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Autore Discussione: GIOVANNA ZUCCONI Il rossetto al potere  (Letto 2529 volte)
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« inserito:: Settembre 18, 2008, 11:12:43 am »

18/9/2008 - LA CAMPAGNA DELLA PALIN
 
Il rossetto al potere
 
 
 
 
 
GIOVANNA ZUCCONI
 
In America le sostenitrici della vicecandidata repubblicana Sarah Palin la acclamano sollevando il rossetto. Uno, cento, mille rossetti. Le fotografie dell’ultima adunata a favore della soave signora, nel Colorado, mostrano schiere di donne sorridenti e grintose che brandiscono i loro lipsticks vermigli, come neanche nella pubblicità di una linea di prodotti di bellezza. Il rossetto è quindi elevato a simbolo: ma di che cosa? Un simbolo di femminilità o un simbolo fallico, sia pure miniaturizzato? O un simbolo di femminilità fallica, come meglio si addice all’aggressività della diva Palin?

Ovviamente c’è, nel gesto delle «lipstick girls», un sarcastico omaggio a colui che ha fornito armi polemiche allo schieramento pro-Palin, ovvero al candidato democratico Barack Obama con la sua infelice uscita sul «maiale che se si mette il rossetto è sempre un maiale», che ha scatenato accuse di sessismo e fatto inviperire donne di ogni ideologia. E c’è, altrettanto ovviamente, un omaggio a Sarah medesima quando rivendicò di essere, bontà sua, «un pitbull con il rossetto».

Ma ogni simbolo che si rispetti non si lascia racchiudere nell’attualità, e racconta una storia più complessa. Diciamo che è, il rossetto, a portata di mano e di borsetta: a portata di tutte, delle pin-up e delle femmine in carriera così come delle donne anonime e tradizionaliste che hanno trovato nella Palin la loro nuova paladina. È meno sdolcinato, e più salutista, dell’accendino da innalzare davanti ad altre star, quelle del rock. È meno faticoso dell’antico simbolo triangolare del femminismo, che costringeva ad alzare non un braccio ma due. E, soprattutto, lo ribalta. L’orgoglio non è più quello della differenza, dell’emancipazione. È quello dell’oggetto sessuale fiero di esserlo, di esprimersi attraverso la coloritura della seduzione: ma non della sottomissione, se perfino una femminista storica come Camille Paglia si è pronunciata per la Palin. Nell’era delle identità brandite come armi politiche, le questioni sembrano semplificarsi e invece sono complicate: Sarah Palin è più donna o più cacciatore? Più labbra o più fucile? Più emancipata o più repubblicana? Più massaia o più vicepresidentessa? Più antipolitica o più tele-politicante?

Il lancio di molti prodotti prevede, la pubblicità lo dimostra, una perenne spruzzatina di eros. Nel mercato della politica mondiale, il lancio del nuovo brand «Sarah Palin» avviene grazie a una miscela efficace: il femminile esasperato (rossetto, tacchi alti, chioma spumosa, plurimaternità esibita) più una muscolarità viriloide (il suo sport preferito è «sparare ai lupi dall’aeroplano»). La femmina cromata, mascelluta, aggressiva, vincente è, evidentemente, un topos erotico e dunque, ormai, politico (Palin è una Santanchè dell’Alaska, ma anche una Gelmini ancora più nordista). Di una politica sempre più affine alle pulsioni primarie, all’etologia, come i curiosi continui rimandi agli animali (barracuda, pitbull, maiali) sembrano dimostrare. L’etologo Desmond Morris ha scritto pagine illuminanti sul significato simbolico delle labbra, e dei rossetti. Con il suo piglio, madame Palin ha aggiunto un nuovo capoverso. Restituendo alla campagna, alla periferia, al popolo, persino quel rossetto che significava ormai riviste patinate, Sex and the City, femmine urbane nevrotiche, glamour. Grazie a lei, adesso il rossetto è di destra. Ma allora, il burro di cacao sarà di sinistra? Norberto Bobbio e Giorgio Gaber non possono più rispondere, ci toccherà arrangiarci da sole.

 
da lastampa.it
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