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Autore Discussione: Francesca Ortalli. Moro e Impastato, il coraggio delle idee  (Letto 2227 volte)
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« inserito:: Agosto 18, 2008, 11:30:10 pm »

Moro e Impastato, il coraggio delle idee

Francesca Ortalli


Aldo Moro e Peppino Impastato, uniti dal coraggio delle proprie idee, intrecciarono le loro storie così diverse, il nove maggio del 1978. Quando il corpo di Moro fu ritrovato in via Caetani nel cofano di una Renault 4 rossa e il cadavere dilaniato da un’esplosione di Impastato, «noto estremista di sinistra», fu ritrovato a Cinisi, sui binari della linea ferroviaria. Pagine nere della nostra storia repubblicana, che L’urlo di maggio, inserito nel vasto cartellone di «Bos’art», kermesse a cavallo tra arte contemporanea, letteratura e teatro iniziata lo scorso primo agosto.

Lo spettacolo, con la regia dello scrittore, regista teatrale e giornalista Antonio Maria Di Fresco, è tratto dal libro 9 maggio ’78. Il giorno che assassinarono Aldo Moro e Peppino Impastato (Zona edizioni.) e vedrà protagonista lo stesso autore, Carmelo Pecora, ora dirigente della Scientifica di Forlì e nel ’78, poliziotto appena diciannovenne. Fu lui, uno dei primi a vedere il cadavere di Moro, vestito con un cappotto nero uguale a quello di suo padre.

Carmelo Pecora ci ha raccontato i suoi ricordi di allora e il senso di uno spettacolo come questo nell’Italia del 2008.


Come sarà «L’urlo di maggio», il reading teatrale che andrà in scena stasera?
«Sarà un commosso ricordo di due grandi personaggi che hanno segnato, seppure con idee diverse, la storia del nostro paese. L’urlo di maggio è un lavoro a quattro mani scritto insieme al giornalista RAI Antonio Maria Di Fresco, il quale, oltre ad aver avuto l’idea, ha curato la riduzione del mio libro, trasformandolo in un reading teatrale».


Qual è l’importanza di uno spettacolo come questo oggi?
«Penso che sia fondamentale parlare ancora, dopo trent’anni, di vicende che rischiano di essere dimenticate, in modo particolare dalle nuove generazioni. E di rimarcare la coincidenza del giorno dell’uccisione, per sottolineare il forte esempio morale di Aldo Moro e Peppino Impastato».

Impastato e Moro, simboli tragici della nostra storia. Uno assassinato dalla mafia e l’altro dalle Brigate Rosse. Che cosa li accomuna?
«La caparbietà con la quale portavano avanti le proprie idee. Entrambi erano in qualche modo controcorrente. Moro, per una classe politica conservatrice, che non accettava l’idea del "compromesso storico" e del rinnovamento. Di Peppino Impastato, invece, si è parlato sempre troppo poco. Rimane un personaggio di grande statura civile e morale. Ai quei tempi non era certo facile mettersi contro le famiglie mafiose, che spadroneggiavano nel territorio fra Cinisi e Palermo. Coraggio che pagò con la vita. È un esempio forte che i giovani conoscono poco, se non per l’attività del Centro di Documentazione che porta il suo nome e per il film di Giordana, I cento passi».


Ci racconta quel 9 maggio del 1978?
«Non è facile, in due parole. Dopo quattro giorni di licenza trascorsi a Enna, la mia città natale, rientrai a Roma in servizio alle volanti proprio il pomeriggio del nove maggio. Arrivò l’ordine di portarsi in via Caetani, dove era stata rinvenuta una Renault 4 rossa, sospetta. Quando arrivammo, sul posto c’erano già la Digos, gli agenti dei Servizi Segreti e tanta altra gente. Io sono stato uno dei primi, in divisa, ad arrivare sul posto e a vedere il cadavere dell’onorevole Moro riverso nel bagagliaio della macchina. Invece ero venuto a conoscenza della morte di Peppino Impastato, poco prima di prendere l’aereo da Catania, da una radio locale, che però l’aveva descritta come un fatto marginale e accidentale, non un omicidio mafioso».


Lei è Ispettore Capo della Polizia di Stato e dirige la Scientifica di Forlì. Che cosa prova davanti ai fatti terribili accaduti nella caserma di Bolzaneto?
«Ho basato la mia vita, professionale e non, sul rispetto della legalità e tutto ciò che non rientra in questi canoni mi fa paura. Bolzaneto è stata, insieme alla Diaz, una delle pagine più nere scritte da coloro che dovrebbero garantire la sicurezza di tutti i cittadini».


Come vede l’Italia del 2008 e come è cambiata rispetto a trent’anni fa?
«La vedo sempre più precaria, con poca speranza nel futuro per i giovani. Fanno fatica ad essere indipendenti, a costruirsi una propria vita. Noi, trent’anni fa, avevamo almeno una prospettiva, anche se per trovare lavoro dovevamo abbandonare la nostra terra, soprattutto al sud. Questo flusso, quasi migratorio, non è cambiato ma è diversa la visione e la speranza. E queste difficoltà fanno sì che i giovani di oggi siano meno tolleranti nei confronti dei disperati che ogni giorno arrivano sulle nostre coste, dimenticando che i nostri nonni erano emigranti appena mezzo secolo fa».



Pubblicato il: 18.08.08
Modificato il: 18.08.08 alle ore 10.00   
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