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Autore Discussione: L'industria del terrore  (Letto 2324 volte)
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« inserito:: Settembre 11, 2008, 05:57:24 pm »

L'industria del terrore

Loretta Napoleoni


A ridosso dell’11 settembre 2008 il Regno Unito è scosso da una sentenza inaspettata: le prove che il complotto dell’aeroporto dell’agosto 2006 voleva far esplodere in volo sette aviogetti con bombe liquide sono insufficienti a condannarne i membri. Tutti gli imputati meno tre, accusati di semplice «cospirazione», sono scarcerati. Non è la prima volta che una sentenza smentisce il governo di Sua Maestà; nel 2005 il complotto della ricina si rivela una farsa, la sostanza chimica è detersivo. Quella volta bastarono le scuse ufficiali di Blair, oggi invece sono già in piedi le cause civili. A imbastirle è l’industria dei trasporti aerei, penalizzata da una bomba inesistente. I costi sono da capogiro: solo la British Airways perde in pochi giorni 100 milioni di sterline; la BAA, la società aeroportuale britannica, si ritrova a spendere 250 milioni di sterline in più per adeguare la sicurezza alla nuova minaccia. Ed i viaggiatori? Tutti noi costretti a gettare bottigliette d’acqua, creme di bellezza e mascara nei bidoni della spazzatura prima dei controlli di sicurezza? Chi ci risarcirà per il tempo perso, lo stress, i prodotti abbandonati e le altissime tasse aeroportuali necessarie per proteggerci da ordigni fantasmi?

A Londra, nel settimo anniversario della tragedia delle Torri Gemelle si chiude l’ultimo capitolo della politica della paura, un’epopea angosciante che ha visto l’occidente modificare il proprio stile di vita a causa del pericolo terrorista. Mai prima d’ora il rischio di saltare in aria dentro un aereo è stato così alto, ecco il mantra dei politici e dei media. Il fiasco iracheno, le statistiche sull’attività eversiva in occidente e le sentenze di Londra contraddicono questa versione dei fatti. Il terrorismo esiste ma la sua minaccia va ridimensionata, sono i numeri a dircelo. In Occidente l’attività dei gruppi armati raggiunge l’apice a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, da allora diminuisce. Anche considerando l’11 settembre, è più facile che un occidentale sia colpito da un fulmine che da un attentato terroristico. Avere tanta paura non ha dunque senso.

Eppure, per quanto irrazionale, la nostra paura è reale. Vedere in diretta il crollo delle Torri Gemelle ci rende consapevoli del fenomeno del terrorismo, assistere al reality show più sconvolgente che sia mai stato trasmesso colpisce profondamente il nostro subconscio. I politici lo capiscono e sapientemente manipolano le nostre emozioni somministrandoci dosi massicce di scenari apocalittici falsi, dal nucleare di Saddam, al complotto della ricina, alla bomba liquida di Londra. Con l’aiuto dei media trasformano un evento eccezionale in uno scenario reale del quotidiano.

La paura si sa va alimentata, e i retroscena del complotto dell’aeroporto ce lo confermano. L’MI5, i servizi segreti, pedinano da mesi la cellula ma non ci sono prove concrete che sia in possesso dell’arma liquida né che abbia intenzione di orchestrate un nuovo 11 settembre. Si ipotizza che l’attentato coinvolga aerei di linea diretti negli Usa, è per questo che vengono allertati i servizi americani. Interviene subito Bush che chiede a Blair di agire, ma il premier britannico non si fa convincere. È a questo punto che gli americani forzano la mano, fanno arrestare in Pakistan un membro della cellula e a quel punto l’MI5 si deve muovere. Alla stampa viene detto che la cellula stava per portare a termine il secondo 11 settembre, ecco il motivo del massiccio spiegamento di forze sulle due sponde dell’atlantico. I militari bloccano gli aerei in pista, i passeggeri sono costretti a scendere ed a riconoscere i propri bagagli, a Chicago c’è chi li fa sdraiare sull’asfalto rovente per essere ispezionati. Gli aeroporti di due continenti chiudono i battenti nel bel mezzo delle vacanze estive. È il caos.

I media si buttano a pesce sulla notizia e mostrano al mondo i terminali presi d’assalto dai militari. Non ci sono morti, nè fuoco e fiamme, ma madri sconvolte con in braccio neonati alle quali vengono strappati di mano i biberon pieni di latte. Bastano quelle immagini isteriche sullo sfondo delle divise militari a far risvegliare il trauma dell’11 settembre. Uno stuolo di «esperti» sfila davanti alle telecamere, elogia la tempestività dei governi e descrive ai telespettatori scenari apocalittici. Sono tutti membri dell’industria internazionale della paura, senza il loro contributo la psicosi non sarebbe durata cosi tanto. Nata intorno al folclore del terrorismo, questa settore fino a sette anni fa non esisteva. Soltanto negli Stati Uniti il numero delle società di sicurezza specializzate in terrorismo è passato dall’11 settembre ad oggi da 4 a 40.000. È questa, insieme ai media, l’unica industria che ha guadagnato economicamente dallo sfruttamento politico e mediatico della paura. Gli strumenti del mestiere sono principalmente statistiche e notizie false. Conosci il tuo nemico, diceva Von Clausewiz. L’industria della paura ci impedisce di farlo, ma soprattutto dà manforte all’attività eversiva anche quando non c’è come nel caso del complotto della ricina e di quello dell’aeroporto.

Il terrorismo, va ricordato ai membri di questo settore, vuole innanzitutto incutere paura, lo dice anche la parola.

Pubblicato il: 11.09.08
Modificato il: 11.09.08 alle ore 11.14   
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