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Autore Discussione: Carlo Defanti. Dove comincia la morte  (Letto 2252 volte)
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« inserito:: Settembre 03, 2008, 06:20:49 pm »

Dove comincia la morte


Carlo Defanti


Il quarantennale del documento con cui una Commissione dell’Università di Harvard propose di considerare quello che al tempo veniva denominato «coma irreversibile» come un nuovo criterio di morte (e che da allora chiamiamo «morte cerebrale»), promette di essere foriero di tempeste nel già tormentato terreno della bioetica italiana. L’ultima l’ha sollevata ieri un articolo dell’Osservatore Romano (non un “editoriale” come ha precisato in serata il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, nel prendere le distanze da quanto scritto) a firma di Lucetta Scaraffia.

L’autrice argomenta la difficoltà di mantenere oggi questo concetto, le cui basi sono state minate da una serie di nuovi dati, fra i quali spicca il fatto che una donna incinta in morte cerebrale può essere mantenuta biologicamente viva anche per diverse settimane in modo da permettere la maturazione del feto e la nascita di un bambino sano. Gli oppositori del concetto di morte cerebrale, di cui il filosofo Hans Jonas è stato il precursore, sostengono che tale definizione fu concepita al solo scopo di rendere possibile il prelievo di organi.

La conclusione , è che sia stato un errore voler “risolvere un problema etico-giuridico con una presunta definizione scientifica”, cioè ridefinendo la morte, mentre sarebbe stato più corretto “elaborare criteri eticamente e giuridicamente sostenibili e condivisibili” per l’attività di trapianto. L’autrice prosegue chiedendosi se allo stato dell’arte la Chiesa possa continuare a sostenere il concetto di morte cerebrale, come sostanzialmente ha fatto finora, e cita un vecchio intervento del cardinale Ratzinger (1992) in cui si criticava la “messa a morte” dei malati in coma allo scopo di prelevarne gli organi.

Che cosa pensare a questo punto? Rifletto su questo tema da oltre vent’anni e ho scritto su questo un libro (Soglie, Bollati Boringhieri 2007) nel quale ho esposto in modo approfondito la storia e il concetto della morte cerebrale e ho concluso auspicando una ridiscussione pubblica di questo tema che sembrava fin qui “assestato”. Tuttavia non prevedevo che la Chiesa volesse sollevare la questione in questo momento, anche se conoscevo le perplessità espresse da studiosi cattolici in seno alla Pontificia Accademia delle Scienze. In effetti se questo intervento desse il via a un nuovo dibattito sul tema e se si dovesse raggiungere la conclusione (da me condivisa) che il concetto di morte cerebrale non è scientificamente inattaccabile, ne discenderebbe per il Magistero, da sempre fautore della assoluta sacralità della vita, la non liceità dei prelievi di organo dai “cadaveri a cuore battente” e un danno incalcolabile per l’importantissima attività dei trapianto di organi (alla quale io sono invece del tutto favorevole). Credo che l’articolo in oggetto dimostri come l’intero argomento della fine della vita sia in piena evoluzione (e la precisazione in serata del portavoce della Santa Sede ne è, per altri aspetti, una ulteriore conferma). Il fatto fondamentale è che oggi, nelle nostre società la morte non è quasi mai un evento istantaneo, ma un processo più o meno lungo che viene profondamente influenzato dall’intervento medico. Si creano in questo processo diverse “soglie”, una delle quali è appunto la “morte cerebrale”; essa non coincide con la morte dell’organismo come un tutto (che si verifica solo dopo l’arresto cardiocircolatorio), ma è certamente un “punto di non ritorno” al di là del quale è superfluo continuare le terapie rianimatorie e al di là del quale è possibile, col previo consenso del malato o dei suoi familiari intesi come suoi portavoce, prelevare gli organi a scopo di trapianto.

* Primario neurologo emerito



Pubblicato il: 03.09.08
Modificato il: 03.09.08 alle ore 13.02   
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