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Autore Discussione: Simona Vinci. ...in ricordo di Massimo Zaccarelli...  (Letto 2527 volte)
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« inserito:: Settembre 18, 2008, 03:49:40 pm »

Al party dei senza fissa dimora


Simona Vinci


Sulla targa del numero civico della Casa del Riposo Notturno Zaccarelli, in via del Lazzaretto - quartiere Lame, Bologna, poco lontano dai viali di circonvallazione che abbracciano il centro storico - manca un numero, così il 15 si è trasformato in 5, ma lo stesso non è possibile sbagliarsi: nel giardino che circonda la bassa palazzina a L dipinta di giallo pallido, ci sono tavoli apparecchiati e illuminati dalle fiaccole, e dall’impianto acustico approntato lungo il fianco dell’edificio, arrivano schitarrate e prove microfono.

Stasera, 16 settembre 2008, ho il privilegio di partecipare ad una festa speciale in ricordo di Massimo Zaccarelli, senza fissa dimora storico a Bologna, tra i fondatori del giornale di strada Piazza Grande, scomparso prematuramente per un infarto all’età di 35 anni e al quale è intitolata la struttura.
I partecipanti alla festa sono quelli che qui ci passano la notte, quelli che gravitano attorno ai servizi e alla cooperativa La strada, operatori e educatori, e qualche amico, come me. Per arrivare dal centro ci vogliono due autobus, meno di dieci fermate e un pezzo a piedi dopo i mastodontici uffici delle Poste Centrali. I dormitori adesso - nella smania di bonificare la lingua italiana e ripulirla con il politically correct - si chiamano quasi tutti Case di Riposo notturno, pillola addolcita per le orecchie dei cittadini comuni e anche dei cittadini che comuni lo sono un po’ meno - pure se a guardare le statistiche, quello dei senza fissa dimora è un popolo che aumenta esponenzialmente alla soglia di povertà che si abbassa.- Quelli che un tempo chiamavamo barboni, o senza tetto, per la stessa logica linguistica di cui sopra adesso sono senza fissa dimora e utenti dei servizi sociali. Alla Casa del Riposo Notturno Zaccarelli (uno dei cinque dormitori di Bologna, 64 posti di cui 6 riservati alle donne, media di permanenza dagli uno ai tre mesi in relazione al comportamento e al rapporto con i servizi sociali, 50% di presenze di stranieri, est-europei, nordafricani, eritrei e qualche sudamericano) non ci sono mai stata, così cammino lungo la strada e seguo quelli che mi precedono e che hanno tutta l’aria di andare proprio lì. Come faccio a riconoscerli? In effetti, quando non sta seduto per terra su un mucchio di cartoni e non fa colletta, come si fa a riconoscerlo, un senza fissa dimora? Dai vestiti che indossa o dalla faccia stropicciata? Certo che no, sarebbe troppo facile, chi vive per strada oggi molto spesso è un insospettabile, forse allora io li riconosco dal modo di camminare, che spesso è lento, come se ci fosse tutto il tempo del mondo per arrivare dove si deve andare. Quando hai già perso tutto, d’altra parte, cos’è che dovrebbe metterti fretta?

La cena di stasera si farà in giardino, una quindicina di tavoli apparecchiati, ciascuno con una bottiglia d’acqua, una di coca cola e una di fanta, e niente alcolici, of course. Quando arrivo c’è già parecchia gente seduta e altra continua ad arrivare alla spicciolata, ci sono giovani e meno giovani, uomini e donne; la maggior parte sono italiani, ma c’è anche qualche straniero, i musicisti stanno facendo le prove audio e già da queste si capisce che tra poco si scatenerà un bel putiferio. Molte delle persone che sono qui le conosco, sono i frequentatori abituali del centro diurno di Via del Porto, base logistica del laboratorio di informatica e il luogo fisico in cui è nata due anni fa l’idea di un Blog, Asfalto, - www.viadelporto.splinder.com - che raccogliesse le voci di quelli che per la strada ci vivono. C’è Massimiliano, il tutor del Laboratorio di Informatica, l’ideatore di Asfalto e responsabile della cooperativa di Servizi La Strada, c’è Andrej, Stefano «Bici», Joe, che tra poco canterà con la sua bellissima voce, e molti altri. Brindiamo ad acqua naturale e ci mettiamo in fila per la cena. A servire è Sergio - occhi azzurri e barba bianca biblica, originario di Venezia - che poi è anche quello che ha cucinato e si vede che ci tiene a mettere personalmente il cibo nei piatti, badando a farli belli pieni e ordinati. E’ da ieri che cucina: insalata di pasta tiepida con le verdure, roastbeef, stracotto e cipolle forno.

"A dire la verità," mi racconta, "io sono specializzato nella cucina di pesce, sarde in saor, risotto alla pescatora, spaghetti allo scoglio…ma stasera va così." E va alla grande: lo stracotto si scioglie in bocca da quanto è tenero e le cipolle sono caramellate alla perfezione: era dal pranzo di Natale che non mangiavo così tanto e così bene. L’amica che ho portato con me si abbuffa e sorride, c’è una bella atmosfera qui, altro che ristorante. La gente ti guarda dritto negli occhi e sgama subito di che pasta sei fatto. Chi vive in condizioni di disagio e conosce la vita di strada, acuisce tutti i sensi, spesso è diffidente, ma capace di inquadrarti in una frazione di secondo; se passi l’esame diventi uno di famiglia e chissenefrega della tua provenienza sociale e dei tuoi titoli di studio. A Bologna, città ospitale e accogliente per definizione, le cose adesso vanno come in tutte le città italiane, di questi tempi in cui si pesta duro sul tasto dell’insicurezza urbana e del degrado cavalcando il malcontento popolare. Certo la città in questi ultimi anni è molto cambiata, ed è evidente che fa fatica ad assorbire le novità: ci sono tantissimi extracomunitari, i cittadini si lamentano e hanno più paura di prima ad andare in giro per le strade, soprattutto di sera.

Questo problema è sentito anche «dall’altra parte della strada», da quelli che si sentono chiamati in causa direttamente, ovvero i senza fissa dimora, che proprio per questo hanno deciso di chiamarsi a raccolta e cominciare nei prossimi mesi una riflessione sul problema dal loro punto di vista. Ma stasera è sera di festa, e si canta e si chiacchiera a lume di candela. All’entrata del dormitorio c’è un signore di mezza età, distinto, vestito bene, con gli occhiali da vista e un mezzo toscano spento tra le dita, legge un libro mentre la gente entra ed esce e la musica si riversa sopra le nostre teste. Si chiama Salvatore e ha voglia di raccontarsi, ma io non sono brava a fare le domande, forse perché sono timida, o forse semplicemente perché ho rispetto delle difficoltà di queste persone e so che ci vuole tempo e fiducia reciproca per ascoltare davvero le loro storie. Storie diverse, ma che si concludono tutte allo stesso modo: la solitudine, la perdita di un lavoro, della famiglia, e la vita di strada, la difficoltà ad immaginarsi un futuro. Ci sono quelli che hanno trascorsi - e spesso un presente - di alcolismo e tossicodipendenze varie, ma anche quelli a cui la vita ha riservato colpi gobbi e improvvisi e che si ritrovano da un giorno all’altro senza la possibilità, o l’energia, di rimettersi a correre come correvano prima. Poi il tempo passa e il ritardo aumenta: il treno sul quale dovevi saltare ormai è troppo lontano, neanche lo vedi più all’orizzonte, e allora c’è bisogno di qualcuno che ti aiuti, con un tetto e un pasto caldo prima, e la capacità di farti avere di nuovo fiducia in una seconda possibilità, dopo. Non è mica facile, oggi che, come scherza Stefano, in fondo siamo tutti dei «senza fissa dimora in affitto». Viviamo giocoforza al di sopra delle nostre reali possibilità, con il leasing per la macchina, le rate della cucina, le bollette che si portano via metà di uno stipendio quasi mai troppo sicuro… «molti non lo sanno, ma è questo che sono». Mentre i musicisti si alternano agli strumenti e imbastiscono jam session, ci addentriamo nella struttura con il passo incerto di chi non sa bene se quello che sta facendo è legittimo oppure no, ma dentro, tutti ci sorridono e nessuno sembra provare il minimo fastidio.

All’ingresso, c’è la guardiola dove si alternano gli operatori, una bacheca piena di foglietti vergati a mano, poesie, appelli, massime spirituali e fotografie appuntate. Sulla destra, una libreria dipinta di giallo carica di volumi di ogni genere: saggi, romanzi, fumetti, e ancora, dappertutto, le foto di quelli che sono passati di qui. C’è anche un asse da stiro in bella vista, non sia mai che si esca tutti stropicciati. Passando davanti a uno dei bagni, intravedo un signore di mezza età che si fa la barba davanti allo specchio, con cura. Altri si lavano i denti e si mettono il pigiama, altri ancora già sono andati a dormire. Si respira un’aria di famiglia, tranquilla, quasi serena. Nelle stanze, per discrezione non ci entriamo. Allunghiamo il collo dentro la sala tv dove tre o quattro persone stanno guardando un film con Robert Redford. Diamo un’occhiata a una camerata i cui ospiti ancora non sono arrivati: cinque letti, ciascuno con la sua copertina, le ciabatte affiancate sotto il comodino, qualche libro, una fila di calzini neri stesi ad asciugare. È tutto in ordine, pulito, dignitoso. Massimiliano mi racconta che d’estate questo posto è un forno e gli ospiti preferiscono non tornarci affatto, così nei mesi estivi la struttura si svuota. «Certo - azzardo - se si potesse utilizzare il giardino e dormire fuori, visto che il posto c’è, almeno ci sarebbero i bagni a disposizione e comunque una posto protetto…». Si mettono tutti a ridere, «Figurati, è una questione di decoro! Te lo immagini se un cittadino portando a spasso il cane vedesse file di persone che dormono sulle brandine all’aperto!». Mi figuro la scena e sinceramente non riesco a vederci niente di indecoroso, mi vengono in mente le città dell’Africa del Nord, dove quando fa caldo la gente dorme per strada, o sui tetti: una città addormentata, i corpi stesi al fresco dell’aria notturna, il suono dolce di centinaia di migliaia di respiri profondi uniti dai sogni che aleggiano sopra di loro. «Così - dico - finisce che quella gente poi gli dorme sotto il portone di casa, al nostro pudico cittadino comune, e non avendo a disposizione un bagno, piscia contro il muro al primo angolo che trova». Fa fresco adesso, e molti ospiti si ritirano nelle loro stanze, sono quasi le undici e domattina alle otto i letti vanno lasciati liberi, meglio farsi una bella notte di sonno, prima di ricominciare la faticosa trafila del senza fissa dimora/senza tetto. Auguriamo la buona notte e ce ne andiamo anche noi verso la nostra casa, il nostro letto, la nostra vita in-sicura di senza fissa dimora in affitto, ché non si può mai sapere cosa ci succederà domani.

© copyright Simona Vinci 2008

Published by Arrangement with Roberto Santachiara literary Agency



Pubblicato il: 18.09.08
Modificato il: 18.09.08 alle ore 8.51   
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