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Autore Discussione: Franco Bassanini. Cinque ragioni per dire sì  (Letto 2706 volte)
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« inserito:: Agosto 15, 2008, 11:24:53 pm »

Cinque ragioni per dire sì

Franco Bassanini


Caro Direttore,

concordo con Piero Fassino: ben prima della polemica estiva sulla Commissione Amato e dintorni, meriterebbe di occuparsi dei problemi veri del paese e del mondo, dal potere d’acquisto delle famiglie alla guerra in Georgia. Ma Furio Colombo mi rivolge sulla prima pagina dell’"Unità" una accorata richiesta di spiegazioni: le devo ai nostri lettori, ben più che a lui, che le ha già lette in mie recenti interviste al "Corriere" e al "Sole-24 Ore" (incomprensibilmente da lui ingorate). Risponderò esclusivamente per la parte che mi riguarda: Giuliano Amato non ha bisogno infatti di avvocati difensori. E lo farò sinteticamente, per non smentire la premessa.

Primo: due mesi fa il presidente della Provincia di Roma, Zingaretti, ha chiesto a me e a Astrid, il centro studi che dirigo, di predisporre un progetto di legge di attuazione della disposizione costituzionale sull’ordinamento speciale di Roma Capitale.

Non è la prima volta che Astrid riceve incarichi di studio da istituzioni nazionali o locali; come in precedenza, ho posto una sola condizione: avremmo lavorato in piena indipendenza, senza condizionamenti politici di alcun tipo. Ci siamo messi al lavoro, con un gruppo di esperti di Astrid coordinato dal professor Cerulli Irelli (che fu il relatore di maggioranza della riforma costituzionale del Titolo V e il primo presidente della Commissione bicamerale per le riforme amministrative). Ai primi di luglio, Zingaretti mi disse di avere concordato col sindaco di Roma Alemanno e col Presidente della Regione Lazio Marrazzo sulla opportunità di costituire una commissione di studio paritetica (tre esperti designati da ciascuna istituzione), col compito di definire un progetto comune: il progetto di Astrid sarebbe stato uno dei materiali da sottoporre al vaglio della commissione paritetica; e poi, ovviamente, delle relative giunte e consigli. Ho accettato la proposta senza esitazioni. Non solo perché mi veniva da un esponente del PD, come Zingaretti. Ma soprattutto per altre tre ragioni: perché sulle riforme istituzionali il confronto, il dialogo e l’intesa è una necessità e dunque per tutti un dovere (altrimenti offriremo pretesti per procedere a colpi di maggioranza); perché è apprezzabile che tre istituzioni locali (due a maggioranza di centrosinistra e una di centrodestra) decidano di elaborare un progetto comune, facendo prevalere la responsabilità verso le istituzioni e i cittadini sulle logiche di partito e di fazione; perché è apprezzabile che i politici decidano di ricorrere alla collaborazione di esperti indipendenti e corrano il rischio di misurarsi con loro proposte non prevedibili né condizionabili.

Secondo: il sindaco di Roma Alemanno aveva annunciato, già in campagna elettorale, il proposito di costituire una Commissione di studio sul modello della Commissione Attali, di cui ho fatto parte. Non possono sfuggire le differenze radicali con l’esperienza francese. Il Sindaco di Roma non ha i poteri e le competenze di un capo di governo (come è Sarkozy, in coppia con Fillon). La sua elezione non è stata accompagnata da un progetto e da propositi di forte innovazione e modernizzazione (che caratterizzavano invece la rupture di Sarkozy, anche se oggi appare alquanto appannata). Non era chiaro infine se Alemanno avesse davvero compreso il "metodo Attali": una Commissione del tutto indipendente, costruita in piena libertà dal suo presidente con criteri di competenza, autorevolezza e pluralismo cultural-politico, capace di avanzare proposte non di rado "indigeste" per il presidente francese; anzi, le prime mosse sembravano indicare il contrario (cominciarono a circolare candidature alla presidenza della Commissione di profilo non elevato e si seppe che molte e varie organizzazioni avevano avuto la richiesta di indicare al sindaco propri esperti e rappresentanti). La presidenza di Giuliano Amato rappresenta certamente un fatto nuovo. Vedremo presto se sarà in condizione di scegliere i membri della Commissione con la stessa libertà che ebbe Jacques Attali, e di condurne i lavori con totale indipendenza.

Terzo: Amato ha annunciato che la sua Commissione assorbirà anche la commissione di studio paritetica di cui si è detto all’inizio, che ne rappresenterà una articolazione. Se ciò avverrà, se ne dovrà dedurre che la Commissione Amato nel suo insieme non avrà un solo referente e interlocutore istituzionale, il sindaco di Roma, ma tre (il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della regione). Non mi è chiaro se si tratta di un progetto ancora da definire, o di una intesa già intervenuta. Ma se il progetto si realizzerà, molte polemiche estive appariranno prive di fondamento.

Quarto: il ministro Calderoli si è inserito nel dibattito estivo annunciando che anche lui aveva costituito una piccola Commissione Attali, chiamando esperti di vario orientamento culturalpolitico a far parte di una sorta di Advisory Board per la semplificazione normativa. Vero. Ma anche qui non capisco le ragioni dello scandalo di Furio Colombo. La semplificazione normativa e burocratica è uno dei grandi problemi del Paese. Ma non ha un colore politico. Non è di destra né di sinistra, come non sono di destra né di sinistra le mele, le pere o le banane. Ricordo del resto che le prime tre leggi annuali di semplificazione, proposte dai governi di centrosinistra nel 1998, nel 1999 e nel 2000 ( e conosciute come terza, quarta e quinta legge Bassanini), furono votate anche dall’allora opposizione di centrodestra.

E’ vero che Calderoli si occupa anche di riforme istituzionali (ed elettorali): e queste hanno sempre una rilevanza politica. Ma le riforme istituzionali ed elettorali appartengono al ristretto campo delle questioni sulle quali - nelle grandi democrazie moderne - la regola è quella del confronto, del dialogo e della collaborazione bipartisan, come quotidianamente ci ricorda Giorgio Napolitano. La Costituzione e le regole democratiche sono di tutti, devono garantire i diritti e le libertà di tutti, maggioranza e minoranze. Le riforme costituzionali ed elettorali imposte a colpi di maggioranza sono in Italia il frutto avvelenato di una stagione di bipolarismo selvaggio, che speriamo di esserci lasciati alle spalle. Ma per far ciò occorre una disponibilità di tutti al confronto e al dialogo. Della maggioranza, certo, ma anche delle opposizioni, se non vogliono offrire pretesti per colpi di maggioranza. Certo, la sede del confronto e del dialogo è in primo luogo il Parlamento. Ma se i progetti che vengono presentati al Parlamento sono già il prodotto di un lavoro serio e rigoroso, svolto da esperti scelti con logiche bipartisan, ciò non potrà che facilitare il confronto parlamentare. Noto per il momento solo un dato: che Calderoli non è solo l’esponente della Lega noto per "sortite" deliranti e razziste, o il principale autore del "porcellum". Ma è anche il ministro che, il 14 luglio, si è presentato al seminario delle quindici Fondazioni sulle riforme istituzionali ed elettorali dichiarando pubblicamente di condividerne il progetto al "novantanove per cento"; e le sue prime proposte di semplificazioni riprendono e proseguono il lavoro dei governi di centrosinistra del periodo 1996-2001.

Da ultimo, ma non per ultimo, c’è l’interesse del Paese. Delle donne e degli uomini che lo abitano; e delle generazioni future. Possiamo sottrarci al dovere di dare, ciascuno di noi, il nostro contributo, per quanto piccolo e modesto, a identificare soluzioni e risposte ai problemi del paese, solo perché queste soluzioni potranno forse essere fatte proprie e realizzate da governi di destra, legittimati dal voto della maggioranza degli italiani? Non dovremo piuttosto valutarle per la loro serietà e il loro rigore, per la loro capacità di risolvere i problemi delle italiane e degli italiani? Certo, occorre guardarsi dalle strumentalizzazioni. Ma può un grande partito democratico, come vorrebbe Colombo, rifiutarsi di partecipare costruttivamente alla sfida della modernizzazione e delle riforme, solo per il rischio che i suoi elettori non capiscano che ci sono responsabilità comuni, di fronte alle quali l’interesse di parte deve cedere? Non si tratta, piuttosto, di aiutare i nostri elettori a capire, a uscire da un visione rozza e selvaggia della democrazia dell’alternanza? A capire il senso di quel "bipolarismo mite" di cui non da oggi parla Piero Fassino?

Pubblicato il: 15.08.08
Modificato il: 15.08.08 alle ore 8.07   
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