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« inserito:: Settembre 06, 2008, 04:22:49 pm » |
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6/9/2008 (8:25) - PERSONAGGIO
Mickey Rourke: "Io, un sognatore che vive da schifo" Mickey Rourke è protagonista del film The wrestler diretto da Darren Aronofsky.
L’attore: mi stanno vicini solo i miei cani e il mio grande amico Bruce Springsteen
FULVIA CAPRARA VENEZIA
Con Mickey Rourke, protagonista di The wrestler diretto da Darren Aronofsky, ultimo film in gara per i Leoni che verranno assegnati stasera, torna il fascino sempreverde del divo irruente e spericolato, eroe negativo dalle mille vite, abituato a resurrezioni e discese agli inferi. Al Lido, applauditissimo dai fan che non lo abbandonano fin dai tempi di Rusty il selvaggio e dell’Anno del dragone, Rourke si è presentato con un ennesimo nuovo look, capelli castani a paggetto, fisico appesantito, lucida autoironia: «Sì, mi è successo, una quindicina di anni fa, di vedere che la mia carriera non funzionava, e neanche la mia vita. In questi casi si cerca sempre di dare la colpa a qualcuno, la verità è che la colpa è solo nostra». Con l’attore è arrivato in laguna il suo cane, un minuscolo chihuahua, premurosamente adagiato su un cuscino di seta da guardie del corpo grandi come armadi: «Il mio ritorno? Bah, esistono tanti posti da cui si può tornare, per esempio dalla guerra, senza gambe, oppure da un caffè dopo aver mangiato un panino col prosciutto. Gli unici che sanno da dove torno io sono i miei cagnolini».
Certo, meglio non chiederlo alle donne, con cui Rourke ha sempre avuto rapporti burrascosi, a iniziare dalla seconda moglie, l’ex-top model Carrè Otis di cui per un periodo (sono stati sposati dal ‘92 al ‘98) le cronache riferivano di continue, violentissime liti col marito. Anche l’esplosiva Kim Basinger, sua partner in Nove e settimane e mezzo, non deve avergli lasciato ricordi meravigliosi. Si sa che si sono incontrati di recente sul set di The informers, ma lui non ha nessuna voglia di parlarne: «Kim? Non la vedo da circa vent’anni, le auguro tutto il bene possibile, beh, insomma...». Accanto a lui, in The wrestler, recita nel ruolo della figlia Evan Rachel Wood: «La guardavo sul set e mi ripetevo, cavolo, ma questa sa recitare... merda, ma io a vent’anni non sarei mai ruscito a raggiungere una tale concentrazione».
La mania della lotta Mickey Rourke ce l’ha nel sangue: «Prima di girare questo film non ero un fanatico del wrestling, anzi, lo consideravo con un certo disprezzo, poi sono andato a visitare le scuole, ho seguito gli allenamenti, e ho iniziato a guardare tutto con maggior rispetto. Su quei ring succede che persone di 100 chili ti si buttino addosso e poi, come nel cinema e come nella musica, solo qualcuno riesce a diventare famoso». Inutile aggiungere che per il film Rourke non ha voluto controfigure. D’altra parte per uno che a 35 anni ha dato un calcio alla carriera d’attore scegliendo la passione per il pugilato, l’universo del wrestling non deve apparire così indecifrabile: «Purtroppo sì, è vero, nel protagonista, che è un sognatore che vive da schifo, c’è molto di me stesso, questo film avrei voluto farlo vent’anni fa. Mi ha colpito vedere professionisti del wrestling che a una certa età sono costretti a ritirarsi con dei corpi danneggiati per sempre».
Il regista Aronofsky dice che Rourke ha fatto «un lungo viaggio, ma in fondo è sempre stato qui con noi». Il personaggio di Randy Robinson, detto Ram, l’ariete, gli sta a pennello: «Sotto quell’armatura c’è un essere fragile, come un bambino che si ritrova in un negozio di caramelle e non sa che cosa scegliere». Il film, aggiunge Aronofsky, è stato l’occasione «per creare un campo di gioco in cui Rourke potesse fare tutto quello che voleva».
L’esperimento è riuscito. Ieri alla proiezione della mattina, insieme ai giornalisti, c’erano i giurati John Landis e Valeria Golino, più il presidente Wim Wenders di cui già si dice che potrebbe aver molto amato la prova di Rourke. Magari anche per merito delle musiche che comprendono un pezzo di Bruce Springsteen, creato dal boss apposta per il film: «Ci siamo parlati - racconta l’attore -, sono molto grato a Bruce perché ha fatto un gesto generoso, mi ha dedicato un po’ del suo tempo, tra l’altro in un periodo difficile perché aveva appena perso un membro della sua band con cui suonava da anni e a cui era molto legato». Sullo schermo, quando è pronto per scendere nell’arena, vestito da combattente, Ram il campione fa sempre lo stesso gesto, una botta sul braccio piegato, all’altezza del gomito. Erano già tanti, ieri, i ragazzi che sulla scalinata del Casinò, si salutavano alla stessa maniera.
da lastampa.it
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