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Autore Discussione: ALDO GRASSO.  (Letto 72836 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Febbraio 15, 2012, 11:02:00 am »

SANREMO

Il predicatore decadente

Joan Lui è convinto di predicare meglio dei preti.

Ma nel ruolo di profeta salva Italia ne vogliamo solo uno, due sono troppi: o Monti o Celentano.

Dopo ieri sera ho scelto definitivamente. Ogni anno il Festival di Sanremo ci mette di fronte a un tragico dilemma: ma davvero questo baraccone è la misura dello stato di salute della nazione? E se così fosse, non dovremmo preoccuparci seriamente? C'è stato un tempo in cui effettivamente il Festival è stato specchio del costume nazionale, con le sue novità, le sue piccole trasgressioni, persino le sue tragedie. Ma tutto ha un tempo e questo (troppo iellato) non è più il tempo di Sanremo o di Celentano, se vogliamo rinascere. Monti o Celentano? Se davvero il nostro premier vuole compiere il titanico sforzo di cambiare gli italiani («l'Italia è sfatta», con quel che segue), forse, simbolicamente, dovrebbe partire proprio dal Festival, da uno dei più brutti Festival della storia. Via l'Olimpiade del 2020, ma via, con altrettanta saggezza, anche Sanremo, usiamo meglio i soldi del canone. O Monti o Celentano. O le prediche del Preside o quelle del Re degli Ignoranti contro Avvenire e Famiglia Cristiana.

Non mi preoccupa Adriano, mi preoccupano piuttosto quelli che sono disposti a prenderlo sul serio. E temo non siano pochi. Ah, il viscoso narcisismo dei salvatori della patria! Ah, il trash dell'apocalissi bellica! Cita il Vangelo e bastona la Chiesa, parla di politica per celebrare l'antipolitica: dalla fine del mondo si salva solo Joan Lui. Parla di un Paradiso in cui c'è posto solo per cristiani e musulmani. E gli ebrei? Il trio Celentano-Morandi-Pupo assomiglia a un imbarazzante delirio. A bene vedere il Festival è solo una festa del vuoto, del niente, della caduta del tempo e non si capisce, se non all'interno di uno spirito autodistruttivo, come possano essersi accreditati 1.157 giornalisti (compresi gli inviati della tv bulgara, di quella croata, di quella slovena, di quella spagnola, insomma paesi con rating peggiore del nostro), come d'improvviso, ogni rete generalista abbassi la saracinesca (assurdo: durante il Festival il periodo di garanzia vale solo per la Rai), come ogni spettatore venga convertito in un postulante di qualcosa che non esiste più. Sanremo è il Festival dello sguardo all'indietro (anni 70?), dove «il figlio del ciabattino di Monghidoro» si trasforma in presentatore, è il Festival delle vecchie zie dove tutti ci troviamo un po' più stupidi proprio nel momento in cui crediamo di avere uno sguardo più furbo e intelligente di Sanremo (più spiritosi di Luca e Paolo quando cantano il de profundis della satira di sinistra), è il Festival della consolazione dove Celentano concelebra la resistenza al nuovo. Per restituire un futuro all'Italia possiamo ancora dare spazio a un campionario di polemiche, incidenti, freak show, casi umani, amenità, pessime canzoni e varia umanità con l'alibi che sono cose che fanno discutere e parlare? Penso proprio di no.

P.S. Mentre scrivevo questo pezzo mi sono arrivati gli insulti in diretta da Sanremo.

Ma non ho altro da aggiungere.

Aldo Grasso

15 febbraio 2012 | 9:37© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/spettacoli/speciali/2012/celentano-predicatore-decadente-grasso_96ccf2b2-5799-11e1-8cd8-b2fbc2e45f9f.shtml
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« Risposta #61 inserito:: Marzo 25, 2012, 11:54:43 am »

Padiglione Italia

Dal tritolo al cimitero

L'eterno ritorno di Diliberto

Sarà difficile dimenticare l'immagine dell'ex ministro che posa sorridente con una manifestante della maglietta anti-Fornero

Avesse almeno chiesto scusa. Pubblicamente. Invece le scuse le ha cercate: non ho visto, non mi ero accorto della scritta. Che pena! Sarà difficile dimenticare l'immagine dell'On. Prof. Oliviero Diliberto, segretario nazionale dei Comunisti italiani, ex ministro di Grazia e giustizia, che posa sorridente con una manifestante davanti a palazzo Chigi. La signora indossa una maglietta con la scritta «La Fornero al cimitero». Prima di essere sbugiardato da un video, Diliberto ci aveva provato ai microfoni della «Zanzara» su Radio24: «La Fornero mi sembra un po' nervosa. Il fatto che la Cgil non abbia firmato l'accordo sul lavoro la innervosisce e alza il tiro su argomenti come quello della maglietta per non parlare delle misure del governo. Dovrebbe essere lei a chiedermi scusa per le parole che ha usato su di me». Offende, ma non trascura di mostrarsi offeso.

Avesse chiesto scusa, da gentiluomo. No, il tutto è avvenuto a sua insaputa, e pazienza se ha dato voce a un linguaggio cimiteriale che credevamo scomparso, se ha rimesso in circolo parole di piombo, se ha dato visibilità a una signora, moglie di un bancario, che prima indossa ferali t-shirt e poi piange pentita. Del resto, la metafora lugubre e crudele è nel repertorio di Diliberto. A Daria Bignardi, che gli chiede di scegliere un posto dove trascorrere una bella serata, risponde: «Al Billionaire, ma imbottito di tritolo!». Nel 2006 partecipa a un corteo dove si bruciano bandiere israeliane e si grida, senza nessun rispetto per i nostri militari morti, «Dieci, cento, mille Nassiriya». Sul presidente Bush sentenzia che «ha le mani che grondano sangue» ma, intanto, si vanta di aver visitato tutti quei Paesi che l'amministrazione Bush considerava «Stati canaglia»: Siria, Cuba, Corea del Nord. Evvai! Avesse chiesto scusa, e basta. Dice che scriverà a Fornero, in privato.

Ma in pubblico gli anni dell'intolleranza non passano mai. La voglia di rubricare l'episodio come buffonata sarebbe forte se non dessimo retta a un vecchio monito di Nietzsche: «Lasciare accadere un male che si può impedire vuol dire praticamente commetterlo».

Aldo Grasso

25 marzo 2012 | 10:09© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_marzo_25/grasso-diliberto_4a4fdb5c-764d-11e1-a3d3-9215de971286.shtml
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« Risposta #62 inserito:: Marzo 25, 2012, 11:58:25 am »

A fil di rete

Il progetto mistico di quelli come Augias


Corrado Augias ha raddoppiato: «Le storie. Diario italiano» va in onda tutti i giorni alle 12.45 e il meglio viene replicato alle 20.10, prima di «Un posto al sole». Così Rai3, con un certo trionfalismo, può dire di «portare la cultura all'ora di cena». Pranzo e cena.

E meno male che «il popolare giornalista e scrittore» se ne doveva andare. Si era fatto ospitare dalla collega «giornalista e scrittrice» Daria Bignardi (29 gennaio 2011) per lamentare la scarsa attenzione che la Rai mostrava nei suoi confronti e annunciare l'addio: l'età, i libri da scrivere, gli affetti da coltivare: «Basta televisione, vorrei dedicare questa ultima parte della mia vita ad altre cose». Come mai è rimasto? Ha ceduto all'insistenza, vecchia formula con cui un tempo si giustificava la pubblicazione di un libro modesto.

Dovremmo dunque essere contenti del doppio incarico e di avere, pranzo e cena, una fetta di cultura. C'è un piccolo però, quasi insignificante.

Gli Augias non fanno cultura, gli Augias sono «devoti della cultura», categoria cui Marc Fumaroli ha dedicato un libro decisivo, «Lo stato culturale». Per dire: Philippe Daverio fa cultura (mette brillantemente la sua competenza al servizio del mezzo), gli Augias (ce ne sono tanti) usano la parola cultura come schermo, la impregnano di un significato volontaristico e missionario (ah, quel pubblico da redimere composto materialmente e idealmente di professoresse!), la fanno diventare qualcosa di simile a un progetto mistico, a una pianificazione, a un catechismo sociale, a un gadget da servizio pubblico.

Gli Augias sono gli idoli del ceto medio riflessivo, soddisfatti di apparire credendosi un'apparizione. E, sempre cedendo all'insistenza di qualche principio superiore, usano la «cultura» con un certo dirigismo che, per altro, influenza il mercato dei libri. Vorrebbero dedicare una parte della loro vita ad altre cose, ma per fortuna poi si mettono al nostro servizio in quella vasta e sorprendente vanity fair che è la tv.

Aldo Grasso

24 marzo 2012 | 8:19© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_marzo_24/a-fil-di-rete-il-progetto-mistico-di-quelli-come-augias-aldo-grasso_90923b82-7580-11e1-88c1-0f83f37f268b.shtml
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« Risposta #63 inserito:: Marzo 27, 2012, 07:17:32 pm »

A fil di rete

Fo a «Quelli che..» un'occasione persa


Com'è strana la tv! Domenica pomeriggio, su Rai2, Dario Fo era ospite di «Quelli che il calcio» per presentare la mostra «Lazzi, sberleffi, dipinti», una raccolta di oltre 400 dipinti del premio Nobel inaugurata a Palazzo Reale e aperta fino al 3 giugno: arazzi, maschere, pupazzi, burattini e uomini dipinti, dalle pitture dei primi anni ai collage, ai monumentali acrilici degli ultimi anni. Ha festeggiato anche l'86° compleanno e si è stupito che ogni tanto in studio ci fossero strani boati (si festeggiavano i gol). Victoria Cabello ha fatto il possibile per rendere omaggio al multiforme ingegno di Fo, ma i suoi autori non l'hanno aiutata.

Che ci faceva Dario Fo a «Quelli che il calcio»? La domanda parrà oziosa se alla base non ci fosse un piccolo aneddoto. Nel suo libro Senza rete (Rizzoli), l'ex direttore di Rai3 Angelo Guglielmi racconta che quando discusse con Marino Bartoletti la proposta di «Quelli che il calcio» (anno di esordio 1993) gli venne in mente un'idea balzana: offrire la conduzione proprio a Dario Fo. Il quale invece non accettò e il programma fu successivamente affidato a Fabio Fazio.

È vero che non esiste ancora una storia ucronica della tv (una storia fatta con i se e con i ma), ma proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se Dario Fo avesse accettato. Questo dovevano fare gli autori di Cabello per rendere l'incontro un po' più vivo e interessante; purtroppo non leggono libri.

Già, i libri, le carriere, i successi. Chissà il calcio come sarebbe oggi se al timone di quella trasmissione ci fosse stato Dario Fo. E chissà che mestiere farebbe oggi Fabio Fazio. E chissà quante altre cose sarebbero successe se invece di prendere una strada Dario Fo ne avesse imboccata un'altra, secondo l'insegnamento di «Sliding Doors». Ma è andata così perché il merito è sempre più fragile del destino.

Aldo Grasso

27 marzo 2012 | 9:07© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_marzo_27/grasso-fo_9f8e4dee-77d1-11e1-978e-bf07217c4d25.shtml
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« Risposta #64 inserito:: Aprile 01, 2012, 12:14:18 pm »

Padiglione Italia

Calearo, il primatista del peggio che potrebbe riscrivere «Cuore»

Dal Pd a «Popolo e territorio»: la storia esemplare dell'onorevole


Nuovi primati italiani. Non riuscendo a far correre i neutrini più in fretta della luce, abbiamo virato sull'evasione: nel 2010 più di 20 milioni di contribuenti hanno dichiarato meno di 15 mila euro l'anno. Da un po' di tempo inseguiamo primati all'incontrario, ammissioni di irresponsabilità, vanterie catastrofiche. Se ci fosse ancora a disposizione un de Amicis, si potrebbe riscrivere Cuore, riadattando i racconti mensili al pedagogismo negativo che ci pervade.

Il «piccolo patriota padovano» (il ragazzo povero che rifiuta gli aiuti internazionali perché accompagnati da aspre critiche nei riguardi del popolo italiano) potrebbe trasformarsi nel «piccolo patriota vicentino».

Il nome del protagonista ce l'abbiamo: Massimo Calearo. È l'edificante racconto di un imprenditore che voleva darsi alla politica per complottare contro l'Italia. Come riferiscono le cronache, l'onorevole Calearo da alcuni mesi non frequenta più la Camera perché lo considera un lavoro usurante. Preferisce occuparsi degli affari di famiglia. Dimettersi? Solo un politico retrò potrebbe pensare a una soluzione sciocca come questa. «Con lo stipendio da parlamentare - spiega il patriota vicentino - pago il mutuo della casa che ho comprato, 12.000 euro al mese di mutuo. È una casa molto grande...». E poi c'è l'auto: «La mia Porsche ha una targa slovacca, l'ho comprata lì perché ho un'attività in quel Paese... È tutto perfettamente in regola. E poi in Slovacchia si possono scaricare tutte le spese per la vettura. In Italia no». Viva la Slovacchia, abbasso l'Italia! Qui, il nostro immaginario de Amicis saprebbe come far vibrare le corde più intime della commozione. Calearo era quell'imprenditore che nel 2008 scese in politica col Pd e finì a votare contro la sfiducia a Berlusconi insieme con Scilipoti, non prima di essere passato a far rifornimento all'Api di Rutelli e dichiararsi ora esponente di «Popolo e territorio». Si sa, il serpente che non può cambiare pelle muore.

Ecco una bella storia esemplare, per noi, disabituati al meglio, fortemente vocati a primeggiare nel peggio.

Aldo Grasso

1 aprile 2012 | 9:40© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_01/calearo-primatista-del-peggio-riscrive-cuore-padiglione-italia-grasso_4a365932-7bc2-11e1-95a2-17cafbbd8350.shtml
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« Risposta #65 inserito:: Aprile 15, 2012, 11:38:46 am »

Padiglione Italia

Kessler, gemelle anti-tasse che tradiscono l'Italia

Le gemelle da noi hanno avuto tutto: amore e denaro


E meno male che si sentono «mezze italiane»! Invitate nel salotto di Daria Bignardi le gemelle Kessler, le mitiche Kessler (38 anni per gamba), non sono state tenere con il nostro Paese. Da cui, per altro, hanno avuto tutto: fama, soldi, amore e amori. Se non ci fosse stato quel folletto di Guido Sacerdote, un farmacista di Alba stufo di aspirine e voglioso di spettacolo, che le notò al Lido di Parigi; se non ci fosse stato quel genio di Antonello Falqui che rese sexy due statue (come ebbe a ribadire Burt Lancaster incontrando Ellen sotto le coltri), forse le due sarebbero rimaste ballerine di fila e nulla più, devono tutto all'Italia.

Eppure, del nostro Paese, coltivano i luoghi comuni di certa stampa teutonica. Cosa dovremmo imparare dai tedeschi? Pronta e all'unisono la risposta: la disciplina e l'organizzazione. Mancava il passo dell'oca, sia pure fatto con la grazia di due ballerine, ed eravamo a posto.

Le gemelle ragioniere hanno fatto i loro conti e hanno deciso di tenere la residenza in Germania, vicino a Monaco. In Italia c'è troppa burocrazia (è vero) e poi ci sarebbe un misterioso libro di ben 80 pagine per sapere come si pagano le tasse. Certo, vedere ora le ex Bluebell Girls fare questi conti della serva fa una certa impressione.

Per molti italiani, le Kessler hanno rappresentato la scoperta del «proibito», del corpo, del censurabile (molto si è favoleggiato sui mutandoni che coprivano le loro gambe) a partire da due celebri sigle: «Pollo e Champagne» (Oh mon cheri, non vedo l'ora di tornare a Paris, e camminare sotto braccio con te...) e «Dadaumpa». Era il 1961, era il tempo di «Giardino d'Inverno» e di «Studio uno». In un suo libro, l'ex direttore generale della Rai, Ettore Bernabei, sostiene persino che le Kessler furono complici nel «delitto dei mutandoni» che sconvolse allora la dirigenza Rai e vide complice involontario nientemeno che Papa Pacelli. Ma è solo uno scherzo della memoria: il Papa era già morto nel 1958.

Questo per dire come la gratitudine invecchi molto prima di noi e come con due «mezze italiane» sia impossibile farne almeno una.

Aldo Grasso

15 aprile 2012 | 9:33© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_aprile_15/kessler-gemelle-anti-tasse-che-tradiscono-italia-aldo-grasso_c8f12c74-86c7-11e1-9381-31bd76a34bd1.shtml
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« Risposta #66 inserito:: Aprile 15, 2012, 11:39:36 am »

A fil di rete

Bignardi, ape regina per niente barbarica


«Ti interrompo perché c'è questa cosa che noi chiamiamo pubblicità». Era dai tempi di Totò Tarzan di Mario Mattioli che non sentivo una battuta del genere sulla nozione di civiltà. A pronunciarla è stata Daria Bignardi, rivolgendosi, come solo una Jane sa fare, a Paolo Bosusco, la guida turistica catturata in India dai guerriglieri maoisti («Le invasioni barbariche», La7, venerdì, ore 21,20). Ora che tutto è finito, ora che i due italiani sono stati liberati (con uno scambio di prigionieri, tra cui c'era la moglie del leader maoista), ora che l'ingegnere Claudio Colangelo e la guida turistica Paolo Bosusco di Condove (provincia di Torino) sono stati liberati, posso dire che questi eroi del tempo libero non mi entusiasmano affatto?

A sentirlo parlare, poi, questo Bosusco (versione naif di Mauro Corona) pare una di quelle persone senza arte né parte che cercano nell'esotico una sorta di riscatto esistenziale, incerti fra l'ideologia (una propizia interruzione pubblicitaria ha permesso al «liberato» di modificare un po' il giudizio sui maoisti che rischiava di apparire fervido) e il kitsch più languoroso (il condovese tende al bucolico). Adesso è tornato in Italia, non può più mettere piede in India e cerca lavoro, grazie alla tv.

Era l'ultima puntata di un programma che di barbarico non ha più nulla. Anzi, è molto establishment: Michele Serra (troppo intelligente per non mostrare disagio a infierire su Bossi in un salotto radical chic), Alessandro Baricco, perfino la coinquilina Geppi Cucciari. La scelta di Bignardi è stata quella di trasformare il programma in un clan dalle varie derivazioni mediatiche, di cui lei si sente ape regina.

Così non deve più inventare nulla ma solo gestire la distribuzione di provvidenze. Per il gran finale, Daria di «Tempi moderni» avrebbe invitato uno come Massimiliano Parente, non Bosusco.

Aldo Grasso

15 aprile 2012 | 9:54© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_aprile_15/a-fil-di-rete-bignardi-ape-regina-per-niente-barbarica-aldo-grasso_9bcc39d4-86cf-11e1-9381-31bd76a34bd1.shtml?fr=box_primopiano
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« Risposta #67 inserito:: Aprile 29, 2012, 11:36:35 pm »

Padiglione Italia

Grillo è più attore adesso di quando girava i film

Critica le tasse, ma fornisce un alibi agli evasori

Prima della famosa battuta sui socialisti ladri patentati («Fantastico 7», 1986), prima di essere allontanato dalla Rai, Beppe Grillo era solo una scoperta di Pippo Baudo, una delle tante. Sì, è vero, si era distinto con due programmi poco convenzionali, «Te la do io l'America» (1981) e «Te lo do io il Brasile» (1984), diario di viaggio di un provinciale nei luoghi comuni di quei Paesi: comicità bonaria, racconto moderatamente dissacrante, niente di più.

Fuori dalla tv, Grillo ha cominciato a intraprendere un lungo viaggio nei teatri, nelle piazze, nei siti, una sorta di «Te la do io l'Italia», mantenendo intatto il meccanismo di fondo (la perlustrazione dei luoghi comuni), ma acuminando lo sguardo. Come ebbe a dire il grande Dino Risi, «Grillo è più attore adesso che non quando girava film».

Nel frattempo, il commediante è diventato lo spauracchio della politica italiana, il capofila di quell'antipolitica che sta facendo perdere le staffe a molti leader (che lui battezza come «dementi, dilettanti allo sbaraglio»). In un mondo in cui tutti necessariamente recitano, secondo le regole della politica pop, il suo successo deriva dal fatto che lui è il più bravo a recitare. Con un repertorio ormai collaudato («La Gasparri permette a un iPod Nano di possedere tre televisioni e venti giornali», «Le banche ti chiedono soldi e fiducia, però legano la biro a una catenella», «D'Alema è uno che si è finto di sinistra essendo di destra», «L'Udc è l'Unione dei carcerati», «Rigor Montis»...) irride la concorrenza con intolleranza. Lisciando il pelo al populismo, incanaglisce contro le tasse («se tutti pagassero le tasse si ruberebbe il doppio», «i controlli della Finanza sono un modo per istillare l'odio sociale») e finisce per offrire un insperato alibi agli evasori. Sono i rischi della demagogia, il paradosso del Buffone che volle farsi Re.

«Te la do io l'Italia» è uno spettacolo triste dove un buffone dice di farsi beffe di altri buffoni, dove il malumore e la rabbia si travestono da ultima risata, dove il «vaffa» esprime l'inconfessabile esultanza del proselitista, felice di incatenare gli altri nel nome della libertà.

Aldo Grasso

29 aprile 2012 | 8:50© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_aprile_29/grillo-piu-attore-adesso-padiglione-italia-grasso_8a2581f0-91c3-11e1-af61-83f104d3d381.shtml
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« Risposta #68 inserito:: Maggio 07, 2012, 10:41:43 pm »

Padiglione Italia

Il manager, la gaffe su Waterloo e la vendetta di Napoleone

Le indagini sulle sim card e l'addio di Luciani a Tim Brasil


La vendetta di Napoleone.
Luca Luciani ha lasciato la guida di Tim Brasil, la controllata carioca di Telecom Italia. Se ne va dopo aver risollevato la società con una serie di risultati record.

Com'è possibile che una vittoria si tramuti in sconfitta? Succede, se si cambia il corso della storia, dicendo che a Waterloo Napoleone, lo sconfitto, ha sbaragliato le truppe di Wellington.

Luciani è coinvolto negli scandali legati all'inchiesta sulle sim card truccate: tra il 2005 e il 2007 avrebbe organizzato con Riccardo Ruggiero e Massimo Castelli un meccanismo per gonfiare in modo fittizio il volume della clientela. E siccome qui ci troviamo fra gente colta, le sim card venivano intestate a nomi di fantasia tratti dalla grande letteratura, tipo Pippo, Pluto, Paperino, l'Uomo Ragno, ecc.

La gaffe
Ma Napo, cosa c'entra Napo? Qual è la procellosa e trepida gioia del gran disegno di Luciani? Nell'aprile 2008 Luciani si era reso protagonista di una memorabile gaffe, cliccatissima su YouTube. Ripreso a sua insaputa durante una convention romana, non prima di essersi dichiarato «incazzato», incitava i venditori Telecom a seguire l'esempio del Grande Corso: «Napoleone fece a Waterloo il suo capolavoro», quando «tutti lo davano per fatto, cotto». «Piangersi addosso non serve, correte di più, stringete i denti, e allora dagli spalti vi applaudiranno perché voi andrete e segnerete. Le facce scettiche non servono a un caz... Andate e segnate, come fece Napoletone a Waterloo». Nel frattempo, Napoleone aveva anche preso la cittadinanza napoletana. Quando si dice «cervelli in fuga».

È un attimo precipitare dall'altare alla polvere, un andirivieni continuo. Come in quella filastrocca di Gianni Rodari: «Napoleone era fatto così. Quando andava di là, non veniva di qua. Se saliva lassù, non scendeva quaggiù. Se correva in landò, non faceva il caffè. Se mangiava un bigné, non contava per tre. Se faceva pipì, non faceva popò. Anche lui come te, anche lui come me. Se diceva di no, non diceva di sì».

Aldo Grasso

6 maggio 2012 | 10:18© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_maggio_06/manager-gaffe-napoleone-grasso_0957b36c-9741-11e1-9a56-d67dd7427f23.shtml
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« Risposta #69 inserito:: Luglio 22, 2012, 11:27:03 am »

A fil di rete| «Bersaglio Mobile» dedicato a Borsellino è servizio pubblico

Mentana e il talk, sfida da peso medio

Tra il peso massimo (Santoro) e il leggero (Formigli), il direttore del tg La7 impara un altro ruolo quello di conduttore di talk

Servizio pubblico è chi lo fa non chi lo è. Speriamo che la nuova dirigenza Rai capisca questa fondamentale differenza. A noi serve solo per sottolineare come a Viale Mazzini manchi uno come Enrico Mentana. A «Bersaglio Mobile» (dibattito più film, un format che rovescia la vecchia formula di «Film dossier» di Enzo Biagi) si discuteva degli strascichi ancora legati, vent'anni dopo, alla morte di Paolo Borsellino e delle sue guardie di scorta in Via D'Amelio, il 19 luglio del 1992 (La7, ore 21,20).

In studio erano presenti Calogero Mannino («sono stupito della slabbratura della memoria di Nicola Mancino»), Marco Lillo e Pierluigi Battista, invitati a discutere, inutile girarci attorno, sulla presunta trattativa tra Stato e Mafia. C'è stata, non c'è stata? Borsellino sarebbe la vittima sacrificale di questo patto segreto? Non è nostro compito intervenire in merito (non si può però vivere in un Paese dove le stragi non hanno mai un mandante preciso), ma è bastato riproporre l'intervista che Lamberto Sposini fece a Borsellino e quella della tv francese per provare uno strano senso di vergogna e di impotenza («convinciamoci che siamo cadaveri che camminano»), come se non fossimo degni delle persone migliori: Borsellino era un magistrato che ci credeva, alla legge degli uomini e soprattutto a quella morale.

Dopo la morte del suo amico Falcone sapeva di essere nel mirino della mafia e, quasi due mesi dopo la strage di Capaci, fu fatto saltare in aria da un'esplosione.

Era un uomo delle istituzioni, era un uomo che ha ritenuto possibile sconfiggere la mafia: pur sapendo di avere le ore contate, è rimasto al suo posto di lavoro. Questo è forse il lavoro cui si accenna nella nostra Costituzione. In termini più propriamente televisivi, Mentana comincia a imparare un mestiere nuovo (cui, in passato era negato): il talk. E se tra il peso leggero Formigli e quello massimo Santoro, il migliore fosse il peso medio?

Aldo Grasso

21 luglio 2012 | 8:26© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_luglio_21/mentana-talk-grasso_e152ad10-d2f3-11e1-acdf-447716ba2f20.shtml
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« Risposta #70 inserito:: Settembre 16, 2012, 04:37:03 pm »

Padiglione Italia «Sogna con il Rottamatore»

E il candidato si fece format

La discesa in campo di Matteo Renzi e lo stile mutuato dalla tv: il sindaco di Firenze rinnova il palinsesto del centrosinistra


Più odiato che amato. Può uno che gode di così tanto discredito presso la nomenklatura del suo partito vincere le elezioni? Matteo Renzi è partito in camper per un tour promozionale per la premiership del centrosinistra. È partito da Verona («la città della bellezza»; ma fosse anche partito da Savona avrebbe detto qualcosa di simile), dal Nordest, ultima illusione leghista. Prima di partire lo hanno sbeffeggiato: Casini si sbellica dalle risa pensando a un futuro incontro con la Merkel dove al posto di Monti c’è Renzi; D’Alema ritiene sia inadeguato a governare; Vendola, Rosy Bindi, Fioroni, persino Beppe Grillo pensano sia un incapace. Sbeffeggiato, anzi delegittimato, che è la forma più democratica per mettere uno al bando: Renzi sfrontato, Renzi irrispettoso, Renzi arrogante, Renzi qualunquista, Renzi berlusconiano, Renzi senza identità, Renzi becchino della gloriosa generazione del ’68.

Può darsi che Renzi non sconfigga il pensiero dominante del suo partito e si accontenti di spaccarlo (come da tradizione), che si vada avanti con D’Alema che recensisce i libri di Veltroni (il più classico «Gift-gift», il dono avvelenato secondo la teoria dell’antropologo Marcel Mauss), ma per la prima volta alle elezioni politiche un candidato non presenta un’ideologia bensì un format. Sì, un progetto secondo i rigidi canoni del format «Sogna con il Rottamatore». I legami di Renzi con la tv sono molteplici: la partecipazione al quiz di Mike, gli anni dell’apprendistato, il camper (più simile a quelli di Castagna e Baudo che non al pullman di Prodi o alla nave di Berlusconi), il disincanto della post-storia, il superamento della distinzione destra-sinistra, il marketing, i video, gli slogan secchi come «Adesso» e così via.

Ma non basta: un format contiene la struttura base del programma (politico) e una serie di suggerimenti relativi alla sua perfetta realizzazione (allestimento scenico, caratteristiche del conduttore, fascia ottimale di audience, ecc). A questo ci pensa Giorgio Gori, uno dei più bravi dirigenti Mediaset, poi fondatore di Magnolia. Il format non serve per innovare, ma per massimizzare gli ascolti (i voti). E il reality è solo alle prime puntate.

Aldo Grasso

16 settembre 2012 | 8:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_settembre_16/sogna-con-il-rottamatore-aldo-grasso_03e5dd70-ffc7-11e1-8b0a-fcb4af5c52c7.shtml
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« Risposta #71 inserito:: Settembre 27, 2012, 02:38:01 pm »

A fil di rete

Briatore, una lettura in chiave ironica

Uno studio tutta la vita per finire al Billionaire, coraggio ragazzi!

Se «The Apprentice» targato Donald Trump, il più costoso parrucchino d'America, il più ricco imprenditore immobiliare di New York, era una versione giocosa dell'American Dream, «The Apprentice», l'apprendista imprenditore, targato Briatore è pura parodia. «Questo non è uno show - tuona mister Billionaire - e io non faccio sconti a nessuno. Chi lavora con me deve avere due palle così».

Per lavorare con lui servirebbe piuttosto uno stomaco così, ma questi ragazzi in cerca di un'opportunità non vanno troppo per il sottile. Del resto anche loro sono una parodia: del bocconiano, del rampante, del post-paninaro, dello stile preppy, della Ivy League sottocasa (Cielo, martedì, ore 21.15).

«Siete dieci caproni», avverte Flavio Briatore da Verzuolo, provincia di Cuneo (il paesino non è nelle Langhe). «Siete dieci capre, ma non voglio offendere le capre» insiste il Boss. I ragazzi lo chiamano proprio così, Boss, come il sindaco della contea di Hazzard, quello che in «The Dukes of Hazzard» cerca sempre di incastrare i due cugini.

Ci sono ormai molti programmi che si parano dietro una seconda lettura, quella ironica. Che ci sia infatti uno spettatore che segua con serietà questo gioco di strategie aziendali sembra improbabile, visto anche il grado di antipatia dei concorrenti. È più probabile invece che si segua «The Apprentice» perché si ride delle spacconate di Briatore, della caricatura del piccolo imprenditore o del futuro capitalista. Il momento più esilarante è stato quando Briatore ha incontrato Enrico Preziosi (Briatore e Preziosi, il gatto e la volpe) per proporre ai ragazzi la realizzazione del giocattolo del futuro.

Chi vincerà la gara sarà assunto per un anno dal Billionaire, «il maggior punto di ritrovo del jet set internazionale», secondo uno slogan della casa. Uno studia tutta la vita per finire al Billionaire, coraggio ragazzi! Il grattacielo della Regione Lombardia viene usato come location: ecco a cosa servono i soldi pubblici!

Aldo Grasso

27 settembre 2012 | 10:22© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/12_settembre_27/briatore-lettura-in-chiave-ironica-fil-di-rete-grasso_b8a07a30-0860-11e2-b109-0c446f94a4e2.shtml
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« Risposta #72 inserito:: Dicembre 02, 2012, 05:40:18 pm »

Padiglione Italia

La gravità evanescente dello scienziato siciliano

Zichichi diventa assessore ai Beni culturali e lo guiderà da Ginevra: «Giudicateci dalle cose che saranno fatte, non dalla presenza»


Lo scienziato Antonino Zichichi è stato nominato assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia con il compito specifico di cercare il centro di gravità permanente di Franco Battiato, assessore al Turismo e allo Spettacolo. La squadra di governo di Rosario Crocetta sarà così non solo la giunta più creativa e poetica mai apparsa nella terra delle Sicelides Musae ma anche la più sincretica e politeista: il pantheon del creazionismo e dei dervisci rotanti, della critica al darwinismo e delle meccaniche celesti. Ci sarà da divertirsi.

Zichichi guiderà il suo assessorato da Ginevra, Battiato se ne occuperà fra un concerto e l'altro: «Giudicateci dalle cose che saranno fatte e non dalla presenza giornaliera a Palermo». Nel frattempo, l'eminente fisico ci tiene a precisare alcune cose: «Con immensa immodestia devo dire che non ho vincoli che non siano rigorosamente scientifici. Crocetta non lo conoscevo. Mi ha chiamato. Sapeva tutto di me. Parlava di me come se fossi io. Non potevo dirgli no».

Del resto, non è difficile conoscere Zichichi, a cominciare dalla sua proverbiale immodestia: «Quando io parlo, gli altri stanno zitti». Per dire, è uno che va in giro a raccontare che un suo convegno organizzato a Erice ha fatto crollare il Muro di Berlino due anni prima del previsto. La comunità scientifica ogni tanto storce il naso di fronte alle sue «scoperte», quella televisiva, invece, fa festa. Basta ricordare il professor Zichichirichì di Ezio Greggio a Drive in o l'imitazione di Maurizio Crozza: «La discoteca è uno spazio chiuso pieno di isotope. Per la legge di Newton, due corpi nel vuoto si attraggono. Figurati in discoteca». Quando frequentava il salotto di Roberta Capua si accaniva contro le bestie dello Zodiaco con aria di supponenza, frammista a uno sdegno storico per non aver ancora ricevuto il premio Nobel.

La sua nomina è stata contestata per via di un contenzioso di suo figlio Lorenzo con la Regione stessa, ma per uno che vive a stretto contatto con il Disegno Intelligente queste sono solo piccole miserie umane. L'ottantatreenne fisico ama dire: «Il modello matematico non mente». Speriamo.

Aldo Grasso

2 dicembre 2012 | 9:42© RIPRODUZIONE RISERVATA

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« Risposta #73 inserito:: Gennaio 11, 2013, 05:18:13 pm »

Il commento

I fratelli coltelli dell'intrattenimento

Quello fra Santoro e Berlusconi è sembrato lo scontro fra due vecchi professionisti della politica da bar

di  ALDO GRASSO


C'era molta attesa per la puntata di «Servizio pubblico» che vedeva come ospite unico l'ex premier Silvio Berlusconi. In realtà è sembrato lo scontro fra due vecchi professionisti della politica da bar, due tecnici del populismo, fratelli coltelli un po' guitti.

La stretta di mano tra Santoro e BerlusconiLa stretta di mano tra Santoro e Berlusconi
Claudio Villa? «Granada»? Il torero e l'arena? Inizia così l'incontro dell'anno, il «The Rumble in the Jungle» della tv italiana, la corrida tra Santoro Vs Berlusconi. L'ex premier ricordava l'Aldo Fabrizi di «Vita da cani», il capocomico sempre alle prese con la vita difficile di una compagnia teatrale, o «Gastone», interpretato da Alberto Sordi, il danseur mondain che non si rassegna. Santoro aveva l'aria da rodomonte collodiano di Monsieur Loyal nei «Clowns» di Fellini. Roba d'altri tempi, insomma. Come Claudio Villa o il Corrado della «Corrida». Tocca alle vestali di Michele, Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna, porre le prime domande «cattive», con grazia mista a spietatezza. Berlusconi fatica a conquistare la sua solita sicurezza (è solo in mezzo allo studio su una sedia evidentemente scomoda, senza cuscini a rialzarlo stavolta) e Santoro il ritmo.

La serata rivela presto la sua vera natura: una «cottura a fuoco lento», all'insegna del fact checking. Berlusconi è messo a confronto con le sue affermazioni puntuali, con le sue idee, con l'operato dei suoi governi, cercando di smentirne la retorica pezzo dopo pezzo. La conversazione diventa esperimento maieutico, quasi il contrario delle domande e risposte mai verificate e smentite nelle altre interviste.

Poi arriva Travaglio: imputato alzatevi! La trasmissione che fin qui aveva conosciuto anche momenti di amenità (Silvio assesta la battuta sulle scuole serali di Santoro, Michele abbozza e rilancia), assume il tono della reprimenda. Travaglio si mette in cattedra, sogghigna nei lunghi monologhi del suo perenne bersaglio polemico, poi parte con la lezione «con ditino alzato». Anche lui con calma olimpica, anche lui a voce bassa, nonostante le interruzioni di Berlusconi.

L'ex premier è un disco rotto, ripete per l'ennesima volta i concetti chiave del Silvio Election Tour 2013 (dagli ospedali da costruire in Africa all'Imu, all'ideologia comunista): la ripetizione anestetizza persino Travaglio. Santoro preannuncia colpi di scena, ma l'unico coup de théâtre è la lite con Travaglio sulle condanne per diffamazione. L'atmosfera si surriscalda, Santoro interrompe l'atto d'accusa e il tutto finisce con la gag di Berlusconi che pulisce la sedia su cui era seduto Travaglio. That's Entertainment! È solo intrattenimento. Speriamo che fra due mesi qualcuno si occupi seriamente dei guai dell'Italia.

11 gennaio 2013 | 11:03

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_11/20130111NAZ48_NAZ01_44_19946074-5bb6-11e2-b348-07f13d8a1ca0.shtml
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« Risposta #74 inserito:: Gennaio 13, 2013, 10:37:22 am »

A fil di rete

I tre errori (gravi) del Santoro show


Nel tanto atteso incontro con Silvio Berlusconi, Michele Santoro ha commesso almeno tre errori (gravi per uno che conosce il mezzo come lui) all'interno di un programma più attento alle schermaglie retoriche che ai contenuti: «Servizio Pubblico» (La7, giovedì, ore 21.15).

1) È partito con il piede sbagliato. E il piede è quello di Giulia Innocenzi, il cui tono così saccente predispone al peggio lo spettatore. Quell'aria di supponenza da dove le deriva? Si crede la più autorevole del reame? Se Santoro avesse fatto parlare per primo Gianni Dragoni sugli introiti finanziari delle aziende del Cavaliere, forse avrebbe dato un'altra piega alla serata.

2) Il modello proposto da Santoro era quello classico del processo, dunque uno sperimentato modello teatrale. Il fatto è che Santoro, quando costruisce la serata, ha una concezione molto classica della messa in scena: scaletta rigida, tempi preordinati, «attori» che hanno studiato la parte. Berlusconi, invece, recita a soggetto, segue un canovaccio (che più volte abbiamo definito «disco rotto»), ma ha ancora la capacità di improvvisare. Da guitto, da commedia all'italiana, ma in grado di spiazzare.

3) Il vero coup de théâtre di Berlusconi è stata la lettera a Travaglio, una trovata scenica di grande effetto. La controlettera aveva essenzialmente un effetto parodistico (costruita nello stile travagliesco, a metà tra il cabaret e i mattinali di polizia) e Santoro non l'ha capito. Non cogliendo lo spirito è andato fuori dai gangheri, ha fatto una scenataccia. Che era esattamente quello che Berlusconi desiderava: fargli perdere le staffe, dimostrare di non aver paura di scendere nella fossa dei leoni. Così, vittima del narcisismo (invitare in studio la sua ossessione), Santoro ha finito per portare acqua al mulino di Berlusconi.

Aldo Grasso

12 gennaio 2013 | 9:27© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/13_gennaio_12/a-fil-di-rete-i-tre-errori-gravi-santoro-grasso_ae34b042-5c80-11e2-bd70-6c313080309b.shtml
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