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Autore Discussione: Se l’Onu non conta  (Letto 2885 volte)
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« inserito:: Agosto 11, 2008, 09:59:38 pm »

Se l’Onu non conta

Gian Giacomo Migone


Come la questione del Darfur, quella georgiana rischia di diventare un altro chiodo nella bara che i nemici dell’Onu vorrebbero preparare per l’unica organizzazione di sicurezza ancora dotata di una legittimazione universale.
Da tempo circola negli ambienti neocon americani la proposta, che pure riceve attenzione da parte dei democratici, di una nuova organizzazione di Stati democratici (ma quali?) che, sostituendosi all’Onu, garantisca la sicurezza nel mondo.

Nel frattempo, le minacce di veti, da parte di Pechino per il Darfur, da parte di Mosca per la crisi georgiana, paralizzano il suo Consiglio di sicurezza. Con opportuno tempismo tattico Vladimir Putin ha stimolato, se non addirittura programmato, la crisi nell’area strategica che separa il Mar Nero dal Mar Caspio. Mentre l’attenzione del mondo si concentra sulla celebrazione del rito olimpico, all’insegna della potenza cinese, la Russia riassume l’iniziativa nei confronti di un territorio che continua a considerare cortile di casa, dotato di ingenti risorse petrolifere, con l’intento di sottoporre al proprio controllo non l’Ossezia meridionale e l’Abkhazia, ma la vera spina nel suo fianco: quella Georgia che diede i natali a Giuseppe Stalin, protagonista di una politica di Grande Russia e mondiale per un trentennio, dalla leadership del Cremlino attuale considerata, più ancora dell’Ucraina, interna ai propri confini storici e naturali e che oggi imprudentemente aspira a diventare membro della Nato.

Quando Mosca afferma di rendersi garante della stabilità di quella parte del mondo e lo stesso presidente della Georgia riconosce tali pretese nei confronti di una propria regione interna con ambizioni indipendentiste, si profila una concezione della sicurezza internazionale, se si vuole analoga a quella, più che pretesa, praticata dagli Stati Uniti in America Centrale (Grenada, Panama, El Salvador, Nicaragua, Haiti) tuttavia antitetica allo spirito e alla lettera della carta delle Nazioni Unite, peraltro paralizzate da veti plurimi, più che incrociati come in epoca di Guerra Fredda.

Conviene tutto ciò a un’Europa che pure costituisce un soggetto consistente, anche se tutt’ora menomato dalla propria incompiutezza, di un mondo multipolare che costituisce ormai una realtà presente? Non è il caso di parlare dell’Italia che ha un governo ridotto al silenzio («Pic Badaluc non disse di sì, Pic Badaluc non disse di no») perché lacerato tra il servilismo professato nei confronti di Washington e un rapporto poco trasparente del suo capo con Mosca. E, spiace dirlo, con un’opposizione che ha affrontato le elezioni politiche sulla base di un programma che non contemplava la politica estera.

L’Europa, dunque, si è meritoriamente opposta all’ingresso provocatorio di Ucraina e Georgia nella Nato, ma nemmeno può sanzionare la loro riduzione a Stati satelliti di Mosca. Né ha interesse ad assistere alla liquidazione dell’Onu, magari accompagnata dalla sua sostituzione che costituirebbe poco più di una Nato allargata, sotto un’ormai anacronistica leadership americana (anche nell’eventualità di una presidenza Obama) cui il resto del mondo negherebbe legittimità, principale risorsa dell’Onu, pur nella sua configurazione attuale. La conclusione non può che essere un necessario ma poco esaltante richiamo alla riforma in particolare del Consiglio di Sicurezza che, con le regole vigenti, nella sua attuale composizione, senza una presenza europea unificata, in assenza di altri grandi protagonisti emergenti, resterà paralizzata dal meccanismo che lo riducono all’impotenza, contro l’interesse non solo nostro, ma di una parte cospicua dell’umanità.
g.migone@libero.it

Pubblicato il: 11.08.08
Modificato il: 11.08.08 alle ore 8.09   
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 11, 2008, 10:08:49 pm »

LA UE E LA CASA BIANCA

L'ambizione europea


di Dario Di Vico


Fosse servita una conferma è arrivata dall’Ossezia. Con un vicino, la Russia di Vladimir Putin, così determinato a perseguire i suoi obiettivi neo-imperiali l’Europa deve darsi coraggio e recuperare la propria forza politica. E sicuramente quelli che abbiamo davanti sono sei mesi estremamente importanti per il Vecchio Continente. Bisognerà aspettare gennaio prima che si insedi alla Casa Bianca il nuovo presidente ma l’operato di George W. è giudicato talmente fallimentare che, chiunque vinca tra Barack Obama e James McCain, il dopo Bush si annuncia sin d’ora sotto il segno della discontinuità. A quel punto, però, che Europa si troverà davanti il nuovo presidente? E di conseguenza che sforzo di elaborazione e proposta saprà fare in questo lasso di tempo la Ue per presentarsi all’appuntamento con il giusto appeal? Il rischio che stiamo correndo è di rassegnarci all’egemonia del pensiero debole. Come europei siamo impauriti dalle nuove condizioni della competizione internazionale.

L’avvento di aggressivi e ingombranti protagonisti ha cambiato le carte in tavola e ha generato rivolgimenti inediti sul fronte dei mercati e delle materie prime. La corsa ininterrotta di Cina, India e Brasile ci lascia stupefatti e impotenti, il prezzo del petrolio che va alle stelle costringe le nostre economie a un ripensamento al quale non siamo preparati e la crescita dei listini dei beni di prima necessità accentua le sperequazioni dentro le società ricche. Di fronte a queste novità è facile sentirsi deboli e cercare il riparo con misure volte a rafforzare tutele e strumenti economici di protezione. Ma allora tanto varrebbe tirarsi fuori e lasciare il campo a una sorta di G2, Usa e Cina. Rinunciando però a far sentire la voce d’Europa non solo in materia di commercio internazionale ma anche sui dossier che determinano il futuro della guerra o della pace, vuoi l’Ossezia o il crucialissimo Iran. Eppure abbiamo un’altra chance. L’ambizione. In un mondo che non riesce a trovare il bandolo della matassa, in cui tutti cercano di comporre le contraddizioni ma nessuno ci riesce (il nuovo fallimento dei Doha Round lo testimonia), la Ue un pregio inestimabile ce l’ha: è essa stessa un modello riuscito di governance, un esperimento di integrazione economica e politica, unico nell’Occidente.

Con ciò sarebbe un grave errore sottovalutare come quest’esperienza mostri la corda, a partire dal rapporto con gli elettorati dei singoli Paesi che non capiscono dove si stia andando, non vedono una proposta chiara (come lo fu l’euro negli anni ’90) e sono portati così a rifluire su logiche nazionalistiche. Ma anche la sola ipotesi di ricostruire un rapporto forte con Washington, finalizzato a produrre stabilità politica e a governare le contraddizioni globali, può servire a rafforzare presso i cittadini d’Europa quel sentimento di appartenenza che negli ultimi anni si è appannato. Per di più in questa fase nei Paesi chiave dell’Unione ci sono almeno tre leader che sembrano avere le spalle ben coperte in termini di consenso interno. Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi sono freschi dei propri successi elettorali e hanno davanti a sé una legislatura che, almeno nelle dichiarazioni, intendono orientare verso obiettivi di riforma. Angela Merkel, seppur alle prese con la complessa alchimia di un governo di grande coalizione, appare comunque la stella polare della politica tedesca e una presenza tutt’altro che transitoria della scena europea.

Questi tre leader, ai quali si può accodare almeno José Rodriguez Zapatero in attesa che da Londra maturi un orientamento più netto sulla futura conduzione britannica, possono e devono coltivare l’ambizione di presentarsi davanti all’America del 2009 come un partner affidabile, di cui tener conto e — parafrasando la famosa espressione di Henry Kissinger — dotato di un unico numero di telefono. Il caso vuole che, aspettando che la Casa Bianca si svuoti e si riempia, anche la Ue sia chiamata a rinnovare la propria guida e a designare il successore di Josè Manuel Barroso. Più si tratterà di una scelta non burocratica e cadrà su una personalità di valore e prestigio assoluto, più le euro-ambizioni avranno corso legale.

11 agosto 2008

da corriere.it
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