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Autore Discussione: MASSIMO FRANCO  (Letto 193688 volte)
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« Risposta #240 inserito:: Febbraio 15, 2014, 10:26:31 am »

GOVERNO, PASSAGGIO DI CONSEGNE TRA LETTA E RENZI
Un Passaggio opaco

Si può anche ironizzare sull’incoerenza di un Matteo Renzi che dice una cosa per settimane e alla fine ne fa un’altra. Oppure additare l’irritualità di una crisi di governo che non si consuma con un voto di sfiducia parlamentare ma dentro la Direzione di un partito. L’impressione, tuttavia, è che ormai non serva a molto scandalizzarsi: il problema non è solo Renzi. Il paradosso di quanto accade in queste ore sono la lacerazione e il conformismo di un Pd che aspira a essere il pivot della politica. Ma intanto sprigiona instabilità, scaricando sull’Italia le sue faide interne. E passa in pochi giorni dagli applausi a Enrico Letta ad un ruvido benservito. Di fatto, opaco.

Non basta dare in «streaming», in stile grillino, i lavori della Direzione del Pd. Ci sarà tempo per rivedere la liquidazione di un governo nato tra mille difficoltà e boicottato proprio da chi doveva sostenerlo. Né basta la constatazione che, soprattutto nell’ultimo periodo, il premier apparisse esitante. Forse lo era anche perché avvertiva l’ostilità del suo partito. Presto si vedrà se la scossa promessa da Renzi, successore in pectore, ci sarà davvero: pur restando affidata alla maggioranza di prima, tanto bistrattata, con l’ipotesi di aggiungere schegge del Sel di Vendola.

L’ambizione di arrivare alla fine della legislatura è enorme, e affidata ad una velocità che confligge con una realtà da maneggiare con pazienza e prudenza. Ma il segretario del Pd conta sicuramente su doti capaci di sorprendere. Basta che tutto non si riduca a «effetti speciali» destinati a durare lo spazio effimero di pochi mesi, per poi presentare al Paese il conto di elezioni anticipate. Altrimenti, la scossa verrebbe percepita come il velo calato su un’operazione dettata da ambizioni personali e logiche trasformistiche.

Il modo in cui la nomenklatura del Pd ondeggia da una leadership a un’altra non sembra un indizio di convinzione, ma di un primitivo istinto di sopravvivenza. È difficile sottrarsi al dubbio che il grande consenso cresciuto intorno a Renzi non sia il frutto virtuoso delle primarie, ma della paura di un voto anticipato a maggio. Nel probabile presidente del Consiglio i gruppi dirigenti, politici e non solo, vedono la polizza di assicurazione per scongiurare il «tutti a casa»; e magari compiere l’ennesima spartizione. La speranza è che Renzi sventi queste manovre.

Gli manca l’esperienza, è vero, ma non difetta di spregiudicatezza e abilità. Forse, per aiutare l’opinione pubblica a decifrare un’operazione che si fatica a non definire «di Palazzo», non sarebbe stato male chiarirla in Parlamento come chiedono le opposizioni: a costo di sfidare strumentalizzazioni. Se l’unico motivo per archiviare il governo Letta con una riunione di partito è di non acuire le divisioni interne, è un po’ poco. Un Pd davvero convinto delle sue buone ragioni dovrebbe spiegare davanti al Paese i motivi della crisi. Altrimenti, la Terza Repubblica nascente rischia di somigliare ad una caricatura ringiovanita della Prima.

14 febbraio 2014
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Massimo Franco

Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_febbraio_14/passaggio-opaco-8e3069e2-9543-11e3-9c90-b9ccf089642e.shtml
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« Risposta #241 inserito:: Febbraio 16, 2014, 10:59:48 pm »

La Nota
La corsa del leader deve fare i conti con alleati diffidenti
Il Quirinale accoglie le riserve del Nuovo centrodestra

Almeno in apparenza, la formazione del governo di Matteo Renzi sta incontrando qualche ostacolo. Le condizioni poste dal Nuovo centrodestra di Angelino Alfano dovrebbero far capire che i giochi non sono ancora fatti; e che un partito piccolo ma decisivo per l’alleanza può rallentare la marcia spedita verso Palazzo Chigi del segretario del Pd, indicato ieri dal suo partito a Giorgio Napolitano. È possibile che ci sia uno slittamento di qualche ora, sebbene Renzi abbia l’intenzione di ricevere l’incarico entro oggi; di presentarsi domani sera da Giorgio Napolitano con la lista dei ministri già pronta; e di andare alle Camere entro metà settimana.

I renziani parlano di una lista smilza: al massimo quindici dicasteri, dei quali solo una decina «con portafoglio», e cioè con autonomia di spesa. E spiegano le riserve del vicepremier uscente Alfano solo come la voglia di marcare la propria esistenza in un esecutivo che altrimenti apparirebbe un «monocolore» del premier; e probabilmente di ottenere garanzie sulla permanenza al ministero dell’Interno. Il leader dell’Ncd sa infatti che nella cerchia del segretario del Pd c’è chi preme per una forte discontinuità. E Alfano era indicato come una delle figure da sostituire per marcare il cambiamento rispetto all’esecutivo di Enrico Letta.

In realtà, Renzi deve scendere a patti con gli alleati. E la diffidenza di Alfano per le manovre parlamentari tra Pd e Forza Italia che renderebbero l’Ncd irrilevante, sta emergendo in modo esplicito. «Se FI vuole entrare nel governo», ha detto, «meglio farlo alla luce del sole». Non c’è solo la trattativa sui «posti», dunque. Sullo sfondo affiora un problema politico destinato a pesare sui rapporti tra Renzi e il principale alleato. Per questo il capo dello Stato sembra intenzionato ad assecondare la richiesta di ulteriori 48 ore, avanzata da Alfano.

Lo ha fatto capire ieri sera, alla fine delle consultazioni. Non vuole rischiare di ritrovarsi con una coalizione che parte in velocità e poi si disgrega per mancanza di coesione. L’epilogo probabile, dunque, è una maggioranza che sarà la fotocopia politica della precedente, pur cambiando molti ministri oltre al premier. Ma su uno sfondo altrettanto insidioso di quello in cui si è mosso Letta. Lì si era partiti con «larghe intese» ridottesi dopo la scissione del Pdl e la formazione di Forza Italia e Ncd, nel dicembre scorso. Il governo Renzi, se nascerà, si troverà invece a trattare con due coalizioni, una di governo e una istituzionale, delle quali il presidente del Consiglio sarà comunque il referente.

E si tratterà di vedere se e come concilierà il ruolo di premier con quello di sponda di Berlusconi. Ieri, un Cavaliere che pochi giorni fa aveva gridato al «golpe» nel 2011, quando era stato sostituito da Mario Monti a Palazzo Chigi, è andato al Quirinale per le consultazioni: a conferma che l’accusa di «colpo di Stato» rivolta anche a Napolitano lascia il tempo che trova. D’altronde, a un Berlusconi condannato ed espulso dal Parlamento, bastava essere lì per certificare la propria resurrezione politica. Il capo di FI ha confermato un’«opposizione costruttiva» al governo che dovrebbe nascere, e l’asse con Renzi sulla riforma elettorale. Le sue parole evocano una «doppia maggioranza» tesa a schiacciare le forze minori. Per questo Alfano cerca garanzie prima di d are il «via libera».

16 febbraio 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Massimo Franco

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_16/corsa-leader-deve-fare-conti-alleati-diffidenti-50e2835c-96da-11e3-bd07-09f12e62f947.shtml
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« Risposta #242 inserito:: Febbraio 26, 2014, 06:03:39 pm »

L’EDITORIALE
Le parole non contano

Le citazioni di Renzi da Fatima alla Cinquetti

Non serve a molto analizzare la qualità del discorso di Matteo Renzi in Parlamento. Era scontato che pagasse qualcosa all’inesperienza, all’emozione, e al modo convulso e controverso col quale è approdato alla presidenza del Consiglio. Il giudizio su di lui non si baserà su quanto ha detto ieri, ma su quello che riuscirà a fare da oggi. La sua apparizione alle Camere consegna l’immagine di un leader fin troppo sicuro di sé; determinato a scuotere l’Italia; e accolto da gran parte dei senatori con un impasto di curiosità, diffidenza e perplessità: tanto più che il premier non ha nascosto di volere una riforma per svuotare il ruolo del Senato.

La fiducia nei suoi confronti, dunque, non può che essere un’apertura di credito e un antidoto alla disperazione di una classe politica e di un Paese impantanati nelle proprie contraddizioni. È un po’ troppo autoconsolatoria l’idea di un «Palazzo del potere» lento e sconnesso da una società italiana raffigurata come dinamica. Il sospetto è che ci si trovi a dover combattere una mentalità appartenente non solo alla politica ma anche a pezzi consistenti della cosiddetta classe dirigente e dell’opinione pubblica. Per questo è così difficile sradicarla affidandosi unicamente a categorie come «velocità» e «gioventù».

Renzi si propone come l’uomo chiamato a dare l’estremo colpo d’aratro a un terreno duro, a rischio di desertificazione. È convinto di farcela perché altrimenti si aprirebbe la strada delle elezioni anticipate, che un Parlamento sotto accusa vede come un attentato alla propria sopravvivenza; e perché si consoliderebbe un declino del quale si colgono già indizi drammatici. I suoi progetti, tuttavia, si sono rivelati così indeterminati da lasciare uno sconcerto diffuso. Più che un programma è stata illustrata una lista di titoli, elencati con una miscela di passione, confusione e propensione all’azzardo.
Il fatto che il capo del governo si dia delle scadenze temporali è positivo: è un segno di coraggio. Anche se probabilmente non ha alternativa, dopo avere accusato il predecessore, Enrico Letta, di avere perso tempo: un ritardo che le oscillazioni del Pd renziano hanno prolungato. Ma il segretario ha dalla sua l’appoggio quasi unanime e intimidito del proprio partito; quello del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano; e, per ora, regge l’asse istituzionale con Forza Italia sulla riforma elettorale. Non è poco.

Politicamente, lo stato di necessità e il paracadute berlusconiano sono una sponda solida, e aprono davvero orizzonti di legislatura. Ma in parallelo tolgono qualunque alibi al presidente del Consiglio che, dopo aver voluto fortemente Palazzo Chigi, adesso deve «fare». Se fallisce, ammette, la colpa sarà esclusivamente sua. Nessuno ne dubita. Ha promesso di spazzare via il passato e lo ha fatto con l’aggravante di una vistosa assenza di umiltà. Le sue parole sono apparse un ibrido tra un programma di governo e un comizio elettorale. C’è solo da sperare che alla fine prevalga il primo e non il secondo: se lo augurano tutti, per l’Italia.

25 febbraio 2014
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Massimo Franco

Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_febbraio_25/parole-non-contano-232a3370-9de6-11e3-a9d3-2158120702e4.shtml
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« Risposta #243 inserito:: Febbraio 28, 2014, 06:09:51 pm »

La Nota
Un governo del premier che sprona le Camere con le urne sullo sfondo
L’abbraccio degli sconfitti del Pd e l’asse con Forza Italia

L a tentazione di porsi come capo di un governo contro il cosiddetto «Palazzo» rimane vistosa. Ma si avverte, da parte di Matteo Renzi, anche la presa d’atto di dipendere dai voti del Parlamento e dunque di non potersi fare troppi nemici; e di essere circondato da un corposo scetticismo sulla possibilità di durare per l’intera legislatura. Dall’equilibrio che riuscirà a trovare tra la sua doppia identità si capiranno anche il futuro del governo e della legislatura. L’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, tornato per votare la fiducia dopo un’operazione, ha sintetizzato il problema con una metafora. «Da domani», ha detto, «gli italiani vorranno misurare lo spread tra parole e fatti».

Renzi ne è consapevole. E nel discorso di ieri, più applaudito di quello al Senato ma a tratti fumoso e verboso, ha cercato di mettere qualche punto fermo. Le ferite nel Pd, però, rimangono aperte, nonostante il voto compatto a favore del governo. L’abbraccio in Aula tra Bersani e l’ex premier Enrico Letta ha misurato la distanza e il gelo tra presidente del Consiglio ed ex maggioranza del partito. Per paradosso, in queste prime ore a emergere non è tanto il sostegno del Pd a Renzi, ma quello di Forza Italia, che pur stando all’opposizione lo abbraccia in nome della riforma elettorale: benché non sia ancora chiaro se avverrà con la rivoluzione del Senato.

L’asse con Silvio Berlusconi sarà messo alla prova fin da metà marzo, quando il cosiddetto «Italicum» approderà alla Camera. In parallelo, la scommessa è di produrre provvedimenti che diano il segnale immediato di un cambio di passo. Già venerdì dovrebbe essere approvata una riduzione del cuneo fiscale delle imprese di circa dieci miliardi di euro. In parallelo dovrebbe partire un piano edilizio teso a garantire maggiore sicurezza nelle scuole; e a produrre posti di lavoro. Sui costi, tuttavia, è nebbia fitta. Pensare che i progetti renziani possano essere realizzati a costo zero è illusorio.

Il premier si limita a dire che «la stabilità della sicurezza scolastica è più importante della stabilità dei conti». È un’impostazione che sconta la prospettiva delle elezioni europee a fine maggio; e che potrebbe accentuarsi con l’avvicinamento alle urne. Ad apparire sempre più evidente è la volontà di Renzi di pilotare questa fase da Palazzo Chigi. Temeva di arrivare al primo appuntamento col voto, sovrastato e logorato dal governo di Enrico Letta. Adesso, invece, punta tutto su quelle elezioni per ricevere la legittimazione popolare che le primarie non possono sostituire. Il passo successivo è di approvare un sistema di voto maggioritario, d’accordo con Berlusconi, e teso a ridimensionare lo spazio delle forze minori.

Se poi le riforme segnassero il passo o si affacciassero difficoltà crescenti, Renzi può giocare la carta del voto politico anticipato. Il suo calcolo è che comunque lo farebbe da presidente del Consiglio. A quel punto la coabitazione tra l’identità di premier del Parlamento e quella di presidente anti-Palazzo non avrebbe più ragione di continuare. Renzi potrebbe togliersi i panni istituzionali e indossare gli altri, più congeniali, da politico che parla all’opinione pubblica; e che chiede voti contro chi non lo ha fatto governare come voleva. È un gioco molto azzardato, ma anche ieri il presidente del Consiglio ha rivendicato quasi il dovere di rimettere in discussione tutto. D’altronde, l’azzardo gli piace, e finora gli è andata bene: basta che vada bene anche all’Italia.

26 febbraio 2014
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Massimo Franco

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_26/governo-premier-che-sprona-camere-le-urne-sfondo-967c2b60-9eb5-11e3-a5c9-783ac0edee3c.shtml
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« Risposta #244 inserito:: Marzo 13, 2014, 11:34:08 pm »

Questione femminile e tempi delle riforme
Primo impatto con la realtà

MASSIMO FRANCO

L’asse Renzi-Berlusconi ha affossato le «quote rosa»: a dimostrazione che il patto istituzionale tra i due prevale sulle logiche di partito. Il tentativo di mettere in difficoltà il presidente del Consiglio utilizzando in modo pretestuoso questo argomento è fallito. Ma il prezzo della sua vittoria è la rivolta di mezzo Pd: a cominciare dalla componente femminile che ieri, dopo la bocciatura, ha lasciato platealmente l’Aula della Camera. È la conferma che Renzi, al di là delle apparenze, deve fare i conti con sacche persistenti di ostilità nelle proprie file; e che per salvare le «larghe intese» è stato costretto a spaccare il proprio partito.

A votare contro la legge voluta dalle donne del Pd sono stati i deputati berlusconiani e del Nuovo centrodestra, ma anche i renziani. Si sapeva che il Cavaliere era contrarissimo, e la sinistra imbarazzata e divisa. L’epilogo riconsegna così un premier vincitore a metà; esposto all’accusa di avere fatto un regalo a Berlusconi; e costretto a giustificarsi con le proprie elettrici. Per questo, l’episodio di ieri sera rischia di prendere una piega insidiosa. Renzi adesso sa che il cosiddetto Italicum, la riforma elettorale concordata con Forza Italia, può diventare un bersaglio del Pd.

Per questo è difficile dire se si è trattato di una mossa scaltra o di un autogol. Certamente aumenta la confusione. E le tensioni nella coalizione di governo costringono il premier a prendere atto che l’idea delle riforme-blitz deve cedere il passo ad una visione più graduale e realistica. Bisogna rallegrarsene, dopo l’ubriacatura iniziale sulla «velocità» come primo comandamento del governo; e in parallelo meditare sul rischio di creare aspettative troppo grandi rispetto ad una situazione grave e complicata. L’esigenza di fare presto rimane la parola d’ordine a caratteri cubitali di Palazzo Chigi. Ma sotto, scritta in un «corpo» più piccolo, ne sta affiorando un’altra. È quella dei «due tempi».

Due tempi per la riforma elettorale: quello della Camera e quello del Senato. Due tempi per il piano contro la disoccupazione, che l’anglismo «jobs act» non rende più facile: prima la parte normativa, poi la realizzazione. E doppio registro anche per la riduzione del cuneo fiscale, in attesa di capire bene come saranno trovati e soprattutto distribuiti i fondi. D’altronde, quando il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ammette che le stime sul Prodotto interno lordo dell’Italia sono vicine a quelle della Commissione europea e decide di «tenersi basso», ridimensiona i margini di manovra governativi. Non significa che Renzi possa fare poco: può fare, ma a patto di misurarsi con la realtà.

La fretta sta partorendo un sistema elettorale sghembo, soffuso di dubbi di incostituzionalità e ostaggio degli attacchi delle opposizioni in Senato: ora anche di quelle interne alla coalizione. La stessa facilità con la quale è stata stabilita in prospettiva l’abolizione di fatto della «Camera Alta», probabilmente si ritorcerà contro la maggioranza; e la costringerà ad una progressiva marcia indietro. La votazione di ieri sulle «quote rosa» si inserisce in questo inizio di stallo, evocando non solo una sfasatura nei tempi ma anche maggioranze variabili. Cresce il sospetto che il governo del «fare presto» si insabbi in un indefinito «farò presto». Eppure, a volte, la lentezza non è segno di indecisione, bensì di maturità e di realismo.

11 marzo 2014 | 08:32
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_marzo_11/questione-femminile-riform-impatto-realta-eadd0a62-a8e7-11e3-a393-9f8a3f4bf9ce.shtml
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« Risposta #245 inserito:: Marzo 15, 2014, 08:37:15 am »

La Nota
Il segretario si muove sul doppio scenario tra urne e coperture
Le elezioni europee come orizzonte per legittimare la leadership
di Massimo Franco

L’orizzonte del governo di Matteo Renzi è doppio. Il primo sono le elezioni europee di fine maggio, dalle quali il premier vuole ottenere una legittimazione popolare: quella che oggi gli manca e gli pesa. Il secondo è l’orizzonte europeo, che cerca di forzare per dare credibilità finanziaria ad alcune delle misure annunciate ieri da Palazzo Chigi. La cautela impone di non sottoscrivere acriticamente la «svolta buona», come il presidente del Consiglio definisce il suo piano per scuotere l’economia. Ma la sfida è netta, perfino temeraria. Conferma la volontà di giocare il tutto per tutto, scommettendo su un utilizzo di fondi che in parte non hanno ancora una copertura certa; e dunque richiedono il «via libera» delle istituzioni di Bruxelles.

I 1.000 euro all’anno nelle buste paga dei dieci milioni di italiani che guadagnano meno di 1.500 euro al mese, ricavati dalla riduzione dell’Irpef, sono una decisione a effetto: un tentativo di guadagnare consensi a sinistra e da parte dei sindacati. Renzi voleva l’entrata in vigore del provvedimento all’inizio di aprile. Ma «sono stato sconfitto con perdite», ha ammesso in conferenza stampa. Lo spostamento al 1° maggio conferma comunque un potenziale effetto elettorale: si voterà per le Europee poco più di tre settimane dopo. E la volontà di semplificare il mercato del lavoro riceve il plauso anche degli alleati del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Il problema sarà di ottenere un «via libera» a livello europeo, che è dato per scontato ma non c’è ancora.

E rappresenta un ostacolo per le ambizioni e la velocità renziane. Ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha avallato il «piano-choc» del premier. In parallelo, però, ha anche usato toni prudenti e quasi preoccupati sulla possibilità di tirare troppo la corda della spesa pubblica. «Il 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil è il margine massimo disponibile», ha detto, «per evitare di rientrare nella procedura di deficit eccessivo» a Bruxelles. Padoan ha insistito sui vincoli da rispettare nel processo per «mobilitare risorse». Ma in questa fase la volontà politica di Palazzo Chigi punta soprattutto a rimarcare la «portata storica» di quanto Renzi ha annunciato.

Il capo del governo sembra intenzionato a non recedere da un approccio aggressivo. Il suo bersaglio sono «gufi» e «disfattisti» che dubitano della bontà della sua operazione. Quando assicura che si avrà «un ampio consenso verso una riforma strutturale mai vista in Italia», prevede di potere ottenere dalle altre nazioni, Germania in testa, un «sì» a oggi in forse. E liquida quasi con fastidio lo scetticismo sulle coperture finanziarie dei provvedimenti che vuole prendere. «I dubbi sono legittimi ma le coperture evidenti. A chi ha dubbi», aggiunge, «suggerisco di aspettare il 27 maggio per vedere se i denari ci sono». Sarà una verifica indicativa, anche perché a quel punto le elezioni europee si saranno già svolte. Renzi potrà capire se l’opinione pubblica lo ha premiato o punito.

Dal punto di vista comunicativo, comunque, l’effetto-annuncio c’è. Il consigliere di Silvio Berlusconi, Giovanni Toti, ironizza sulla confusione renziana sui tempi e sulle coperture. Altri esponenti di FI paragonano il premier a un «televenditore», senza rendersi conto di rafforzare la vulgata secondo la quale Renzi è una sorta di Cavaliere più giovane e del Pd. Qualche problema potrebbe venirgli piuttosto dal suo partito, in ebollizione dopo l’approvazione tormentata della riforma elettorale alla Camera. L’ex segretario Bersani e l’ex premier Enrico Letta non nascondono la contrarietà. E al Senato, che Renzi ribadisce di volere di fatto abolire, si prevedono tensioni superiori. Il premier è convinto di spuntarla. Come arma di dissuasione finale può sempre usare le elezioni anticipate.

13 marzo 2014 | 08:21
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_marzo_13/segretario-si-muove-doppio-scenario-urne-coperture-a30f5252-aa78-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml
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« Risposta #246 inserito:: Aprile 13, 2014, 05:52:37 pm »

La Nota
Lo scontro Renzi-Grillo sovrasta Forza Italia e le Europee di maggio
Riforme appese anche al risultato che otterrà il partito dell’ex premier

Di Massimo Franco
Elezioni Europee

L’asprezza crescente degli attacchi di Beppe Grillo a Matteo Renzi non deve sorprendere. Con un Silvio Berlusconi destinato ai servizi sociali e non candidabile, di fatto le elezioni europee di fine maggio possono diventare un referendum tra Pd e Movimento 5 Stelle: con Forza Italia a rischio di diventare il terzo partito, e comunque priva di una fisionomia e di una strategia in grado di presentarla come protagonista. Su questo sfondo, il governo costituisce l’unico vero bersaglio di Grillo. Non tanto né solo perché il presidente del Consiglio potrebbe pescare voti tra i delusi del movimento. Il premier viene percepito come insidia perché tenta di dimostrare all’opinione pubblica che la politica sta producendo risultati e riforme.
In apparenza, la parabola giudiziaria di Berlusconi resta in primo piano.

E la decisione della Procura di Milano gli lascia almeno in parte quell’«agibilità politica» che aveva chiesto in vista delle europee: sebbene i magistrati abbiano precisato che la misura potrebbe essere revocata se l’ex premier tornasse ad attaccare i suoi giudici. Ma l’intera vicenda si presenta come la coda di un ventennio di veleni e polemiche, archiviato mentalmente da gran parte dell’elettorato. La stessa latitanza di Marcello Dell’Utri, ex senatore ed amico e alleato di Berlusconi, per il quale è arrivata una richiesta di arresto, sa di passato. Il presente è un asse istituzionale tra Renzi e FI, che le critiche continue contro Palazzo Chigi non riescono a scalfire.

Renato Brunetta sottolinea «lo schiaffo del Fondo monetario internazionale» al governo italiano, perché il Documento economico finanziario appena presentato non sarebbe affatto convincente. Ed elenca i ritardi nella realizzazione delle riforme, dei quali l’esecutivo si starebbe rendendo responsabile. E l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, bolla come «ignobile e inaccettabile» la riforma del Senato perseguita dal premier. Il dettaglio significativo, tuttavia, è che dal Pd non si risponde alla polemica. E lo stesso Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, lungi dall’infierire su Berlusconi, spende parole di solidarietà nei suoi confronti.

Perché? La sensazione è che i due partiti di governo puntino, con motivazioni diverse, ad attrarre gli scontenti berlusconiani in uscita da FI. Il risultato è quello di accentuare una sorta di bipolarismo governo-Grillo. Quest’ultimo bolla Renzi con tutti gli epiteti che il capo di un movimento populista sa indirizzare verso un esecutivo. E il premier lo punzecchia, raffigurandolo «come i vecchi politici di una volta. Noi parliamo agli italiani mentre lui, Grillo, attacca gli avversari». Gli dà man forte lo stesso Pier Luigi Bersani, accusando il leader del M5S di non mettersi in discussione, perché «non vuole rischiare niente»: col risultato di autoescludersi da qualunque strategia in positivo, e di puntare soltanto sullo sfascio del sistema.
Lo scontro si consuma su economia e riforme, sulle quali Grillo è diventato un tenace conservatore dello status quo. Ma si estende anche a temi delicati in campagna elettorale come il pluralismo e la presenza dei leader in tv: soprattutto sulle reti Rai. Il ruolo di presidente della Commissione parlamentare di vigilanza permette al grillino Roberto Fico di lanciare accuse di «servilismo»: un assaggio dei toni della campagna elettorale. Sullo sfondo rimangono riforme che formalmente vanno avanti secondo la tabella di marcia prestabilita; ma nei fatti sembrano costrette a segnare il passo. Sia perché nel Pd le divergenze sul destino del Senato, ma anche sull’Italicum, il nuovo sistema elettorale, rimangono marcate; sia perché il governo sa di avere margini più esigui senza l’appoggio di FI, appeso ai risultati delle europee del 25 maggio: tanto più se confermassero il bipolarismo Renzi-Grillo.

12 aprile 2014 | 08:11
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_aprile_12/scontro-renzi-grillo-sovrasta-forza-italia-europee-maggio-02190e8a-c209-11e3-b583-724047d41596.shtml
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« Risposta #247 inserito:: Aprile 21, 2014, 11:35:35 pm »

EDITORIALE: DOPO L’AFFIDAMENTO AI SERVIZI SOCIALI DI BERLUSCONI
Le rughe del potere

Di Massimo Franco

Per Silvio Berlusconi la campagna elettorale europea sarà in salita: ancora di più dopo la decisione del tribunale di sorveglianza di Milano di affidarlo in prova ai servizi sociali in un centro per anziani a Cesano Boscone. Le restrizioni a cui sarà sottoposto difficilmente potranno essere considerate tali da limitare quella che con espressione burocratica viene definita «agibilità politica». E se otterrà un risultato deludente, magari potrà recriminare perché è incandidabile dopo la condanna per frode fiscale; ma non per la decisione comunicata ieri dai giudici.

L’epilogo delle sue vicende giudiziarie consegna in realtà l’immagine di una guerra, se tale è stata, finita da tempo; e della quale si vedono gli ultimi bagliori, mentre intorno tutto sta cambiando. Perfino i magistrati, evidenziando «la scemata pericolosità sociale» dell’ex premier, fotografano involontariamente il tramonto di un’epoca. Alcuni dei «fedelissimi» si stanno defilando. E gli antichi avversari di sinistra ne celebrano la fine politica: sebbene non si rendano conto che il declino del berlusconismo coincide anche con quello di un certo antiberlusconismo.

A rivelare il ridimensionamento del Cavaliere, o ex tale, non sono gli attacchi residui contro di lui, ma l’asse con Matteo Renzi. Il fatto che il segretario del Pd e presidente del Consiglio lo abbia incontrato due volte, stabilendo un’intesa istituzionale prima impensabile, dice due cose. La prima è che la vecchia sinistra non ha né il potere né la convinzione per continuare l’ostracismo contro di lui: nemmeno dopo le condanne. La seconda è che Renzi si sente abbastanza forte da poter usare Berlusconi per i suoi piani politici: prima per far cadere Enrico Letta, ora per le riforme.

La differenza rispetto al passato è che un tempo il fondatore di Forza Italia dettava l’agenda al Paese, agli alleati e all’opposizione. Ora, invece, è costretto a condividerla o addirittura a sentirsela imporre da qualcuno che appare più moderno di lui; e in possesso di alcune delle doti e dei difetti sui quali ha costruito a lungo i propri consensi. Già si favoleggia sui «numeri» che Berlusconi farà nel centro per anziani; e di duelli a distanza con la magistratura milanese. I seguaci contano i mesi e vaticinano il suo grande ritorno. Ma non ci sarà nessun ritorno, perché continua a fare politica anche adesso.

La fa come può, appesantito non tanto dalle condanne quanto dal fallimento di un modello culturale ed economico inadeguato ad una crisi gravissima; e circondato da un consenso eroso non dai pubblici ministeri ma dagli errori politici: a cominciare da quello di avere sciupato occasioni storiche per riformare l’Italia, e di non essersi circondato di una classe dirigente degna di questo nome. Le ultime vicende trasmettono un’immagine di Berlusconi un po’ malinconica, dolorante dietro l’eterno sorriso, in verità sempre più tirato. È la fotografia di un sopravvissuto, al quale si deve rispetto: sperando che lui per primo rispetti se stesso e la sua nuova, temporanea condizione.

16 aprile 2014 | 07:18
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_aprile_16/rughe-potere-820ff9ee-c526-11e3-ab93-8b453f4397d6.shtml
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« Risposta #248 inserito:: Aprile 23, 2014, 01:29:02 pm »

La Nota
Il sogno di una rimonta contro il fantasma del bipolarismo Pd-M5S
Berlusconi apre una campagna elettorale euroscettica
di Massimo Franco

Il tentativo è di smentire la vulgata di un voto europeo giocato soltanto tra Matteo Renzi e Beppe Grillo; e di offrirsi all’elettorato moderato e deluso, anzi, «disgustato», come un’alternativa ancora credibile. L’inizio della campagna di Silvio Berlusconi lo ha mostrato uguale a se stesso; forse solo gelidamente più prudente sui giudici, per non irritare la magistratura che lo ha destinato «in prova» ai servizi sociali. Per il resto, il capo di Forza Italia si atteggia a referente naturale di un mondo che è «maggioranza sociale del Paese». Ma non più maggioranza politica. Tuttavia, a sentire Berlusconi la colpa è soprattutto della sua assenza dalle tv e dall’onnipresenza di Matteo Renzi. «Essere al 20 per cento è già un miracolo».

L’ex premier è apparso desideroso di ristabilire distanze e proporzioni tra sé e il leader del Pd. Evidentemente, l’immagine di un presidente del Consiglio giovane, moderno e veloce, che usa Berlusconi più che esserne usato, non è molto gradita. Così, pur dandogli atto di voler realizzare le riforme, e pur confermando il loro asse istituzionale, il capo di Forza Italia cerca di ristabilire la sua verità. Raffigura un Renzi pauroso di approvare subito la legge elettorale perché non controllerebbe il Pd in Parlamento.

E ricorda ripetutamente la differenza tra lui, votato dal 1994 da milioni di persone, e l’attuale premier che non si è «mai candidato in un’elezione nazionale»; e che presiede il terzo governo non eletto dal popolo. Sarà questa, la colonna sonora della propaganda berlusconiana di qui a fine maggio; affiancata da una forte critica alla moneta unica, definita «una moneta estera come era il dollaro americano in Argentina» negli anni che portarono il Paese latino-americano al «collasso finanziario»; e a giudizi liquidatori soprattutto sull’esecutivo di tecnici di Mario Monti: quello del primo «colpo di Stato» che nel 2011 sostituì il suo nel mezzo di una crisi finanziaria da brivido.

Pazienza se un ex berlusconiano come Fabrizio Cicchitto, oggi approdato nel Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, gli ricorda che Monti approdò a palazzo Chigi anche col suo «sì» decisivo. Lo schema sarà quello di invocare «il ritorno alla democrazia». È una miscela nella quale critiche all’Unione europea e al governo Renzi si fondono. È facile il parallelo tra l’Europa delle burocrazie finanziarie che aumentano la disoccupazione con l’austerità e regole ferree, e l’Italia dei governi nei quali i presidente del Consiglio sono nominati da Giorgio Napolitano; e sostenuti da un Parlamento eletto con una legge che la stessa Corte costituzionale ha definito illegittima.

Di qui a dire che per rilanciare l’economia bisogna stampare euro, far lievitare l’inflazione fino al 2 o 3 per cento e violare i vincoli di spesa di Bruxelles, il passo è breve. E infatti Berlusconi lo fa, candidandosi come interlocutore di una parte degli elettori attirati dall’antieuropeismo di Grillo e dall’astensione. L’operazione si configura, di nuovo, come una rimonta: anche se il leader di FI lascia capire che la sinistra sarà avvantaggiata dalla sua incandidabilità.
Dietro l’allarme, si avverte la consapevolezza di dover affrontare una prova difficile da sempre per il suo partito, perché si vota con il sistema proporzionale: un ostacolo al bipolarismo sul quale Berlusconi ha costruito le sue fortune politiche.

18 aprile 2014 | 07:19
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_aprile_18/sogno-una-rimonta-contro-fantasma-bipolarismo-pd-m5s-e83b9730-c6b8-11e3-ae19-53037290b089.shtml
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« Risposta #249 inserito:: Aprile 25, 2014, 05:45:26 pm »

Più della fretta poté la paura
di Massimo Franco

Il paradosso è che oggi il decreto sul lavoro verrà approvato dalla Camera, perché il governo ha posto la questione di fiducia. Ma tra pochi giorni, probabilmente, sarà cambiato al Senato perché uno dei partiti della maggioranza, il Nuovo centrodestra, è contrario. Si tratta di uno dei casi più eclatanti nei quali l’esigenza di velocità propugnata da Palazzo Chigi prevale a scapito della chiarezza. L’imperativo renziano «avanti come un treno» non sarà smentito, anzi riceverà un’altra celebrazione. Il ricorso alla questione di fiducia, tuttavia, segnala i rischi politici di questa fretta strategica.

Dice che altrimenti il governo non riuscirebbe a tenere unita la propria coalizione. E non tanto per i capricci di Angelino Alfano. L’episodio ripropone piuttosto il rapporto irrisolto tra Matteo Renzi e la sinistra del «suo» Pd, in minoranza nel partito ma non nel sindacato e in Parlamento, dove conta e pesa. Le modifiche apportate al decreto in commissione sono una vittoria degli avversari interni del premier, e dunque un elemento di riflessione non solo per gli alleati: un’inquietudine che per il Ncd è accentuata dal timore di un insuccesso alle europee di fine maggio.

Alfano è in una posizione scomoda. Si ritrova schiacciato dall’asse istituzionale tra il premier e Forza Italia. Soffre per l’immagine di comparsa in quello che viene percepito, a torto o a ragione, come una sorta di «monocolore Renzi». E deve fare i conti con un Silvio Berlusconi che da una parte ipoteca e appoggia l’agenda del governo; dall’altra se ne distanzia sempre più in materia economica. Per questo è costretto ad alzare la voce e a non cedere alle pressioni per un accordo immediato. Il decreto sul lavoro è considerato un precedente e un segnale d’allarme da non sottovalutare.

L’aspetto «tecnico», e cioè la necessità di approvare il provvedimento prima del 20 maggio, giorno in cui decadrebbe, va rispettato; non sopravvalutato, però. L’impressione è che il Pd abbia in realtà imposto la sua visione anche all’esecutivo, con uno sguardo alle urne europee e all’elettorato; e che sul pericolo di mostrarsi a corto di numeri parlamentari, «senza maggioranza», come dicono le opposizioni, abbia prevalso la volontà di fotografare i rapporti di forza emersi a Montecitorio. La convinzione di Renzi è che tanto alla fine le resistenze saranno superate in nome del realismo.

Probabilmente la sua è un’analisi corretta: almeno fino al voto europeo. Esiste una tregua di fatto nella coalizione, che tende a considerare le contraddizioni comunque superabili pur di garantire la stabilità. Bisogna vedere, però, se gli ostacoli accantonati oggi non siano destinati a riemergere di colpo dopo l’appuntamento di fine maggio; e ad avvolgere e imprigionare tutta l’impalcatura riformista costruita dal premier. Il fatto che il decreto sul lavoro debba andare al Senato, e lì possa essere modificato, dà argomenti ai fautori della fine del bicameralismo. Ma in questo caso, forse, non li ha dati solo a loro.

23 aprile 2014 | 07:58
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_aprile_23/piu-fretta-pote-paura-ba251a82-caab-11e3-9708-d10118a39c2a.shtml
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« Risposta #250 inserito:: Aprile 25, 2014, 06:28:25 pm »

Le rughe del potere
Di Massimo Franco

Per Silvio Berlusconi la campagna elettorale europea sarà in salita: ancora di più dopo la decisione del tribunale di sorveglianza di Milano di affidarlo in prova ai servizi sociali in un centro per anziani a Cesano Boscone. Le restrizioni a cui sarà sottoposto difficilmente potranno essere considerate tali da limitare quella che con espressione burocratica viene definita «agibilità politica». E se otterrà un risultato deludente, magari potrà recriminare perché è incandidabile dopo la condanna per frode fiscale; ma non per la decisione comunicata ieri dai giudici.

L’epilogo delle sue vicende giudiziarie consegna in realtà l’immagine di una guerra, se tale è stata, finita da tempo; e della quale si vedono gli ultimi bagliori, mentre intorno tutto sta cambiando. Perfino i magistrati, evidenziando «la scemata pericolosità sociale» dell’ex premier, fotografano involontariamente il tramonto di un’epoca. Alcuni dei «fedelissimi» si stanno defilando. E gli antichi avversari di sinistra ne celebrano la fine politica: sebbene non si rendano conto che il declino del berlusconismo coincide anche con quello di un certo antiberlusconismo.

A rivelare il ridimensionamento del Cavaliere, o ex tale, non sono gli attacchi residui contro di lui, ma l’asse con Matteo Renzi. Il fatto che il segretario del Pd e presidente del Consiglio lo abbia incontrato due volte, stabilendo un’intesa istituzionale prima impensabile, dice due cose. La prima è che la vecchia sinistra non ha né il potere né la convinzione per continuare l’ostracismo contro di lui: nemmeno dopo le condanne. La seconda è che Renzi si sente abbastanza forte da poter usare Berlusconi per i suoi piani politici: prima per far cadere Enrico Letta, ora per le riforme.

La differenza rispetto al passato è che un tempo il fondatore di Forza Italia dettava l’agenda al Paese, agli alleati e all’opposizione. Ora, invece, è costretto a condividerla o addirittura a sentirsela imporre da qualcuno che appare più moderno di lui; e in possesso di alcune delle doti e dei difetti sui quali ha costruito a lungo i propri consensi. Già si favoleggia sui «numeri» che Berlusconi farà nel centro per anziani; e di duelli a distanza con la magistratura milanese. I seguaci contano i mesi e vaticinano il suo grande ritorno. Ma non ci sarà nessun ritorno, perché continua a fare politica anche adesso.

La fa come può, appesantito non tanto dalle condanne quanto dal fallimento di un modello culturale ed economico inadeguato ad una crisi gravissima; e circondato da un consenso eroso non dai pubblici ministeri ma dagli errori politici: a cominciare da quello di avere sciupato occasioni storiche per riformare l’Italia, e di non essersi circondato di una classe dirigente degna di questo nome. Le ultime vicende trasmettono un’immagine di Berlusconi un po’ malinconica, dolorante dietro l’eterno sorriso, in verità sempre più tirato. È la fotografia di un sopravvissuto, al quale si deve rispetto: sperando che lui per primo rispetti se stesso e la sua nuova, temporanea condizione.

16 aprile 2014 | 07:18
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_aprile_16/rughe-potere-820ff9ee-c526-11e3-ab93-8b453f4397d6.shtml
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« Risposta #251 inserito:: Maggio 05, 2014, 11:46:04 pm »

Forza Italia accarezza il 20% come soglia di sopravvivenza
Si fa più aspro lo scontro tra Grillo e Palazzo Chigi: in gioco c’è il futuro del governo

Di Massimo Franco

La «prenotazione» di piazza San Giovanni a Roma, quella storica della sinistra, per il comizio elettorale finale di Beppe Grillo, non esprime solo la voglia di replicare l’affermazione alle Politiche dello scorso anno. Piuttosto, è la conferma che il Movimento 5 Stelle vede nel Pd di Matteo Renzi l’avversario da combattere. Sa che deve smentire la tesi secondo la quale la coalizione di governo è in grado di arginare l’ondata populista dei grillini. Di fatto, si delinea sempre di più lo schema di un bipolarismo nel quale i primi due partiti sono Pd e M5S, mentre Forza Italia insegue la soglia psicologica del 20 per cento.

Per quanto privo di una strategia che non sia quella della protesta, Grillo sente di avere dietro una spinta antieuropea possente; e, in Italia, il vento contro il sistema dei partiti. Il fatto che il presidente del Consiglio ricordi come nel 2013 Grillo avesse raccolto il 25,6 per cento dei consensi è indicativo. «È già il primo partito in Italia. Ma scommetto che stavolta i risultati saranno diversi». Erano diversi anche i sistemi elettorali. Il Pd di Pier Luigi Bersani ottenne il 25,3 per cento, fu premiato grazie alle alleanze che aveva stretto. Per le Europee, invece, funziona il sistema proporzionale.

Dunque, ogni forza mostrerà quanto vale. E il premier è convinto che il suo Pd avrà più voti di Grillo. Bisogna vedere quanti; come inciderà l’astensione sulle percentuali finali; e quanto peserà sui rapporti tra Renzi e Silvio Berlusconi una sconfitta del centrodestra. Il consigliere politico di FI, Giuseppe Toti, ammette che sotto il 20 bisognerebbe cominciare a riflettere seriamente. D’altronde, il doppio binario berlusconiano, «governativo» sulle riforme istituzionali, di lotta sull’economia, sta diventando unico: e cioè di attacco a Palazzo Chigi, perché dentro FI l’idea di sostenere Renzi non è così popolare.

I distinguo crescenti sulla riforma del Senato, l’accusa di avere modificato i provvedimenti sul lavoro sono segnali di nervosismo e di scontento dal fronte di FI. Il timore del governo è che possano saldarsi con quelli della minoranza del Pd e perfino con i parlamentari di Grillo, facendo mancare i numeri alla maggioranza soprattutto a Palazzo Madama. Quando il premier spiega che per lui «l’importante è che Berlusconi resti dentro l’accordo per le riforme», intravede l’insidia di una tensione che va oltre le elezioni di maggio. È comprensibile che i partiti «se le diano di santa ragione». Ma sulle regole «tutti possono essere d’accordo, o almeno quanti vogliono starci: Grillo non ci vuole stare».

È la sua strategia. L’M5S attacca Palazzo Chigi su tutto, accusando Renzi di essere «il vero populista»: dagli aerei F35, sui quali addita una «corsa agli armamenti» concordata tra il governo e Giorgio Napolitano, del quale continua a chiedere strumentalmente le dimissioni; sulle modifiche alla Costituzione, che osteggia ergendosi da qualche tempo a difensore di una Carta prima bistrattata. Renzi avverte: votare Grillo è «come abbaiare alla luna». E intanto aggiunge altri capitoli alla lista corposa delle cose da fare: a cominciare da una cura radicale per la Pubblica amministrazione. È un gioco rischioso, quasi spericolato, ma in qualche modo obbligato: o cambia o fallisce.

1 maggio 2014 | 09:34
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_01/forza-italia-accarezza-20percento-come-soglia-sopravvivenza-c63aa1a8-d0f9-11e3-9d2f-e927fd64fe1a.shtml
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« Risposta #252 inserito:: Maggio 08, 2014, 05:03:04 pm »

Le riforme vetrina stanno mostrando un governo che sbanda
Segnali contraddittori da Palazzo Chigi sui rischi di una crisi

Di Massimo Franco

Forse il governo non scricchiola ancora davvero. Ma sulla riforma del Senato, la falange di Matteo Renzi mostra sbandamenti che preoccupano. I contrasti dentro il Pd e con il resto della maggioranza stanno trasformando una delle pietre miliari della strategia del premier in una fonte di confusione e di incertezza. Silvio Berlusconi la fotografa, avvertendo che Forza Italia non voterà il testo preparato dal ministro Maria Elena Boschi. Il problema è che non lo vuole approvare nemmeno una parte del Pd nella Commissione Affari costituzionali. E così, ieri il ministro Boschi ha ventilato la possibilità che possa cadere il governo e si vada alle elezioni.

Palazzo Chigi ha smentito, assicurando che il sostegno ci sarà comunque. Ma Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, in serata ha spedito un tweet nel quale dice a Renzi: «Sono stato facile profeta sulle riforme. Fidati di me. Andiamo a votare...». Difficile capire quale sarà la ricaduta finale di questa tensione. L’unica impressione nitida è che la soluzione proposta dalla Boschi incontra difficoltà insormontabili; e che l’irrigidimento del ministro di fronte alla possibilità di arrivare a un compromesso ha spinto i contrasti verso un punto di rottura pericoloso. L’ipotesi è che alla fine si troverà una soluzione, seppure ambigua.

Dovrebbe passare un testo che però non affronterà il punto controverso dell’elezione diretta dei senatori: uno di quelli che Renzi aveva definito tra i punti qualificanti della riforma. La stessa «scommessa» che il premier dice di voler fare con l’Europa, rea di avere ridimensionato l’impatto degli 80 euro distribuiti a fine maggio dal governo ai redditi più bassi, riflette un certo affanno. «In questi anni», si difende, «Bruxelles ha fatto il Fondo salva Stati, il Fondo salva banche. Bene: se il governo inizia a fare qualcosa per salvare le famiglie, i signori di Bruxelles se ne faranno una ragione».

Palazzo Chigi insiste di volere e potere seguire il percorso che si è dato. E replica alle critiche della Cgil di Susanna Camusso avvertendo, sbrigativo: «I sindacati devono capire che la musica è cambiata». Eppure, intorno a Renzi cominciano a vacillare alcune certezze. Il rischio della palude, dello stallo, è additato dai suoi seguaci come un elemento che dovrebbe far riflettere sull’opportunità di dimettersi. È come se i numerosi fronti aperti dal presidente del Consiglio in nome della sua «rivoluzione» cominciassero a mostrare resistenze impreviste; e perfino qualche crepa. L’esigenza di fare presto minaccia di imporre un prezzo politico alto in termine di compattezza della sua coalizione.

Lo spettro delle elezioni anticipate, per quanto faccia paura ai partiti, viene evocato troppo spesso per ottenere ubbidienza incondizionata. «Il caos del Senato non è dovuto a noi», si sfila un Berlusconi a caccia di voti europei e per questo non disposto a concedere nulla a Renzi. Lascia anche capire che «di fronte a un pericolo o a un disastro economico» sarebbe disposto a rientrare in una maggioranza col Pd. Ma declassa l’ipotesi a teoria, perché il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano è pronto a rinfacciare l’errore che avrebbe fatto a novembre uscendo dal governo di Enrico Letta e spaccando il Pdl. Berlusconi avverte la tentazione dell’astensione di molti elettori, e il potere di attrazione di Beppe Grillo. «Dietro Grillo», insiste, «non c’è nulla: solo il pericolo di una dittatura». Con le loro convulsioni, però, i partiti finiscono per lavorare per lui.

7 maggio 2014 | 09:43
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_07/riforme-vetrina-stanno-mostrando-governo-che-sbanda-5c5f4d50-d5b9-11e3-8f76-ff90528c627d.shtml
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« Risposta #253 inserito:: Maggio 10, 2014, 06:58:11 pm »

La Nota
Governo in difesa incalzato dal Pd e dalla crisi economica
Spread ai minimi e Draghi avverte: non violate i vincoli europei

Di Massimo Franco

La differenza tra gli interessi pagati per i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi ieri è scesa a 148 punti: il minimo dal maggio del 2011. Eppure, il governo di Matteo Renzi fatica a gioire per questo risultato. Più si avvicina il voto europeo del 25 maggio, più si ha l’impressione che l’esecutivo nato sotto il segno della velocità, delle riforme-lampo, stia scivolando sulla difensiva: quasi in trincea. Non sono tanto le critiche di Forza Italia, che anche ieri ha attaccato duramente il pasticcio della maggioranza in Senato col rinvio della riforma a giugno. Quegli attacchi servono a bilanciare il sostegno che Silvio Berlusconi e Denis Verdini offrono a Renzi nei passaggi più delicati.

Il problema vero sono i contrasti tra palazzo Chigi e il proprio partito in Parlamento; l’inclinazione del premier e di alcuni ministri a forzare le cose quando si trovano davanti un dissenso, senza però riuscire più a imporre loro l’ubbidienza; una crisi economica che non dà segno di raddrizzarsi; e il «peccato originale» di un presidente del Consiglio non eletto ma scelto da Giorgio Napolitano dopo una decisione della direzione del Pd che ha sfiduciato Enrico Letta, esponente dello stesso partito. È significativo che Renzi abbia sentito il bisogno di difendersi dall’accusa di avere scalzato l’ex premier con un golpe interno.

«Letta è andato al potere con una manovra parlamentare, esattamente come me», è la tesi espressa da Renzi sul settimanale statunitense Time. «Non era neppure leader del partito». Sono indizi di nervosismo, che si inseriscono in uno sfondo di conflittualità crescente. E lo sorprendono in una condizione difficile, dalla quale tuttavia sembra in grado di uscire rafforzato se, come dicono i sondaggi, a maggio il partito supererà il 30 per cento dei voti. Il premier ha bisogno di una vittoria del Pd, come surrogato della legittimazione popolare che non ha: non ancora, almeno. L’incognita è su come ci arriverà.

Lo scontro tra premier e Cgil fa dire a Massimo D’Alema che il conflitto è tra sindacato e Palazzo Chigi, non col Pd: un distinguo politico non da poco. E Vannino Chiti, che propone una riforma del Senato diversa da quella del governo, avverte che «forzare non serve a nessuno». A questo vanno aggiunti i veleni sprigionati dagli arresti di Milano per i casi di corruzione all’Expo, e l’inquietudine per l’ordine pubblico negli stadi di calcio. E sullo sfondo si allineano dati economici a dir poco contraddittori. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ieri ha dovuto registrare le parole critiche dal presidente della Bce, Mario Draghi, dopo la richiesta italiana di rinviare il pareggio di bilancio al 2016. «Minare la credibilità delle regole esistenti non è mai una buona politica che può generare crescita», ha detto, pur non riferendosi soltanto all’Italia.

Padoan ha dovuto replicare con una punta di imbarazzo che il rinvio «è stato chiesto per il peggioramento del clima economico e per pagare i debiti della Pubblica amministrazione». Ma il titolare dell’Economia si trova stretto tra l’esigenza di non sciupare la credibilità di un governo ambizioso a poche settimane dall’inizio del semestre di presidenza italiana, e pressioni elettorali crescenti. Alcuni partiti adesso vorrebbero allargare i benefici della riduzione dell’Irpef anche a famiglie e imprese: mossa dal chiaro sapore elettorale. Padoan avverte che «un Paese come l’Italia deve ulteriormente dimostrare che è serio sulle strategia di riforma e sull’agenda strutturale». Anche perché all’inizio di giugno la Commissione Ue si pronuncerà sulle richieste italiane. A quel punto le elezioni saranno alle spalle. Ma si passerà al «voto», altrettanto insidioso, delle istituzioni e dei mercati.

9 maggio 2014 | 08:07
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_09/governo-difesa-incalzato-pd-crisi-economica-5ab4ebf4-d73f-11e3-bbb4-071d29de8b1e.shtml
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« Risposta #254 inserito:: Maggio 15, 2014, 10:35:49 am »

Lo spauracchio M5S sta già logorando l’asse tra il governo e FI
Crescono i segnali di nervosismo di Berlusconi verso Renzi

Di Massimo Franco

Lo spauracchio di Beppe Grillo si sta gonfiando un po’ troppo. E non si capisce se questa paura di un successo del Movimento 5 stelle alle Europee del 25 maggio sia figlio delle insicurezze della maggioranza di governo; oppure serva a far capire il rischio di una vittoria populista, per calamitare i voti sul Pd di Matteo Renzi e sui suoi alleati. Il presidente del Consiglio sta cercando di arginare gli effetti della bufera giudiziaria dell’Expò di Milano e il nervosismo del suo partito, che in gran parte lo sostiene ma aspetta di capire come andrà a finire. È logico che i comitati d’affari sopravvissuti alla fine della Prima Repubblica e alla crisi della Seconda possono portare acqua e voti a chi dà per spacciato il sistema.

Non a caso Grillo si prepara a marciare sul capoluogo lombardo per dire «basta» all’Expo. Renzi ha imboccato una strada inevitabilmente opposta. E si prepara a spiegare perché la strategia del M5S punta soltanto alla destabilizzazione e allo sfascio. Sa che interrompere l’organizzazione di questo avvenimento sarebbe un suicidio economico e d’immagine per l’Italia. E dunque vuole andare avanti, scansando le macerie che le inchieste della Procura di Milano stanno provocando e potranno causare; e contrapponendo una narrativa di governo a quella antisistema di Grillo.

Ma certo, lo scontro tra i due rischia di polarizzare i voti non solo su Renzi. I sondaggi continuano ad apparire positivi, per il premier: rispetto alle politiche del 2013, ci potrebbe essere un aumento sostanzioso del Pd. A sentire i sondaggisti, forse sarà l’unico esecutivo europeo a non essere punito dall’elettorato, grazie alla «luna di miele» che gli deriva dal fatto di essere a palazzo Chigi da poco tempo. I suoi fedelissimi alimentano la narrativa di un governo che sta ottenendo risultati rapidamente; che combatte contro l’immobilismo e che può offrire un bilancio incoraggiante. Il dubbio riguarda semmai la consistenza delle sacche di protesta che gonfieranno le liste grilline e i numeri dell’astensionismo; e il panorama politico che emergerà.

È probabile che Forza Italia sarà ridimensionata, e il Nuovo centrodestra magari vivo ma non forte. I segnali che arrivano da Silvio Berlusconi, per quanto soggetti a oscillazioni quotidiane, indicano la volontà di allineare fin d’ora una serie di motivi per contestare il patto sulle riforme stipulato con il premier: in particolare sul Senato e sulla riforma elettorale. Il capo di Fi non smette di dichiarare che su Renzi è «molto pessimista»; e che sta pensando «di non poter seguire le riforme» fatte dal premier, ad esempio dando 80 euro in busta paga da maggio ai redditi più bassi «ma nulla ai pensionati». Ancora, per un Berlusconi che vive nell’incubo di diventare solo il terzo partito, un sistema elettorale col ballottaggio, voluto dal Pd, andrebbe contro i suoi interessi.

«Hanno cambiato l’accordo», accusa l’ex premier. È inquieto perché indovina la possibilità che una parte di chi votava centrodestra sia attirata da Renzi. «È stato messo dalla sinistra come facciata per ingannare i moderati che vedendolo pensano di dare il voto a lui», lancia l’allarme. Ma si tratta di un’ammissione significativa, che spiega il nervosismo di Fi e lo scontro ormai quotidiano col Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Ed è la conferma di un asse istituzionale in bilico. Sembra reggere nei passaggi più delicati, grazie anche al rapporto tra Renzi e il coordinatore di Fi, Denis Verdini. Poi viene rimesso in mora. E di nuovo sopravvive alle tensioni. Rimane da vedere se il risultato delle Europee lo consoliderà, sottolineando un rapporto ancora più sbilanciato a favore del Pd, o se lo farà saltare. Da quello si capirà il futuro della legislatura.

13 maggio 2014 | 07:50
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_maggio_13/spauracchio-m5s-sta-gia-logorando-l-asse-il-governo-fi-645d1c7a-da60-11e3-87dc-12e8f7025c68.shtml
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