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Autore Discussione: In viaggio per l'Italia in cerca di ricordi  (Letto 2401 volte)
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« inserito:: Settembre 01, 2008, 11:57:02 am »

1/9/2008 (7:29) - LA STORIA


I cacciatori del tempo che non c'è più
 
Mestieri, oggetti quotidiani, esistenze normali. In viaggio per l'Italia in cerca di ricordi


MARIO BAUDINO
TORINO

A Caltanissetta hanno ascoltato e registrato storie di solfatara e di rivolte, ripiombando per un attimo in un libro di Verga dislocato però negli Anni Cinquanta: quando, in qualche modo, Ciaula continuava a scoprire la luna. Un signore il cui padre possedeva una miniera di zolfo, fra molte ritrosie, ha registrato per loro la sua testimonianza sulla vita durissima dei bambini «prestati» dai genitori ai cottimisti, e costretti a lavorare in condizioni assai dure fino all’estinzione del finanziamento.

«Non ne parlava volentieri. Ne soffriva - racconta Lorenzo Fenoglio - era una novità anche per i suoi famigliari». Lorenzo Fenoglio, 33 anni, assicuratore, sta girando l’Italia a proprie spese con tre amici più o meno della stessa età. Vivono e lavorano tra Torino e Alba, e hanno inventato da pochi mesi una cosa che prima non c’era, cui stanno dedicando ogni momento libero: una «Banca della memoria», dove si accumulano testimonianze di vita vissuta, persone nate prima del 1940 che si narrano nel modo più libero, senza interferenze.

La banca è costituita da filmati, sta su Internet e parla di guerra, di lavoro, di avventure e di sentimenti. C’è di tutto, è un mondo apparentemente caotico dove emergono spezzoni di un’Italia antica, in apparenza remota come se fosse un altro Paese, un tempo sprofondato ma con tutti i suoi traumi e i suoi sorrisi, e le antiche saggezze. Il signor Fabio Riccitelli, da Città di Castello, racconta il suo viaggio di nozze del ‘59 o del ‘60, non ricorda bene, quando a bordo di una Cinquecento se ne andò con la sposa verso la Francia, attraversando Genova lungo il porto, fra rotaie e carrelli.

«Viaggiare allora era una cosa magnifica, anche in Cinquecento», dice con uno sguardo da Topolino amaranto. Poi scoprirono la Francia, e dato che «avevano sentito parlare di Saint-Tropez» ci andarono. Chiesero a un tipo che cosa si poteva mangiare, scoprirono la bouillabaisse e insieme al forte sapore d’aglio furono investiti da un vento di prudenza. «Continuiamo con i quattro soldi rimasti, o compriamo il frigorifero?». Decisero per la seconda ipotesi, e tornarono «con l’aglio nella bocca».

Non è solo aneddotica. E’ la storia dal punto di vista della gente comune. Come quella volta, nel ‘44 sul greto del Tevere, in cui la scarsa igiene, una volta tanto, salvò la vita a un certo Amedeo, come racconta il signor Antonio Borettini. Il giorno prima due militari tedeschi avevano udito un pescatore che, dopo aver gettato certe reti a imbuto nel fiume, - si chiamavano «i topi» - segnalava ai compagni che era «ora de cavalli», cioè di trarli fuori. I tedeschi pensarono ai quadrupedi, che come tutto il bestiame veniva accuratamente nascosto per sottrarlo alle razzie, e coi mitra puntati chiesero perentoriamente dove fossero questi ambiti cavalli. Finì male, per loro. Vennero disarmati e messi in fuga da un giovanotto ardimentoso, «molto intrepido e anche un po’ bandito.

Dopo la guerra ha fatto una banda di rapinatori». Il mattino dopo, all’alba, scattò la retata. Cascine rastrellate, abitanti nelle aie alla ricerca del colpevole. I tedeschi credettero di riconoscere Amedeo, che non c’entrava niente. Il poveretto stava per fare una brutta fine, se a gesti e parole smozzicate qualcuno non avesse fatto notare i piedi neri di letame. Era andato a dormire la sera prima senza nemmeno lavarsi. E non poteva quindi essere stato nell’acqua.

E’ un «piccolo episodio», dice il signor Borettini. Ha ragione. Era destinato probabilmente a non entrare in nessun archivio, e non essere preso in esame dagli storici, insomma a morire un po’ alla volta. Il caminetto telematico, questo raccontare per il piacere di ricordare lo ha salvato. E con lui ha salvato l’immagine della pesca nel fiume, e del paziente rituale per catturare i pesci al momento dell’accoppiamento, creando per loro nelle pozze una serie di percorsi obbligati alla fine delle quali c’erano i «topi» ad attenderli.

Il caminetto telematico funziona così. E’ una macchina fluida, appena solcata da un embrione di classificazione per categorie. La sua imperfezione è la sua vita. E la sua vita è talmente tumultuosa che sta crescendo a dismisura, in Italia e all’estero, mettendo a dura prova le energie e le disponibilità della «banda dei quattro». Luca Novarino, agente di commercio, 34 anni, Franco Nicola, impiegato in un’azienda dolciaria, 35 anni, Valentina Vaglio, che lavora nella comunicazione e ha 27 anni, oltre a Fenoglio, ci pensarono per la prima volta un anno fa, durante una vacanza in Vietnam, in un posto che si chiama Hoi-an ed associa un suggestivo paesaggio costiero a rilevanti monumenti storici.

«Chissà, forse lo spazio dell’Oriente ha dato una mano. Da tempo vagheggiavamo un lavoro con un importante risvolto sociale, e ci piaceva l’idea di cercare tradizioni e testimonianze, non solo nel campo del cibo. Ci saremo detti mille volte: perché non andiamo nelle Langhe e ci facciamo raccontare tutto, ma proprio tutto quel che ricorda, da qualche anziano, davanti a un bicchier di vino?». Però non ci si decideva mai.

Quel giorno, in Vietnam, giurarono solennemente - come i tre moschettieri più d’Artagnan - che appena tornati si sarebbero messi all’opera per davvero. «Non solo per ascoltare. Soprattutto per registrare». Cominciarono con i propri parenti, poi con quelli degli amici, e a poco poco misero insieme i primi video, dedicando all’opera tutto il tempo libero. All’inizio di questa estate è nato il sito www.bancadellamemoria.it, e prima ancora che potessero rendersene conto è esploso.

L’idea della «banca della memoria» ha dimostrato una forza particolare e nuova perché rappresenta qualcosa di moderno e di antico al tempo stesso. Non è un archivio, innanzi tutto, come potrebbe essere ad esempio quello notissimo dedicato ai diari da Pieve di Santo Stefano. Non è una biblioteca, né una struttura altamente organizzata e specialistica.

In senso lato le banche della memoria sono numerosissime, com’è ovvio. Basti pensare a quelle dedicate alla Shoah, o alla Resistenza (con le reti degli istituti storici), per non parlare degli archivi sulle «scritture» delle donne, o del lavoro. Catalogare, raccogliere, preservare, salvare dall’oblio sembra essere una delle necessità più sentite - e talvolta avversate - del nostro tempo. Qui siamo su un terreno diverso: c’è una memoria, se non anarchica, fluida. Libera, che non cerca note a margine, verifiche, contesti.

E’ una sorta di memoria spontanea, qualcosa di molto vicino a quella che veniva e in certi casi viene ancora tramandata nelle società tradizionali, memoria sempre più pericolante, davvero a rischio. All’incrocio con Internet trova possibilità di salvezza e anche di rilancio, fuori da tutti i canoni, dalle gerarchie di rilevanza che deve fare ogni studio sistematico, decidendo che cosa tenere e che cosa lasciare, che cosa porre in primo piano e che cosa sullo sfondo.

Qui ogni elemento sta sullo stesso livello degli altri, dove tutto è possibile. Come dice lo slogan della banda dei quattro, queste sono «le esperienze di una vita raccontate da chi le ha vissute». E sono tutte, a loro modo, importanti. E’ il «vissuto» di un’Italia che non c’è più. O il passato in presa diretta, fate voi. O ancora, il mosaico di un Paese diverso nella sua contiguità con il suo - e il nostro - presente.

L’Italia che emerge dalla banca della memoria è una lunga serie di istantanee, tutte autonome, e tutte parte di un disegno i cui contorni tendono a sfuggire. Come quella che emerge da un video fra i più recenti, registrato a Milazzo: una signora del ‘20 racconta un’antica processione di San Giuseppe, patrono dei falegnami, interrotta da uno sciopero improvviso: l’arciprete aveva voluto cambiare la musica che accompagnava la cerimonia, sostituendo le marcette con solenni inni religiosi. Ma arrivati al porto, davanti alla ripida salita verso la chiesa, i falegnami che reggevano la pesante statua si arrestarono. «Qui ci fermiamo - proclamarono -. Con questa musica la “inchianata” non la possiamo fare». Finì che andarono su lo stesso, ma solo quando l’arciprete, sconfitto, permise finalmente alla banda di suonare «Zazà».


da lastampa.it
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