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Autore Discussione: Rinaldo Gianola. Un Paese malato  (Letto 2335 volte)
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« inserito:: Settembre 19, 2008, 05:50:00 pm »

Un Paese malato

Rinaldo Gianola


Questo è un Paese malato. Profondamente malato. La drammatica vicenda di Alitalia, arrivata alle battute finali, ne è la testimonianza più lampante. Non serve adesso ricercare la colpa di questo fallimento imprenditoriale, politico, sindacale e anche sociale. Lo scaricabarile offre titoli gustosi per i giornali, ma oggi non è utile. Perchè è evidente che la responsabilità di questa catastrofe è da suddividere tra molti.

Ma proprio nel momento in cui Alitalia, uno dei simboli del successo del Paese nella splendida stagione del dopoguerra, affonda, annaspa, con tutti i suoi dipendenti, i suoi aerei, i suoi azionisti, si fa fatica a comprendere l’applauso col quale ieri i piloti e gli assistenti a Fiumicino hanno accolto la notizia che la cordata Cai aveva ritirato l’offerta di acquisto. Un applauso liberatorio, forse, per quei lavoratori che devono aver ritenuto di aver scampato un pericolo. Ed è certo un sentimento possibile. E dopo cosa c’è? La nostra paura è che dietro la rottura della trattative tra sindacati e Cai ci sia il baratro del fallimento, della liquidazione, della perdita degli slot, dei voli bloccati, degli aerei senza gasolio. C’è, nei fatti, un paese fermo, in ginocchio. E noi cosa facciamo? Non lo sappiamo, siamo nelle mani di Berlusconi e delle sue “trovate”. Speriamo di nuovo nell’arrivo del messia straniero, il salvatore francese o tedesco che fino all’altro ieri abbiamo respinto come usurpatore? O magari l’amico Putin? La realtà è che siamo nei guai fino al collo e dall’estero ci guardano con quel sorriso storto che usano spesso, sospirando: «Ah, les italiens...».

È saltata l’offerta Cai, come pochi mesi fa era stata bocciata quella di Air France e, indietro negli anni, di Klm e ancora della stessa compagnia francese quando Alitalia poteva fondersi alla pari, proprio così: alla pari, con i nuovi colossi del volo. Invece niente, tutti a lavorare coerentemente per disperdere il patrimonio della compagnia. Manager e azionisti, ministri e classe politica, istituzioni locali e lobby imprenditoriali e, dispiace dirlo su questo giornale, anche i sindacati, tutti quanti, sono stati protagonisti, con diversi gradi di responsabilità, dell’opera di spoliazione di un’impresa italiana. È un teatro degli orrori che ci si para davanti: le confederazioni che si oppongono al piano di Air France e, certo inconsapevolmente, salgono sul carro di Berlusconi che vuole difendere l’italianità. I leghisti che puntano su Malpensa-capitale e intanto non riescono ad allargare l’autostrada di collegamento, il Veneto e Torino che, pure loro e perché no?, vorrebbero il loro scalo international, ovviamente. Vogliamo mettere la battaglia per l’aeroporto di Viterbo e anche Cuneo può finalmente collegarsi con Roma... E se tutti devono pagare per la crisi perché Cimoli sta a casa con 8 milioni di euro di liquidazione e i 3000 precari di Alitalia non possono aspirare nemmeno alla cassa integrazione? Siamo malati, siamo un paese malato e facciamo finta di niente, convinti di essere sempre i più furbi, quelli che comunque ce la caviamo. Lo siamo anche quando cerchiamo, registi Berlusconi e una banca sospettata di essere vicina al centro sinistra come Intesa SanPaolo, di metter assieme una cordata di imprenditori per difendere il tricolore. Ma possibile che non si riesca a creare un pool di imprese senza conflitto di interessi? No, non si può. Non ne siamo capaci. Bisogna metterci i Benetton che gestiscono Fiumicino e hanno ottenuto un sospetto aumento delle tariffe autostradali. E il costruttore Gavio, la signora Marcegaglia cosa ci fanno tra i potenziali compratori di Alitalia? Pure la famiglia Colaninno non ha passato momenti sereni: Roberto, il padre, a guidare le danze della Cai sperando di rinnovare la stagione di Telecom, e il figlio Matteo, parlamentare pd, a contestare la soluzione. Quando tutti portano lo stesso cognome è difficile distinguere cosa fa uno e cosa fa l’altro. Domani è un altro giorno. Non siamo sicuri che l’applauso di Fiumicino porterà un’alba radiosa per Alitalia. Anzi.

Pubblicato il: 19.09.08
Modificato il: 19.09.08 alle ore 8.08   
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