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Autore Discussione: Fini si smarca, la base all'attacco "Non sei più il nostro leader"  (Letto 3970 volte)
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« inserito:: Settembre 14, 2008, 03:59:22 pm »

14/9/2008 (8:Fico - REPORTAGE

Fini si smarca, la base all'attacco "Non sei più il nostro leader"
 
«Atreju», la festa dei giovani di Alleanza Nazionale
 
La delusione tra i ragazzi di An


FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA

«Io faccio parte di quella Alleanza Nazionale che Fini ora ha sputtanato». È furibondo Giuseppe Forestiero, 43enne da Potenza, quando si allontana dal tendone dibattiti della festa. Il presidente della Camera sta parlando di «giudizio complessivamente negativo» da dare al Ventennio, di valori antifascisti in cui riconoscersi, di «parte giusta e parte sbagliata» tra partigiani e combattenti di Salò. I giovani del partito lo seguono a fatica, gelo in platea mentre il presidente articola il ragionamento, smottamenti dalle ultime file finché sbotta Forestiero alzandosi dal posto: «Hai perso la coerenza», gli urla, gli organizzatori lo invitano a calmarsi, eppure mentre va verso il bar è a lui che battono le mani i ragazzi. «Bravo, hai fatto bene», gli dà una pacca sulle spalle Gianluca Verchiani, 34enne con maglia dell'Ira («Potete uccidere i rivoluzionari, non ucciderete la rivoluzione»); «Fini non è più il nostro presidente», si sfoga una ragazza. «L'impressione è che si sia proprio venduto al Pdl», scuote la testa Lorenzo D'Elia, 24 enne romano.

Mentre sotto il tendone il dibattito continua, fuori, tra il bar che rifornisce di birre e caffè e lo stand libreria con l’opera omnia di Tolkien, commentano l’uscita di Fini nugoli di ragazzi con croce celtica al collo e t-shirt nere dalla fiamma tricolore e scritte più o meno audaci (da «Cuori neri» a «Vecchio partigiano non potrai cancellare 600 giorni della Repubblica Sociale»). Accanto agli arrabbiati c’è chi borbotta a mezza bocca - «No comment», un biondino poco più che adolescente - e chi discetta diplomaticamente che «il giudizio sul fascismo lo danno gli storici: perché ci chiedete sempre del passato e non dell'attualità?», vorrebbe chiudere Giuliano Castellino, trentenne dell'Area identitaria romana. Però a scavare un po’ ammette che «personalmente non do un giudizio storico negativo del fascismo fino al ‘38» e «non sono d'accordo con Fini nel dividere i combattenti in parte giusta e sbagliata». Perché ha un bel da dire il leader di An («e comunque il nostro reggente adesso è La Russa», puntualizza non a caso Francesco Maria da Lodi) che la destra deve dare «un giudizio complessivamente negativo» del fascismo: «I giudizi sulla storia li danno gli storici, i politici danno interpretazioni e ce ne sono di diverse», dribbla la domanda Massimiliano Bonu da Parma. «Fini sta rinnegando il suo passato», esordisce il coordinatore regionale lombardo di Azione giovani, Antonio Pasquini, che non festeggiare il 25 aprile «perché è una festa di parte». Non si dica poi che forse occorre ammorbidire qualche posizione in vista della fusione con Forza Italia: «Incontro molti loro dirigenti che hanno il busto del Duce nella stanza», dice lui. «Il Ventennio ha avuto estremi meriti ed estremi demeriti», aggiunge Maurizio Marrone, dirigente nazionale torinese.

Alla fine, quando già Fini se n'è andato, si riunisce un capannello di ragazzi, arrivati da tutta Italia. Se la sentono di dire che il fascismo è tutto negativo e di professarsi antifascisti? Silenzio. Uno solo, dirigente nazionale di Aversa, Gianmario Mariniello: «Oggi sì, sono contro tutte le dittature». Gli altri si guardano, svicolano, colpa dei cronisti che fanno sempre queste domande. Veramente la fa Gianfranco Fini: ma, come dice Chiara, 19enne da Ferrara, «lui è il leader, ma io posso non essere d'accordo».

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 16, 2009, 03:39:56 pm »

La lettera degli ex An che chiedono a Berlusconi un patto di consultazione

Fini: la risposta a chi pensava che io fossi isolato nel mio stesso partito

"Il governo farà i conti pure con i miei" Gianfranco vara la corrente di Montecitorio

di FRANCESCO BEI


ROMA - C'erano una volta tre correnti in An: gli uomini di La Russa e Gasparri, quelli di Alemanno e i fedeli di Matteoli. Una vecchia mappatura interna da riscrivere dopo il colpo inferto ai colonnelli dalla lettera di Italo Bocchino a favore di Fini. È la nascita della "corrente di Montecitorio", a guida finiana, con cui il Cavaliere dovrà iniziare a fare i conti. Soprattutto se la Consulta boccerà il lodo Alfano e il premier, come ha anticipato Feltri, proverà a farlo riapprovare di gran carriera.

L'iniziativa della lettera, prima dell'happy ending unitario, ha mostrato impietosamente qual è la realtà dei rapporti di forza interni all'area ex An: solo una piccola minoranza aveva dato retta ai berluscones e non aveva firmato il documento. Il calcolo è semplice. Tra i 71 deputati nominati da via della Scrofa - escludendo lo stesso Fini, l'indipendente Nirenstein e i 9 impegnati al governo - Bocchino era riuscito a raccogliere a metà pomeriggio, dopo la sconfessione di La Russa, Matteoli, Gasparri e Alemanno, 50 firme. Ergo, ai "berluscones" restava il controllo di 20 deputati su 70, meno del 30 per cento del partito. E 12 erano le firme di deputati di Forza Italia, persone come Benedetto Della Vedova, che si erano aggiunti, salvo poi ritirare la firma su richiesta di Fini "per non dare l'impressione che si andava a pescare nell'orto di Berlusconi".

Tra i finiani si trovavano nomi di sicura osservanza come la direttrice del Secolo, Flavia Perina, Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Giulia Bongiorno, legale di Fini. E poi Silvano Moffa, ex presidente della provincia di Roma, il siciliano Pippo Scalia e il bolognese Enzo Raisi, l'ex capo della segreteria di Fini, Donato Lamorte e Antonio Mazzocchi. Proprio il decano Lamorte si può permettere qualche stilla di veleno contro i berluscones: "Condivido quello che Fini ha detto a Gubbio e perciò ho firmato questa lettera. Se poi c'è qualche collega che all'interno ha qualche padrone, non vorrei stare nei suoi panni".

Contro la lettera pro Fini si erano schierati tra gli altri Barbara Saltamartini, Carmelo Porcu, Francesco Aracri, Mario Landolfi (l'unico alla fine ad aver mantenuto la sua posizione nonostante la marcia indietro dei colonnelli), Viviana Beccalossi, Roberto Menia, Paola Frassinetti e Massimo Corsaro. A sorpresa anche uno degli uomini più vicini al presidente della Camera come Marco Martinelli aveva manifestato la sua freddezza rispetto alla lettera di Bocchino, per evitare "una gara a chi è più amico politico di Fini".

La sostanza tuttavia è che Fini - che ieri ha lasciato fare a Bocchino, per non dare l'impressione di entrare direttamente nella mischia - ha mostrato di avere ancora presa sui suoi ex compagni di partito. "Qualcuno - si è confidato il presidente della Camera con chi è andato a congratularsi a fine giornata - aveva fatto credere che fossi isolato nel mio stesso partito. E questo è il risultato".

Insomma, se Berlusconi ha provato a fare "shopping" nelle file dei finiani, il tentativo è stato respinto dalla conta interna sulla lettera. Così Italo Bocchino, su un divano di Montecitorio, spiega in serata lo stop and go dei La Russa e degli Alemanno: "All'inizio hanno scelto una linea attendista perché pensavano che la mia lettera, anziché favorire la distensione tra Fini e Berlusconi, potesse danneggiare il dialogo. Poi hanno dato via libera ai loro amici più stretti quando hanno ritenuto che la peggiore unanimità sulla lettera fosse comunque migliore di una divisione interna tra maggioranza e minoranza". Dove a essere in "minoranza", è il sottinteso, sarebbero stati proprio i quattro ex capicorrente.

Resta comunque ancora il macigno nei rapporti tra Fini e Berlusconi, nonostante anche ieri Gianni Letta abbia chiamato il presidente della Camera e Niccolò Ghedini lo sia andato a trovare al primo piano di Montecitorio. Tanto che ieri sera, durante Porta a Porta, il Cavaliere ha rimarcato la differente concezione di partito che lo allontana dal leader di An. Dagli uomini di Berlusconi sale inoltre un'irritazione sempre più forte nei confronti di Fini, a cui hanno dato voce ieri Sandro Bondi e Denis Verdini. Spia della rabbia che anche ieri Berlusconi ha manifestato in privato nei confronti del leader di An: "Proprio nel giorno della consegna delle prime case ai terremotati, quando cogliamo i successi della nostra azione di governo, siamo ancora a questo vecchio teatrino".

(16 settembre 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 31, 2009, 12:35:20 pm »

FINI aveva evidenziato il rischio per Silvio di «restare stritolato» tra Tesoro e Lega

Quel filo diretto con la Camera

Premier e «cofondatore» si ritrovano grazie a Letta.

Il sottosegretario al Cavaliere: inevitabile riavvicinarsi


Non si parlavano né si vedevano, oggi non passa giorno senza che si sentano. Discutono di tutto, anche di politica estera, se è vero che ieri Berlusconi ha consultato Fini su D’Alema, sull’ipotesi che l’ex ministro degli Esteri italiano diventi ministro degli Esteri europeo. Il «caso Tremonti» ha avvicinato il premier e il presidente della Camera.

Già nell’ultimo mese i due aveva­no riallacciato i rapporti, tra diffi­denze e ostilità che comunque non sono state del tutto superate. Ma le tensioni con il titolare di via XX set­tembre hanno accelerato il proces­so di ricucitura, perché Fini aveva avvisato Berlusconi in tempi non sospetti sul rischio di «rimanere stritolato» nel gioco di sponda tra il ministro dell’Economia e la Lega, e lo aveva invitato a saggiare la forza di quell’asse, rompendo l’assedio. Così avrebbe riconquistato centrali­tà e primato. E così è stato, grazie anche al contributo del «cofondato­re » del Pdl, che si è opposto alla «promozione» di Tremonti a vice­premier.

Il ruolo guida nelle scelte di politi­ca economica è decisivo, specie in una simile fase di crisi, e non c’è dubbio che il Cavaliere se ne stia im­possessando, che il ruolo di Tre­monti appaia adesso più definito: lo testimonia l’ennesimo incontro ad Arcore tra il premier e il mini­stro, il compromesso del Comitato che Tremonti è stato chiamato a presiedere «dentro» il Pdl, e che ap­pare una sorta di contrappasso ri­spetto al 2001, quando proprio il ti­tolare dell’Economia affossò l’idea di una «cabina di regia» chiesta da Fini, allora vicepremier. Certo, non tutto è stato risolto, ma non è que­sto il punto. C’è che per la prima volta, e in un passaggio delicato, il Cavaliere e l’ex capo della destra si sono mossi all’unisono. In più l’azione del presidente della Came­ra con Bossi è stata funzionale alla tattica berlusconiana nella trattati­va per le Regionali.

Le differenze tra «Silvio» e «Gian­franco » restano, sono differenze ca­ratteriali e di approccio alle questio­ni. Se Berlusconi continua a vedere in Fini un «professionista della poli­tica », l’altro gli risponde con due pa­role: «lealtà» e «franchezza», che spesso vuol dire durezza, presa di distanza, su temi come l’immigra­zione, la bioetica, le riforme. Ma ci sarà un motivo se Gianni Letta ha spinto e spinge per la «pacificazio­ne » tra il premier e l’inquilino di Montecitorio. E non è solo perché, ormai anche in pubblico, si sta to­gliendo i sassolini dalle scarpe con Tremonti. Il sottosegretario alla pre­sidenza dice che per Berlusconi «il riavvicinamento a Fini è necessario e utile», dunque «inevitabile».

C’è la mano di Letta anche nel «dossier europeo» che riguarda D’Alema, è a Letta che il «cofondato­re » del Pdl ha raccontato il collo­quio con il dirigente del Pd avvenu­to ad Asolo, poche settimane fa. Ed è nella conversazione di ieri con il Cavaliere che il triangolo si è chiu­so, perché non c’è dubbio che l’eventuale nomina di D’Alema smonterebbe la tesi che il governo non ha a cuore l’interesse naziona­le.

Come in ogni trattativa, è da ve­dere se andrà in porto. Ma anche stavolta i due hanno discusso, smantellando un altro pezzo di mu­ro che ancora li separa.

Molto è cambiato da quando nemmeno si salutavano, persino i berlusconiani di più stretta osser­vanza perorano oggi la causa del «riavvicinamento». A una cena a ca­sa di Cicchitto, il capogruppo del Pdl, Verdini e altri ospiti hanno espresso apprezzamenti su Fini e concordato sulla necessità di un più stretto rapporto tra i fondatori del Pdl. Bondi addirittura ha scritto una nota, recapitata al premier, in cui sostiene la tesi dell’«imprenscin­dibilità » del rapporto con il presi­dente della Camera. I due si muovo­no su orizzonti temporali diversi, ma nel presente gli interessi sono convergenti: l’ex leader di An ha bi­sogno che Berlusconi resti forte per misurarsi alla distanza. Altrimenti resterebbero solo macerie.

Ma sarà sulla giustizia che si veri­ficherà se l’asse regge e si rafforza. Tutto è sospeso nel Palazzo, dove si avverte il clima delle vigilie decisi­ve. Perché è chiaro che sul «caso Mills» una sentenza avversa al pre­mier sconvolgerebbe il corso della politica, mentre non è ancora chia­ro se e come il centrodestra cerche­rà di evitare lo show-down giudi­ziario. Durante un vertice del Pdl dopo la bocciatura del «Lodo Alfa­no », un dirigente del partito ha chie­sto al Cavaliere se avesse il retropen­siero delle elezioni anticipate. «Non ho nessun retropensiero», è stata la reazione: «Voglio andare avanti. Ma se non ci fosse consentito di gover­nare, bisognerebbe rivolgersi agli elettori». Ecco la prova del nove.

31 ottobre 2009
da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Novembre 24, 2009, 06:27:06 pm »

LA POLEMICA

"Il Giornale", "Libero" e "La Padania": un triplo attacco contro Fini

I tre quotidiani di centrodestra lanciano dure critiche al presidente della Camera


ROMA - È ancora tensione tra Gianfranco Fini e i giornali del centrodestra. E stavolta le critiche al presidente della Camera arrivano contemporaneamente da tre quotidiani: "Il Giornale", "Libero" e "La Padania". Il quotidiano diretto da Vittorio Feltri ricorda lo "sdoganamento" che Berlusconi fece dell'allora leader del Msi: «Sedici anni dopo il "camerata" Fini è Presidente della Camera», conclude l’articolo. Di spalla un altro intervento: «Ma adesso la destra si sente tradita».

IMMIGRATI - Anche "Libero" dedica una pagina al Presidente della Camera. Al centro una foto d'archivio, un giovane Fini con la fiamma del Movimento sociale alle spalle.
 
"Il Giornale" di Maurizio Belpietro raccoglie 14 dichiarazioni del Presidente della Camera, pronunciate fra il 1987 e il 1993. Tutte dedicate all’immigrazione, con un titolo eloquente: «Il curriculum anti immigrati di Fini».

"La Padania", infine. L’articolo parte in prima pagina, il titolo gioca con le parole: «Clandestini e afFini verso il naufragio - Dalla destra verso l'ignoto, la lunga "nuotata" del sub Fini». «Ancora ignoto il punto nel quale riemergerà, probabile però che sia oltre i confini dell’attuale centrodestra», scrive il quotidiano del Carroccio.


24 novembre 2009
da corriere.it
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