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Autore Discussione: MASSIMO FRANCO  (Letto 192774 volte)
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« Risposta #255 inserito:: Maggio 15, 2014, 10:36:55 am »

Grillo cerca voti alzando il tiro contro tutto e tutti
L’obiettivo di un bipolarismo con Renzi per terremotare il sistema
   
Di Massimo Franco

La presenza in contemporanea di Matteo Renzi e di Beppe Grillo ieri a Milano ha confermato che la sfida alle europee del 25 maggio si gioca soprattutto tra Pd di governo e Movimento 5 Stelle antisistema. Colpisce una battuta dei seguaci di Silvio Berlusconi, tesa a dipingere il presidente del Consiglio e il suo avversario come «due esibizionisti». È come se ammettessero implicitamente che il leader di FI ha un ruolo secondario, sul palcoscenico: nonostante le rivelazioni dell’ex segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, sulla crisi del governo del Cavaliere nel 2011, permettano al centrodestra di rilanciare la tesi del complotto europeo contro il loro leader; e di mettere in ombra il fallimento della politica economica di allora.

In queste ore il terreno di scontro è l’Expo 2015, che Grillo vuole trasformare in un altro pezzo della sua campagna elettorale sulla scia della bufera giudiziaria al vertice. Ma anche Renzi tenta di utilizzarla per rimarcare il profilo di uomo di governo, a costo di perdere qualche punto percentuale. L’impostazione è agli antipodi. Il M5S chiede la chiusura dell’Expo, presentata come «una grande abbuffata». Il premier la puntella e la rilancia come un’occasione storica per Milano e l’Italia. «Ci sono in ballo migliaia di posti di lavoro. Si fermano i ladri», dice, «non si fermano i lavori». L’aspetto più vistoso, tuttavia, è la virulenza con la quale Grillo attacca quello che chiama «il bamboccio» di Palazzo Chigi.

Lo accomuna alla «salma» Berlusconi, ritagliandosi il ruolo di castiga tutti. La sua strategia tende a trasformare il voto europeo in un referendum non tanto pro o contro l’Ue e la moneta unica, ma contro un sistema politico e istituzionale al quale si contrappone come unico nemico. I suoi bersagli sono indifferentemente Palazzo Chigi, Quirinale, FI, l’Europa, i giornalisti «fascisti» perché non scriverebbero che «Renzi racconta frottole».

Eppure, l’accusa di essere una sorta di dittatore in erba deve averlo un po’ colpito. Giustifica infatti la decisione di andare in tv con l’esigenza di spiegarsi e smentire questa immagine. Picchia più duro sul premier solo perché sa bene che a impedire il primato del grillismo è il Pd. Appare poco verosimile che pensi davvero di emergere come partito più votato. Le minacce volgari che indirizza al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, non sono certo fatte per costringerlo a conferirgli l’incarico di formare il governo in caso di vittoria: sono solo parte di un’operazione di delegittimazione di tutto e di tutti.

Come Berlusconi cerca di costruire il mito della rimonta per risalire la china dei sondaggi, così il capo dei «Cinque Stelle» evoca la grande spallata per mobilitare l’elettorato più arrabbiato e tentato dall’astensionismo. In realtà, lo scarto rispetto alla maggiore forza di sinistra rimarrebbe piuttosto alto. Ma l’obiettivo è quello di dare corpo a un bipolarismo Pd-M5S. Grillo vuole almeno confermare il risultato delle politiche del 2013, e da qui costruire la piattaforma per le prossime elezioni. È un progetto che punta alla distruzione di quanto esiste, e confida nella rabbia e nello scontento. Non si capisce, però, che cosa farebbe dopo: se non aggiungere macerie a macerie.

14 maggio 2014 | 07:57
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_14/grillo-cerca-voti-alzando-tiro-contro-tutto-tutti-9514d9fe-db26-11e3-998e-bb303caaf6c1.shtml
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« Risposta #256 inserito:: Maggio 24, 2014, 06:15:36 pm »

La Nota

Al di là dei proclami tutti i partiti temono il non voto
Berlusconi già pensa al dopo elezioni e non esclude le larghe intese

Di Massimo Franco

Si comincia a capire meglio la ragione per la quale Silvio Berlusconi è arrivato a paragonare Beppe Grillo al dittatore nazista Adolf Hitler. «Di fronte al pericolo di un regime autoritario», ha detto ieri l’ex premier, «qualsiasi ipotesi alternativa va perseguita». Traduzione verosimile: non esclude un governo di larghe intese col Pd di Matteo Renzi dopo le elezioni europee. Dette alla vigilia di un voto che potrebbe far scivolare la sua Forza Italia al terzo posto, sono parole che segnalano un certo grado di preoccupazione, se non di disperazione. E potrebbero offrire al Movimento 5 Stelle un ulteriore pretesto per accreditarsi come unica opposizione rispetto a quello che Grillo dipinge come un patto tra Pd e Forza Italia.

È il segno che mentre i partiti si combattono negli ultimi giorni di campagna elettorale, in realtà già guardano al dopo. Ha colpito la disponibilità dei vertici grillini, a cominciare da Gianroberto Casaleggio, a diventare ministro in caso di vittoria: un’ammissione sfuggita in un’intervista al Fatto, e poi ridimensionata. E ieri Berlusconi ha ventilato un ritorno al governo: prospettiva, in realtà, poco verosimile. Pensare che Renzi possa allearsi con FI contraddirebbe quanto è stato detto finora dal presidente del Consiglio. L’unica possibilità è che avvenga dopo elezioni politiche anticipate; e in una situazione parlamentare bloccata.

Ma prima bisognerebbe trovare un compromesso sulla riforma del sistema elettorale, in alto mare nonostante le assicurazioni del governo; e subordinato ai rapporti di forza che emergeranno dalle Europee. L’incertezza sul voto del 25 maggio è vistosa: tanto che lo spread, la differenza tra il rendimento dei titoli di Stato italiani e tedeschi, ieri era risalito fino a 200 punti. Ed ha fatto dire al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che «c’è un elemento di nervosismo sui mercati legato alle attese dei risultati elettorali»: non solo in Italia ma nell’intera Europa. A fine giornata, lo spread è tornato a 178.

Con premesse del genere, tuttavia, non ci si può non chiedere che cosa accadrebbe a livello finanziario se i movimenti populisti uscissero rafforzati dalle urne. Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, dalla Svizzera chiede di «guardare con fiducia al nostro Paese»: nonostante i toni virulenti dei partiti. Renzi si mostra sicuro di ottenere «un ottimo risultato». Il Pd è convinto di riemergere come la prima forza, e di superare il 30 per cento. Ma il premier, deciso a separare le sorti del governo dal voto europeo, anticipa che non si dimetterà nemmeno se il risultato sarà più deludente.

Uno dei suoi vice, Debora Serracchiani, sostiene che «la soglia minima per il Pd è superare il 26 per cento scarso» delle Europee di cinque anni fa: un gioco al ribasso, che serve a esaltare un risultato migliore considerato a portata di mano. L’impressione è che la cautela, riscontrabile anche nella cerchia di Grillo, nasca dalla difficoltà di misurare lo scontento. Potrebbe tradursi in voti di protesta, ma anche in un’alta percentuale di astensioni. E questo rende ogni previsione impervia. Le oscillazioni marcate che si notano tra un sondaggio e l’altro rispecchiano una volatilità inafferrabile con i metodi di rilevazione tradizionali.

23 maggio 2014 | 09:48
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_maggio_23/al-la-proclami-tutti-partiti-temono-non-voto-211ee4fc-e24e-11e3-ac6b-33bb804580af.shtml
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« Risposta #257 inserito:: Maggio 26, 2014, 06:19:32 pm »

Un credito personale

Di Massimo Franco

Sono state vissute come le elezioni di Beppe Grillo. Ma in realtà il Movimento 5 Stelle è stato superato, persino surclassato dal Pd di Matteo Renzi: a conferma che il grillismo è una gigantografia della crisi del sistema, non la sua soluzione. La realtà è che l’Italia preferisce la promessa di stabilità e di cambiamento di Renzi, per quanto ancora indefinita. E le dà fiducia, mentre una porzione di opinione pubblica oltre il 40 per cento si astiene, in attesa di un’offerta politica nuova.

I tre partiti principali riflettono una semplificazione apparente degli schieramenti. In realtà, nascondono un disorientamento che prelude a un’ulteriore evoluzione dei rapporti di forza: lo sfarinamento del centrodestra è vistoso. A Silvio Berlusconi, condannato e incandidabile, è rimasta una quota di elettorato intorno al 16 per cento. Grillo pensava di vincere trasformando le elezioni in un referendum su se stesso. Ha imposto la sua agenda, ma l’esito paradossale è stato di rafforzare un Pd per il quale le Europee erano un’autentica incognita.

Insomma, se il compito del presidente del Consiglio era di respingere l’onda antisistema di Grillo, in buona parte ci è riuscito. Anche se la marea eurofobica esiste, e le percentuali oscillanti sullo scarto di voti tra Pd e M5S, descritti alla vigilia come i probabili «due vincitori», l’hanno fatta apparire minacciosa per giorni. Il terrore di una spallata grillina, di quella che era stata definita strategia del vetriolo, dice molto. Sottolinea non la potenza della sua narrativa distruttiva ma la debolezza delle certezze avversarie. Il disastro dei partiti al governo in Europa, Germania esclusa, sottolinea ancora di più un’affermazione del Pd superiore alle previsioni.

Renzi affidava al voto europeo la legittimazione popolare che ancora gli manca per stare a Palazzo Chigi. Ebbene, seppure indirettamente, l’ha ricevuta. L’impressione è che il Pd sia stato premiato per una sorta di credito personale accordato al suo leader; e grazie anche alla paura di ceti moderati pronti a «turarsi il naso» e votare a sinistra per scongiurare il caos grillino. Il risultato garantisce la sopravvivenza al governo: un epilogo non scontato, perché il premier sa che il suo partito è disposto ad assecondarlo solo se si mostra vincente.

E Angelino Alfano è pronto a sostenere Renzi se gli garantisce uno spazio vitale che emancipi il Nuovo centrodestra dal berlusconismo: un’indicazione ancora incerta a notte fonda. L’asse istituzionale tra Pd e FI, comunque, dovrebbe reggere: se non altro perché il centrodestra adesso teme ancora di più le elezioni anticipate. Bisogna solo capire a quali condizioni, visti i nuovi equilibri di potere.

Si conferma l’anomalia italiana. Ma stavolta consegna all’Europa un bipolarismo sbilanciato Renzi-Grillo, che rispetto ad altre nazioni premia la voglia di stabilità. Sciupare questa occasione significherebbe non voler capire il messaggio dell’elettorato.

26 maggio 2014 | 06:38
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_maggio_26/credito-personale-massimo-franco-4732a136-e48f-11e3-8e3e-8f5de4ddd12f.shtml
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« Risposta #258 inserito:: Maggio 28, 2014, 11:57:32 am »

La Nota
Un centrodestra diviso si scopre ostaggio della sinistra renziana
Dopo il berlusconismo serviranno anni per ricostruire il fronte moderato

di Massimo Franco

Beppe Grillo ha detto poche parole che volevano essere scherzose, da grande incassatore. Ma in realtà tradivano una delusione cocente per la sconfitta alle europee di domenica. E il centrodestra si scopre donatore di sangue e di voti a Matteo Renzi e all’astensionismo, senza riuscire a ritrovare neppure un barlume di unità. È un panorama inedito, quello offerto dagli avversari del Pd. Appaiono tutti frastornati: come se i risultati avessero di colpo presentato un conto salatissimo per gli errori commessi negli ultimi anni; e regalato un’affermazione imprevista e insperata a una sinistra finora incapace di vincere nettamente.

Un governo che non nascondeva il proprio affanno, adesso appare blindato. E l’insistenza con la quale FI e Nuovo centrodestra rivendicano il proprio ruolo essenziale per realizzare le riforme, dall’esterno e dentro la maggioranza, non riesce a cancellare una realtà cruda: che la coalizione oggi ha un perno quasi autosufficiente nel Pd renziano; e gli altri devono fare i conti con rapporti di forza stravolti dalle europee. Quando Silvio Berlusconi conferma «un’opposizione responsabile», certifica che l’asse istituzionale col premier reggerà. E negli avvertimenti di Angelino Alfano a Palazzo Chigi, si indovina il timore di essere schiacciato da un’alleanza squilibrata.

«Siamo il pilastro di centrodestra dell’esecutivo», dice Alfano. «Il governo deve tenerne conto». Ma è un pilastro ridimensionato. La narrativa su un’Italia di centrodestra incapace di tradurre il suo primato sul piano politico, non è mai stata così venata dallo sconforto. Berlusconi sostiene di voler ricompattare «i moderati». Eppure riesce difficile immaginare che FI, Ndc e una Lega in ripresa su una piattaforma antieuropea possano rimettersi insieme.

Il dramma degli avversari di Renzi è questo. Sono divisi, e non trovano ragioni per allearsi di nuovo. Anzi, gli scambi di accuse tra berlusconiani e Alfano, soprattutto, preludono ad una fase di tensioni crescenti. Il Nuovo centrodestra accusa Berlusconi di avere regalato un pezzo del voto moderato al Pd pur di colpire l’Ncd. E FI ironizza sulla soddisfazione di Alfano per un 4,4 per cento striminzito. Ma soprattutto, non spunta ancora una sola idea sul modo di riassorbire un astensionismo in larga parte attribuibile alla mancanza di un’offerta politica soddisfacente.

Forse perché è difficile rimettere in discussione non solo i contenitori ma le stesse nomenklature del centrodestra. «Potremo parlare di una rifondazione del campo dei moderati con FI quando avranno capito che il mondo è cambiato», è il messaggio duro di Alfano. Eppure, anche per l’Ncd non sarà facile rimanere alleato di Renzi e intanto preparare un progetto di alleanza alternativa. La verità è che dopo il voto di domenica, il premier ha a disposizione tutti gli strumenti per praticare un divide et impera tra gli avversari. Mentre per sgomberare le macerie di un berlusconismo tramontato e costruire qualcosa di nuovo occorreranno anni.

27 maggio 2014 | 08:36
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DA - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_27/centrodestra-diviso-si-scopre-ostaggio-sinistra-renziana-69d27288-e55d-11e3-8e3e-8f5de4ddd12f.shtml
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« Risposta #259 inserito:: Maggio 29, 2014, 11:05:53 pm »

La sfida del premier si sposta dall’Italia alle scelte europee
Un Cavaliere bifronte sceglie la Lega ma non affossa ancora le riforme

Di Massimo Franco

L’incognita è racchiusa nella fotografia del risultato elettorale scattata ieri da Romano Prodi a Milano. «Renzi ha forza e spazio», osserva l’ex presidente della Commissione europea. «Un solo partito col 40 per cento non si è mai visto. Il problema è se il Parlamento farà una politica convergente con il governo». La questione rinvia sia ai rapporti nella coalizione governativa, col Nuovo centrodestra preoccupato di appiattirsi su Palazzo Chigi, sia a quelli con Forza Italia, che almeno nell’immediato sembra optare per l’asse con la Lega Nord xenofoba, lasciando in sospeso l’asse istituzionale con Matteo Renzi. Silvio Berlusconi rimane leader, idem Beppe Grillo.

Significa che entrambi vogliono disperatamente recuperare i voti dell’astensione a spese del Pd e del premier. Ma in che modo? Per il Movimento 5 Stelle, il problema non si pone: nel senso che si tratta solo di continuare a scommettere su un disastro dell’Italia. Il resto, è il calcolo, arriverà da solo. Per FI il discorso è più complicato. I canali di comunicazione con l’Ncd di Angelino Alfano sono interrotti: lo conferma la scelta di ritornare all’antico sodalizio con un Carroccio più antieuropeo che mai.

Si dovrebbe dunque scommettere su un berlusconismo d’opposizione, dal profilo antirenziano. Ma non è scontato. Ritenere che Berlusconi si prepari a buttare a mare l’intesa col presidente del Consiglio non è verosimile. Né che Renzi, dopo avere ricevuto il mandato a proseguire, punti a fare saltare il tavolo dopo la fine del semestre di presidenza italiana dell’Europa per le resistenze che le riforme incontrano: tanto più senza che siano state approvate. Il riferimento è sia al sistema elettorale, sia al Senato. Significherebbe il fallimento delle sue ambizioni di cambiamento. Oltretutto, alleati come Scelta civica e Ncd sanno che col voto anticipato rischierebbero di sparire.

Per questo, l’impressione è che Renzi sia in grado di andare avanti contando su un appoggio parlamentare difficile da rifiutare. Lo stesso Berlusconi ammette di avere commesso un errore facendo qualche complimento al capo del governo. Ma sulle riforme «siamo responsabili». È probabile che non si riferisca soltanto a quelle già impostate. Su uno sfondo ravvicinato potrebbe spuntare la questione del nuovo presidente della Repubblica: un appuntamento che vedrebbe una naturale convergenza parlamentare tra Pd e FI contro l’M5S di Grillo. Il fatto che l’ex premier denunci «le casse vuote» di FI è una ragione in più per non volere le elezioni.

Sia perché è incandidabile, sia per le divisioni del centrodestra, Berlusconi ha bisogno di tempo. Punta a ricompattare il fronte moderato, «ma non ora e non con tutti». Così, Renzi ha davanti una prateria: soprattutto se sarà in grado di far pesare i voti del Pd al Parlamento europeo. In teoria, la posizione italiana è centrale: lo lascia capire lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Ma non è ancora chiaro come riuscirà a ottenere da Bruxelles maggiore flessibilità sulla spesa pubblica, per rilanciare l’economia. È quello continentale il fronte sul quale vuole vincere nelle prossime settimane. L’Italia, per adesso, lo preoccupa meno.

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29 maggio 2014 | 08:15

Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_29/sfida-premier-si-sposta-dall-italia-scelte-europee-e2163258-e6ec-11e3-891a-a65af8809a36.shtml
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« Risposta #260 inserito:: Giugno 05, 2014, 09:07:54 am »

La Nota

Esecutivo incalzato dagli scandali branditi dai 5 Stelle
Un tentativo strumentale anche in vista dei ballottaggi di domenica

Di Massimo Franco

Le inchieste giudiziarie a grappolo stanno diventando il principale appiglio che il Movimento 5 Stelle vuole usare per boicottare le cosiddette Grandi Opere e delegittimare la coalizione di governo. È il tentativo di rivincita di Beppe Grillo dopo la sconfitta alle europee di dieci giorni fa; o almeno di incrinare l’immagine vincente che il Pd di Matteo Renzi sta trasmettendo. Le indagini e gli arresti sul Mose veneziano (le «dighe» per proteggere la città dalle maree), si aggiungono a quelli sull’Expo di Milano. E l’M5S teorizza che il Treno ad Alta Velocità Torino-Lione possa essere il prossimo scandalo scoperto dalla magistratura. La linea del governo è di combattere la corruzione ma in parallelo realizzare i progetti già decisi. Quanto accade, però, può diventare un ostacolo.

Per quanto strumentale, il binomio larghe intese-malaffare è di facile presa. Viene usato per continuare a dipingere il sistema come marcio; e la coalizione di governo e l’asse tra Palazzo Chigi e Forza Italia come paraventi dietro i quali i partiti si dividono in modo inconfessabile appalti e fondi. L’operazione è rischiosa anche per Renzi: se non altro perché mettono in pessima luce sindaci e nomenklature locali alla vigilia dei ballottaggi di domenica in alcune città e regioni. Per ribattere agli attacchi di Grillo, la cerchia del premier tende a presentare gli scandali come figli del passato, non del nuovo corso.

Nella narrativa grillina, le inchieste sarebbero la controprova di complicità trasversali e mai recise. In quella governativa, sono invece controprove e conferme dell’esigenza di cambiare passo e classi dirigenti. È una parola d’ordine destinata a pesare sia sulle riforme istituzionali, ipotecate da resistenze diffuse e presenti nello stesso Pd; sia sui rapporti con Silvio Berlusconi, pressato da quanti dentro FI vorrebbero rapporti più conflittuali con il governo dopo la sconfitta del 25 maggio. C’è chi teorizza la necessità di «divincolarsi dalle catene» dell’asse con Renzi. E in questi distinguo si avverte l’eco della lotta per la leadership in atto tra i berlusconiani.

In realtà, è difficile prevedere strappi e rotture degli equilibri preelettorali. Per quanto forse i molti voti ricevuti alle europee abbiano irritato alleati e avversari, il presidente del Consiglio ed il governo sono più forti. E i margini di trattativa di FI si sono ridotti e sconsigliano colpi di testa. Anche perché con una crisi economica che l’Unione europea e i dati sulla disoccupazione giovanile ricordano impietosamente, la stabilità diventa una delle risorse in mano all’Italia per sperare nella crescita. Ieri Renzi è arrivato a Bruxelles per la riunione del G7, il gruppo dei Paesi più industrializzati, con alle spalle un risultato elettorale che in teoria dovrebbe offrirgli maggiore potere contrattuale e spazio di manovra.

Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ritiene che a questo punto siano «i cittadini europei» e non solo l’Italia a chiedere un cambio di politica all’Ue. Ma l’operazione comporta la conferma degli impegni presi da Renzi di fronte a una situazione finanziaria che rimane precaria e in bilico. «Il premier ci ha dato rassicurazioni», ha spiegato ieri il presidente uscente della Commissione, Josè Manuel Barroso. «È nell’interesse dell’Italia diventare più competitiva». Ma non può bastare. Per questo si aspettano le decisioni che prenderà oggi la Banca centrale europea per scacciare una deflazione che frena la ripresa. E per questo oggi fa paura più dell’inflazione.

5 giugno 2014 | 07:47
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_giugno_05/esecutivo-incalzato-scandali-branditi-5-stelle-3f4b770a-ec72-11e3-9d13-7cdece27bf31.shtml
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« Risposta #261 inserito:: Giugno 10, 2014, 11:00:54 am »

Il BALLOTTAGGIO DELLE AMMINISTRATIVE
Gli umori variabili

Di MASSIMO FRANCO

Erano elezioni osservate almeno con curiosità. Dovevano dire quanto l’effetto Renzi delle Europee di due settimane fa sarebbe stato confermato; e se le inchieste giudiziarie a Venezia avrebbero pesato sul voto per i ballottaggi in 148 Comuni italiani. Il crollo della partecipazione è una parziale risposta alla seconda domanda: sebbene non si capisca se abbia potuto più l’attrazione del sole o la repulsione della politica. Ma l’astensionismo schizzato in alto rispetto a due settimane fa è un responso sconfortante. Dà il senso di elezioni nelle quali la mobilitazione del passato per scegliere il sindaco è un ricordo sbiadito. I «primi cittadini» sono sempre più figli di minoranze.

Si delinea una democrazia diretta dimezzata da un’affluenza che è stata inferiore al 50 per cento. Riguarda un elettorato deciso a far contare i propri orientamenti su uno sfondo di delusione e di sfiducia, e dunque ancora più ammirevole. Il segnale mandato dai circa quattro milioni e mezzo di elettori di ieri, tuttavia, è sovrastato dalla sensazione di crisi del sistema. Racconta un’Italia stanca non solo di candidati più o meno competenti, ma di un potere giudicato con scetticismo crescente. D’altronde, i giorni scorsi sono stati sovrastati da notizie di mandati di cattura, e da tentativi maldestri di scaricabarile dei partiti.

La cifra rimane quella della voglia di cambiare. E il ricambio premia in alcune realtà il Movimento 5 Stelle, in altre il Pd, in altre ancora un centrodestra acefalo, in crisi ma tutt’altro che inesistente. Chi appare politicamente datato, fatica. Vengono premiati gli avversari perfino quando si presentano con alleanze ambigue e irrituali, come quelle tra i candidati di Beppe Grillo e settori del mondo moderato ostile alla sinistra. Insomma, il quadro che emerge è più sfaccettato di quello regalato di recente dalle urne europee. Ieri non c’è stata una replica della valanga renziana. Anzi, l’onda ha subìto una frenata: se non altro perché contavano soprattutto fattori locali.

La battaglia all’ultimo voto a Bergamo, risolta con la vittoria del Pd, o il successo dei grillini in un bastione rosso per settant’anni come Livorno, sono indizi di un Paese che sta cercando nuovi equilibri; e che comincia a sperimentarli votando, o astenendosi, nelle città. La corruzione pesa, e peserà ulteriormente senza una risposta forte della politica. Accentuerà la fuga verso la protesta, e aumenterà il numero delle persone che si rifiutano di andare alle urne perché non trovano più una buona ragione per farlo. Livelli di non partecipazione di questa portata non sono fisiologici. Mostrano una democrazia in affanno non solo per gli scandali veneziani o milanesi, ma per l’incapacità di ritrovare un baricentro stabile.

9 giugno 2014 | 07:48
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DA - http://www.corriere.it/editoriali/14_giugno_09/gli-umori-variabili-380e6de8-ef93-11e3-85b0-60cbb1cdb75e.shtml
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« Risposta #262 inserito:: Giugno 14, 2014, 10:39:42 pm »

La Nota

Una resa dei conti che rischia di acuire le tensioni nel Pd
Renzi forte del successo alle Europee ma i malumori restano

Di Massimo Franco

Il metodo appare discutibile e presta il fianco all’accusa di autoritarismo, per quanto strumentale. Mischiare ruolo del governo e del Parlamento genera confusione e malumori. E contrapporre «dodici milioni di voti a tredici senatori» suona un po’ troppo enfatico: anche perché non è accertato che le riforme istituzionali siano la ragione per la quale il Pd ha ricevuto tanti consensi alle Europee (non alle Politiche) di fine maggio. Sulla sostanza, però, è difficile dare torto al governo quando decide di andare avanti, rifiutando di essere bloccato dai veti di un pugno di dissidenti. «Non ho preso il 41 per cento dei voti per lasciare il futuro del Paese a Corradino Mineo», ha detto ieri Matteo Renzi, riferito al capofila della protesta, sostituito in commissione dopo ripetuti avvertimenti. «Il partito non è un taxi».

A ruota i vertici del Pd hanno invitato a non rallentare le decisioni «per motivi personali», come hanno detto i vicesegretari Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini. Insomma, il ritorno del presidente del Consiglio dal viaggio in Asia significherà il pugno duro contro gli oppositori interni. Né cambia molto il quadro nell’eventualità che siano più degli attuali. Tuttavia, l’idea che il partito sia agitato da una tempesta in un bicchiere d’acqua, secondo le parole iniziali di Renzi, non convince fino in fondo. E non perché un altro dei «ribelli», Vannino Chiti, esponente di peso, intraveda una sorta di deriva autoritaria. Il sospetto è che dietro la filiera dei senatori usciti allo scoperto esista un fronte più esteso, sebbene silenzioso.

Probabilmente non mette a rischio l’approvazione della riforma, perché il Pd può contare sull’appoggio del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano: un aiuto che invece l’asse istituzionale tra Renzi a Silvio Berlusconi non garantisce sulla riforma del Senato. Ma questo può condizionarne la stesura, sottolineando una volta di più l’impossibilità di Palazzo Chigi di contare su un gruppo parlamentare docile. Proietta ombre su altre leggi, a partire da quella sul nuovo sistema elettorale. E peggiora inutilmente i rapporti interni, accentuando il dualismo tra il Pd-partito e la sua rappresentanza alle Camere.

Sotto voce, ci si chiede se uno scontro esasperato come quello delle ultime ore non nasca da un certo difetto di esperienza e di capacità di mediazione. Nella cerchia del premier si ascoltano critiche sotto voce anche nei confronti del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, alla quale si imputa una certa durezza con alcuni senatori del Pd. Responsabilità individuali a parte, di nuovo, nonostante la vittoria del 25 maggio e quella più sfaccettata dei ballottaggi di domenica scorsa, la principale forza di governo trasmette segnali di nervosismo. Renzi rimane molto forte: ha il 68 per cento dei voti in Direzione.

La riunione di domani potrebbe chiudersi, dunque, con una gestione unitaria destinata ad assorbire ciò che resta dell’opposizione. Le convulsioni al Senato e lo scivolone dell’altro giorno alla Camera sulla responsabilità civile dei magistrati, col governo battuto anche grazie ai franchi tiratori del Pd, non vanno però sottovalutati. Forza Italia, Lega e Movimento 5 Stelle ironizzano su quanto accade. Attaccano il premier anche per il ritorno del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, indagato nell’inchiesta sul Mose e di nuovo al suo posto dopo avere patteggiato una pena di quattro mesi: una contraddizione, è l’obiezione, rispetto alla linea renziana della «tolleranza zero» sui casi di corruzione.

13 giugno 2014 | 08:21
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_giugno_13/resa-conti-che-rischia-acuire-tensioni-pd-707093a6-f2c1-11e3-9109-f9f25fcc02f9.shtml
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« Risposta #263 inserito:: Giugno 14, 2014, 10:45:55 pm »

Partito in subbuglio
La vera offensiva è quella del leader
I 14 senatori autosospesi accusano ma Renzi chiude tutti gli spazi

Di Massimo Franco

Il quotidiano del Pd, Europa, teme che la vicenda del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, inaugurerà un «tutti contro tutti» nel partito. Le sue dimissioni a sorpresa, ufficializzate ieri mattina, non chiudono del tutto il caso. L’ormai ex «primo cittadino» che ha patteggiato quattro mesi di pena con i magistrati ha già cominciato ad accusare il partito che lo aveva fatto eleggere. E questo lascia indovinare che la determinazione a esorcizzare in fretta tutte le ombre incontrerà più di un ostacolo. Matteo Renzi vuole dimostrare che di fronte alla corruzione non si fanno eccezioni, e l’uscita di scena di Orsoni lo conferma.

Nel giorno in cui il Consiglio dei ministri assegna i poteri al supercommissario per l’Expo di Milano, Raffaele Cantone, il tentativo è di circoscrivere lo scandalo del Mose. Ma non sarà facile limitare i contraccolpi sul Pd. La coincidenza con le polemiche furiose sui quattordici senatori che si oppongono alla riforma voluta dal governo a Palazzo Madama, offre comunque l’immagine di un Partito democratico nervoso. È paradossale, dopo i successi elettorali inanellati nelle ultime settimane. Eppure, la principale forza della maggioranza si mostra divisa. Trasmette segnali di instabilità. E trasferisce la sua resa dei conti sulle istituzioni.

Renzi viene accusato addirittura dagli oppositori interni di compiere «prove di forza sulla Costituzione», come sostiene Giuseppe Civati: critiche che non sembrano adatte a ricucire i rapporti. D’altronde, dal versante del Senato arrivano segnali contraddittori. Da una parte, i quattordici «ribelli» assicurano che si troverà una mediazione. In parallelo, però, imputano a Renzi di adottare «il metodo Grillo» contro gli avversari: una miscela di anatemi ed espulsioni.

Qualcuno minaccia addirittura di uscire dal partito e formare un gruppo parlamentare autonomo, sebbene Vannino Chiti smentisca e prometta una battaglia tutta dentro il Pd. Il capogruppo Luigi Zanda ricorda come un monito il governo di Romano Prodi del 2006, finito dopo appena due anni per l’implosione della sinistra. Le sue parole suonano come un invito ai dissidenti, e forse anche al governo, a riprendere il dialogo. Anche perché la situazione è profondamente diversa da quella del 2006. La maggioranza di Renzi è forte e la minoranza sparuta. Le tensioni non sono nate da numeri risicati alle Camere, come allora.

Dipendono dal fatto che i gruppi parlamentari non rispondono compattamente al premier, essendo figli di un’altra epoca del Pd; che sulle riforme istituzionali esistono divergenze profonde a sinistra; e che una certa inesperienza di alcuni ministri provoca un cortocircuito non sempre riparabile in tempi brevi. L’aspetto singolare è che questo psicodramma si consuma proprio mentre il partito si prepara a sancire una gestione unitaria.
La Direzione convocata per oggi dovrebbe superare la divisione tra renziani e non, che ha moltiplicato incomprensioni e diffidenze. Ma già ieri Renzi ha rivendicato il diritto a sostituire nelle commissioni chi usa il proprio voto per affossare un progetto voluto dal suo stesso partito. «Non mi rassegno», ha ribadito, «all’idea che vinca la palude».

14 giugno 2014 | 08:29
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_giugno_14/partito-subbuglio-vera-offensiva-quella-leader-5b0d4a2e-f38c-11e3-9746-4bf51e9b4d98.shtml
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« Risposta #264 inserito:: Giugno 16, 2014, 06:59:50 pm »

La Nota
Il Pd rimane forte però rischia di trovarsi da solo contro tutti
Renzi rivendica il «grande risultato», ma l’astensionismo è un’incognita

Di Massimo Franco

È difficile dare torto al premier Matteo Renzi quando avverte che i ballottaggi di domenica «segnano la fine delle posizioni di rendita elettorale». L’analisi del segretario del Pd va completata con quella del suo predecessore, Pier Luigi Bersani, che evoca «delle spine, dei problemi. Siamo in una situazione in cui il Pd è un po’ contro il resto del mondo». Non esiste più il bipolarismo, ma tre tronconi politici dai contorni ideologici più liquidi del passato; e la tendenza di FI e M5S a non disdegnare l’alleanza per battere la sinistra. Insomma, il partito del presidente del Consiglio non arretra. Eppure avanza perdendo qualche colpo, in un panorama nel quale gli avversari cercano antidoti per frenarne la vittoria.

Se un meccanismo del genere si trasferisce a livello di elezioni nazionali, l’idea di un sistema che prevede il ballottaggio evoca scenari imprevisti. L’ipotesi che al secondo turno la competizione sia tra Renzi e Beppe Grillo, con un centrodestra tentato di appoggiare quest’ultimo, fa riflettere. È vero che alle europee è successo il contrario: è stata proprio la paura di un’affermazione grillina a contribuire al trionfo del Pd anche con l’apporto di alcuni spezzoni moderati. Ma la sconfitta nella roccaforte storica di Livorno rappresenta la conferma che non si può più dare per scontato nulla. L’ex capo del governo, Enrico Letta, sostiene che l’esito è stato così bruciante da suggerire «una riflessione nazionale».

La preoccupazione del Pd, tuttavia, è che l’analisi si trasformi in una guerra tra vecchia guardia e nuovo corso renziano. Indubbiamente, si intravede una certa omogeneità di giudizio sulla tendenza dell’elettorato a premiare il cambiamento e a punire le nomenklature del passato. Il partito cerca di smussare la tesi, cara ad una parte dei renziani, secondo la quale la sinistra ha vinto dove sono emerse candidature e logiche nuove, mentre si è ritrovata isolata e perdente in alcune delle tradizionali «zone rosse», avulse dai cambiamenti imposti dal premier. Il timore palpabile, però, è che un’impostazione del genere ricrei tensioni interne.

Per questo il capo del governo preferisce sottolineare il «risultato straordinario». Le sconfitte in città come Livorno, Potenza, Perugia e Padova, a suo avviso non lo offuscano. L’idea di una «frenata» dell’effetto Renzi dopo le europee viene scansata con una punta di fastidio: anche perché le disomogeneità locali rendono difficile tirare somme sul piano nazionale. E gli ultimi risultati arrivati ieri dalla Sicilia sono confortanti per il Pd. In questa fase, è indubbio che il partito del premier si presenti come una sorta di unico perno del sistema. Il problema è che si tratta di un sistema in crisi. L’unico elemento sul quale quasi tutti si ritrovano d’accordo, infatti, riguarda il crollo della partecipazione, arrivata al 49,5 per cento.

Colpa degli scandali emersi nelle ultime settimane, che configurano responsabilità trasversali; e di una risposta inadeguata nei confronti di una corruzione endemica. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, propone «una rigida semplificazione delle regole per ricostruire un senso di responsabilità delle persone». Ma la percentuale crescente dei non votanti prefigura una massa di scontenti che può fluttuare da uno schieramento all’altro, da una forza all’altra a seconda delle circostanze; e dunque sconvolgere equilibri di potere e alleanze in maniera imprevedibile. È un «partito» eterogeneo eppure potenzialmente maggioritario, in attesa di trovare nuovi punti di riferimento: un universo volatile e per questo incontrollabile.

10 giugno 2014 | 08:00
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_giugno_10/pd-rimane-forte-pero-rischia-trovarsi-solo-contro-tutti-2363afa4-f063-11e3-9b46-42b86b424ff1.shtml
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« Risposta #265 inserito:: Giugno 17, 2014, 05:12:23 pm »

La Nota

Lo scetticismo del Pd riflette il timore di una melina di Grillo
Grillo pensa alle riforme ma anche ai giochi sul Quirinale

Di Massimo Franco

Bisogna vedere se andrà a buon fine; e i dubbi già crescono. Ma sarebbe riduttivo considerare l’apertura del Movimento 5 stelle un’iniziativa limitata alla riforma elettorale. Se, come pare, Beppe Grillo ha capito che lo splendido isolamento dell’ultimo anno alla fine si è rivelato sterile e controproducente, c’è da aspettarsi altre mosse in direzione della maggioranza di governo; e soprattutto di Matteo Renzi, visto come un vincente col quale trattare: sebbene sia difficile pensare che l’obiettivo finale di Grillo sia diverso da quelle di sempre, e cioè la destabilizzazione del sistema o almeno dell’asse Pd-FI. Per questo, lo scetticismo per il momento prevale sulla voglia di accettare l’offerta. E, al di là di una trattativa sul cosiddetto Italicum, si intravede l’elezione per il nuovo presidente della Repubblica.

Probabilmente non ci sarà prima di un anno o giù di lì. Giorgio Napolitano ha fatto capire più volte di voler lasciare prima del termine naturale del settennato. E la fine del semestre di presidenza europea dell’Italia, a dicembre, lascia pensare che nei mesi successivi il Quirinale possa cambiare inquilino. Il tentativo grillino sembra quello di riproporre il sistema proporzionale contro l’ipotesi maggioritaria del governo, per calamitare gli scontenti del Pd e del centrodestra; e per giocare di sponda in Parlamento adesso su legge elettorale e riforma del Senato, domani sul prossimo presidente della Repubblica. La cautela renziana e l’ostilità del Nuovo centrodestra e dei berlusconiani nascono da questa sensazione.

Che Grillo abbia bisogno dell’incontro col Pd molto più che il contrario, è dimostrato dalla disponibilità a incontrare una delegazione del partito con o senza il premier. «Non ci impicchiamo alle persone», assicura Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e volto istituzionale del movimento. «La nostra non è una proposta a scatola chiusa». «Prima eravamo convinti di far cadere il governo. Ora vogliamo evitare il limbo», dialogando su legge elettorale e giustizia. Il cambio di tono di un partito solitamente sprezzante con gli avversari, è significativo.

È legittimo chiedersi se dipenda dall’esigenza di tacitare quanti, nel M5S, disapprovano l’autoesclusione decisa dal vertice. Ma anche rientrare in gioco comporta dei rischi. Gli ex grillini espulsi mesi fa proprio per avere accettato di discutere col Pd si offrono loro, come interlocutori. E puntano il dito contro Grillo e Gian Roberto Casaleggio che allora li inchiodarono a una sorta di gogna politica. Ma proprio per questo è palpabile il timore di una strategia tesa, all’interno del movimento, solo a dimostrare disponibilità; e all’esterno, a fare una «melina» al solo scopo di allungare i tempi in Parlamento nella speranza di vedere emergere la fronda antigovernativa. Simona Bonafè, neoeletta del Pd alle europee, lo dice apertamente. «Non mollo di mezzo centimetro. Andiamo avanti a testa alta», ha detto ieri il presidente del Consiglio.

Parlava di riforme. E si rivolgeva naturalmente in primo luogo alla sua coalizione. Ma il messaggio è anche per Grillo. Si avverte una evidente soddisfazione, nella corsa alle riforme che sia Grillo, sia la Lega di Matteo Salvini adesso hanno deciso. E pensare che «un mese fa sembrava io avessi la peste», sottolinea Renzi. Si tratta di una corsa che le opposizioni scelgono per difendere se stesse e creare problemi al governo, sapendo quanto sia l’Italicum, sia il nuovo Senato incontrino resistenze trasversali. Lorenzo Guerrini, vicesegretario del Pd, anticipa che il proporzionale «non dà governabilità». E il coordinatore del Ncd, Gaetano Quagliariello, pone la questione di metodo di sempre. «Le decisioni», avverte, «vanno prese prima nella maggioranza». Per il premier, che ieri è stato ricevuto dal capo dello Stato alla vigilia del semestre italiano al vertice dell’Ue, i segnali positivi prevalgono.

17 giugno 2014 | 08:19
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_giugno_17/scetticismo-pd-riflette-timore-una-melina-grillo-3fe24c58-f5e0-11e3-9bf3-84ef22f2d84d.shtml
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« Risposta #266 inserito:: Giugno 19, 2014, 12:27:03 am »

La Nota
In nome della stabilità si sta saldando l’asse tra premier e Quirinale
Lo favoriscono il semestre Ue e il voto europeo

Le critiche di FI e M5S

Di Massimo Franco

Il pranzo con mezzo governo era previsto da tempo, e in qualche modo aveva un sapore di routine. È quello che si fa sempre al Quirinale alla vigilia delle riunioni del Consiglio europeo. Ma ieri ha finito per assumere un significato politico inaspettato: se non altro per l’irritazione che Forza Italia e il Movimento 5 Stelle hanno mostrato, con toni diversi, nei confronti di Giorgio Napolitano e di Matteo Renzi. Parlare di un asse tra capo dello Stato e presidente del Consiglio forse è prematuro. Ma rispetto all’inizio dell’esperienza dell’attuale governo, i rapporti sono cambiati in meglio. Si era sempre detto che quello di Renzi non era l’esecutivo di Napolitano, sebbene sia stato lui a designarlo come aveva fatto con Mario Monti e con Enrico Letta.

Almeno all’esterno, sembrava che nella formazione del governo avesse pesato soprattutto la volontà del premier. Il Quirinale si era limitato a chiedere alcune garanzie e a fornire qualche consiglio più o meno richiesto. Il risultato delle elezioni europee del 25 maggio e il semestre di presidenza italiana dell’Ue che comincia il 1° luglio, tuttavia, stanno cambiando questa percezione. Napolitano ritiene che il voto abbia stabilizzato una situazione delicata e in apparenza sempre in bilico; e dato legittimità a un Renzi che ne aveva disperatamente bisogno. Ma a essere decisiva è soprattutto la volontà di procedere con le riforme.

Il capo dello Stato è determinato ad accompagnarle, difendendo e quasi proteggendo l’equilibrio creatosi intorno al Pd. Il risultato è uno scambio di informazioni e di consigli che si sono infittiti nelle ultime settimane; e che fanno storcere la bocca a chi scommetteva sull’inevitabilità di uno scontro tra Palazzo Chigi e Colle. Lo spiazzamento è evidente. Critici insistenti del Quirinale come Silvio Berlusconi, per i suoi problemi giudiziari, e Beppe Grillo, ansioso di destabilizzare il governo, si stanno accorgendo che lo scenario è cambiato, e lo criticano. «Che ci fa Renzi da Napolitano? Riceve una benedizione», ha scritto ieri Il Mattinale, il bollettino quotidiano del gruppo parlamentare di FI. E ne mette in dubbio «il ruolo di garanzia», insinuando «un patto di opacità» tra Quirinale, premier e Grillo.

L’avvicinamento tra i primi due, secondo la tesi berlusconiana, nascerebbe dalla richiesta del M5S di partecipare alla discussione sulle riforme istituzionali. Eppure, nemmeno ai seguaci di Grillo l’asse allo stato nascente piace. «Renzi è andato a prendere ordini da re Giorgio», ironizza Paolo Becchi, considerato l’intellettuale più vicino al movimento. E lega lo scetticismo renziano sull’apertura del M5S sul sistema elettorale ad una presunta ostilità del capo dello Stato. In realtà, la cautela del Pd e del Nuovo centrodestra nasce soprattutto da una certa sorpresa per una virata improvvisa e sospetta; e dall’esigenza di fare le riforme senza perdere tempo. Il semestre europeo non permette segnali contraddittori.

18 giugno 2014 | 09:16
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_giugno_18/nome-stabilita-si-sta-saldando-l-asse-premier-quirinale-6547ca9c-f6a6-11e3-a606-b69b7fae23a1.shtml
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« Risposta #267 inserito:: Giugno 24, 2014, 05:39:46 pm »

La Nota

L’apertura tedesca fa ben sperare ma i vincoli restano
L’idea di una svolta in Europa sul rigore incontra ancora molti ostacoli

Di Massimo Franco

È comprensibile la soddisfazione italiana per la cauta apertura del portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, in materia di deficit e investimenti. Sono settimane che il governo di Matteo Renzi chiede più flessibilità nelle regole europee per aiutare la crescita. Su questo si è saldato un asse con la Francia che vive una situazione politica peggiore della nostra dopo la vittoria dei populisti di Marine Le Pen il 25 maggio scorso. Ma ritenere che questo sia destinato a provocare una svolta potrebbe risultare illusorio. Il risultato del Pd alle elezioni ha dato maggiore forza contrattuale a Palazzo Chigi; e la cancelliera deve considerare le pressioni della Spd, ostile al rigore finanziario.

Che questo sblocchi la situazione, tuttavia, non è affatto scontato. Il patto va rispettato e «la credibilità», ha aggiunto Seibert, «deriva dal rispetto delle regole che ci si è dati». È significativo che nella riunione di ieri a Roma dei capigruppo europei e italiani, quello del Ppe, Manfred Weber, abbia difeso il rigore. «Serve anche adesso. Non si può pensare di fare nuovi debiti in Europa». Per paradosso, a dare rilievo alle parole di Berlino è la reazione piccata di Forza Italia, che vede con «curioso stupore» il «cambio di rotta di Berlino in tema di flessibilità». E si chiede perché con Silvio Berlusconi premier non era possibile.

La portavoce del partito, Deborah Bergamini, parla di «flessibilità ad personam» a favore di Renzi, imitata dall’ex ministro Maria Stella Gelmini che sostiene: «Cominciamo a raccogliere i frutti della battaglia che costò al governo Berlusconi la scomunica della Ue». Ma la polemica esagera il significato dell’apertura, e non tiene conto di quanto sia mutato il panorama europeo: dal punto di vista economico e dei rapporti di forza politici. E senza volerlo, si sottolinea il ruolo dell’attuale premier.

Federica Mogherini, titolare della Farnesina, della quale si parla come possibile «ministro degli Esteri» dell’Europa, usa parole misurate. Ricorda l’azione di Renzi e di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia. E interpreta la presa di posizione tedesca come segno della «consapevolezza della necessità di usare gli strumenti che già abbiamo per investire su crescita e creazione di posti di lavoro». La chiave di interpretazione è quella: «Gli strumenti che già abbiamo». È lì che l’Italia e gli altri Paesi in cattive acque sperano di trovare margini per ottenere quanto la Germania e le altre nazioni del Nord non concedono.

Conciliare l’esigenza di andare incontro ai malumori di larghe fette dell’elettorato con quella di non violare il patto di stabilità non sarà facile. L’opinione pubblica e il governo tedeschi non appaiono disposti a concedere molto. L’Italia ha già chiesto un anno in più per rientrare nel pareggio di bilancio. Sarà interessante capire quale sarà il punto di compromesso. Ignorare il cambio di toni, però, non sarebbe giusto. Lo fa il Movimento 5 Stelle, preconizzando «una parolina magica: bancarotta», e ironizzando sul governo: «E questi dovevano essere i salvatori». Ma è un attacco scontato, che tra l’altro allunga un’ombra improbabile sull’asserita volontà di dialogo col governo in materia di riforme istituzionali.

24 giugno 2014 | 09:32
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_giugno_24/apertura-tedesca-fa-ben-sperare-ma-vincoli-restano-5605c94c-fb5d-11e3-9def-b77a0fc0e6da.shtml
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« Risposta #268 inserito:: Luglio 03, 2014, 07:28:42 pm »

La Nota

L’asse nordeuropeo già alza barriere a difesa del rigore
Inizio agrodolce per il semestre italiano di presidenza dell’Unione
Di Massimo Franco

Il discorso a braccio di Matteo Renzi al Parlamento europeo è stato orgoglioso, a tratti perfino sferzante, e attento a presentare il semestre di presidenza italiana come uno spartiacque. Ha riproposto l’idea della «nuova generazione» destinata a prendere in mano il Vecchio Continente: un tema che gli ha portato fortuna in Italia. Ed ha ribadito che senza crescita l’Ue non andrà avanti. Ma il problema non è quello che ha sostenuto, quanto l’accoglienza ricevuta. Renzi parlava ad un’Europa che ha appena eletto due navigatori esperti come Jean-Claude Junker e Martin Schulz; e che non sembra ansiosa di assecondare il verbo renziano. La sua richiesta di «ritrovare un’anima» è stata accolta da applausi scrocianti dei parlamentari del Pd, mai così numerosi dopo le elezioni del 25 maggio.

Non sono sfuggite, tuttavia, le ironie dell’ex presidente della Commissione, Josè Manuel Barroso, né l’attacco frontale dei Popolari, guidati dal tedesco Manfred Weber, sulle richieste di flessibilità finanziaria del governo di Roma. «I debiti non creano futuro, lo distruggono», secondo Weber. «L’Italia ha il 130 per cento di debito pubblico. Dove prende i soldi?». È la conferma che la sfida di Renzi sarà dura; e che l’incomprensione non è solo politica ma geografica. Esiste una filiera nordeuropea della quale fanno parte i popolari ma anche spezzoni della sinistra, che diffida dell’Italia e lo dice.

Rifiuta un allentamento dei vincoli finanziari. E, vedendo in Renzi il capofila di questa strategia insieme con una Francia in affanno, lo attacca frontalmente. «Come possiamo essere sicuri che le riforme saranno fatte?», ha chiesto Weber retoricamente. «Se qualcuno pensa di darci lezioni», ha replicato il premier, «ha sbagliato posto». Renzi fa presente che un frammento del Ppe, il Nuovo centrodestra, appoggia il suo esecutivo; e che proprio alla Germania «fu non solo concessa flessibilità ma di violare i limiti ed essere un Paese che cresce. Non ho paura dei giudizi ma di alcuni pregiudizi». In effetti, con i pregiudizi anti-italiani il semestre di presidenza ha già cominciato a fare i conti.

Difficile che contribuisca ad attenuarli l’annullamento della conferenza stampa congiunta col socialista Schulz per gli impegni televisivi del premier: uno sgarbo. Ma l’offensiva tedesca sul rigore sembra fatta apposta per irritare Palazzo Chigi che ha appoggiato Junker in cambio di assicurazioni proprio su questo punto. Il capo del governo ha giurato che l’Italia «è la prima a voler cambiare». Forse il suo riferimento a un’Europa che offrirebbe «il volto della stanchezza, della rassegnazione e della noia», non è stato gradito. Insomma, il semestre di presidenza sarà una passerella piena di opportunità e insieme di insidie. La sicurezza ostentata da Renzi è un’arma formidabile. Ma potrebbe rivelarsi a doppio taglio.

3 luglio 2014 | 07:35
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DA - http://www.corriere.it/politica/14_luglio_03/asse-nordeuropeo-gia-alza-barriere-difesa-rigore-916e0ec6-0270-11e4-af6d-a9a93b39a7aa.shtml
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« Risposta #269 inserito:: Luglio 18, 2014, 06:11:51 pm »

La Nota

La cautela sull’economia mostra la vera sfida che il premier ha davanti
Il «no comment» di Padoan conferma l’insidia del fronte europeo


Di Massimo Franco

Il «no comment» del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, in risposta a una domanda sull’eventualità di una manovra correttiva in autunno era obbligato. La sua prudenza rispecchia l’incertezza che domina i conti pubblici e l’evoluzione della crisi finanziaria, e dunque va apprezzata. Ma gli avversari del governo hanno voluto vederci la conferma di una situazione in via di peggioramento, e una reticenza che non promette niente di buono. Forse anche per questo, nel pomeriggio Padoan è stato costretto a precisare: «Ma “no comment” non significa solo “non ho nulla da aggiungere”? Non c’è nessuna manovra in arrivo, semplicemente». L’ennesimo attacco di Forza Italia, figlio di un’opposizione «governativa» sulle riforme istituzionali e ipercritica sull’economia, tende a raffigurare Matteo Renzi sulla difensiva: cosa in parte vera, anche se ad essere realmente in panne è Silvio Berlusconi.

Il problema del presidente del Consiglio è che il fronte tedesco gli sta riservando critiche inattese. I popolari vicini alla cancelliera Angela Merkel continuano ad accusarlo di non avere voluto proporre l’ex premier Enrico Letta alla presidenza del Consiglio dell’Ue: un’intromissione che espone Renzi ma anche lo stesso Letta, indicato dal Ppe contro la candidata del governo italiano a «ministro degli Esteri» europeo: Federica Mogherini. Il risultato è un rinvio delle nomine a fine agosto. «Un rinvio estremamente pesante soprattutto per il semestre italiano», commenta preoccupato l’ex presidente della Commissione, Romano Prodi. Non solo. Il Pd appare lacerato più di quanto non sia; e, seppure supervotato il 25 maggio, è come se il suo peso politico a Bruxelles rimanesse marginale. È una difficoltà che Palazzo Chigi cerca di circoscrivere procedendo sulla riforma del Senato e soprattutto sulla politica economica.

Sa che è l’unica alla quale l’Unione Europea sia davvero attenta. Padoan ammette che la lentezza della ripresa rende i margini più stretti. «Non ci sono scorciatoie per la crescita», avverte. Ma conferma che il taglio del cuneo fiscale diventerà permanente con la legge di Stabilità. Si tratta di una marcia parallela a quella per modificare il bicameralismo. Più passano le ore, però, più diventa chiaro che la filiera degli oppositori non cederà facilmente. Ieri uno dei relatori del testo, il leghista Roberto Calderoli, ha sostenuto che non si comincerà a votare in Aula nemmeno lunedì, perché gli emendamenti sono troppi e richiedono una discussione ulteriore. La strategia del rinvio rivela anche una guerra dei nervi con il premier e con il ministro Maria Elena Boschi.

Eppure l’esito appare segnato. Gli alleati del Nuovo centrodestra insistono che bisogna far tutto prima dell’estate. E il sottosegretario a palazzo Chigi, Graziano Delrio, risponde che sulle riforme «è in ritardo il Paese, non il governo». Insomma, nonostante i malumori dell’Anci, che vorrebbe con Piero Fassino più sindaci senatori, il patto Berlusconi-Renzi dovrebbe portare all’approvazione in tempi relativamente rapidi. Resistono e fanno ostruzionismo sia una ventina di senatori del Pd, sia quanti dentro FI parlano di subalternità di Berlusconi a Renzi. E dall’esterno, costituzionalisti come Stefano Rodotà sostengono la tesi dell’«imposizione indecente, senza alcuna cultura istituzionale». Ma Renzi può replicare che la proposta è stata modificata; e reagire alle accuse del Movimento 5 Stelle sull’immunità parlamentare.

Nel testo governativo non c’era, dice, facendo capire che l’avrebbero inserita altri. Sono le convulsioni che accompagnano un cambiamento storico, per quanto a dir poco controverso; e che si intrecciano con le manovre di disturbo di Beppe Grillo in vista della prossima sfida: il sistema elettorale. Il capo del M5S manda i suoi a parlarne con Renzi e il Pd. Si punzecchiano ma alla fine sembrano tutti soddisfatti. «Non siamo divisi dal Rio delle Amazzoni ma da un ruscello», commenta Renzi. Attraversarlo, però, sarà ugualmente difficile perché la sensazione di un minuetto politico è comune a entrambi gli interlocutori. Il presidente del Consiglio si chiede se Luigi Di Maio, numero due della Camera e mediatore per conto di Grillo, sia in grado di portarsi dietro l’intero movimento. Visti i precedenti, è una domanda legittima.

18 luglio 2014 | 07:34
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_luglio_18/cautela-sull-economia-mostra-vera-sfida-che-premier-ha-davanti-0dadaffa-0e3d-11e4-8e00-77601a7cdd75.shtml
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