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Autore Discussione: E adesso Bossi riabilita Craxi "Mi chiese aiuto, non feci nulla"  (Letto 2141 volte)
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« inserito:: Agosto 20, 2008, 10:33:39 am »

POLITICA

IL RETROSCENA.

Chiacchierata dopo la festa di Tremonti tra sigari, spumante e battute

I ricordi del leader leghista: il ricovero sotto falso nome e il partito di Montanelli

E adesso Bossi riabilita Craxi "Mi chiese aiuto, non feci nulla"


dal nostro inviato PAOLO BERIZZI

 

CALALZO DI CADORE (BL) - Hotel Ferrovia, tre di notte. Tavolo e panca di legno. Un bicchiere di acqua e menta, un paio di lattine di Coca, due caffè. Sulla parete in fondo alla sala, la bandiera con il Leone di San Marco. Umberto Bossi tamburella con le dita sull'immancabile pacchetto di toscani "Garibaldi". Uno, ovviamente, è acceso, ed è a fine corsa. Gli serve per disegnare delle linee di fumo nell'aria. Intorno al Senatùr ci sono i cronisti, un collaboratore e un agente della scorta. "Poveretto, che brutta fine che ha fatto...". Bossi si stringe nelle spalle. Abbassa la voce in segno di rispetto. "Povero Craxi...". Sì, dice proprio Craxi, abbiamo capito bene, inutile sgranare gli occhi.

Sta parlando di lui, del vecchio nemico Bettino ora riabilitato con un racconto che, snocciolato così, a quest'ora della notte e da un uomo che da quando è stato in coma ha affinato la sua sensibilità umana facendola prevalere, in molti casi, sul freddo cinismo del leader politico, fa un certo effetto: "Un giorno venne da me, mi disse: "Umberto, mi devi aiutare". Le cose per lui si stavano mettendo male, era evidente. Mi pregò: "Se non ci diamo una mano a vicenda, finirà che ci faranno fuori tutti e due"". Pausa, lungo sospiro.
Il ministro per le Riforme va fino in fondo: "Ma io non intervenni, non feci nulla. All'epoca Craxi era un nemico, e i miei non avrebbero capito, mi avrebbero dato del matto...".

Per un attimo cala un velo di silenzio. Bossi si rende conto di avere spiazzato. Ma è come se con il suo sguardo chiedesse di capire, di avere pietà per l'uomo e, forse, chissà, anche per il politico. "Poveretto", ripete. La festa di compleanno di Giulio Tremonti è finita una paio d'ore. Di colpo, nella pancia di questo albergo ai piedi delle Dolomiti, tra un mucchio di ricordi "leghisti" - quelli ormai epici della prima ora - alternati a battute e a ragionamenti politici, sembra di essere tornati indietro a dieci anni fa. All'estate del '98 quando di Bettino Craxi, Bossi diceva: "Almeno lui aveva i coglioni, era un politico puro, sapeva dire di no ai potenti di turno, vedi Sigonella...". Perché, aggiunse, "a un sacco di poveri politicanti mancano i coglioni, non hanno cuore". Il confronto era con Berlusconi, che all'epoca il Senatur chiamava "il mafioso di Arcore" e "il servo dei padroni americani". Di più: "il portaborse di Craxi". Ma anche col resto della Seconda Repubblica: "Craxi - diceva il leader del carroccio all'epoca - è stato dipinto come l'immagine del supermale, in realtà nessuno ricorda quanto avevano rubato Dc e Pci".

Le immagini, i fatti, i nomi che riempiono la chiacchierata con il capo leghista sono le tappe e i colori di una vita dove c'è un prima e c'è un dopo. Prima e dopo l'ictus che lo ha colpito l'11 marzo del 2004. Bossi ritorna senza imbarazzo ai giorni più neri, quelli che "chiedevo a mia moglie di lasciarmi morire, perché con quello che mi era successo sarebbe stato troppo lungo e faticoso riprendermi". Il ricovero all'ospedale di Varese, subito dopo il "coccolone". Il trasferimento in gran segreto, all'alba, in una clinica svizzera. Il mistero che lo ha accompagnato per giorni.

"A Sion sono entrato sotto falso nome, altrimenti mi avreste trovato - dice sorridendo ai giornalisti - Mi chiamavo Roberto... Un giorno il medico, per capire se ragionavo ancora, mi fa: "Roberto, quanti anni ha?" A me venne subito in mente mio figlio Roberto, e risposi: 14 anni... (quanti ne aveva all'epoca). Non ho mai mollato. Oggi posso dire che la Lega è forte, e che ci sarà sempre, perché ho un sacco di figli che possono portarla avanti". Glielo diceva anche Indro Montanelli che ce l'avrebbe fatta: "Andavamo a pranzo, mi diceva che voleva fare un partito. E invece l'ho fatto io. Lui era sicuro che avrei sfondato...".

Brucia un altro "Garibaldi". Giù con le bollicine dolci più famose del mondo: "La forza della Lega è la famiglia. Io dico quello che pensano e dicono le famiglie del Nord: è vero o no?" - chiede al giovane portiere dell'albergo di provata fede leghista. Ci tiene, l'Umberto, a marcare la differenza tra la sua creatura e altri partiti. Per esempio Forza Italia. "Noi siamo un partito vero, fatto dalla gente, dal territorio, dalle feste. Chi si allea con noi vince, non c'è niente da fare. E il Nord va dove dico io". Anche Berlusconi nel '94 andò dove disse Bossi. "Andai ad Arcore di notte, mi ricevette in pigiama. C'era in ballo la questione dell'autodromo di Monza, che rischiava di scomparire. Avremmo perso il "nostro" Gp. La Fiat aveva interessi a portarlo in Toscana. Feci pressioni su Silvio. E Monza si salvò".

(20 agosto 2008)

da repubblica.it
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