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Autore Discussione: MASSIMO FRANCO  (Letto 193849 volte)
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« Risposta #120 inserito:: Ottobre 26, 2010, 06:54:51 pm »

La Nota

L'offensiva finiana mette in evidenza i problemi del Cavaliere

Il Fli non esclude elezioni. Si delinea la strategia contro il voto anticipato


Si nota un crescendo di aggressività nella minoranza finiana; ed una reazione difensiva, quasi intimorita da parte del Pdl. La riforma della giustizia ed il «lodo Alfano» si stanno rivelando fronti di oggettiva debolezza per Silvio Berlusconi. E Gianfranco Fini non fa nulla per non sottolinearlo. Il fatto che ieri, proprio da Milano, abbia avvertito che sulla giustizia si potrebbe aprire la crisi di governo, conferma una situazione patologicamente sull'orlo della rottura. Ma soprattutto dice che il presidente della Camera sembra deciso a sfidare Berlusconi, nella convinzione di avere di fronte un leader in difficoltà: tanto più dopo l'altolà arrivato da Giorgio Napolitano.
È come se il conflitto con Palazzo Chigi gli avesse restituito energia e grinta; e reso il ruolo di terza carica dello Stato un orpello residuale. «Mi è tornata la passione politica dei vent'anni», ha detto ieri a Milano. Il «no» di Fini alla possibilità di reiterare la legge che dovrebbe fare da scudo al presidente del Consiglio nei processi è netto. «Non siamo disponibili a garantire la persona, è la funzione che va tutelata», ripete. E la cautela del Guardasigilli, Angelino Alfano, per il quale la reiterabilità non sarebbe «vitale», conferma l'inquietudine di Palazzo Chigi.

Berlusconi sa di potersi ritrovare costretto a trattare anche al ribasso. E comunque si rifiuta di reagire a quella che considera una strategia di provocazioni. Qualche finiano piccona il «lodo» costituzionale in quanto tale, nella convinzione che il presidente del Consiglio non possa né voglia una crisi. Ma più la situazione va avanti, più i margini si assottigliano. Il Fli parla di un governo per cambiare la legge elettorale. E, pur rimanendo nel centrodestra, lascia che alcuni dei suoi esponenti disegnino scenari di «terzo polo» con l'Udc di Pier Ferdinando Casini; ed evochi un'alleanza contro il voto anticipato.
Fini ritiene che un mancato accordo sulla giustizia non potrebbe essere usato come «pretesto» al premier per tornare alle urne. Il messaggio è trasparente: il Fli non avallerà quello che Casini chiama «autoribaltone» della maggioranza; e dunque non darà il via libera alle elezioni. Il progetto, sempre più trasparente, è quello di scaricare sul premier e la Lega l'eventuale fine della legislatura; e di fare di tutto per scongiurare le elezioni con l'attuale sistema. Pur di evitare una nuova vittoria dell'«asse del nord», sarebbe lecito allearsi con tutti: anche con il centrosinistra.

Per quanto ci si sforzi di esorcizzare la «sindrome siciliana», dove un Pdl lacerato al suo interno è stato mandato all'opposizione da un'alleanza fra Mpa, Fli e Pd, quell'anomalia pesa. Ed ingigantisce le ombre sulla tenuta del governo nazionale; e sulle capacità del premier di amalgamare gli interessi di Nord e Sud. È il sintomo di una situazione locale fuori controllo; e la metafora di sviluppi imprevedibili. Prudente, la Lega finge di credere al traguardo del 2013. Ma si prepara al peggio. E l'assenza fisica di Berlusconi ed il suo silenzio alimentano la sensazione di un vuoto di potere ormai troppo vistoso.

Massimo Franco

26 ottobre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota/10_ottobre_26/nota_abcb28ce-e0c0-11df-b5a9-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #121 inserito:: Ottobre 31, 2010, 10:30:16 pm »

L'autunno del governo


Verrebbe spontaneo usare le ultime, imbarazzanti rivelazioni sulla vita privata del premier per sancire il tramonto della sua leadership. In realtà, si tratta di vicende da maneggiare con molta cautela, sebbene non con reticenza; e da affrontare sapendo che forse sono la metafora di una crisi politica, prima che morale. Quanto sta venendo fuori sembra non dire molto di nuovo rispetto a quello che si intuiva o si sapeva, purtroppo. A rendere tutto più grave è la saldatura con una paralisi governativa che dura ormai da mesi; e che sta facendo danni all'Italia, oscurando quel poco o tanto di buono ottenuto ad esempio nella lotta al crimine.

Il «caso Ruby» diventa dunque una sorta di certificazione sul versante privato della crisi del centrodestra. Sottolinea l'inverecondia della guerra interna che si sta combattendo da tempo nel Pdl. Aggiunge simbolismi deteriori all'immondizia vera di Napoli. Esalta l'impotenza del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, rispetto ai suoi alleati; e l'incapacità di riprendere in mano le redini di una maggioranza che avrebbe il dovere di concentrarsi soltanto sul governo. Il conflitto, le scissioni, le rese dei conti consumano energie e disperdono il senso di responsabilità verso gli elettori, ed il senso dello Stato. Di questa deriva Berlusconi è il principale, non l'unico responsabile.

Ma colpiscono le parole dure nei confronti del premier pronunciate dal suo amico e sodale Fedele Confalonieri; e l'invito quasi brutale a cambiare registro e ad imparare dagli errori. Significa che perfino il «primo cerchio» berlusconiano intuisce di essere ad un passo dal baratro. Nonostante il capo del governo ripeta di non voler modificare stile di vita e di lavoro, solo una metamorfosi in extremis potrebbe salvare la situazione. Non si tratta semplicemente di aggiustare l'immagine di chi appena due anni e mezzo fa era stato portato a Palazzo Chigi da una messe di voti; né di «fare pace» con Gianfranco Fini in modo da fermare il logoramento anche istituzionale di entrambi.

L'estetica a dir poco discutibile del potere attuale è un problema. Ma lo è molto di più il contraccolpo che provoca a livello internazionale l'agonia inspiegabile di una coalizione ancora radicata nel Paese, eppure afflitta da un malessere che la sta sfibrando, senza offrire altre soluzioni. Al punto che cresce il sospetto di un governo deciso a resistere ed a sopravvivere solo per un po': non però per rilanciare la propria azione ma per arrivare alle urne quasi per forza di inerzia, bruciando alternative che comunque appaiono studiate a tavolino e difficili da spiegare all'opinione pubblica. L'immobilismo governativo, tuttavia, può produrre effetti perversi.

Sottolineato ed aggravato da scandali come quello che sta emergendo dalla sfera privata di Berlusconi, rischia di inquinare e consumare anche quei margini di manovra che il Paese si aspetta vengano sfruttati al meglio, senza esporlo alle mire della speculazione finanziaria; e senza rassegnarsi ad elezioni dalla genesi confusa, e dagli esiti potenzialmente traumatici.

Massimo Franco

30 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_ottobre_30/franco_autunno_governo_31126d1a-e3e3-11df-9798-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #122 inserito:: Novembre 09, 2010, 05:58:47 pm »

L'asse del Nord


Il tentativo di far finta di nulla è evidente.

Si desume dal silenzio di Silvio Berlusconi e dalla volontà della Lega di andare avanti come se Gianfranco Fini domenica non avesse lanciato nessun ultimatum. Ma è la coda sempre più corta di una tattica che si sta esaurendo. Si tratta di prendere atto che una fase è archiviata; e che la crisi di governo si avvicina. Ora si tratta di evitare che l'implosione del centrodestra danneggi l'Italia. Per questo il Quirinale ricorda che bilancio dello Stato e patto di stabilità sono «impegni inderogabili»: teme un impazzimento della situazione. Ma l'accelerazione è nelle cose. Ormai non si parla più del se né del quando il governo cadrà: si sta scommettendo sul come, senza che nessuno sia in grado di prevederlo. A rendere drammatica la corsa contro il tempo è la sentenza della Corte costituzionale sul «legittimo impedimento» prevista per metà dicembre; e l'apertura di un fascicolo contro il premier da parte del Csm con l'accusa di avere «leso il prestigio dell'ordine giudiziario» e del pm del processo Mills, Fabio De Pasquale. Ma su quanto accadrà dopo è buio fitto.

L'incontro di ieri fra Berlusconi e Umberto Bossi con tutto il vertice leghista è un punto a favore del premier. Conferma una sintonia con il Carroccio che prelude a un «no» a qualunque soluzione subordinata all'attuale governo, quando cadrà; e a una posizione comune nella richiesta di elezioni anticipate, sebbene la Lega cerchi ancora una mediazione col Fli. D'altronde, la via d'uscita suggerita da Fini è percorribile solo in teoria: una coalizione con dentro anche l'Udc di Pier Ferdinando Casini significherebbe l'ammissione del fallimento dell'«asse del Nord». E comunque, il modo ultimativo col quale è stata proposta la fa sembrare un vicolo cieco.

Fini ha detto di voler rafforzare il centrodestra; ma in parallelo ha annunciato il ritiro dei ministri del Fli entro 48 ore se Berlusconi non accetta le sue condizioni: termine che potrà dilatarsi al massimo di qualche giorno, perché l'opposizione gli vuole impedire di tergiversare. Ancora, il presidente della Camera fa dichiarare ai fedelissimi di essere candidato alla guida del «nuovo centrodestra»; ma intanto accarezza l'idea di un'alleanza con l'Udc che combatte il bipolarismo e cerca un «terzo polo»: ipotesi realizzabile soltanto se sarà eliminato il premio di maggioranza.

Insomma, a breve termine Fli e Udc perseguono lo stesso obiettivo: scalzare Berlusconi e dar vita a un governo che cambi la legge elettorale. E i loro leader ripropongono un sodalizio rottosi fragorosamente nel 2008, quando Fini scelse il Pdl e lasciò Casini al proprio destino solitario. Ma sul loro percorso pesano incognite legate in primo luogo a chi si assumerà la responsabilità della crisi.

Se si andasse alle urne a primavera senza cambiare sistema elettorale, le ambizioni dell'Udc e quelle finiane potrebbero rivelarsi difficili non solo da affermare ma da conciliare. Nelle fasi di transizione sono tutti più soli.

Massimo Franco

09 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_novembre_09/franco-berlusconi-lega_1f4b32e8-ebcb-11df-8ec2-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #123 inserito:: Novembre 15, 2010, 05:26:53 pm »

LA NOTA

Mediazione ambiziosa. Ma la Lega si muove tra le macerie del Pdl

Bossi spera di convincere Fini, ma perfino Gianni Letta vede nero


Sulla carta, la mediazione ha obiettivi ambiziosi. Oggi Umberto Bossi cercherà di convincere Gianfranco Fini a restare nel recinto del centrodestra: magari offrendo un altro governo con Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi e una riforma elettorale. Ma la sua iniziativa diplomatica rischia di rivelarsi un tentativo d'ufficio. Il Fli conferma che se il premier non si dimette subito ritirerà la delegazione dal governo entro la settimana. L'altro ieri la Padania annunciava l'incontro odierno del capo leghista, con due pagine al vetriolo sulla «metamorfosi di un missino», cioè Fini. D'altronde, quando perfino un uomo prudente come Gianni Letta fa capire che il governo è agli sgoccioli, i margini si debbono essere consumati: sebbene manchi l'ultimo atto.

«Questo governo che rappresento pro tempore», ha detto ieri il sottosegretario a Palazzo Chigi, «ha prospettive che in queste ore sembrano restringersi non ad anni ma a periodi e misure di tempo più contenuti». Che questo significhi una crisi immediata non è chiaro.
Berlusconi vuole essere sfiduciato in Parlamento. Non si può escludere un soprassalto di responsabilità da parte di tutti. Ma che il Carroccio trovi il grimaldello per riportare un simulacro di armonia fra il premier e Fini rimane tutto a vedere.

Ci sono esponenti del Fli che si dicono pronti ad allearsi anche con Nichi Vendola pur di andare «contro Berlusconi», tranne poi correggersi. E il Pd di Pier Luigi Bersani raccoglie firme per sfiduciare il premier. Sono altrettante avvisaglie di una crisi in incubazione ma non dichiarata; e di uno scontro nel centrodestra destinato a diventare il cuore di un'eventuale campagna elettorale.
Per ora si conferma il tentativo di prendere tempo per approvare la legge finanziaria, sebbene la strada che porta a fine legislatura appaia tracciata con un solco profondo.

L'incognita riguarda la possibilità di trovare una maggioranza alternativa, per rinviare il voto ed evitare una vittoria dell'asse Pdl-Lega. L'accenno di ieri di Giorgio Napolitano a «chiunque governa o governerà» conferma che il capo dello Stato non esclude nulla, se si apre la crisi. Ma l'ipotesi di un esecutivo di passaggio, accarezzata da Pd, Udc e Fli, e più tiepidamente dall'Idv, ha alcune controindicazioni.
Dà per scontata una compattezza fra centrosinistra, Pier Ferdinando Casini e finiani che va verificata. In aggiunta, le idee sulla riforma elettorale non sono proprio le stesse. Ed esiste un po' di confusione su quello che la coalizione del dopo Berlusconi dovrebbe rappresentare.

L'unica intesa è sull'esigenza di far cadere Berlusconi. Ma sull'opportunità di mettere Pdl e Lega in minoranza, affiorano inconfessate perplessità. La principale è che una soluzione del genere rafforzi Berlusconi. Un centrodestra spedito all'opposizione si troverebbe una campagna elettorale già pronta. Potrebbe gridare al «golpe», nonostante la Costituzione obblighi il capo dello Stato a non sciogliere le Camere se esiste una qualunque maggioranza. Per paradosso, l'implosione del Pdl passerebbe in secondo piano. Il presidente del Senato, Renato Schifani, chiede stabilità contro rischi che chiama «speculazione e poteri estranei al sistema democratico». È una preoccupazione autentica, e può diventare un slogan elettorale.

Massimo Franco

12 novembre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #124 inserito:: Novembre 16, 2010, 11:37:12 am »

La Nota

Una crisi quasi aperta con assaggi velenosi di campagna elettorale

Fini e Schifani oggi al Quirinale mentre il Pdl parla di tradimento

L' accusa di «tradimento» a Gianfranco Fini è già un assaggio di campagna elettorale. Ed i veleni che accompagnano la sua udienza odierna al Quirinale come presidente della Camera lasciano immaginare quanto potrà accadere in seguito. Le dimissioni del ministro e dei quattro sottosegretari del Fli, sebbene annunciate, hanno provocato una sollevazione a tavolino del Pdl. E le frasi dirompenti di alcuni esponenti finiani sulla possibilità di allearsi con la sinistra per evitare le elezioni, sono state motivo di ulteriore polemica: uno sbarramento verbale per impedire tappe intermedie fra il governo e le urne.

Di fronte ad un'alternativa, per quanto rabberciata e fragile, Giorgio Napolitano potrebbe non escludere un rinvio dello scioglimento delle Camere. Si tratta però di uno scenario prematuro e improbabile: nessuno conosce la data esatta della crisi di governo. Si sa solo che dovrebbe aprirsi dopo l'approvazione del patto di Stabilità. Né si possono sottovalutare accelerazioni impreviste: proprio per scongiurarle il capo dello Stato ha convocato Fini ed il presidente del Senato, Renato Schifani.

Il vertice fra Lega e premier ad Arcore dà l'idea di decisioni tormentate. Mostra Umberto Bossi convinto dell'appoggio a Berlusconi; eppure inquieto perché vuole che la rottura possa essere addossata a Fini. Il timore è che l'elettorato di centrodestra non perdoni alla maggioranza lo scioglimento delle Camere. Per questo il Carroccio appare meno determinato ad andare ad elezioni anticipate rispetto a Berlusconi, dopo essere stato per mesi l'avanguardia del voto, ora ostenta prudenza.

D'altronde, gli errori commessi nei mesi scorsi dal Pdl nei confronti della minoranza finiana legittimano la prudenza. La corrente del presidente della Camera è stata prima sottovalutata, poi demonizzata, poi attaccata nella speranza di spaccarla. Ma la guerra fra Berlusconi e Fini ha prodotto soltanto un irrigidimento senza sbocco. E continua. «Lui non sa che cosa lo aspetta se andiamo a votare. Non uscirà bene dalle urne», avrebbe detto ieri il capo del governo parlando del cofondatore del Pdl. «Non siamo traditori, offriamo un altro centrodestra», si difendono i finiani: sebbene l'ipotesi di una coalizione «d'emergenza» col Pd contraddica questa impostazione.

Massimo Franco

16 novembre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota/10_novembre_16/nota-franco-crisi-quasi-aperta_6d614a62-f148-11df-8c4b-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #125 inserito:: Novembre 18, 2010, 12:33:53 pm »

La Nota

Il «dopo Berlusconi» adesso ruota intorno ai conti pubblici

Ma il premier e la Lega ripetono: o fiducia o voto anticipato


L'inquietudine per la situazione economica è autentica e trasversale. Ma il modo in cui viene evocata una possibile crisi dei conti pubblici in caso di elezioni sta assumendo contorni strumentali. Gli echi delle difficoltà finanziarie di Irlanda e Portogallo sono già diventati un pezzo della pretattica che accompagnerà governo ed opposizione fino al voto parlamentare del 14 dicembre: quello che deciderà la sorte di Silvio Berlusconi. Il centrodestra usa l'argomento per chiedere che il premier vada avanti; che rientrino le minacce di crisi da parte di Futuro e libertà, con la sponda di Udc e Pd. «Sarebbe una iattura assoluta», ha avvertito ieri Berlusconi. Di più, un atto di «irresponsabilità».

La cosa singolare è che anche l'opposizione utilizza la crisi economica: ma per ragioni diametralmente opposte. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, e Pier Ferdinando Casini, dell'Udc, legittimano la caduta di questo governo per sostituirlo con uno di «responsabilità nazionale» con dentro tutti; e accusano il capo del centrodestra di fingere di volere la stabilità, mentre lavorerebbe insieme con la Lega solo per arrivare alle urne il 27 marzo. Si tratta di un argomento scivoloso per tutti, e a doppio taglio. Gridare al pericolo di un disastro finanziario è una controindicazione forte alle elezioni anticipate; ma offre anche a Berlusconi un'arma per rispondere a chi vuole la crisi.
È la nuova frontiera polemica lungo la quale si stanno disponendo i partiti. Ma ruota intorno al tema di sempre: la possibilità di continuare la legislatura senza che a Palazzo Chigi sieda ancora Berlusconi. Si tratta di un'eventualità remota, al momento. Pdl e Lega sono concentrati sull'alternativa «fiducia o elezioni». Scartano l'ipotesi di un Berlusconi bis. Ed accusano la sinistra di «voler fare credere che l'Italia stia correndo gli stessi rischi di altri Paesi», nelle parole del sottosegretario Paolo Bonaiuti: allusione a Irlanda e Portogallo, che fanno tremare l'euro.

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, vede un'opposizione pronta ad augurarsi una crisi dell'economia «per giustificare quello che avrebbe un solo nome: ribaltone». È questa, secondo la maggioranza, la sostanza della «grande coalizione», sul modello tedesco, rilanciata ieri da Bersani e Casini: un tentativo di portare al governo le forze sconfitte dal 2008, e spaventate dalla prospettiva di una nuova vittoria del centrodestra. Berlusconi le addita come il vero fattore di destabilizzazione, tentando di allontanare da sé il sospetto di puntare diritto alle urne. Lo contraddice il fatto che la Lega, ma anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa abbiano già indicato il 27 marzo del 2011 come data del voto.

Il premier sostiene di tenere «un profilo basso», e di farlo «per le preoccupazioni che deriverebbero dall'instabilità di governo e per l'attenzione ai titoli del debito pubblico che dobbiamo vendere ogni giorno. Il prossimo anno», ricorda Berlusconi, «sono per 250 miliardi di euro». Sembra così raccogliere l'invito che Giorgio Napolitano ha rivolto a tutti perché dimostrino responsabilità. Il timore che nelle prossime tre settimane il governo racimoli qualche voto e ottenga di nuovo la fiducia è manifestato apertamente solo da Antonio Di Pietro; ma serpeggia anche nel resto dell'opposizione. Potrebbe essere il risultato paradossale di una «sindrome irlandese e portoghese» alimentata per terremotare Berlusconi; ma forse destinata a produrre effetti meno scontati.
D'altronde, l'arresto del boss latitante Antonio Iovine è un colpo che rafforza il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e di riflesso Palazzo Chigi.

Massimo Franco

18 novembre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota/10_novembre_18/nota_e8f6657c-f2dd-11df-8691-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #126 inserito:: Novembre 20, 2010, 09:00:38 am »

LA NOTA

L’ipoteca del Carroccio fra spinte elettorali e sindrome di Prodi

Maroni di fatto, e forse al di là delle intenzioni, evoca il dopo-Berlusconi


Sul governo di Silvio Berlusconi si allunga l’ombra di quello dell’Unione di Romano Prodi, durato dal 2006 all’inizio del 2008. Ormai, gli esponenti della Lega lo ripetono ogni giorno, per motivare una richiesta pressante di elezioni anticipate. A Umberto Bossi non basta che il 14 dicembre l’esecutivo sopravviva al voto parlamentare. Proseguire con una manciata di voti altalenanti significherebbe, secondo i vertici del Carroccio, logorarsi proprio come avvenne al centrosinistra prodiano. Per questo, «noi continuiamo a dire a Berlusconi di ascoltare Bossi», ricorda il ministro dell’Interno, Roberto Maroni.

E per la prima volta allude a Giulio Tremonti come presidente del Consiglio; ma dopo le elezioni. Lo fa per schermirsi quando gli si chiede se non pensi a palazzo Chigi. Giura di no, e aggiunge che «ci si può arrivare solo tramite passaggio elettorale». Non significa che la candidatura di Berlusconi è in bilico: sarebbe impensabile, ad oggi, andare al voto anticipato mettendo da parte il Cavaliere. La Lega pensa a quando le urne saranno aperte ed i risultati daranno magari al Carroccio un ruolo superiore all’attuale. E allora, il ministro dell’Economia Tremonti «sarebbe un ottimo premier», dichiara Maroni. È un accenno ipotetico. Eppure contribuisce ad allungare un’ombra di confusione, se non di precarietà sul futuro del centrodestra e del suo capo storico.

Fa trasparire ed ufficializza non soltanto le ambizioni leghiste e l’asse con Tremonti. Di fatto, e forse al di là delle intenzioni, evoca il dopo-Berlusconi. Consegna a palazzo Chigi un avvertimento che anticipa un possibile cambio di leadership destinato a condizionare la maggioranza; e ad iniettare tensioni in un Pdl nervoso. Maroni, non si sa quanto in sintonia con Bossi, paragona i lumbard alla «vecchia Dc»: un partito-supermarket in grado di amalgamare posizioni diverse. E lo oppone al Pdl ritenuto incapace di gestire i problemi interni. Il pretesto è lo psicodramma che ha riguardato ieri il ministro delle Pari opportunità, Mara Carfagna, pronta a dimettersi per protesta contro il «fuoco amico». Berlusconi che arriva con un’ora di ritardo al vertice Nato di Lisbona perché, si dice, dall’aeroporto deve risolvere al telefono il caso, conferisce alla vicenda un tocco surreale.

Palazzo Chigi dirama una nota per spiegare che ci sono stati problemi di protocollo e altre versioni sono «ridicole». Ma la miscela di pubblico e privato nel Pdl rende verosimile qualunque cosa. E comunque c’è una Carfagna offesa per i sospetti di intesa e di intimità col «nemico», l’esponente finiano Italo Bocchino. Il quadro conferma l’impossibilità di una ricucitura con il Fli; ed attesta l’esasperazione del ministro, considerata finora un’icona del governo. Così, mentre Gianfranco Fini perde pezzi e sicurezza, in difficoltà con Berlusconi e forse con il Quirinale, il Pdl rivela crepe impreviste. E soprattutto deve fronteggiare l’ipoteca leghista sulla maggioranza. Bossi annuncia: staremo con Berlusconi fino all’approvazione del federalismo. Vuole le elezioni: per questo provoca Fini rinfacciandogli di temere il voto. Il resto è buio: un’oscurità nella quale la Lega sembra non curarsi di vedere inghiottita l’era berlusconiana.

Massimo Franco

20 novembre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #127 inserito:: Novembre 25, 2010, 12:26:04 am »

LA NOTA

Il Cavaliere resiste ma aumentano i rischi di elezioni anticipate

Governo ieri sotto due volte. Berlusconi accusa la Rai di falsificare il lavoro dell’esecutivo


L’idea della mobilitazione di piazza a favore del governo per l’11 e 12 dicembre potrebbe segnare l’inizio ufficioso della campagna elettorale. Solo un miracolo permetterà di salvare l’esecutivo dopo l’appuntamento parlamentare del 14 dalla caduta, preannunciata dalle due bocciature di ieri. L’intenzione della Lega di andare alle urne anche in caso di maggioranza risicata rende l’eventualità della sopravvivenza vicina allo zero. «Ma questo significa affidare alla manifestazione della vigilia una funzione propiziatoria, evocando il sacrificio di Silvio Berlusconi.

Soprattutto, serve ad additare quelli che il Pdl già chiama «traditori »; e che saranno il bersaglio fisso della campagna elettorale dell’asse con la Lega. Se Berlusconi ha deciso di chiamare il suo «popolo» a protestare, significa che vuole drammatizzare la probabile crisi, mettendo in fila gli attacchi ricevuti, a suo avviso, da Gianfranco Fini. D’altronde, è l’unico modo che il premier ha per scaricare unicamente all’esterno la frattura nel centrodestra e le tensioni a livello locale. Quando invoca dagli altri «sobrietà» e denuncia «protagonismi e personalismi », si attira addosso le ironie avversarie.

Ma Berlusconi parla al proprio partito: lo ha fatto anche ieri sera accusando stizzito la Rai di falsificare l’operato del governo sui rifiuti a Napoli. Il suo obiettivo è ricompattare il blocco che l’ha portato alla vittoria nel 2008. La stessa insistenza sui numeri parlamentari che avrebbe è funzionale alla narrativa di una crisi provocata dagli altri. Tutti si stanno rassegnando alle elezioni; e perfino al dopo. Quando Maroni ripete che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti sarebbe «un ottimo capo del governo», non sgambetta Berlusconi. Ma fa l’identikit del candidato a Palazzo Chigi gradito al Carroccio qualora i risultati restituissero una situazione incerta.
E quando il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, evoca un governo «di solidarietà nazionale», non si illude che nasca adesso.
Il problema è quanto altro veleno emergerà nel frattempo.

Massimo Franco

24 novembre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota/10_novembre_24/la-nota-massimo-franco_05209ee8-f793-11df-9137-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #128 inserito:: Novembre 27, 2010, 04:44:39 pm »


Mordi e Fuggi

Purtroppo, si ha l'impressione che quanto sta accadendo alla riforma universitaria in discussione in Parlamento abbia assai poco a che fare con il merito del provvedimento. Riguarda in seconda battuta le stesse manifestazioni studentesche, che mescolano preoccupazioni fondate e tentativi evidenti di strumentalizzazione. Ripropone invece la resa dei conti che il centrodestra sta consumando al proprio interno e a spese dell'Italia; e che l'opposizione cavalca, comprensibilmente, in nome di un movimentismo quasi d'ufficio.

Può darsi che la prossima settimana questa bolla gonfiata dalla crisi virtuale del governo e dalla protesta di piazza si ridimensioni, e la riforma venga votata. Significherebbe approvare una legge senza la quale rimarrebbero il vuoto e l'immobilismo, e soprattutto riportare le cose alle loro giuste dimensioni. Ma se un pezzo di maggioranza si schiera con il centrosinistra per battere il governo e logorarlo, non si può fare finta di niente. Simili comportamenti non possono essere sottovalutati o soltanto considerati fisiologici in questa fase rissosa.

La strategia della guerriglia parlamentare tocca anche misure sulle quali appena quattro mesi fa sembrava esistere un'intesa di fondo. E porta a chiedersi che cosa accadrà nei prossimi giorni; soprattutto, quale sarà la sorte di altri provvedimenti sui quali non esisteva in precedenza identità di vedute. Proprio la tattica del «mordi e fuggi» che la minoranza del centrodestra sta applicando alla riforma universitaria spiega perché nelle scorse settimane sia arrivato l'altolà allarmato del Quirinale sulla legge finanziaria.

Giorgio Napolitano ha intuito e bloccato in modo preventivo un gioco spregiudicato che rischiava di travolgere lo stesso patto di stabilità; e che adesso viene praticato colpendo leggi solo in apparenza meno decisive, di fatto quasi altrettanto qualificanti per una coalizione in evidente affanno di risultati e di immagine. Non si capisce quanto sia lungimirante, da parte di Futuro e libertà, insistere su scelte che certamente sottolineano e acuiscono la debolezza di Silvio Berlusconi. Ma in parallelo finiranno per offrire al premier e alla Lega buone ragioni per chiedere elezioni anticipate.

Sarebbe singolare se la guerra civile iniziatasi sette mesi fa nel Pdl per arginare l'«asse del Nord» si concludesse con una corsa alle urne che promette di premiare proprio il partito di Bossi. Si tratterebbe di un suicidio politico difficilmente spiegabile sul piano strategico; e ancora meno giustificabile su quello del buonsenso: soprattutto se coinciderà con l'affossamento di una riforma magari discutibile ma che ha come alternativa il nulla; e in assenza della quale l'Italia sarà non proiettata nel futuro, ma ancora più schiacciata su un presente avaro di prospettive.

Massimo Franco

26 novembre 2010(ultima modifica: 27 novembre 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_novembre_26/franco_mordi_fuggi_6ca61f1a-f924-11df-a6ac-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #129 inserito:: Dicembre 05, 2010, 12:16:27 am »

Il commento

Parole Rozze e Autolesionistiche

L'episodio di ieri sera lascia intravedere quali pressioni è destinato a subire il Quirinale, fino al rischio di scontro


E' stupefacente il modo rozzo e autolesionistico col quale uno dei coordinatori del Pdl ha ritenuto di rivolgersi al Quirinale. Una frase da comizio, che aveva preceduto una nota con la quale Giorgio Napolitano si era limitato a far sapere ufficiosamente che «nessuna presa di posizione di qualsiasi parte» poteva oscurare le sue prerogative: poche parole interpretate come un altolà a chi dà per scontato il voto anticipato; ma anche a Fini, che ieri ha attribuito al capo dello Stato l'intenzione di formare un altro governo se cade quello di Berlusconi. Lo stentoreo «ce ne freghiamo delle prerogative» del Quirinale, gridato ieri sera da Denis Verdini, non è soltanto un atto di volgarità istituzionale: è un autogol politico per il governo, che sembra Berlusconi abbia subìto, perché si dice non ne sapesse nulla. Il coordinatore del Pdl ha trasformato un possibile vantaggio rispetto a Fini in un danno, insultando un Napolitano che ha sempre mostrato rare doti di equilibrio. Ed ha rivelato la tentazione di una parte del Pdl di arrivare anche allo scontro col Quirinale pur di avere le elezioni. Per un «terzo polo» che procede verso la resa dei conti contro Berlusconi quasi a tappe forzate, si tratta di un aiuto insperato. Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini sono decisi a picconare il presidente del Consiglio nella speranza vana di indurlo alle dimissioni prima del 14 dicembre. La mozione di sfiducia con 85 firme, depositata ieri, dovrebbe preannunciare la crisi di governo.

Ma l'episodio di ieri sera lascia intravedere quali pressioni è destinato a subire il Quirinale. Fini ieri ha sostenuto che «il capo dello Stato sa cosa deve fare nel rispetto della Costituzione». Ed ha escluso il voto anticipato, facendo insorgere il resto del centrodestra e creando malumori anche al Quirinale. Per il Pdl era una scorrettezza istituzionale che richiedeva l'intervento di Napolitano. Il problema è che quando il Colle si è mosso, qualcuno nel Pdl già aveva reagito attaccandolo: quasi un'anticipazione dello sfondo di veleni sul quale Napolitano sarà presto chiamato a svolgere il suo ruolo cruciale di arbitro.

Il «terzo polo» e il centrosinistra insistono sulla possibilità di allargare la maggioranza dopo la crisi. Il fronte berlusconiano contempla le urne. Fra questi due estremi c'è una terra di nessuno che il capo dello Stato sarà costretto a percorrere armato solo della bussola della Costituzione. Il problema è che ognuno la vuole piegare ai propri obiettivi. E, se li manca, rischia di cedere alla tentazione di scaricare il proprio fallimento sul Quirinale. Berlusconi cerca di esorcizzare la seduta del Parlamento del 14 dicembre, definendo la mozione di Udc, Fli e Api «una bufala»; e i 317 voti teorici contro il governo una massa destinata a frantumarsi. Casini gli risponde con durezza, invitandolo a «prendersela con se stesso per avere dilapidato la più grande maggioranza del dopoguerra».

Ma perfino l'ideologo di Farefuturo, Alessandro Campi, avverte che «una maggioranza parlamentare antiberlusconiana ed un governo tecnico sarebbero un regalo al premier ed un obbrobrio politico-istituzionale». Sono segnali di perplessità, che, almeno in apparenza, non affiorano nell'«asse del Nord»: almeno non ancora. Casini e Fini si rendono conto che l'idea di essere usati dalla sinistra per abbattere il governo può danneggiarli. E replicano di volere solo «un vero centrodestra. La premessa comune è che l'era berlusconiana si è esaurita. E dietro le loro manovre ed i loro ultimatum si indovina un calcolo azzardato: sperano che se si dovesse aprire davvero la crisi, il Pdl si squagli e la Lega si smarchi. Per il momento gli indizi sono a dir poco labili, sotto traccia: al punto da fare apparire l'offensiva una corazza che nasconde molte inquietudini. Probabilmente una fase è finita davvero, ma la fretta di archiviarla può in realtà prolungarla in maniera imprevedibile: nonostante il contributo maldestro di alcuni berlusconiani.

Massimo Franco

04 dicembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_dicembre_04/franco_parole_autolesionistiche_3dbc8d36-ff7a-11df-8466-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #130 inserito:: Dicembre 07, 2010, 03:58:07 pm »

LA NOTA

Un terzo polo confuso in bilico fra crisi e trattativa sul «bis»

Toni diversi tra Fini e Casini sull’atteggiamento da tenere verso Berlusconi


C’è qualcosa di un po’ confuso nel modo in cui il cosiddetto «terzo polo» sta approdando al voto del 14 dicembre in Parlamento. Esiste una mozione di sfiducia contro il governo guidato da Silvio Berlusconi. Ed è inevitabile che, per farlo cadere, sia necessario il concorso del centrosinistra. Ma nelle ultime ore il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha insistito nel negare qualsiasi «ribaltone che sarebbe un sovvertimento della volontà popolare». E Pier Ferdinando Casini in apparenza gli dà ragione; in realtà sostiene che non ci sarebbe un «ribaltone » perché Berlusconi «si autoesclude». L’altro aspetto singolare è che il premier va avanti, mentre Fli adesso vorrebbe trattare.

Così, da qualche giorno convivono due tesi inconciliabili. La prima è quella che ritiene necessarie le dimissioni di Berlusconi addirittura prima del 14, con una crisi extraparlamentare: ancora ieri Casini ha proposto di scegliere d’accordo con lui «un candidato giovane» a Palazzo Chigi. Ma in parallelo, almeno in linea di principio, Fini non sembra escludere un Berlusconi bis. Insomma, il meno che si possa dire è che la maggioranza di centrodestra si trova a un bivio; che il governo ha i giorni o al massimo le settimane contate; ma che nelle file avversarie regna l’incertezza: soprattutto nel «terzo polo».

Quando Antonio Di Pietro afferma che non si può non andare a primavera a elezioni anticipate, piccona il «governo tecnico» o «di responsabilità nazionale » accarezzato dal resto delle opposizioni. È vero che il capo dell’Idv non esclude un «previo periodo» di tre mesi per cambiare la legge elettorale. Ma sembra essere il primo a non credere che sia possibile. Vuole le elezioni e martella su quelle che considera le ambiguità dei centristi, mentre l’asse Berlusconi- Lega è lineare sulla strategia «o fiducia o elezioni anticipate».

Sull’altro fronte, invece, il tandem Fini-Casini pedala in sincronia, ma con qualche segnale di affaticamento. Sul sito dei finiani «Libertiamo » c’è chi propone il «doppio passo indietro» di Berlusconi dalla presidenza del Consiglio e di Fini da quella della Camera: una proposta subito declassata a ipotesi minore, ma significativa di un certo sbandamento. A farlo affiorare è l’accusa di fare il gioco della sinistra puntando alla crisi di governo. Pdl e Lega ironizzano sul presidente della Camera che ieri in una scuola romana ha detto che l’elettore «non vota chi non è coerente». Il «terzo polo» è accusato di essere un alleato oggettivo degli antiberlusconiani.

Non lo aiutano le perplessità più o meno sotto voce, espresse dalle gerarchie cattoliche; né la tesi del Pd, secondo il quale, dice Dario Franceschini, l’alleanza con Fli sarebbe motivata da «un’emergenza democratica». Rimane la polemica generazionale che si è aperta fra Berlusconi e il leader dell’Udc, che sta assumendo una piega sgradevole. Al premier che aveva imputato ai vertici del «terzo polo» di essere «vecchi maneggioni» della politica, ieri Casini ha replicato definendo Berlusconi «catacombale». Non è un bello spettacolo. Ma soprattutto, si tratta di ulteriori elementi che promettono di aprire la strada ad un epilogo certo imprevedibile; e probabilmente traumatico ed allarmante per la sua rissosità.

Massimo Franco

07 dicembre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota/10_dicembre_07/nota_d6fe0e60-01c9-11e0-afab-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #131 inserito:: Dicembre 10, 2010, 07:16:11 pm »

LA NOTA

Dal terzo polo un’offerta che nasconde la paura di elezioni anticipate

Voci confuse di un nuovo centrodestra senza Berlusconi, ma si aspetta il 14


Il «terzo polo» si prepara a proporre un governo di centrodestra allargato all’Udc senza Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, non appena si apre la crisi. Sarebbe il tentativo estremo che il tandem già un po’ in affanno tra Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini sembra intenzionato a fare per evitare le elezioni anticipate; o comunque per destabilizzare il Pdl e additare il premier come responsabile della rottura. Ufficialmente, ad archiviare la possibilità che Berlusconi rimanga alla guida del governo è solo il leader dell’Udc. Il presidente della Camera si mostra meno esplicito, perché deve tenere compatto un Fli nel quale non tutti sono convinti dell’operazione.

Per questo, formalmente Fini non esclude un Berlusconi bis, a patto che si dimetta prima del 14 dicembre. Ma la manovra presenta incognite profonde. Dire, come fanno i capi del «terzo polo», che l’appuntamento in Parlamento è ancora lontanissimo significa sperare in una svolta che non si vede ancora; e contare su uno smottamento del Pdl e uno smarcamento leghista dei quali continua a non esserci traccia. Non solo. Da quanto filtra dalla cerchia berlusconiana, sarebbe il presidente del Consiglio a non volere un «bis». Non si fida di Fini e Casini. E ricorda che nel 2005 rifece il governo su pressione dell’Udc dopo le regionali, approdando alla sconfitta del 2006.

Su questo sfondo, non è chiaro neppure se si aprirà subito la crisi. I numeri rimangono incerti. E il sottosegretario a Palazzo Chigi, Paolo Bonaiuti, profetizza una delusione per «maghi e maghetti dell’opposizione». Eppure, comunque vada il governo appare al capolinea, intrappolato in una situazione non più sostenibile e con una maggioranza che da mesi non è più tale. «Anche se Berlusconi dovesse avere una fiducia di 2 o 3 voti, è chiaro che non potrà andare avanti», sostiene Casini, non escludendo sorprese.

L’ipotesi del voto anticipato, a meno che non si materializzi un imprevisto, continua ad essere pericolosamente presente. Berlusconi lo considera l’unico antidoto al logoramento. Ed i suoi avversari temono che insieme con Umberto Bossi il calcolo sia quello di rompere il 14 se il governo viene sfiduciato; oppure a gennaio se riesce a superare l’ostacolo. Si tratterebbe solo di spostare la crisi, ritenendo impossibile andare avanti con margini così risicati e un Fli che fa guerriglia in Parlamento. Se finisce la legislatura, sembra improbabile che Berlusconi rinunci a candidarsi alla guida dell’esecutivo: sebbene nel Pdl e nella Lega siano affiorate ad intermittenza altre ipotesi.

La sensazione è che presentando la mozione di sfiducia, Fini e Casini abbiano per paradosso ridotto gli spazi della trattativa. E il premier ha colto l’occasione per cercare di serrare le file ed accusare di «tradimento» chiunque pensi ad un governo senza di lui e teso a coinvolgere l’opposizione. La polemica che sta lievitando col Fli fa capire che sarà il tema-principe in caso di campagna elettorale. I finiani che non escludono alleanze col Pd e con l’Idv in nome dell’ «emergenza» forniscono un pretesto. Per richiamare alla responsabilità, Casini dice: «Si prenda esempio dalla Prima Repubblica». Ma rischia di essere un’altra arma polemica messa in mano a Berlusconi e Bossi.

Massimo Franco

08 dicembre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota.shtml
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« Risposta #132 inserito:: Dicembre 14, 2010, 09:52:55 pm »

Cambio di Stagione


Probabilmente oggi il Parlamento certificherà la frantumazione di quella che è stata l'ossatura delle coalizioni di centrodestra per oltre sedici anni: l'alleanza fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Si tratta innanzi tutto dell'esplosione dell'ex Msi, poi An, abbracciati e fagocitati dal Cavaliere. È la loro «guerra civile» a restituire una maggioranza lacerata, conseguenza della frustrazione finiana per il modo in cui si è formato il Pdl; e per l'affermazione di un altro asse, quello fra Berlusconi e Umberto Bossi, che ha fatto apparire marginale il presidente della Camera.

Per questo, è giusto dire che oggi finisce un centrodestra, sebbene sia assai meno scontato dare per archiviato il berlusconismo. Che il governo sia virtualmente agli sgoccioli non sembra in discussione: lo sarà anche sfuggendo alle forche caudine del Parlamento. Il presidente del Consiglio non si illude di emergere con una vittoria squillante. Punta ad un certificato di sopravvivenza politica che suonerebbe come una sconfitta per Fini e per chi ha puntato su di lui dimenticando il lungo appoggio al Cavaliere. Ma prevalere per qualche voto può non bastare a scongiurare la crisi. L'impressione è che la fiducia non sarebbe risolutiva in sé.
Potrebbe portare a un consolidamento e perfino a un allargamento della maggioranza. Rimane il rischio delle urne a primavera, con Berlusconi e Bossi decisi a far pesare un risultato positivo anche sul Quirinale. Le due strade nascono dalla consapevolezza che è impossibile governare con uno scarto esiguo e raccogliticcio. La perentorietà con la quale la Lega chiede il voto anticipato allunga un'ombra sulla legislatura. E Bossi non dice che le elezioni sono una strada obbligata perché prevede la sfiducia a Berlusconi. Lo afferma convinto che il premier otterrà il «sì» di Senato e Camera.

Implicitamente, è la conferma che il passaggio odierno sarà soprattutto tattico: una resa dei conti interna alla coalizione berlusconiana, seppure decisiva. La rincorsa dei parlamentari da parte del premier e le riunioni del Fli nell'ufficio del presidente della Camera, segnalano un affanno parallelo; e una forzatura dei ruoli istituzionali. Dallo spettacolo degli ultimi mesi il capo del governo e Fini escono un po' logorati. Ma una cosa è lo scontro consumatosi finora, un'altra le manovre che cominciano da domani.

Non debbono ingannare l'appello di Berlusconi ai «moderati» e le proposte finiane in extremis al premier: sono la coda del «gioco del cerino». Berlusconi va avanti, e Bossi gli è anche fisicamente accanto. Ma l'esito parlamentare rimane un'incognita. Dilata la percezione del tramonto di un sodalizio e di una fase politica. Comunque si concluda questa crisi poco comprensibile, da domani il centrodestra sarà diverso: con la Lega candidata ad essere sempre più baricentro del sistema. E pensare che Fini mirava a ridimensionarla.

Massimo Franco

14 dicembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_dicembre_14/franco-berlusconi-fini-parlamento_34a1257c-074a-11e0-a25e-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #133 inserito:: Dicembre 15, 2010, 05:26:57 pm »

La Nota

Sulle macerie di Fli si rafforza l'asse fra la Lega e il premier

L'apertura all'Udc vela la corsa già in atto verso le elezioni anticipate


Se anche è probabile che da ieri le elezioni anticipate sono più vicine, Silvio Berlusconi non lo dà a vedere. E dopo avere umiliato Gianfranco Fini e il Fli nella resa dei conti parlamentare, ostenta una calma e una prudenza che dimostrano l'incertezza del governo. Il presidente del Consiglio assicura di essere pronto perfino a esaminare l'ipotesi di una crisi pilotata, per allargare il centrodestra all'Udc di Pier Ferdinando Casini, sebbene ridimensioni l'apertura spiegando che la Lega non sarebbe d'accordo. Conta sulla risacca finiana dopo la bruciante sconfitta di ieri a Senato e Camera. E nega il pericolo di una «sindrome Prodi», ovvero il rischio di avviarsi a un rapido logoramento a causa di un vantaggio risicato.

È un sopravvissuto cauto, quello che ieri ha presentato l'ultimo libro di Bruno Vespa: così cauto da non infierire sul presidente della Camera. Eppure, qualche punto fermo lo ha messo. Intanto, Berlusconi archivia qualunque alleanza con il Fli. Per lui il partito finiano non esiste più: possono esserci solo dei pentiti che ritornano nel Pdl. Secondo: l'asse con Umberto Bossi è più solido che mai. E il modo in cui il premier dice di discutere con Bossi lascia intuire un tandem convinto di rivincere le elezioni.

Il terzo punto è una riaffermazione del bipolarismo così netta da sconfinare in un sogno bipartitico: con la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento innalzata al 5 per cento, dal 4 attuale. Ma la preoccupazione di Berlusconi è di non dare l'impressione di volere andare alle urne. Il premier sostiene che a lui e a Bossi converrebbero, e che ne stanno discutendo, con la Lega tentata e per il momento frenata proprio da Palazzo Chigi. Se poi la situazione precipita, c'è Fini come capro espiatorio.

A spiegare il suo atteggiamento tutt'altro che trionfalistico sono i numeri parlamentari avari. È il timore che l'instabilità «armi» la speculazione finanziaria contro l'Italia. E ancora, il colloquio di ieri al Quirinale con Giorgio Napolitano, subito dopo avere ottenuto una fiducia preziosa ma risicata. Tre voti in più sono decisivi per andare avanti ancora un po', ma non per governare. E l'atteggiamento di Casini, secondo il quale Berlusconi non gli ha dato retta perché non si è dimesso, resta di chiusura netta. Ma si è aperta una fase nuova, che il centrodestra sente di poter gestire con maggiore tranquillità, nonostante tutto.

Massimo Franco

15 dicembre 2010
http://www.corriere.it/politica/nota/10_dicembre_15/nota_34d689a8-0815-11e0-b759-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #134 inserito:: Gennaio 14, 2011, 11:16:32 am »

Che Succede Ora


La flemma con la quale Palazzo Chigi ha accolto la sentenza di ieri della Corte costituzionale sul legittimo impedimento non è solo di facciata. Fa intuire il sollievo di un governo che forse temeva la bocciatura totale della legge, mentre invece almeno il principio è salvo. E sembra confermare che Silvio Berlusconi non vuole arrivare al voto anticipato sull'onda del conflitto con la magistratura: un tema scivoloso, se non impopolare. Il futuro della legislatura rimane in bilico. Ma non sarà il verdetto della Consulta a portare l'Italia alle urne.

Il tentativo è di accogliere la decisione come un compromesso tutto sommato accettabile e ininfluente sul destino del governo. Per questo gli avvocati di Berlusconi minimizzano, mentre il premier ufficialmente non parla. E minimizza la Lega, preoccupata solo di non intralciare la marcia sorniona verso il federalismo: al punto che gli attacchi alla Corte di alcuni esponenti del Pdl finiscono per apparire fuori misura, nella loro virulenza. Siccome fingere che non sia successo niente appare difficile, si tende a dimostrare che non è accaduto nulla di traumatico: le incognite per la coalizione sono altre, e si annidano in Parlamento.

Il responso della Consulta si aggiunge al rosario delle difficoltà berlusconiane. Ma le affianca, non le sovrasta. E non è destinato a rivoluzionare una tabella di marcia che prevede il puntello di un gruppo di «responsabili», sebbene abbia contorni numerici da definire; il sostegno a intermittenza del Polo della Nazione di Pier Ferdinando Casini; e una continuità precaria quanto obbligata.
La versione governativa stride con l'entusiasmo del «popolo viola». Eppure la gioia antiberlusconiana suona un po' eccessiva, se Di Pietro conferma il referendum contro il legittimo impedimento.

Il centrodestra ostenta tranquillità perché lo svuotamento della legge, determinato dal responso della Consulta, è bilanciato dal riconoscimento della rilevanza costituzionale del presidente del Consiglio; e soprattutto perché sente di poter dettare l'agenda agli avversari, spaventati dalle elezioni. La strategia di Berlusconi è quella di accreditarsi come garante della stabilità e antidoto al caos, nonostante la defezione di Gianfranco Fini; e di concedere il minimo indispensabile a Casini.

Si tratta di un'operazione sul filo del rasoio, perché cresce l'impressione di uno scambio asimmetrico, che l'Udc teme di pagare col logoramento. L'apparente irrigidimento centrista sul federalismo e sulle dimissioni del ministro Sandro Bondi nasce da questa preoccupazione. Quando Casini ricorda al premier che il legittimo impedimento sarebbe passato alla Consulta con le modifiche suggerite dall'Udc, sembra dargli un avvertimento: senza di noi, la legislatura finisce.

Berlusconi lo sa. Non vuole le elezioni ma confida che gli avversari, temendole più di lui, alla fine si piegheranno.

Massimo Franco

14 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
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