Cordoba, la sua pastorale sudamericana sempre al servizio dei più umili. Le immagini d’archivio sono state accompagnate da interviste a studiosi e persone che hanno attraversato con lui quel periodo. Da molte sequenze, riprese durante le sue omelie a Buenos Aires e Cordoba, è emersa con grande evidenza tutta la capacità comunicativa del Pontefice, la sua abilità nel costruire, proprio grazie alla comunicazione, un rapporto con i suoi fedeli basato sulla cifra della simpatia, intesa in senso etimologico come un «comune sentire».


Una delle grandi rivoluzioni inaugurate da Francesco è stata proprio la costruzione di un legame di prossimità con i fedeli, che Andrea Riccardi ha descritto così: «La sua alleanza con il popolo è la sua forza». Dalle immagini della sua vita da sacerdote a quelle dei suoi primi mesi da Pontefice, a Roma o durante il viaggio in Brasile, abbiamo capito che poco sembra essere cambiato nello stile espressivo di Bergoglio. Come ha spiegato nel documentario Padre Antonio Spadaro, il direttore di «Civiltà Cattolica», ricordando la notte della sua elezione al seggio di Pietro, Papa Francesco «crea eventi comunicativi»: trasforma cioè i suoi uditori da semplici ascoltatori a interlocutori attivi del messaggio che vuole trasmettere.

31 maggio 2014 | 10:40
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_maggio_31/volto-meno-noto-papa-francesco-3d61b6a0-e887-11e3-8609-4be902cb54ea.shtml
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« Risposta #102 inserito:: Giugno 04, 2014, 12:10:51 pm »

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Sventure esibite: il format Marcuzzi
Extreme Makeover ha funzionato bene negli Usa, ma la versione italiana trasmette il senso di un «emotainment» deprimente

di Aldo Grasso

Dopo una prima stagione non esaltante, su Canale 5 è tornato «Extreme Makeover Home Edition», la versione italiana di un format internazionale che in America ha avuto molto successo ed è stato trasmesso per quasi dieci anni (lunedì, ore 21.20).

L’idea del programma è che una squadra composta da un architetto, un interior designer e addirittura da un garden designer intervenga per ristrutturare completamente, in una sola settimana di tempo, la casa di una famiglia bisognosa, anzi «meritevole», che si trova per svariate ragioni a vivere in una situazione di forte disagio in uno spazio non adatto alle proprie esigenze.

Il tutto capitanato da Alessia Marcuzzi, che ha il compito di raccontare la storia della famiglia, di raccogliere le confessioni e le lacrime a profusione dei suoi componenti, di accompagnarli nel momento finale di consegna della casa da sogno che la produzione ha realizzato.

Si passa da un appartamentino sacrificato a una villa su più piani comprensiva di mansarda con loft, da un bagno senza finestra alla sauna integrata. La tv realizza sogni ma è inevitabile chiedersi cosa succederà allo spegnersi delle telecamere. «Extreme Makeover» ha funzionato tanto bene negli Usa perché ha intercettato e rappresentato i miti della palingenesi, della possibilità di ripartire da zero e ricominciare, che sono molto connaturati alla cultura americana. Ci si affida alla tv per mutare il proprio destino e si accetta in cambio di offrire in sacrificio le proprie più intime sofferenze. La versione italiana ci costringe a fare i conti con sventure a noi più prossime e, con tutto il rispetto per i partecipanti, trasmette il senso di un emotainment deprimente: per arrivare al lieto fine è necessario passare da una lista di sventure che la tv in pieno spirito paternalistico riscatta non prima di averle esibite.

4 giugno 2014 | 08:27
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_giugno_04/sventure-esibite-format-marcuzzi-8b1a54ce-eba7-11e3-85b9-deaea8396e18.shtml
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« Risposta #103 inserito:: Giugno 04, 2014, 12:20:14 pm »

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Rai e Arena di Verona unite nel segno del kitsch

Di Aldo Grasso

Il chiaro segnale della smobilitazione estiva dei palinsesti Rai è apparso domenica sera su Raiuno, in diretta e in Eurovisione da un’Arena di Verona ricolma per l’occasione di un pubblico festante, munito di fazzolettini bianchi molto vintage da sventolare (a comando) nei momenti più emozionanti dello show (ore 21.20). «Lo spettacolo sta per iniziare», condotto da Antonella Clerici, è stato, a suo modo, un curioso esperimento pubblicitario: l’obiettivo era mettere in piedi una sorta di promozione incrociata tra i programmi Rai e gli spettacoli dell’Arena. Il pretesto, quello di costruire una piccola antologia delle arie e delle romanze più popolari della storia della lirica e anche del musical (tutto un calderone di cultura pop), interpretate dagli artisti e dall’orchestra in scena e precedute da un’introduzione, uno spiegone di Antonella fasciata in un abito blu di paillettes. Altro che sciopero!

Dalla Carmen a Jesus Christ Super Star, da Madama Butterfly al Gobbo di Notre Dame con la comparsata dell’immancabile Riccardo Cocciante: ogni performance era occasione per promuovere la stagione dell’Arena, uno «spottone» allo spettacolo dell’artista di turno, un promo a un programma in partenza a breve. All’iniziativa ha partecipato persino Dario Fo, in promozione del suo prossimo spettacolo su Raiuno, dedicato a Francesco, che non è solo il santo di Assisi ma anche papa Bergoglio, oggetto di un lungo monologo in cui il premio Nobel «ateo, marxista, leninista e seguace di Darwin» ha sentito il bisogno di difenderlo da presunti attacchi e innominati detrattori. Cosa non si fa per la gloria! La serata è scorsa via così, tra strizzate d’occhio al pubblico di Raiuno (c’era anche Massimo Ranieri) e al consolidamento di una collaborazione tra il kitsch della Rai e il kitsch dell’Arena. Speriamo almeno su basi vantaggiose per entrambi.

3 giugno 2014 | 07:50
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_giugno_03/rai-arena-verona-unite-segno-kitsch-701c620e-eadd-11e3-9008-a2f40d753542.shtml
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« Risposta #104 inserito:: Giugno 24, 2014, 05:37:11 pm »

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Le teorie di Dario Fo e l’elogio del Papa
Un tentativo di riscrivere la storia del cristianesimo secondo i canoni del Premio Nobel

Di ALDO GRASSO

Beppe Grillo da Bruno Vespa, Dario Fo da Gianka Leone; poi dice che uno non muore democristiano. «Oggi, un Papa appena eletto ha voluto darsi il nome di Francesco, lo stesso del santo di Assisi. Nessuno prima di Bergoglio ha avuto la forza e il coraggio di assumere quel nome, perché San Francesco con quel suo inconsueto mondo di concepire il cristianesimo, non si era certo procurato una vita facile...». Inizia così la nuova fabulazione di Fo, un tentativo di riscrivere la storia del cristianesimo secondo i suoi canoni (Rai1, domenica, ore 21.25).

Prendendo spunto «da leggende popolari, testi canonici del Trecento e documenti riscoperti negli ultimi tre secoli», Fo attiva un doppio processo di identificazione. In quanto giullare si sente molto vicino al santo d’Assisi, «Lu santo jullàre Franzesco»: sottolineando il carisma e l’abilità istrionica di Francesco, Fo parla di se stesso (non è ancora santo ma è pur sempre un premio Nobel).

Ma l’operazione più ardita e arbitraria è un’altra: Fo vede in papa Bergoglio il nuovo «poverello d’Assisi». E giù allusioni, allegorie, attacchi diretti (Rai1 che si trasforma in un tribunale contro la Curia romana, cose d’altro mondo!). Avanti con la teoria del complotto (papa Luciani è stato fatto fuori perché voleva rivelare il marcio del Vaticano). Ecco finalmente la vera vita di Francesco, il sovversivo di Cristo! Fo è bravo a inventarsi una lingua (un italiano medievale in stile Brancaleone), bravissimo quando fa il lupo, ma l’impressione è che questo tipo di teatro funzioni poco in tv (troppo facile spacciarla poi per cultura televisiva!). Tant’è vero che a Fo è stato suggerito di fare un’introduzione pop con Mika per spiegare al pubblico la chiave di lettura: Francesco era un anarchico. Come Fo, aggiunge Mika. Il programma è prodotto da Gianmarco Mazzi e Jacopo Fo, politicamente agli antipodi. Miracoli di San Francesco o della Siae?

24 giugno 2014 | 08:45
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Da - http://www.corriere.it/spettacoli/14_giugno_24/teorie-dario-fo-l-elogio-papa-84224738-fb5d-11e3-9def-b77a0fc0e6da.shtml
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