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Autore Discussione: EDGAR MORIN...  (Letto 2848 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2008, 10:24:34 pm »

Edgar Morin (Parigi, 1921)
 
 


VITA
Edgar Morin è nato a Parigi nel 1921. Entrato a vent'anni nel P.C.F., quando la Francia era ancora occupata, ne viene escluso dieci anni dopo. Sociologo al C.N.R.S., si dedica negli anni Cinquanta a ricerche, rimaste celebri, sul divismo, i giovani e la cultura di massa. Collabora con articoli politici al "France-Observateur" e poi al "Nouvel Observateur". Fonda, nel 1956, con altri intellettuali transfughi del P.C.F., che non hanno abbandonato l'idea comunista, la rivista "Arguments", che si ispira alla rivista "Ragionamenti" di Franco Fortini, e durerà fino al l962, trattando i temi politici centrali degli anni Cinquanta e Sessanta: il congelamento della lotta di classe nei paesi del "socialismo reale", la nuova classe burocratica, la guerra d'Algeria, il gaullismo. Nel 1967, con Roland Barthes e Georges Friedmann, fonda "Communications", di cui è tuttora direttore. Un soggiorno al Salk Institut nel l969 lo mette a contatto con la teoria dei sistemi che costituirà il punto di partenza delle sue successive ricerche epistemologiche. E' membro del Centre national de la recherche scientifique. Nel 1987 ha vinto il Premio Europeo "Charles Veillon".

OPERE
L'An zéro de l'Allemagne, Paris 1946; L'homme et la mort, Paris 1951; Le cinéma ou l'homme imaginaire, Paris, 1956, trad. it. Il cinema e l'uomo immaginario , Milano, 1957; Les stars, Paris, 1957; Autocritique, Le Seuil, Paris, 1959, 2ª ed. l994; L'esprit du temps, Paris, 1962; L'industrie culturelle, Paris, 1962, trad. it. L'industria culturale, Bologna, 1974; Introduction à une politique de l'homme, Le Seuil Paris, 1965; con C. LEFORT e J. M. COUDRAY, Mai 68: la brèche, Fayard, Paris, l968 (nouvelle éd. suivie de Vingt ans après, Complexe, Bruxelles, l988), trad. it. La comune di Parigi del maggio l968, Il Saggiatore, Milano, l968; Le paradigme perdu, Le Seuil, Paris, 1973, trad. ital. Il paradigma perduto Bompiani, Milano, 1974; La méthode I. La Nature de la Nature, Le Seuil, Paris, 1977, trad. it. parz. Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione, Feltrinelli, Milano, 1983; La méthode II. La Vie de la Vie, Le Seuil, Paris, l980, trad. it. parz. La vita della vita, Feltrinelli, Milano, 1987;Le rose et le noir, Paris, l984; La méthode III. La Connaissance de la Connaissance, Le Seuil, Paris, l986, trad. it. La conoscenza della conoscenza, Feltrinelli, Milano, l989; Penser l'Europe, Paris, 1987, Pensare l'Europa, Milano, 1988; La méthode IV. Les Idées, Le Seuil, Paris, l99l, trad. it. Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi, Feltrinelli, Milano, l993; con A.-B. Kern, Terre-Patrie, Le Seuil, Paris, l993. In collaborazione con Jean Rouch, Morin ha diretto anche il film Chronique d'une été (1961).

PENSIERO
Al centro dell'impegno politico e delle prime ricerche di Edgar Morin c'è una lucida e vivace analisi della cultura di massa quale complesso di miti, simboli e immagini della vita reale e della vita immaginaria, in cui l'uomo quotidianamente si attua e si riconosce. Successivamente Morin ha intrapreso una vasta indagine del rapporto natura-cultura in base al concetto di "complessità". La cultura costituisce un sistema generatore di alta complessità in cui, a partire da un certo stadio dell'evoluzione, la complessità del cervello e la complessità culturale si implicano a un punto tale che il ruolo della cultura risulta indispensabile per la stessa evoluzione biologica. Il cervello è per Morin il più interno e il più esterno di tutti gli organi: la mente è nel mondo che è nella mente, quindi l'organizzazione del tutto si trova all'interno di una parte che è in questo tutto. Il sistema non possiede perciò una unità sostanziale, ma è un'unità paradossale, che si compone di elementi forniti al tempo stesso di una identità specifica o attuale e di una identità totale o virtuale in antagonismo tra loro: l'unità complessa del sistema crea e reprime a un tempo questo antagonismo. L'organizzazione nasce dalla differenza tra le parti, complementari, specializzate e in conflitto reciproco.


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Aforismi
Edgar Morin
La razionalita' occidentale
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La razionalità occidentale si è ritenuta, specialmente a partire dal XVIII secolo, proprietaria della ragione. Il che vuol dire che considerava arretrati gli uomini di altre civiltà, delle grandi civiltà come la civiltà indù o quella cinese; li considerava arretrati perché non erano arrivati allo stadio del pensiero razionale. Quelle civiltà erano considerate ancora involute nelle loro credenze religiose. Le culture arcaiche erano viste come una congerie di superstizioni primitive.

E del resto all'inizio del XX secolo questa concezione è stata teorizzata, in particolare agli inizi dell'antropologia. L'antropologo francese Lucien Lévy-Bruhl ha elaborato la teoria di quelli che chiamava i "primitivi", espressione, sia detto tra parentesi, impropria perché non ci sono uomini primitivi. I cosiddetti primitivi, che sopravvivevano ancora all'inizio del secolo, i boscimani del Kalahari, gli aborigeni d'Australia, gli indiani d'Amazzonia, ecc., erano civiltà di cacciatori-raccoglitori, che avevano accumulato conoscenze e avevano una cultura millenaria, che affonda le sue radici nei primordi dell' "homo sapiens", un essere che è apparso 50-60 mila anni fa.

Non ci sono primitivi, ma società formate da uomini pluricompetenti, e ciò che c'è di più straordinario in quelle società è la pluricompetenza delle donne in ciò che concerne le piante, le proprietà medicinali delle piante, la preparazione degli alimenti, e la competenza degli uomini riguardo ai luoghi, agli animali, alle loro abitudini, alla loro anatomia, ecc. E inoltre le competenze pratiche: la fabbricazione di archi, frecce, utensili, giocattoli, ecc. Erano dunque uomini pluricompetenti, considerati come primitivi.

Nacque l'idea che per comprendere quei primitivi bisognasse utilizzare le stesse categorie mentali che usiamo per caratterizzare i bambini e i nevrotici. In un certo senso il primitivo era un grande bambino, il cui modo di pensare mistico e magico aveva qualcosa di nevrotico.

Ma una cosa evidentemente restava inspiegata in questa concezione e l'aveva notato Wittgenstein nelle Osservazioni sul "Ramo d'oro" di Frazer", dove dice: ma come è possibile che quei primitivi, che passano il loro tempo a fare cerimonie propiziatorie, a disegnare gli animali che poi cacceranno e a trapassarli con frecce immaginarie nelle rocce su cui li disegnano, che siano gli stessi che sanno poi cacciare benissimo con frecce reali e sanno anche fabbricarle?

Evidentemente sviluppano delle strategie, dispongono di buone tecniche, hanno una grande razionalità. Il fatto che restava totalmente in ombra nella visione razionalistica dominante è che nelle società cosiddette primitive c'era una grandissima razionalità, ma diffusa, sparsa, mescolata alla magia. Noi stessi, nella nostra società, abbiamo molta magia, molta mitologia mescolata alla razionalità e d'altra parte una razionalità concentrata nelle teorie, nei concetti. Si pensava che quelle società fossero incapaci di qualsiasi forma autentica di saggezza, di conoscenza e non producessero che un coacervo di superstizioni.

Questa era la concezione etnocentrica dell'Occidente, che ha diretto e giustificato l'imperialismo e il colonialismo, con il pretesto dei vantaggi che la civilizzazione avrebbe recato a quelle popolazioni considerate arretrate. C'è stata dunque questa terribile malattia della ragione occidentale etnocentrica, una patologia atroce per coloro che l'hanno subita.

Come ha potuto l'esperienza del mondo occidentale liberarsi da quella ragione chiusa in sé ed arrogante? C'è voluta la relativa decadenza dell'Europa, la perdita del suo primato mondiale, i processi di decolonizzazione. Questa autocritica comincia con Montaigne, comincia con gli indiani fatti prigionieri dai conquistadores in America. E' allora che si sviluppa la nozione, forse mitologica, del "buon selvaggio", l'idea che la nostra civiltà ha perduto qualcosa e che gli altri hanno qualcosa che noi abbiamo perduto.

Questa utilizzazione dei selvaggi e più tardi del mito dell'uomo di natura da parte di Rousseau è un elemento di critica, di auto-critica della nostra civiltà, ma un elemento di auto-critica ancora impuro, commisto di mitologia. Solo adesso possiamo cominciare a mettere in atto un'autocritica dell'Occidente. Dobbiamo conservare lo spirito critico, ma criticare solamente noi stessi e vietarci di criticare gli altri, poiché ci siamo sbagliati così atrocemente sul loro conto. Dobbiamo mantenere la capacità di criticare non solo le noatre istituzioni, ma anche le nostre dottrine, le nostre idee. La capacità di auto-critica è uno dei beni, forse il bene più grande di tutta la storia, di tutta l'avventura della razionalità occidentale.

Tratto dall'intervista-lezione Razionalità e complessità - Napoli, Vivarium, martedì 2 aprile 1991


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Interviste
Edgar Morin
Appello per la filosofia. Riflessione critica e specialismo scientifico
19/5/1993
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Edgard Morin sottoscrive pienamente l'Appello per la filosofia ricordando che sono proprio l'iperspecializzazione scientifica e la frantumazione della conoscenza a far aumentare il bisogno di riflessione nei confronti di un contesto altrimenti sfuggente; la filosofia deve rimanere una disciplina aperta al sapere del suo tempo, anche se attualmente si assiste piuttosto ad un divorzio dalla scienza; la filosofia si trova al centro della cultura umanistica (Morin sottolinea in particolare il suo rapporto con la letteratura) ed è una sorta di conoscenza di secondo grado indispensabile nella formazione dei cittadini, giacché insegna a ciascuno a pensare in modo autonomo fecondando l'esistenza quotidiana; perciò la filosofia deve aprirsi alle proprie virtualità e non chiudersi in sé come disciplina . Noi reinterpretiamo continuamente il passato in funzione del presente, ciò risulta evidente, per esempio, nell'approccio alla Rivoluzione Francese, comprensibile solo in un atto di riflessione che tenga conto anche del suo seguito; attualmente l'eccesso di informazione ci fa vivere invece piuttosto in un eterno presente mentre solo la riflessione filosofica può ricostituire un rapporto tra presente, passato e futuro . La nuova esperienza degli studi di filosofia che si aprono come dei servizi di consulenza per aiutare a riflettere e a prendere decisioni ripropone con nuova stringenza il metodo maieutico di Socrate, in cui è l'individuo stesso a trovare la verità grazie al filosofo; Morin auspica quindi che i professori di filosofia siano più consequenti nel comportamento e nella vita, non riducendo la filosofia ad una semplice professione, ma ritrovando piuttosto la connessione tra idea e vita in un processo di autorigenerazione . Spesso i filosofi hanno riflettuto sulla scienza e sulla tecnica, comunque quello filosofico deve essere uno sguardo critico e comprensivo sulla nostra società, che ci permetta altresì di reagire alle coercizioni cui siamo sottoposti quotidianamente . La filosofia è in primo luogo interrogazione e resterà fedele a se stessa se saprà mantenere aperte le questioni fondamentali, che sono di grande rilievo anche nell'educazione dei giovani, giacché permettono di trovare le connessione tra le varie discipline . La specializzazione non serve a risolvere i problemi fondamentali, nessuna soluzione globale può essere trovata infatti in una sola disciplina, le stesse imprese, nelle loro scelte di assunzione, hanno incominciato a comprendere che l'agilità mentale di una formazione culturale generale permette la pluricompetenza assai più che non una specializzazione ristretta . Il limite dei media è nella loro superficialità e nel loro essere organizzati in base a programmi predeterminati, d'altronde è lo stesso stile frenetico della vita attuale a motivare una ricerca di svago così poco impegnativo; il compito dell'insegnante dovrebbe essere anche quello di permettere una riflessione critica sui media, per esempio attraverso lo studio e la conoscenza delle loro tecniche


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Aforismi
Edgar Morin
Tv, passivita' o rifiuto
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Prof. Morin, nella società attuale, ormai interamente basata sulle comunicazioni di massa, vede la possibilità di una terza via, oltre quelle della demonizzazione o dell'accettazione incondizionata dei mass media?

Il presente è continuamente invaso dal presente, è invaso dall'informazione televisiva che cambia ogni giorno, si modifica e ci fa dimenticare quella del giorno prima: le sofferenze dei bosniaci ci fanno dimenticare quelle dei somali, che ci hanno fatto dimenticare quelle dei bengalesi, ecc. Lo sguardo del pensiero serve effettivamente a non vivere in un perpetuo presente in cui ogni istante caccia quello che lo precede. La ricostituzione del rapporto tra presente, passato, futuro è il lavoro della riflessione ed è un lavoro eminentemente filosofico.

Credo che anche a questo proposito bisogna riflettere sui media. Non basta riconoscere che i media fanno parte del normale funzionamento della società o al contrario deprecarne la mediocrità o la nullità. Bisogna vedere dove si trova il male.

Il male, per esempio, risiede nella superficialità, per cui un'idea caccia l'altra, un'informazione caccia l'altra. Il male è - per così dire - nel cronometro. In una trasmissione non si rispetta il ritmo di un idea ma il ritmo di un programma. Ma c'è anche un male che viene dalla vita quotidiana: quando la gente rientra a casa stanca ed accende la televisione, ha bisogno di riposare e non è disposta a fare un lavoro di riflessione.

Allora io penso che bisognerebbe considerare la posizione dei media nella società, anziché isolarli dalla società. Penso che potrebbe essere molto interessante poter riflettere sul contenuto dei media, sul contenuto delle telenovelas, dei film, dei varietà, di tutte queste cose.

Per esempio, se io fossi un istitutore, un insegnante dei bambini, chiederei loro tutte le mattine: "Avete visto la televisione? Parliamo di quello che avete visto alla televisione!". Tenterei di dare ai ragazzi uno sguardo non più immediato, bensì riflessivo sulla televisione. Ad ogni modo penso che ognuno dovrebbe sapere come si monta un film per il cinema o per la televisione. E' molto importante perché il montaggio, la fotografia, la scelta ed il modo di fare le inquadrature, contribuiscono a determinare il significato. Con l'immagine cinematografica si possono produrre i più grandi falsi, perché si possono manipolare immagini vere per produrre qualcosa di falso. E' importante che lo si sappia. A mio parere l'educazione deve comportare la conoscenza dei media.

 

Tratto dall'intervista Appello per la filosofia. Riflessione critica e specialismo, Napoli - Vivarium, 19 maggio 1993



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