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« Risposta #30 inserito:: Marzo 25, 2010, 11:05:19 am » |
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A FIL DI RETE
E Serena Dandini ride, ride sempre
Gli uomini preferiscono le tenebre, Gentlemen Prefer Darkness. Uno dei grandi dilemmi degli studi mediatici e televisivi è questo: quanto il contenitore condiziona il contenuto? Un esempio: se un emerito studioso espone una sua pur piccola teoria in un talk scomposto, tipo l’«Arena» di Giletti, è molto probabile che quell’esposizione risenta del clima e lo studioso faccia la figura di un Sergio Mariotti qualsiasi (in arte Klaus Davi). Cosa succede se un professore di cinema, un organizzatore di cultura, un letterato, il nostro più stimato baluardo culturale a New York siede nel salotto di Serena Dandini? Antonio Monda è in Italia per presentare il suo ultimo libro, «Hanno preferito le tenebre » (Mondadori), dodici variazioni sul tema del male a partire da una famosa e terribile frase del Vangelo di Giovanni: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie».
Sono dodici racconti che si leggono di un fiato e attraversano la cronaca, il cinema, la televisione: trasudano sangue e buone letture. Sì, ma cosa ci faceva Antonio Monda dalla Dandini, da quella regina del luogocomunismo su tacco dodici, da quella ridanciana che si riempie la bocca di Cormac McCarthy, di J. D. Salinger, di Philip Roth (Monda ha confessato che Roth non ama Antonioni ma Fellini; se non li amasse entrambi sarebbe perfetto)? Antonio Monda non fa testo perché è totalmente impermeabile all’esterno, la «mondanità», di cui è artefice e maestro, sembra scivolargli addosso senza lasciare tracce apparenti, è inscalfibile. Vederlo discutere di letteratura e di cinema con la Dandini («Parla come me», Raitre, martedì, ore 22.55) mi procurava contorcimenti, inquietudini, ansie: lui diceva cose serie e importanti e lei rideva. Ride sempre. A fine intervista, però, la rivelazione: «La libertà dell’uomo è anche di scegliere il male». Parola di Antonio Monda.
di Aldo Grasso 25 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
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« Risposta #31 inserito:: Marzo 27, 2010, 11:01:20 pm » |
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IL COMMENTO
Libertà o incitazione all'odio?
Santoro e una tv da Zimbabwe
Cose che succedono solo in Italia, peggio che in Zimbabwe. Quello che probabilmente resterà l’evento multimediale dell’anno (con pesanti effetti di reazione) è stato visto da tutti fuorché dagli abbonati Rai. Un’altra perla di questa dirigenza che, non contenta di aver rifiutato il contratto di Sky, di aver perso più di 7 milioni di introiti pubblicitari per la mancata messa in onda dei talk d’approfondimento (fonte Sole24Ore), ha creato le premesse per l’ennesima celebrazione del martirio di Michele Santoro.
Martirio o incitazione all’odio? Per non farsi mancare nulla, «Raiperunanotte» è iniziato subito con una pesante analogia tra Mussolini e Berlusconi, sotto forma di lettera aperta al Presidente della Repubblica: «Noi non siamo al fascismo - proclama Santoro - ma certe assonanze sono comunque preoccupanti...».
Poteva mancare la requisitoria di Marco Travaglio? E il temino da primo della classe di Giovanni Floris dal titolo «Gli italiani hanno la democrazia nel sangue»? E l’invito di Gad Lerner a «mettere agli atti» chi si è accorto della censura e chi no? E la metafora hard di Daniele Luttazzi su certe attitudini sodomitiche del potere? Il Santoro show che ieri è andato in onda dal PalaDozza è stato molto più interessante per le modalità di fruizione che per i contenuti (a parte il dramma dei lavoratori che perdono il posto). Nel nome della libertà d’espressione si sono incrociati generi differenti (informazione, intrattenimento, musica, satira…), tutte le nuove tecnologie distributive (Internet, satellite, digitale terrestre, tv locali, radio, siti, blog, social network, dirette streaming, maxischermi, persino 200 piazze), personaggi di diversa provenienza, professionale e artistica, chiamati in platea come fossero grandi star.
Ma il problema, e grave, è un altro. Quando Luttazzi conclude il suo monologo ricordando che «odiare i mascalzoni è cosa nobile » non fa un enorme regalo elettorale a Berlusconi? Fomentare l’odio, alla vigilia delle elezioni, non è un atto di irresponsabilità? Se oggi la maggioranza reagirà pesantemente sarà inutile nascondersi dietro la retorica della libertà d’espressione o della rivoluzione. La politica è effetto di scena e la censura il peggiore dei suoi effetti, un indice di stupidità, ma spesso il rumore delle piazze, delle adunate, degli applausi ottunde le menti e copre i pensieri.
Aldo Grasso 26 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #32 inserito:: Marzo 27, 2010, 11:02:16 pm » |
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IDEE
Campagna elettorale, così il web ha cambiato le regole del gioco
Il format di Enrico Mentana ha provato due cose fondamentali
Si può fare ameno della tv, lo ha dimostrato il «Mentana Condicio». Queste elezioni regionali, grazie a una cavillosa interpretazione della par condicio, rischiavano di essere il funerale del confronto: niente dibattiti tv, in quarantena i contraddittori fra politici. Il format di Enrico Mentana ha provato due cose fondamentali: la prima è che mettere il bavaglio alla tv è ormai un ridicolo controsenso; la seconda, più importante ancora, è che la tv tradizionale o generalista non è più al centro della scena mediatica.
Per questo, giovedì 11 marzo, quando su corriere. it ha preso le mosse il confronto fra Ignazio La Russa ed Enrico Letta, è da considerarsi una data importante: grazie alla indiscussa professionalità del conduttore, il pubblico ha dimostrato di essere capace di migrare da un mezzo all’altro, dalla «vecchia» tv al «nuovo» web. Con l’introduzione della tecnologia digitale, la tv ha mutato il suo statuto e si è trasformata, nel corso di un grande processo di frantumazione, in un new medium. Cioè in un medium interattivo, personalizzabile, delocalizzato, convergente; solo così è possibile trasformare la dimensione comunicativa in un atto sempre più complesso e partecipativo da parte degli spettatori. Sotto questa luce, lo show di Michele Santoro dal PalaDozza di Bologna ha esibito straordinarie capacità di mobilitazione: dell’audience, certo, ma più ancora delle nuove tecnologie distributive: Internet, satellite, digitale terrestre, tv locali, radio, siti, blog, social network, streaming. Mentana e Santoro hanno avuto il merito di sperimentare la sinergia tra nuovi media e vecchi contenuti. Hanno avuto il merito di proporre prodotti professionalmente ineccepibili, anche dal punto di vista tecnico.
Si può fare a meno della tv generalista, specialmente nei momenti in cui il mezzo non svolge soltanto una funzione di intrattenimento ma serve anche a riflettere, a immaginare il proprio destino politico: ciò che caratterizza il cambiamento in atto è l'idea della radicale personalizzazione del consumo. La tv generalista continua a rimanere una grande luogo comune, un discorso condiviso, l’offerta mainstream per eccellenza: le nuove tecnologie, però, non servono più ad «ammazzare il tempo» ma a renderlo proficuo.
Aldo Grasso
27 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it
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« Risposta #33 inserito:: Aprile 17, 2010, 04:33:55 pm » |
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Addio a Raimondo Vianello
Il brontolio dell'Italia media
Le prime parole che vengono in mente per definire Raimondo Vianello non riguardano il suo mestiere ma la sua persona: signorilità, garbo, finezza. Bastava infatti la sua presenza in scena perché ogni programma, brillante e raffinato come lui, viaggiasse sul filo sottile dell’ironia.
Nella sua straordinaria carriera ha avuto tre grandi compagni: Ugo Tognazzi, Sandra Mondaini e il calcio. «Un, due, tre» è stato il varietà più fortunato e famoso della storia della tv delle origini, un piccolo gioiello di contaminazione tra la tradizione consolidata del teatro di rivista di ascendenza tutta italiana, e l’influenza straniera dei grandi show americani, amalgamata dallo stupore e l’entusiasmo per il nuovo mezzo televisivo. La comicità elegante e rarefatta di Vianello diventava complementare alla spontaneità sanguigna e casereccia di Tognazzi.
I veri protagonisti della trasmissione non erano più i numeri d'attrazione internazionali ma i due comici che avrebbero dovuto introdurli: il pubblico iniziava ad aspettare i loro sketch, ed è così che è nata l'idea di scherzare proprio sui programmi tv. La parodia della tv e dei suoi personaggi diventava l'argomento principale delle scenette della coppia (del resto, con Tognazzi formava l'acronimo del mezzo che lo avrebbe reso famoso: Tv), regalando alla leggenda televisiva indimenticabili ed esilaranti ritratti.
Sandra e Raimondo sono poi stati ineguagliabili nel mettere in scena il microcosmo casalingo-sentimentale, tipico della commedia teatrale, traendo spunti dalla cronaca, dalla vita di condominio, da incontri casuali. Battibecchi e piccoli malintesi animavano il ménage quotidiano, scandito dai brontolii di lui, dalle intemperanze civettuole di lei, dall’incrollabile verve di entrambi.
«Casa Vianello» è stato qualcosa di più di un sitcom, quasi un ritratto antropologico dell'interno/inferno familiare, un accurato ritratto borghese, «un modo di rappresentare un’Italia media, abbastanza eterna, piuttosto governativa, tradotta in un format » (come leggo in un ritaglio conservato a firma Edmondo Berselli).
Per ragioni anagrafiche il meglio di sé Sandra e Raimondo lo hanno dato alla Rai (si pensi a «Tante scuse») ma la loro vita di coppia e la coppia come idealtipo di una certa italianità (famiglia benestante, la «rosea» come bibbia quotidiana, lavoro e pensione, tali da garantire una bonne a tempo pieno) è esplosa a Mediaset, regnante Silvio Berlusconi. «Casa Vianello» è stata una delle poche seconde case a disposizione di tutti, una sorta di multiproprietà gratuita. Una location di impianto teatrale, tre locali più servizi, nessun tormento ma solo tormentoni tipo «Che noia che barba, che barba che noia».
Per molti anni Vianello è stato uno dei protagonisti di «Pressing», appuntamento settimanale dedicato al calcio. Nessuno come lui ha tentato di volgere al riso ogni contingenza, ha usato l’ironia come prezioso lenimento — un massaggio canforato per i troppi muscolosi pensieri che governano lo showbiz dello sport — ha cercato di far capire agli spettatori che il gioco del calcio è, prima di ogni altra cosa, un gioco.
Aldo Grasso
16 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it
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« Risposta #34 inserito:: Maggio 23, 2010, 05:25:58 pm » |
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Il commento Annozero, Santoro contro tutti Il monologo di Masaniello Se uno amasse davvero il Servizio pubblico dovrebbe cominciare ad astenersi dall’usare il Servizio pubblico per fatti personali, per regolare i propri conti con chi la pensa in maniera diversa, per ergersi a Sentinella Unica della Democrazia. E invece, ancora una volta, Michele Santoro ha aperto «Annozero» con un lunghissimo intervento dedicato alle sue vicende, al suo addio all’azienda. Un monologo di venti minuti contro tutti, scritto e recitato, lo sguardo allucinato rivolto alla telecamera, uno show militante, un delirio di onnipotenza che farà testo. Ci sono molti modi per dirsi addio, anche in campo professionale, alcuni più eleganti e discreti, altri meno. Santoro ha scelto il più clamoroso, usando persino espressioni che appartengono al gergo delle vecchie soubrette («il mio pubblico»). Ha alzato il dito contro Sergio Zavoli, contro la Commissione di vigilanza, contro i vertici Rai, contro i politici del Pd che non lo hanno sostenuto, contro i direttori di giornale che non gli hanno dedicato un martirologio. Nell’invettiva, si è chiesto a gran voce se deve ritenersi un giornalista scomodo per la Rai o una risorsa strategica per l’azienda. Si è anche dato una risposta. Nella foga ha persino detto che il suo programma «dev’essere considerato la perla del Servizio pubblico». Quello che non si è capito è se vuole veramente andarsene oppure restare: «L’accordo non è ancora stato firmato. Se voi pensate che "Annozero" sia un prodotto proibito, scabroso del Servizio pubblico, che non prevede quel tasso di libertà, di spregiudicatezza, di senso critico, allora lasciatemi andare via». Poi il coup de théâtre finale: «Volete che rimanga in Rai? Chiedetemelo». Più correttamente, avrebbe dovuto dire: rivolgetevi al mio agente Lucio Presta. Se Santoro lascia la Rai sarà una perdita: sa fare il suo mestiere, è una voce critica, non governativa, procura profitti all’azienda. Ma Santoro dovrebbe una buona volta smettere di credersi il Masaniello della tv, il solo tutore delle nostre coscienze e liberarsi di quella grossolanità ideologica che mette i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Col passare del tempo, questo suo vizio antico si è ingigantito e i cattivi sono diventati tutti gli altri e il buono (il generale Custer assediato dagli indiani) è rimasto solo lui, ipertrofico e autocompiaciuto. Un venditore ambulante di libertà. Certo con il suo pubblico, i suoi adepti, le sue tricoteuses. Aldo Grasso 21 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/politica/10_maggio_21/annozero_santoro_contro_tutti_il_monologo_di_masaniello_grasso_a69e60c6-649e-11df-ab62-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #35 inserito:: Giugno 20, 2010, 12:12:59 pm » |
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A fil di rete Il perfetto para-guru guida Uno Mattina «La sveglia delle 4.30 del mattino mi ha regalato un privilegio senza pari: il silenzio della preghiera. Anche la statua di Pasquino, che mi guarda dalla piazza omonima quando apro le finestre, mi saluta con la sobrietà che meritano i primi istanti dell'alba. La vita è una meraviglia e Dio è sempre più rock. Grazie a Uno Mattina». Sono queste le parole più sincere che Pierluigi Diaco abbia mai pronunciato in vita sua, anche se è difficile capacitarsi della sua presenza sul Foglio. Ringraziare Dio per aver finalmente coronato un suo sogno: condurre un programma su Raiuno. La storia di Diaco è la storia esemplare di una resistibile ascesa sociale nel demi-monde della tv romana, cominciata prestissimo con una raccolta devozionale degli interventi di Sandro Curzi (non è il solo danno combinato da quel vanitosone, pace all'anima sua) e proseguita poi con serrati corteggiamenti ai Veltroni e ai Fassino ma anche ai Belpietro, ai Costanzo, alle De Filippi. Il ritratto più riuscito di questo blando avventuriero del piccolo schermo lo si deve a Filippo Facci: «Pierluigi Diaco, professione giovane e dj, creativo, nientologo del tutto, tuttologo del niente». Assolutamente privo di ironia, corteggia spudoratamente la banalità e programma con pignoleria la sua carriera: cerca di entrare nelle grazie di chiunque detenga un potere senza mai dispiacere l'interlocutore, inondandolo anzi di melassa e di condiscendenze. Le doti principali di Diaco sembrano essere appunto l'adulazione e l'opportunismo: è di sinistra ma anche di destra (lavora per la radio «giovane» del ministro Giorgia Meloni), dice di amare le donne ma anche gli uomini, parla da orecchiante ma anche da cultore di idées reçues, espresse preferibilmente in un italiano incerto. È giovane ma anche vecchio. Non ha un pensiero, ma finge di averlo, come tutti i cosiddetti opinionisti tv, insomma è un perfetto para-guru. Il conduttore ideale di questa Rai. Aldo Grasso 18 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/spettacoli/10_giugno_18/para-guru-diaco-uno-mattina-grasso_8bc901a2-7a9c-11df-aa33-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #36 inserito:: Luglio 03, 2010, 04:15:53 pm » |
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A fil di rete Il congedo di Piroso narcisismo mediatico Annuncio tv a metà tra il bollettino della vittoria del generale Diaz e la lettera di Totò e Peppino Mi ero sintonizzato per tempo su La 7 per vedere il nuovo programma di Luisella Costamagna e Luca Telese "In onda," quando un minaccioso proclama (lettere bianche in campo nero) ha cominciato a scorrere, in apertura del tg. Era l’editoriale di commiato di Antonello Piroso. Mi perdonino la Costamagna e Telese, ma di fronte a un simile congedo ogni altro discorso passa in second’ordine. Diciamo subito che la formula scelta per salutare il pubblico dallo schivo Antonello ha alcuni precedenti storici: due su tutti. Il primo è il famoso bollettino della vittoria firmato Diaz: stesse parole scolpite nel marmo, stessi riferimenti agli spettatori catturati («Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni…»). Piroso parlava di audience, ma era la stessa cosa. Quanto al suo austriaco successore, Enrico Mentana è stato paragonato a Lady Gaga (Antonello, intanto, si ergeva a Madonna). Il secondo è la famosa lettera di Totò e Peppino alla malafemmina: mancava solo il riferimento alla moria delle vacche, ma quanto a parentesi, punti e punti e virgola l’estensore non ha badato a spese. Veramente ci sarebbe anche un terzo modello di riferimento: il proclama si concludeva con queste parole (a beneficio dei pochi che fin lì non avevano ancora capito): «Io sono Antonello Piroso». Che ricorda molto il finale del film Il processo di Kafka: «My name is Orson Welles». Se vogliamo ci sarebbe anche il finale con cui l’autore dell’Apocalisse suggella la propria visione: «Io, Giovanni, sono colui che ode e vede queste cose». Ora, una cosa è certa: questo congedo è ben poco significativo per la storia della tv (uno dei tanti exploit da prima donna), ma si offrirà come capitolo fondamentale per la storia del narcisismo mediatico. A volte, una lapide racconta molto più di un volto. Aldo Grasso 03 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/spettacoli/10_luglio_03/congedo-piroso-narcisismo-mediatico-grasso_03c55b50-8665-11df-8332-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #37 inserito:: Luglio 20, 2010, 10:18:31 am » |
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A fil di rete Se Giordano si mette in «Bikini» Come tuffarsi senza remore nell’indecenza. Che «Bikini» sia un settimanale di costume non ci sono dubbi (Italia 1, domenica, ore 21.40). Con quella sua aria da ex seminarista, Mario Giordano manifesta assoluta mancanza di pruderie, da «Lucignolo» in poi. Forse è questo il suo stile, il suo modo di coltivare la decenza: tuffarsi senza remore nell’indecenza. In realtà una remora c’è, risolta espressivamente con la riesumazione del Cinegiornale. C’è stato un tempo, ai primordi della tv, in cui i cinegiornali (Settimana Incom e Cinemondo), proiettati in tutti i cinema prima del film, hanno cambiato registro: figli del Luce, hanno dovuto abbandonare la pura informazione per passare a uno stile rotocalco, con ampi servizi dedicati ai pettegolezzi su personaggi dello spettacolo. La cosa incredibile è che Giordano ha conservato di quei cinegiornali l’umorismo un po’ oratoriale (allora, per ironizzare su un’attrice che mostrava con generosità le gambe, si dicevano frasi del tipo «in lei si ammira il paesaggio delle mute Ande»), un po’ da compagnuccio della parrocchietta. Di che si parla in «Bikini», il cinegiornale curato da Roberta Potasso? Di Fabrizio Corona, naturalmente, che avrebbe sbattuto fuori di casa la bella Belen. Di Mario Balotelli e dei suoi scherzi estivi a Milano con una scacciacani, dei tuffi in piscina nella sua villa di Amalfi di Michele Santoro, delle vacanze di Cristiano Ronaldo. C’era anche un servizio su Cristel Carrisi, la figlia di Albano e Romina. Un’intervista che metteva tenerezza, ambientata ovviamente a Cellino San Marco, nella tenuta paterna. Cristel ha un’aria smarrita, sembra uscita da una canzone dei suoi genitori, eternamente sospesa in un mondo creato da qualche modesto paroliere. Certo, vuole sfondare nel mondo dello spettacolo, ma qualcuno dovrebbe suggerirle che non è il caso di esporsi a queste languide interviste in cui si finisce sempre per recitare la parte della svampita. In bikini o senza. Aldo Grasso 20 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/spettacoli/10_luglio_20/grasso-fil-di-rete-giordano-bikini_35af19da-93bc-11df-8c86-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #38 inserito:: Agosto 02, 2010, 07:01:21 am » |
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A fil di rete In tv l'accumulo vince sul racconto «Una notte per Caruso» e il dialogo demenziale Saluzzi-Ward con cui è stato aperto il programma Siamo d'estate e i programmi non devono avere, e nemmeno mostrare, tante pretese. Specie se gli ascolti arrivano. In realtà, qualche pretesa artistica Una notte per Caruso pareva averla (Raiuno, venerdì, ore 21,20). A Sorrento, sul palco di Marina Grande, si sono esibiti molti artisti: Gigi D'Alessio, Chaka Khan, Ray Gelato, Simone Cristicchi, Noemi, Giulia Ottonello e Massimiliano Pironti, le sorelle Marinetti, l'acclamatissimo Kledi Kadiu, la prima ballerina Emanuela Bianchini, il primo ballerino dell'Opéra di Parigi Alessio Carbone, i sedici artisti della Compagnia Mvula Sungani, i campioni del gruppo di breakers Heroes Crew. Però bastava seguire il dialogo demenziale, in barca, con cui i due conduttori, Paola Saluzzi e Luca Ward hanno aperto il programma, per fuggire a gambe levate. Com'è possibile scrivere simili scempiaggini? È possibile, perché dalla nostra tv è sparita totalmente la nozione di racconto per essere sostituita da quella di accumulo. Una notte per Caruso è stato scritto da Alessandro Buccini, Duccio Forzano (regista), Andrea Lo Vecchio, Domini Soso, Mvula Sungani (coreografo). E proprio la presenza di Duccio Forzano ci aiuta a capire qualcosa. In realtà, Forzano non è un regista (non ha uno stile particolare che lo contraddistingua, non sa raccontare) è un bravo visualizer, un visualizzatore. Le sue regie, quelle di Fabio Fazio o di qualsiasi altro varietà, sono caratterizzate da alcuni effetti ottici di grande suggestione. Questi effetti hanno il compito di amalgamare il tutto (come la panna in cucina), l'esibizione di un cantante con un balletto ispirato alla Carmen di Bizet, il pianista Raphael Gualazzoni con Gigi D'Alessio. La serata non ha alcun sviluppo, procede per affastellamento (più è ricca la produzione, più ospiti si possono invitare), la Saluzzi e Ward leggono testi da arresto immediato, si aggrappano a ogni pretesto per evocare il fantasma Caruso. Aldo Grasso 01 agosto 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/spettacoli/10_agosto_01/grasso-accumulo-vince-contro-racconto_011154c6-9d3b-11df-afd5-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #39 inserito:: Ottobre 05, 2010, 12:33:49 pm » |
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A fil di rete Monsignor Ravasi e la cultura in tv Forse la Basilica di Santa Prassede in Roma ha fatto venire in mente a monsignor Ravasi donna Prassede dei Promessi sposi, libro inesausto da cui trarre una citazione sull'amicizia: «Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere a cui confidare un segreto»(cap XI). La nuova stagione di «Frontiere dello spirito», in onda dal 1988, si è aperta sotto il segno dell'amicizia. A causa dei numerosi impegni che lo gravano, monsignor Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, aveva lasciato intendere un suo possibile abbandono: le migliaia di lettere ricevute lo hanno fatto desistere, per ora (Canale 5, domenica, ore 8.50). Ma potrebbe mai la tv Italiana privarsi di monsignor Ravasi? La sua è una delle poche rubriche culturali esistenti, nel vero senso della parola. Perché, lo abbiamo ripetuto più volte, la sua esegesi della Parola è un viaggio attraverso le civiltà e le religioni; ogni passo biblico diventa un perpetuo interrogarsi, una scoperta vertiginosa, un limpido garbuglio (da Mondadori sta per uscire Questioni di fede). La lettura scelta era un passo del profeta Abacuc, una domanda del sofferente che chiede ragione a Dio dell'iniquità e della violenza del mondo, della continua prevaricazione dei cattivi sui giusti (il libro è stato scritto in ebraico 7 secoli prima di Cristo). Il Signore risponde dicendogli di preparare una tavoletta su cui segnare una scadenza: «Il giusto vivrà per la sua fede». La frase verrà poi ripresa da Paolo nella «Lettera ai Romani» (scritta in greco) a proposito della dottrina sulla fede. Passando dall'aramaico all'ebraico, dal greco al latino, monsignor Ravasi ci mostra come la religione abiti ancora le valli profonde del paesaggio della vita. «Le frontiere dello spirito» è curato da Maria Cecilia Sangiorgi, prodotto da Tiziana Colombo e diretto da Vittorio Riva. Aldo Grasso 05 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/spettacoli/10_ottobre_05/grasso_7be505de-d040-11df-9b01-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #40 inserito:: Novembre 02, 2010, 06:35:29 pm » |
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A fil di rete Capuozzo fa quello che la Rai dimentica Terra su terra. Un programma che si chiama «Terra!», settimanale del Tg5 a cura di Toni Capuozzo e Sandro Provvisionato, non poteva non occuparsi di «Terra madre», quella straordinaria manifestazione che si è svolta a Torino dal 21 al 25 ottobre e che ha riunito oltre 5.000 rappresentanti di comunità del cibo, cuochi, contadini provenienti da tutto il mondo e impegnati a promuovere una produzione alimentare locale, sostenibile, in equilibrio con il pianeta e rispettosa dei saperi tramandati di generazione in generazione. Vivessimo in un Paese normale, il Servizio pubblico dedicherebbe non un programma ma una rete intera a un evento così importante. E invece, salvo l'impegno di «Ambiente Italia», la Rai continua a confondere l'agricoltura con il turismo gastronomico e la cultura del cibo con Antonella Clerici. Roba da non crederci! Tocca all'impavido Toni Capuozzo, con il ritardo di una settimana per aver ceduto anche lui alla morbosità di Avetrana, occuparsi di agricoltura sostenibile e del futuro che attende l'umanità in campo agroalimentare. Capuozzo era in Niger a raccontare quel martoriato Paese, soprattutto il terribile dramma della mortalità infantile; Marco Corrias in Sardegna a descrivere i problemi dei pastori; Sabina Fedeli in Marocco e Anna Migotto in Israele a raccogliere le testimonianze di chi è tornato a coltivare la terra recuperando antiche tradizioni, Gaetano Savatteri a Pollica per ricordare Angelo Vassallo il sindaco ambientalista ucciso dalla criminalità organizzata. Provvisionato ha intervistato Carlo Petrini, il padre fondatore di Slow Food: «In tanti pensano che dietro Terra Madre ci sia chissà quale organizzazione, tutti rimangono stupiti da questa presenza incredibile. Ma quello che ci unisce è il valore dell'incontro... Abbiamo diversi colori della pelle, diverse religioni, credi e lingue. Ma siamo uniti nel rispetto della terra, nel rispetto dell'umanità che la abita». Aldo Grasso 02 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/spettacoli/10_novembre_02/grasso_9f1b6c3c-e648-11df-a903-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #41 inserito:: Novembre 03, 2010, 10:06:14 pm » |
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A fil di rete L’Eco di una domanda che non ha risposta Tour de force televisivo per Umberto Eco: domenica da Fabio Fazio, lunedì da Gad Lerner. Speriamo non sia agìto dalla «sindrome Vespa», quella sottile patologia che ti spinge a frequentare tutti i salotti televisivi, indistintamente, come l’ultimo dei venditori ambulanti. A occhio, direi che l’impegno è finito. A meno che... A meno che Il cimitero di Praga, il suo ultimo romanzo, non faccia parte di un complotto universale, quell’ossessione che da secoli ci accompagna e ci spinge a sostituire gli accidenti e le casualità della storia con un disegno, ovviamente malvagio e sempre occulto. Fabio Fazio altri non sarebbe che un chierichetto in mano ai gesuiti, quegli stessi gesuiti che hanno fatto affondare il Titanic perché da quell’incidente è stato loro possibile fondare la Federal Reserve Bank attraverso la mediazione dei cavalieri di Malta che essi controllano... Gad Lerner, manco a dirlo, sarebbe l’ultimo esponente del grande complotto giudaico massonico, pronto a far cadere il governo per... Si scherza su queste cose, ma neanche tanto, se si pensa che in giro ci sono dei cretini che giurano che la strage dell’11 settembre è stata provocata ad arte dagli americani stessi. Si scherza, ma neanche tanto, perché l’argomento principale del romanzo di Eco riguarda quel clamoroso falso che si chiama I protocolli dei savi di Sion, volume su cui si fonda l’antisemitismo moderno (da Hitler in poi), ancora oggi regolarmente stampato e venduto, specie nei Paesi islamici. La storia è piena di falsi, ma il tragico è che alcuni di questi falsi non producono solo letteratura alla Dan Brown; producono attentati, stragi, guerre ideologiche. Proprio per questo, sia da Fazio che da Lerner mi sarei aspettato questa domanda: Eco è il più importante e stimato autore della Bompiani, com’è possibile che questa casa editrice pubblichi i diari di Mussolini ritrovati da Marcello Dell’Utri ma ritenuti falsi da molti storici? di Aldo Grasso 03 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/spettacoli/10_novembre_03/grasso_eco_domanda_d18c8d30-e702-11df-a903-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #42 inserito:: Novembre 13, 2010, 10:21:43 pm » |
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Il commento Opportunismo in scena per cavalcare l'occasione Il ceto medio riflessivo ha il suo nuovo Michele Santoro. Si chiama Fabio Fazio. Confortato dal successo della prima puntata, rincuorato dalla reale difficoltà in cui si trova il premier, incoraggiato da Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre responsabile del programma (è capace di pensare la tv solo in termini ideologici, esattamente come Antonio Marano e Mauro Masi), Fazio ha deciso di invitare Gianfranco Fini e Pier Luigi Bersani alla prossima puntata di Vieni via con me. Staremo a vedere, ma il rischio che il programma prenda una connotazione tutta politica, tale da stravolgerne la natura, almeno così come ci era stato presentata, è forte. In un'atmosfera da martirio mediatico, ricordiamo ancora le parole di Roberto Saviano a proposito del suo desiderio di sfidare il mezzo televisivo, di confrontarsi con una nuova scrittura dove gli ospiti avrebbero dovuto funzionare da punteggiatura e i movimenti di scena da predicati verbali. Tutto finito, tutto sacrificato sull'altare dell'audience e sull'opportunità di cavalcare l'occasione. Forse insperata. Basta confrontare i commenti del giorno dopo la messa in onda del programma: erano tutti di carattere squisitamente politico, a ben pochi interessava la riuscita del programma. Saviano è stato efficace, si è davvero confrontato con una nuova scrittura? Benigni ha dato il meglio di sé? Certi duetti erano già andati in onda? Ma a chi importano queste bazzecole? Gli interventi di Saviano e di Benigni sono stati giudicati da un solo punto di vista: straordinari per i militanti di sinistra, penosi per quelli di destra. Quell'idea che, a caldo, avevamo avuto sulla prefigurazione del primo programma tv di un possibile governo di unità nazionale (ripresa poi da altri) non era dunque del tutto peregrina. Adesso, per aggirare l'ipocrita legge della Rai che vieta la presenza dei politici in certi programmi si risponde con un'altra ipocrisia: Vieni via con me è un programma di approfondimento culturale e non un varietà, esattamente come Che tempo che fa. A parte il fatto che ci sarebbe molto da discutere tra la promozione culturale (ogni opera presentata da Fazio è un capolavoro, mai sentita una qualsiasi obiezione) e cultura, resta il fatto che è imbarazzante vedere Don Abbondio vestire i panni di Don Rodrigo. Nessuno vuole censurare nessuno: vadano Fini, Bersani e tutti quelli che gli autori decideranno di invitare; del resto abbiamo una Rai così politicizzata e così pesantemente squilibrata che è difficile scorgere le pagliuzze negli occhi degli altri. Un solo favore: risparmiateci la manfrina del programma culturale e ripensate alla promessa del «nuovo» che Roberto Saviano avrebbe dovuto mostrarci. ALDO GRASSO 13 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/politica/10_novembre_13/grasso_oppotunismo_dacd7cfc-eef4-11df-979e-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #43 inserito:: Novembre 16, 2010, 05:36:30 pm » |
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Fini e Bersani da Fazio quell'Elenco dei Valori in Tv Tanti (forse Troppi) Dopo Sarkozy, la Gran Bretagna di Cameron: in Europa si diffonde la ricerca di nuovi indici per calcolare la felicità dei cittadini, parametri alternativi al Pil per misurare il grado di sviluppo e di soddisfacimento dei bisogni di una società. Non succede spesso di vedere il presidente della Camera e il segretario del Pd nell’insolita veste di portavalori. Eppure, nella vertigine della lista in cui li ha precipitati il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano, i due hanno accettato di andare in tv proprio nel giorno in cui i futuristi finiani hanno preso congedo dal governo. Ma prima dei valori c’è il disprezzo dei valori. Saviano ha messo in scena, con l'aiuto di Antonio Albanese, la leggenda delle tre organizzazioni criminali (mafia, 'ndrangheta, camorra), ha parlato dei loro irremovibili codici d'onore. Per descrivere l'oggi è risalito al racconto di Osso, Mastrosso e Carcagnosso i «padri fondatori» della mafia che ordinavano vendette sanguinose salutandosi nel nome dei santi. Ieri sera era molto didascalico, quasi da powerpoint, sembrava Alberto Angela che spiega le catacombe. Gli è sfuggita persino l'espressione «il mio pubblico». Ha radiografato la mafia del Nord (immaginiamo con quanta gioia Roberto Formigoni e il ministro leghista Maroni abbiano ascoltato l'orazione), l'ha descritta come un centro internazionale del narcotraffico, ha citato un po' a sproposito Gianfranco Miglio, ha fatto un appello alla «parte sana» dei calabresi. Saviano meglio dell'esordio, ma l'inchiesta che Roberto Iacona aveva fatto a settembre sullo stesso argomento era parsa più efficace. Questione di codici. Linguistici. Ma il clou della serata sono stati gli elenchi di Pier Luigi Bersani e di Gianfranco Fini, definiti rispettivamente «valori della sinistra» e «valori della destra». Senza un briciolo di espressività, Bersani ha fatto la lista dei classici luogocomunismi: lavoro, giustizia sociale, energia pulita. Un po' più vivace Fini: la destra è aver fiducia negli italiani, essere solidali e generosi, la destra è avere istituzioni politiche autorevoli, rispettate. La cosa che lascia perplessi è che ormai «destra» e «sinistra» sono vecchie e agonizzanti categorie storiche, da tempo inutilizzabili come categorie del pensiero. Parlare ancora di «valori di destra» o di «valori di sinistra» è una sorta di coazione karmica o, come direbbe Daria Bignardi, di pesantezza karmica. Ha ancora senso andare avanti con queste etichette? Siamo ancora al chi è lento e chi è rock? Il gusto della lista non deriva solo dal libro di Umberto Eco. Già ai tempi di Anima mia, Fazio lo ricercava con ardore. Solo che allora si trattava di cianfrusaglie nostalgiche, di oggettistica del cuore, di arredo sentimentale. Qui, signore e signori, si parla di valori. Nell'era rischiosa della convergenza. Aldo Grasso 16 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/politica/10_novembre_16/grasso-elenco-dei-valori_0aefc484-f14e-11df-8c4b-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #44 inserito:: Gennaio 22, 2011, 05:49:15 pm » |
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A fil di rete Quella vita parallela costruita a tavolino Temo che Alfonso Signorini si sia imbarcato in un gioco più grande di lui. In questi anni ha dimostrato di essere un gossipparo intelligente, un pungente osservatore di costume, un campione della tv gay oriented. Da un po' di tempo, ha deciso di lasciare la leggerezza per una pesantezza che è fuori dal suo registro: alla sventatezza ha preferito la militanza. Non rischia un clamoroso scivolone? Credo che la sua intervista a Karima El Mahroug, in arte Ruby Rubacuori, sarà a lungo studiata da chi è interessato al funzionamento dei media. Intanto perché era un corpo totalmente estraneo ai canoni di «Kalispéra» (viene annunciata nel corso del programma, con Teo Teocoli che si abbandona allo stupore, e dopo si vede che è una registrazione) e poi perché appartiene ai quei generi neotelevisivi - i people show, i talk, i reality - dove verità e finzione si mescolano statutariamente (Canale 5, mercoledì, ore 23). Senza entrare nel merito della vicenda processuale, l'intervista ha una sua struttura narrativa che dà la sensazione di un lavoro a tavolino per creare alla ragazza una nuova personalità, a cominciare dal cambio del nome: non più Ruby Rubacuori ma Karima, con la piena approvazione dell'intervistatore. E poi il dialogo si snoda secondo un tracciato narrativo, da sceneggiatura: l'idea della costruzione di una vita parallela (concetto molto moderno, forse al di sopra del bagaglio culturale di Ruby), l'infanzia tragica con la violenza degli zii («per sfuggire al tuo dolore hai cominciato a costruirti una vita parallela», ribadisce Signorini), il padre che la considera una «porta iella», il catechismo studiato di nascosto, la fuga da casa a soli 12 anni («Eri vecchia dentro», chiosa Signorini), i furti per necessità, l'insegnamento della madre, quella che aveva coperto la violenza familiare («puttane si nasce, non si diventa») e, come da copione, il nuovo amore, tal Luca Risso. Insomma, Signorini passa da Elena Santarelli a Karima Santarellina. Aldo Grasso 21 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/spettacoli/11_gennaio_21/grasso-signorini-ruby-karima_6d593cc6-2525-11e0-9e30-00144f02aabc.shtml
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