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Autore Discussione: Beppe SEVERGNINI. -  (Letto 68729 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Dicembre 26, 2014, 11:44:49 am »

La forza delle idee
L’Occidente ha paura ma non sta perdendo

Di Beppe SEVERGNINI

La confusione planetaria non ci scoraggi: il nostro modello attira ancora e il web contribuisce a diffonderlo. I boia temono la pace e il rispetto, questo è quello che conta

Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan. C’è qualcosa di demoniaco nelle notizie che arrivano in questi giorni. Esecuzioni di reclute, sgozzamenti di ostaggi, stragi di donne, rapimenti, esecuzioni di massa in una scuola. I nuovi Erode, sotto Natale, non riposano.

L’orso russo e gli spiriti di destra
La cleptocrazia di Vladimir Putin, appesantita dalle sanzioni e dal crollo del prezzo del petrolio, tenta di riesumare la Grande Russia e reagisce attaccando in Ucraina, dopo averlo fatto in Crimea. Mosca corteggia e finanzia la destra populista e xenofoba occidentale, sperando di minare dall’interno l’Unione Europea. A Parigi, a Budapest e a Milano, purtroppo, qualcuno gli dà spazio.

I capricci della Corea del Nord
Per aggiungere farsa al dramma, nella lontana Pyongyang un anacronistico dittatore s’imbizzarrisce per un film di Hollywood che lo deride, e ordina attacchi informatici contro la Sony, produttrice dell’opera. È dovuto intervenire il presidente Obama, che forse ha cose più importanti cui pensare.

La paura del contagio
Da tempo, un anno non si chiudeva con questa combinazione di orrore e pazzia. E il mondo libero non sa cosa fare. Osserva, inorridisce, condanna, preoccupato soprattutto di evitare il contagio.

Il modello che attira
L’impotenza e l’angoscia delle democrazie di fronte alla confusione planetaria non deve farci di perdere di vista un fatto, tuttavia. Il nostro modello attira ancora. E Internet — particolare non secondario — contribuisce a diffonderlo come mai era accaduto in passato. La violenza spasmodica cui assistiamo dimostra che i boia ci temono. Temono la concorrenza della pace, del benessere, dell’istruzione, della tolleranza, del rispetto per le donne.

Incubo disorganizzato
I talebani hanno dimostrato d’essere nemici spietati, ma costruttori modesti. Lo Stato che hanno raffazzonato in Afghanistan, quando hanno avuto il potere, s’è rivelato un incubo disorganizzato, in coda a qualsiasi classifica internazionale. I tagliagole neri dell’Isis sono ridotti a imprigionare e giustiziare le reclute straniere che provano a scapparsene via, dopo aver capito a chi e a cosa avevano affidato le loro istanze di riscossa. I cinque martiri adolescenti che hanno preferito morire, vicino Bagdad, piuttosto che abiurare la fede cristiana, sono più forti dei loro assassini.

Tempi lunghi
Vincere è drammatico, faticoso e lento. Soprattutto quando si prova a farlo con le idee, perché le armi — s’è visto — non bastano, e in qualche caso rischiano di essere controproducenti.

Democrazia imperfetta
Siamo superficiali, pigri e imperfetti, nelle democrazie. Lo spettacolo che stiamo fornendo è desolante. L’Unione Europea, che tanti meriti ha collezionato, oggi è prigioniera della ragnatela di regole che s’è creata, e esaspera i suoi cittadini. Gli Stati Uniti d’America alternano voce grossa e piccoli gesti, incapaci — per esempio — di sbloccare la situazione tra Israele e Palestina, che mesi fa ha portato ancora tragedie. Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone pensano soprattutto a convivere con la Cina, ed è un lavoro a tempo pieno.

Mancanza di alternative migliori
Eppure il mondo ci riconosce che, per adesso, non s’è inventato niente di meglio della democrazia e del mercato. Lo rivela il flusso crescente di emigrati verso Toronto e Sydney. Lo provano milioni di famiglie che sperano in un permesso di soggiorno negli Usa. Lo riconoscono gli ucraini, opponendosi alla corrente che li stava riportando a est. L’hanno dimostrato, per tutto l’anno, i migranti che rischiano la vita in mare per un pasto, un letto, un ospedale, una strada in cui non bisogna tremare di paura davanti a un poliziotto. Di queste cose dovremmo essere orgogliosi, ma purtroppo ce ne dimentichiamo. La memoria, dentro la paura, sbiadisce.

Calma e compattezza
No, forse non stiamo vincendo. Ma i nostri avversari ci temono, ed è questo che conta. Erode grida e gronda sangue. Siamo costretti a guardarlo, ipnotizzati. Ma ha già perso. Stiamo calmi e restiamo uniti, il resto verrà.

@beppesevergnini
22 dicembre 2014 | 08:59
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_dicembre_22/occidente-ha-paura-ma-non-sta-perdendo-12a8da92-89ae-11e4-a99b-e824d44ec40b.shtml
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« Risposta #106 inserito:: Gennaio 12, 2015, 10:44:10 pm »

La manifestazione di Parigi
La giovane Europa sarà capace di vincere questa battaglia
La libertà non è un gentile omaggio e ogni generazione deve conquistarsi la sua pace I nostri figli avranno anche il compito di sconfiggere il terrorismo e il fondamentalismo


Di Beppe Severgnini

Questa è la loro guerra. Una guerra lunga, che dovranno combattere con intelligenza, pazienza, fermezza.
Erano molti, ieri nelle strade di Parigi, i nuovi Europei. Nati dopo il 1980, informati e connessi, con una debolezza, forse: pensare che la pace fosse per sempre. Che una volta conquistata, la si potesse amministrare, come un condominio.

Non è così: ogni generazione deve meritarsi la sua pace.

Quella contro il totalitarismo religioso, e per la libertà, è la guerra dei nostri figli. Una guerra a puntate, come ha intuito papa Francesco. La prima l’11 settembre 2001; la più recente a Parigi, nei giorni scorsi. E non sarà l’ultima, purtroppo.

Gli americani hanno i Millennials; noi, la generazione Erasmus. Una generazione per cui l’Europa è viaggi, studi, amori, scambi, comunicazioni. Una generazione amareggiata per il lavoro che spesso non c’è; ma fortunata, per quello che ha potuto fare, vedere e condividere. Una generazione cui, forse, mancava una grande prova. È arrivata.

La generazione dei nostri padri ha sofferto le grandi dittature europee, e le ha viste implodere, una dopo l’altra. La nostra generazione ha conosciuto da vicino il comunismo e l’ha osteggiato, quando l’ha capito. La generazione dei nostri figli si trova di fronte a una sfida completamente nuova. Ce la farà, a disinnescare l’attacco del fondamentalismo? Probabilmente sì. E ci insegnerà qualcosa.

Le piazze non vanno mai sopravvalutate: il giorno dopo sono ridotte a fotografie e cartacce che volano. Ma quello che si è visto ieri a Parigi era impressionante. Una città - in rappresentanza di un Paese, di un continente e del mondo libero - che diceva: basta così. Queste sono le nostre trincee politiche, giuridiche, morali, mentali. Non si uccide per un’opinione o un disegno, magari sgradevole. Nessuna religione, nessuna convinzione, lo autorizza. Chi sostiene il contrario non è un dissidente: è un assassino.

Affermazioni ovvie? Certo. E allora perché abbiamo aspettato tanto a pronunciarle, tutti insieme? A mettere un po’ di orgoglio nella difesa della società che abbiamo costruito, un’area di libertà senza uguali sul pianeta?
Non è ingenuo pensare che la nuova, giovane Europa abbia capito la lezione. L’abbia capita nel modo più duro, e ce la stia già insegnando. Vedere cinquanta capi di Stato e di governo tutti insieme, uniti in nome della libertà e non impegnati a litigare sul deficit al 3%, è consolante. Quelle foto di gruppo le abbiamo viste sulle spiagge della Normandia, davanti alle trincee nelle Ardenne, in visita ai campi di concentramento. Stavolta i nostri leader erano insieme contro i nemici della libertà, attaccata in nome di una religione.
Con loro a Parigi hanno sfilato, in silenzio, due milioni e mezzo di persone. Ognuna, ci auguriamo, ne rappresentava altre duecento: tanti siamo, in Europa, da Lisbona a Tallin. Cinquecento milioni. Siamo diversi, abbiamo governi e tradizioni diverse, ma anche un evidentissimo comun denominatore. Avendo provato - ed esportato - l’orrore delle dittature, da settant’anni crediamo nella democrazia, nella libertà di espressione, nello Stato di diritto. I governi che provano a discutere questi principi vengono tenuti ai margini (Turchia) o guardati con sospetto (Ungheria).

La bellezza della salute si capisce dopo una malattia. La normalità quotidiana si apprezza dopo un brutto incidente. L’Europa, dopo l’eccidio di Parigi, capirà che cos’ha rischiato dividendosi, distraendosi, ingannandosi? Forse sì. E lo capirà - ripetiamo - perché la maggioranza dei nuovi europei inizia a capirlo.

In piazza a Parigi, a scuola a Milano, in ufficio a Londra, nei bar di Varsavia e Madrid. Ventenni e trentenni si sono resi conto che l’Europa libera non è un gentile omaggio: qualcuno l’ha costruita per loro, ora devono mantenerla. Come ogni casa. Come ogni cosa.

Devono mantenerla con amore e precisione. Senza intolleranza, ma con intransigenza. Non sono sinonimi, i due vocaboli. L’intransigenza è la qualità dei forti; l’intolleranza la scusa dei deboli. Gruppi e personaggi che, a preoccupazioni giuste, danno risposte sbagliate. Da una parte, gli ortodossi del multiculturalismo, convinti che tradizioni e religioni stiano sopra la legge. Dall’altra, teologi del fine settimana, per cui la fede islamica è incompatibile con la democrazia. Populisti aggressivi che sognano espulsioni di massa. Guerrafondai da scrivania che ripropongono, anni dopo, le ricette fallimentari dei neocon americani.

Stiamo in guardia: non lasciamoci ingannare. Non è dichiarando guerra al mondo che il mondo si conquista. È invece stabilendo buone regole, rispettandole e facendole rispettare. È la scommessa della giovane Europa. La vincerà.

12 gennaio 2015 | 08:54
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_12/giovane-europa-sara-capace-vincere-questa-battaglia-55f991ec-9a2f-11e4-806b-2b4cc98e1f17.shtml
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« Risposta #107 inserito:: Gennaio 18, 2015, 06:26:55 am »

Italians
Napolitano, quel che un presidente non deve essere

Di Beppe Severgnini

Giornali, siti e telegiornali sono pieni di giudizi sui (quasi) nove anni al Quirinale di Giorgio Napolitano, perciò mi limito a cinque parole: è stato un buon presidente.

Se dovessi scegliere una frase di saluto, non prenderei una citazione di Norberto Bobbio, ma un verso di Franco Battiato: «Com’è difficile restare calmi quando tutti intorno fanno rumore». E di chiasso, dal 2006, in Italia ne abbiamo fatto parecchio.

Molti, più competenti di me, hanno spiegato le qualità che dovrebbe possedere il successore al Quirinale. Mi limiterò, dunque, a indicare quali caratteristiche il futuro presidente della Repubblica NON dovrebbe avere.

Non dev’essere un dilettante. Il presidente della Repubblica è il Grande Arbitro (senza guardalinee), e un arbitro che non conosce il regolamento non serve. Musicisti, architetti e bibliotecari funzionano nei film («Benvenuto, Presidente» con Claudio Bisio). In realtà combinano disastri. La politica è un mestiere, non necessariamente a vita, un mestiere che, tenetevi forte, si può fare onestamente.

Non dev’essere freddo. Noi italiani siamo empatici ed emotivi. Un presidente distaccato e impassibile ci metterebbe a disagio.

Non dev’essere caldo. Un altro Cossiga versione Picconatore provocherebbe un esaurimento nervoso nazionale.

Non dev’essere ambizioso. Il Quirinale non è un trampolino, è un colle. Non serve per saltare più in alto, ma per guardare lontano. Deve aver perso, in vita sua, il nuovo presidente: una bella sconfitta illumina ogni curriculum. Ma guai se usasse il nuovo incarico per regolare i conti.

Non dev’essere timoroso. Il suo titolo è capo dello Stato, non vice di qualcuno o qualcosa.

Non dev’essere neutro. Dev’essere intellettualmente onesto. Deve avere una storia piena di idee e convinzioni; non una carriera costellata di opportunismi e omissioni.
Non dev’essere un uomo o una donna. Dev’essere una persona. Mandare una femmina al Colle, perché non c’è mai stata, sarebbe un errore. Mandarci un maschio, perché c’è sempre stato, sarebbe un’ignavia. Mandarci la persona sbagliata sarebbe un guaio.

15 gennaio 2015 | 08:33
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_gennaio_15/napolitano-quel-che-presidente-non-deve-essere-58b95de4-9c88-11e4-8bf6-694fc7ea2d25.shtml
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« Risposta #108 inserito:: Gennaio 22, 2015, 05:28:53 pm »

Cosa deve fare il maniscalco quando sente il rumore del trattore? Come dobbiamo comportarci quando capiamo che il nostro mestiere rischia di scomparire? Non è una domanda retorica. Non sono scomparsi solo i maniscalchi, insieme ai cavalli da tiro; sono spariti i macchinisti a vapore, le balie, i linotipisti e i riparatori di fax. Alcuni mestieri sono ridotti a nicchie: stenografi, arrotini, spazzacamini, bottari, bigliettai. O hanno gli anni contati, come il cassiere di banca. Altri ancora rischiano grosso: il mio, per esempio.

Cosa deve fare il maniscalco quando sente il rumore del trattore?
Primo: accertarsi che sia un trattore e non una bufala. Non tutte le rivoluzioni annunciate si sono rivelate tali. Dell’automobile che si guida da sola siano ancora in attesa; un bravo autista non ha motivo di disperarsi.

Secondo: accertarsi che tutti vogliano il trattore, per arare il campo. Prendiamo le librerie. Molti ne avevano previsto la scomparsa, dopo l’avvento di Amazon e dell’e-book. In verità il libro è un oggetto amato; a differenza del quotidiano di carta, che è un servizio (tutti abbiamo in casa una libreria, solo un pazzo tiene dieci anni del “Corriere” in salotto). Molte librerie hanno saputo resistere, diventando un luogo gradevole e/o offrendo altri servizi (co-working, wi-fi, caffé).

Terzo: imparare a guidare il trattore. E ad aggiustarlo se si rompe. I fotografi campavano sulla pellicola, ma sono stati rapidi a spostarsi sul digitale. I migliori agenti di viaggio sono diventati consulenti turistici. I notai, colpiti dalla crisi immobiliare e da novità normative, potrebbero diventare preziosi consulenti familiari (lo capiranno prima loro o gli avvocati?).

Quarto: non pensare che la tradizione, la legge o il sindacato possano garantire la sopravvivenza. Per qualche tempo, forse; ma alla lunga la realtà vince sempre. Per resistere a Uber, i taxisti non devono gridare o minacciare: devono mostrarsi più efficienti dei concorrenti. Per reggere la forza d’urto di AirBnB, alberghi e pensioni diventino più accoglienti. Chiedano norme e imposte uguali per tutti, d’accordo. Ma non la squalifica del nuovo, solo perché è nuovo.

Dunque: cosa deve fare il maniscalco quando sente il rumore del trattore?

(Dal Corriere della Sera)
Beppe Severgnini

Da - http://italians.corriere.it/2015/01/22/cosa-deve-fare-il-maniscalco-quando-sente-il-rumore-del-trattore/
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« Risposta #109 inserito:: Gennaio 31, 2015, 04:49:49 pm »

Il filmato
Oltre i luoghi comuni: il successo inaspettato del video sulla vera Italia
Otto stereotipi rovesciati in modo efficace Per una volta sappiamo promuoverci all’estero

Di Beppe Severgnini

Ieri è accaduta una cosa strana. Al secondo posto tra i video più visti di Corriere.it, subito dopo una scenata isterica su un traghetto canadese, un filmato del governo italiano, mostrato al World Economic Forum di Davos per smontare i luoghi comuni sul Paese, e spiegare in cosa siamo bravi. Un ottimo video promozionale? Del governo italiano? In inglese?! Ci dev’essere un errore. L’ho subito guardato: mi è piaciuto. L’ho twittato («Per raccontare l’Italia un ministero produce video impeccabile: sogno o son desto?»). In mezz’ora cento persone l’hanno messo tra i preferiti e molte altre l’hanno commentato per tutta la giornata.
Di cosa si tratta? Di un’operazione intelligente, che parte da una riflessione: inutile negare gli stereotipi sull’Italia, meglio rovesciarli (con sottofondo pianistico). Pizzaioli? «L’Italia è un leader mondiale nella creazione di grandi infrastrutture - 1.000 costruzioni in 90 Paesi». Latin lover? «L’Italia ha il 5° surplus commerciale di prodotti manifatturieri». Amanti della dolce vita? «L’Italia è il leader indiscusso nella produzione di super-yacht, con il 40% degli ordini mondiali». E così via. Per chiudere: «Italy the extraordinary commonplace», Italia il luogo comune straordinario. L’inglese è modellato sull’italiano - «gesticulators» esiste, c’è però un modo migliore per dire che sappiamo parlare con le mani - ma l’approvazione resta. Lo stupore, pure.

I nostri governi, quando hanno tentato di promuovere l’Italia all’estero, hanno prodotto piccole catastrofi. Memorabile fu www.italia.it , costosissimo e anacronistico portale, impreziosito dal linguaggio psichedelico di Francesco Rutelli («Pliz vizit the uebsàit but, pliz, vizit Italy!»). Altri esempi? Quanti ne volete: dalle esternazioni di Silvio Berlusconi all’impotenza dell’Enit, dall’assenza di un ministero del turismo alle goffaggini comunicative del Semestre europeo, fino all’inglese di Matteo Renzi. Adeguato (e lodevole) se si tratta di parlare con altri capi di governo; insufficiente nelle occasioni ufficiali, quando il nostro giovane premier, per evitare infortuni , dovrebbe attenersi alla lingua dei concittadini Dante e Petrarca.
Stavolta, invece, bingo (istituzionale)! Cos’è successo al ministero dello Sviluppo economico? I soliti esperti si sono distratti, e un bravo stagista ha preso in mano la situazione? Di certo qualcuno - sarebbe bello sapere chi - ha capito, come dicevamo, che gli stereotipi esistono su tutti i popoli (su di noi, che siamo antichi e fantasiosi, ce n’è di più). Non serve piagnucolare e negarli: bisogna smentirli con i fatti e i comportamenti. E magari con l’ironia.
Non è facile promuovere un Paese. Tutti i popoli hanno torto, almeno in parte; e noi italiani sappiamo combinare pasticci spettacolari, piazzando scandali nei luoghi più belli del mondo. Quale notiziario rinuncia a raccontare le ruberie intorno al Mose, quando c’è la possibilità di mostrare Venezia? Quale sito d’informazione dimentica Mafia Capitale, se nella capitale in questione sono passati imperatori, papi e Anita Ekberg?

Molti diplomatici - non tutti, per fortuna - pensano sia giusto difendere l’indifendibile e negare l’innegabile. Ingenui ed illusi strillano «I panni sporchi si lavano in famiglia!». Non avviene mai: le nazioni che adottano questo motto girano con abiti mentali che mandano cattivo odore. Alcuni patrioti da strapazzo, infine, chiedono a noi giornalisti di tacere sugli infortuni italiani «per carità di patria». Dimenticando, come scriveva Luigi Barzini Jr, che «la miglior forma di amor di patria è essere onesti con se stessi».
A questo proposito ricordino una cosa, Matteo Renzi e i suoi ministri. Noi italiani siamo pieni di talento e tenacia, è vero. Ma per ogni ingegnere che costruisce ponti in Cina, cinque lavorano gratis in Italia con la scusa dello stage. Per ogni astronauta che mandiamo nello spazio, costringiamo centomila ragazzi a emigrare. Per ogni yacht di lusso che variamo, tolleriamo cento milioni di evasione fiscale. È vero, come ricorda il video, che «quest’anno invitiamo 140 Paesi a Expo per discutere come nutrire il pianeta». Ma è anche vero che, a Milano, non siamo stati capaci di tenere le volpi fuori dal pollaio, e la fascinosa Darsena è ancora un buco circondato da pannelli imbrattati.
Ecco: nessuno chiede di produrre un video istituzionale per raccontare al mondo tutto ciò. Ma tra noi italiani dobbiamo dircele, certe cose.

24 gennaio 2015 | 09:30
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_24/oltre-luoghi-comuni-successo-inaspettato-video-vera-italia-7cb8372c-a3a1-11e4-808e-442fa7f91611.shtml
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« Risposta #110 inserito:: Marzo 05, 2015, 04:00:20 pm »

Il mondo arriva a Milano, e non sarà felice di farsi fregare le valigie

La partenza e l’arrivo dei treni hanno sempre qualcosa di cinematografico. Gente che corre, gente  che telefona, gente che saluta, gente che bacia, gente che cerca di fare tutte queste cose insieme. Se i treni locali offrono immagini da film in bianco e nero, con i Frecciarossa e i Frecciabianca siamo nel mondo del colore. E la sceneggiatura, da qualche tempo, è diventata bizzarra.

Lungo i binari, alla Stazione Centrale di Milano, Trenitalia ha messo personale in divisa. Sicurezza Aziendale, sta scritto sulle giacche. E’ lì per impedire che i viaggiatori vengano ingannati da finti portabagagli, i quali si precipitano a prendere le valigie e poi pretendono cifre esorbitanti (quando le restituiscono, se le restituiscono). Il personale deve anche marcare i gruppi di borseggiatrici, specializzate nell’aprire  borse e zainetti in movimento. Si tratta, quasi sempre, di rom (non è un pregiudizio né un giudizio: è un fatto).

Il personale di Trenitalia è esasperato, la polizia ferroviaria impotente. Con le leggi esistenti, dicono, possiamo far poco. Truffatori e ladre lo sanno benissimo. Un capogruppo della Sicurezza Aziendale racconta: “Abbiamo fermato una donna dopo un furto, per l’ennesima volta. Ormai la conosciamo. L’hanno portata nel posto di polizia. Lei li ha seguiti, tranquilla. Uscendo ha detto, con aria di sfida: ‘Grazie, mi piace stare seduta e al caldo per mezz’ora”.

Il governo italiano capirà mai che la microcriminalità è micro finché non succede a noi? Introdurrà norme, procedure e sanzioni adeguate? Nell’attesa di una risposta – che non arriverà – qualcosa forse si può fare. Per esempio: perché Trenitalia non sostituisce la guardie con i portabagagli? Costi inferiori, probabilmente. E il problema (i furti) si evita; invece di cercare, affannosamente, di risolverlo.

Un lavoro umile, il portabagagli? Certo, ma è dignitoso, come ogni lavoro. E’ stato il mestiere d’ingresso in molte società. E resta insostituibile.  Le valigie pesano, e non tutti sono in grado di spingere due monoliti con le rotelle su e giù per la Stazione Centrale. 

So bene che i problemi sono ben altri. I problemi, in Italia, sono sempre ben altri. Ma se cominciassimo a risolvere quelli piccoli, avremmo la calma e l’umore per affrontare quelli grandi. Dimenticavo: fra due mesi parte Expo2015. Il mondo arriva a Milano, e non sarà felice di farsi fregare le valigie.

 (dal Corriere della Sera)
Beppe Severgnini

Da - http://italians.corriere.it/2015/03/05/il-mondo-arriva-a-milano-e-non-sara-felice-di-farsi-fregare-le-valigie/
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« Risposta #111 inserito:: Maggio 10, 2015, 04:41:54 pm »

Ma cosa vogliono, nel Regno Unito?

Caro Beppe, nel Regno Unito il 7 maggio si è votato. Il Paese si trova ad un bivio che potrebbe portare profondi mutamenti e cambiamenti anche all’Europa del futuro. Da un lato i conservatori, con una politica economica (a mio parere) più solida e futuristica ma pronti a gettare in mare l’appartenenza all’UE; dall’altra i laburisti, con una politica economica (sempre secondo me) retrograda e controproducente, ma determinati a rimanere in Europa. Nel contorno troviamo destre e sinistre radicali, rispettivamente con programmi che mirano all’uscita dall’Europa o alla secessione della Scozia dal resto dell’unione. I problemi sono: il malcontento generale, tanta gente stufa di certi ricatti (economia ok ma spese razionalizzate e rischio uscita Europa, oppure economia a rischio ma tanti soldi spesi e rimanere in Europa), le illusioni dell’indipendenza della Scozia (la quale poi vorrebbe rientrare nell’UE) e dell’uscita gloriosa del Regno Unito dall’UE.

Secondo me, il tempo che passa ci rende ciechi ed insensibili e ci offusca la memoria, facendoci diventare incapaci di valutare come il presente sia molto meglio di quel passato nemmeno tanto remoto. Mi si dirà che i problemi di oggi sono reali e vanno affrontati, che queste (secessioni e separazioni) sono soluzioni vere a problemi veri; però è anche vero che per affrontarli, questi problemi, bisognerebbe andare avanti lavorando insieme, non tornare indietro riposizionandoci laddove si era capito che il futuro e le opportunità non erano associate ad isolamento, nazionalismo e confini. C’è da chiedersi che soddisfazione trarrebbero, per esempio, Inghilterra, Scozia, Galles ed Irlanda del Nord, nel trovarsi ad essere parte di nuove nazioni ma, al tempo stesso, parte dell’Unione Europea in forma indebolita. Secondo te cosa cercano, veramente, i cittadini e i politici del Regno Unito?
Raul Di Calisto, ita1@rdob.org   


Cosa cercano nel Regno Unito? Stabilità, evidentemente.  Come quasi tutti gli europei, del resto. Pensa ai tedeschi che si raccolgono compatti intorno alla Merkel; ai francesi che nel momento della difficoltà si ricordano di avere un Presidente; a noi italiani che, secondo i sondaggi, diamo il 40% delle preferenze a un partito e a un giovane leader decisionista.

Ho seguito poco la campagna elettorale britannica (causa Expo), ma conosco bene il Paese e la gente. Il risultato non mi ha stupito. Mi ha stupito invece Martin Wolf (FT), uno dei commentatori più quotati, che vedeva Ed Milband a Downing Street.  I laburisti hanno pagato la defezione della Scozia, dove i nazionalisti li hanno stracciati. E hanno sbagliato sull’Europa. Hanno negato agli elettori la possibilità di esprimersi una volta per tutte sulla UE. E’ giusto, invece, che questo accada. Nel referendum del 2017, promesso da David Cameron, vedremo cosa vogliono davvero (ed è tempo!). Secondo me, essendo gente pratica, rimarranno dove sono: nell’Unione, da cui traggono tanti vantaggi.

Interessante la batosta dei liberaldemocratici di Nick Clegg: un destino alfaniano. Essere la ruota di scorta del governo non è facile, e si paga.

Credo che i Tories siano sembrati più affidabili sull’immigrazione (una vera ossessione, in GB) e sull’economia. Non c’è dubbio che i buoni risultati degli ultimi anni siano concentrati su Londra, e siano dovuti a un po’ di doping valutario (la sterlina è scesa da anni, l’euro ha cominciato a farlo da qualche mese). Ma è evidente: gli elettori, oggi, sono conservatori un po’ dovunque (con la “c” minuscola). Si cambia soltanto se si deve. Gli elettori UK non ne hanno visto la necessità, tutto qui.

Da - http://italians.corriere.it/2015/05/08/33868/
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« Risposta #112 inserito:: Maggio 11, 2015, 10:41:31 am »

Il commento
La forza tranquilla di una città

Di Beppe Severgnini

Sapete tutti cos’è successo il 1° maggio a Milano. Volete una prova della stupidità dei devastatori? Hanno decretato il successo istantaneo di Expo 2015, oggetto del loro volubile odio (G8, Tav, euro, scuola, alimentazione: poco importa, basta far casino).

La curiosità per la manifestazione c’era già; l’amore sarebbe arrivato, tempo un mese. È stato anticipato. Sono bastate ventiquattro ore, e diverse strade devastate, per decidere che Expo 2015 sarà un grande successo. I milanesi, e con loro tutti gli italiani perbene, hanno deciso in fretta: non si può darla vinta a certa gente. Ci sarà tempo per ragionare sul (dis)ordine pubblico. Per spiegare come sia possibile che una città come Milano, nel giorno in cui si fa bella davanti al mondo, possa diventare ostaggio di pochi violenti: sempre i soliti, tra l’altro. Per capire che quanto è successo, se non fosse tragico, sarebbe ridicolo. Per ora, accontentiamoci di capire come la città ha risposto: con prontezza, generosità e fantasia.

Potete leggere sul Corriere quello che è stato fatto e quello che si sta preparando per oggi. Pulizia stradale che diventa pulizia mentale. Lo slogan «Nessuno tocchi Milano» è la reazione di una città che non è reazionaria, e non vuole diventarlo. Ma la pazienza ha un limite. Chi ci governa deve metterselo in testa: nessuna comunità può accettare che una piccola minoranza fanatica, e alcuni ospiti forsennati, si divertano a giocare alla guerra nel giorno della festa. Non è inevitabile. Solo gli inetti sostengono che la devastazione sistematica di strade e piazze «è il prezzo della democrazia». Non è vero. Gli assolutori, i giustificatori, i cercatori instancabili di attenuanti la smettano: non ci sono scuse. Si può discutere di Expo: lo abbiamo fatto e lo faremo. Se alla democrazia teniamo, però, dobbiamo fermare i violenti. È vero, venerdì la polizia ha evitato il peggio (e il morto). Ma quando l’autorità si arrende, arrivano gli autoritari. Queste cose le sapeva benissimo, ieri, la gente che si muoveva tra il sole, gli odori, i colori, i giochi e il kitsch (perché no?) di Expo.

Due giorni trascorsi sul posto non lasciano dubbi: la gente arriva ed è felice. L’architettura è spettacolare, le prospettive emozionanti, il cibo (dove c’è) è buono, l’umore eccellente. Chi ha frequentato le migliori Olimpiadi (Torino 2006, Pechino 2008, Londra 2012) e i grandi Mondiali di calcio (Germania 2006) ritrova lo stesso umore gioioso. Expo 2015 — sono bastati due giorni per capirlo — sarà una festa mobile. Un posto dove ragionare e divertirsi; e alcuni — vedrete — riusciranno a fare le due cose insieme. Il confronto tra gli spettri nerovestiti e i bambini in bianco che, la mattina del 1° maggio, cantavano «Siam pronti alla vita / l’Italia chiamò!» è impietoso: e a perdere non sono i bambini.

I rischi di Expo 2015 erano — in parte sono ancora — la retorica, l’euforia, la superficialità. La tentazione di trasformare un’occasione mondiale nella solita fiera delle vanità italiane. Non accadrà. Il merito è di tutti quelli che hanno risposto all’affronto, senza incertezze. E hanno detto, semplicemente: giù le mani da Milano. È paradossale: poche centinaia di idioti neri hanno favorito l’incontro colorato di milioni di persone. Il mondo, una volta ancora, dovrà ammetterlo: nessuno è bravo come noi italiani a trasformare una crisi in una festa.

3 maggio 2015 | 08:43
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/15_maggio_03/no-expo-milano-expo-severgnini-forza-tranquilla-una-citta-a6336f72-f15d-11e4-a8c9-e054974d005e.shtml
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« Risposta #113 inserito:: Giugno 16, 2015, 11:55:24 pm »

Emergenza migranti
Il buon cuore da solo non basterà

Di Beppe Severgnini

Se vogliamo aiutare i razzisti, siamo sulla strada giusta. Lasciamo che le stazioni diventino bivacchi, che i parchi si trasformino in dormitori, che le periferie siano trappole per poveri di ogni nazionalità. Chiudiamoci nei nostri appartamenti con l’aria condizionata in attesa di spostarci nella casa al mare. Ma dovremo uscirne, prima o poi.

Il degrado porta degrado, la bellezza di una città provoca orgoglio e regala voglia di fare. Milano, agghindata per l’Expo, sta riscoprendo questo piacere. Un piacere che non è legato a una classe sociale, a un’etnia, a un’età. Andate in piazza Duomo, una di queste sere, passeggiate nella Galleria ripulita: il decoro non è la consolazione dei superficiali, è la ricompensa degli onesti.

Altri Paesi, prima di noi, si sono trovati davanti a un’ondata migratoria eccezionale. Ma pochi, forse nessuno, l’ha affrontata con altrettanta, litigiosa superficialità. Chi dovrebbe definire la questione con parole chiare non lo fa. Non un governo deluso dai partner internazionali e preoccupato dalle imboscate parlamentari, con un ministro dell’Interno frastornato dalle vicende giudiziarie del partito; non i tanti dirigenti regionali incapaci di vedere un metro oltre il confine. I sondaggi dicono che cresce il consenso dell’opposizione di destra. Che non c’è. Pensate se ci fosse. L a forza politica più agile, nell’attuale confusione, appare la Lega. L’attivismo televisivo di Matteo Salvini è formidabile, il suo cinismo stupefacente. Ma non nuovo.

Sono molte le formazioni che, nell’Unione Europea, hanno sfruttato la paura davanti all’immigrazione incontrollata per guadagnare posizioni: è successo in Francia e in Olanda, in Svezia e in Gran Bretagna. Sta succedendo in Polonia. Accadrà in Italia, e potrebbe rivelarsi più insidioso. Davanti all’Africa sta la Sicilia, non il Sussex o la Slesia.

Davanti a fenomeni di questa portata, non basta lamentarsi, protestare, auspicare, invocare. Occorre trovare l’equilibrio tra il buon cuore e il buon senso.

Il buon cuore, da solo, non basta. Le ondate umane che si rovesciano sull’Italia non si possono affrontare solo con gli inviti alla calma. Alle molte brave persone - in politica e nella società, nelle associazioni e nella Chiesa - che chiedono solo d’essere generosi, vien da dire: fin dove? Qual è il limite delle nostre città, delle nostre finanze, delle nostre emozioni? Certo è vergognoso che il nome d’una malattia diventi l’ultima forma di insulto televisivo («Che ti venga la scabbia!»). Di sicuro l’emergenza sanitaria cresce. Parlate con qualsiasi medico informato, ve lo confermerà. Ma il buon senso, in certe bocche, diventa egoismo e ferocia. Non dimentichiamolo: tra i migranti molti sono profughi e scappano da guerre e persecuzioni, come gli eritrei e i siriani. Non possiamo accoglierli tutti, ma in Europa possiamo accoglierne molti. Per gli altri, si provi a organizzare zone protette in Africa e in Medio Oriente, con l’aiuto dell’Onu, che quest’anno compie 70 anni. Cerchi di meritarsi i festeggiamenti.

La discussione sull’immigrazione, nelle ultime settimane, ha assunto toni lugubri: quelli che piacciono agli estremisti e non aiutano a trovare soluzioni. Chi invoca «rispetto e regole», ormai, viene deriso. Scusate, qual è l’alternativa? Regole senza rispetto? Così trasformiamo l’Italia in un campo di detenzione. Rispetto senza regole? Così diventiamo retorici e incoerenti: due aggettivi che, da tempo, sono la nostra zavorra.

Siamo il Paese delle mezze verità. E a furia di mezze verità, se non stiamo attenti, arriveremo al disastro completo.

13 giugno 2015 | 08:03
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/15_giugno_13/migranti-emergenza-buon-cuore-non-bastera-beppe-severgnini-editoriale-696197d6-118d-11e5-8b3a-62b7e966c494.shtml
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« Risposta #114 inserito:: Luglio 12, 2015, 05:49:35 pm »

Non ascoltiamo gli apocalittici: ripariamo l’auto e ripartiamo

Di Beppe Severgnini

Buco una gomma, cambio l’automobile. C’è poca logica e molta emotività nei commenti sulla crisi greca. Non c’è dubbio: siamo spaventati. S’è trattato di una foratura in curva, abbiamo sbandato e siamo fermi sulla corsia d’emergenza. Ma quest’automobile europea ci ha portato lontano, e merita rispetto. Sessant’anni di pace, mercato unico, libera circolazione, gioventù mescolate, sentirsi a casa dal Portogallo alla Polonia. Tutto questo, per molti di noi, ha smesso di esistere. La gravità del momento non si discute. Ma usare toni apocalittici non aiuta. È una crisi finanziaria, complicata dalla superficialità dei debitori e dall’intransigenza dei creditori. Non è una guerra. L’Europa ha superato prove ben più terribili. Americani e asiatici sembrano meno impulsivi di noi. Non nascondono le preoccupazioni per la possibile uscita della Grecia dall’euro; ma suggeriscono di risolvere il problema, non di rottamare il progetto. La pensa così il presidente Obama. Lo stesso che, nel pieno della tempesta finanziaria 2008-2009, non ha esitato a rovesciare somme gigantesche su banche e industria automobilistica americana. Con quei soldi, di Grecia ne salveremmo cento.

La narrazione europea - l’ho scritto più volte, ma è necessario ripeterlo - è nelle mani dei nemici dell’Europa. E’ chiaro che Grillo e Salvini, Le Pen e Farage, Orban e Duda sono compiaciuti per quanto accade ad Atene; è meno chiaro perché tanti europei influenti si uniscano al coro. I leader populisti rappresentano i propri elettori: non tutta l’Italia, tutta la Francia, tutto il Regno Unito, tutta l’Europa centro-orientale. Ha scritto Barbara Stefanelli (sul Corriere dell’8 luglio) la partecipazione con cui seguiamo la vicenda greca dimostra che è cresciuto «un senso di appartenenza a un continente, a una democrazia, a una cultura». È così.

Detto ciò, siamo onesti. La gomma non s’è bucata per caso. Era montata male, e non sappiamo ancora come rimetterla a posto. E’ ovvio - adesso, col senno di poi -- che la Grecia non fosse pronta a entrare nell’euro. È grave che Atene abbia manomesso i conti pubblici per riuscirci. È assurdo che nessuno a Bruxelles sia andato a controllare (anche perché il governo tedesco dell’epoca non tollerava intromissioni nei bilanci degli Stati). È chiaro che, per ripartire, dobbiamo rimettere alla Grecia parte del debito e suggerirle una cura che non l’ammazzi (ammesso che voglia curarsi, e non è detto).


Tutto ciò si può e si deve ricordare. Ma guai a dimenticare quant’è stato fatto in Europa in sessant’anni, e gli enormi vantaggi che l’Unione ha portato nelle nostre vite. Gli americani -sempre loro - hanno attraversato momenti drammatici, nel corso della storia degli Stati Uniti, persino una guerra civile. Ma i leader non hanno mai messo in discussione il progetto. Certo: là c’era Abramo Lincoln, qui Jean-Claude Juncker.


La rinascita degli Stati nazionali in Europa? Ma gli Stati nazionali non sono mai morti, e non devono morire. Francia, Germania e Italia non sono il Montana e i due Dakota, con tutto il rispetto. Gli autori dei (prematuri) epitaffi dell’Unione Europea lo dimenticano, ma i problemi oggi si risolvono insieme, non divisi. Il mondo è troppo complicato per affrontarlo in ordine sparso, perfino gli inglesi stanno iniziando a capirlo (per questo al referendum voteranno di restare nella Ue). Per mesi abbiamo strillato che le migrazioni di massa sono un problema collettivo, non nazionale o locale. Vogliamo risolverlo in Europa, o lasciarlo al noto statista Rosario Crocetta?

«La situazione è piuttosto pericolosa», ha commentato Angela Merkel con teutonica sintesi, in vista del vertice decisivo di domenica. Non c’è dubbio: è il momento peggiore dell’euro, e una delle crisi più gravi dell’integrazione europea. Ma la storia lo dimostra: le crisi sono il carburante d’Europa. Nata da una guerra mondiale, l’Unione ha immaginato il mercato unico dopo la crisi economica degli anni 70; ha organizzato l’allargamento a est dopo il crollo del comunismo nel 1989; ha avvicinato le economie dopo la crisi finanziaria del 2008. Potrebbe riservarci altre buone sorprese.

Le gomme si riparano, le auto ripartono: basta sapere qual è la strada.

9 luglio 2015 | 09:27
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Da - http://www.corriere.it/cultura/15_luglio_09/non-ascoltiamo-apocalittici-ripariamo-l-auto-ripartiamo-7ea5b9a0-260b-11e5-9a08-f80f881ecc8e.shtml
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« Risposta #115 inserito:: Agosto 02, 2015, 04:14:10 pm »

Italians
Non diamola vinta ai gabbiani inglesi

Di Beppe Severgnini

La mia migliore amica inglese si chiama Melanie Davis. Ci conosciamo dal 1980. A lei devo la scoperta dei Talking Heads, la lettura di Il mondo secondo Garp e la consapevolezza che il disordine domestico non è sinonimo di confusione mentale. Quando l’ho incontrata, lavorava a Londra come assistente parlamentare laburista. Poi s’è spostata nella produzione televisiva. Quando ha smesso, s’è trasferita a Brighton e ha ripreso a dare una mano al Labour, che ha appena riconquistato l’amministrazione locale (City Council), strappandola ai Verdi.

Mel conosce l’Inghilterra, gli inglesi, la politica. E i gabbiani (seagulls). Mi ha spiegato: «Un candidato può prendersela con chi vuole, in cielo e in terra. Non con i gabbiani. Chi tocca i gabbiani è finito». Perché l’assaltano, come nel film di Hitchcock? «Perché i gabbiani sono intoccabili». Anche se strappano il cibo ai turisti, sporcano strade, occupano tetti e balconi, attaccano gli animali domestici e sono diventati aggressivi con gli umani. I gabbiani della Manica sono robusti, assordanti, ubiqui e hanno smesso d’aver paura. Ne fanno, invece. Cani e tartarughe sono stati uccisi, persone sono state aggredite per proteggere i nidi urbani. I gabbiani attaccano in gruppo, in picchiata.

Il fenomeno sta diventando preoccupante. Durante una recente visita in Cornovaglia, il primo ministro David Cameron ha provato a rompere il tabù: «Bisogna parlarne seriamente. Qualcosa va fatto». Ma i gabbiani inglesi sono protetti dalla legge e dalle consuetudini. I Verdi non vogliono neppure sentirne parlare. Un portavoce della Royal Society for the Protection of Birds ha spiegato: «Se fanno il nido sulla vostra casa, evitate la zona. Se proprio non potete evitarla, uscite con un ombrello aperto. Non agitate le mani, invece. Questo irrita i gabbiani».

Più che una risposta, è una resa. Gli abitanti del Sussex, del Devon e della Cornovaglia non devono arrendersi ai gabbiani, invece. Bucarest non può tollerare di vivere nel timore di branchi di cani randagi. Milano e Venezia non devono accettare d’essere insudiciate dai piccioni. I padani non possono rassegnarsi all’invasione delle nutrie e i sardi devono impedire l’eccessiva diffusione dei cinghiali, che provocano danni e incidenti stradali. Quando l’amore per gli animali diventa idolatria, bisogna reagire. Altrimenti, presto, assisteremo a manifestazioni contro la derattizzazione e sommosse per fermare la disinfestazione. Poveri topi, povere zecche, povere zanzare! E poveri noi, a quel punto.

23 luglio 2015 (modifica il 23 luglio 2015 | 07:56)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_luglio_23/non-diamola-vinta-gabbiani-inglesi-06b774fc-30ff-11e5-baf0-7fcacd4a9aca.shtml
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« Risposta #116 inserito:: Agosto 06, 2015, 11:43:03 am »

Non si può sballare con il permesso del questore
Alcune discoteche sono come gli stadi, luoghi extra-territoriali. Genitori e gestori devono collaborare all’unica soluzione possibile: quella della repressione, parola sgradevole, ma che funziona

Di Beppe Severgnini

Siamo riusciti a vietare le sigarette nei locali pubblici. Tutto il resto circola liberamente, e ogni tanto uccide. Lamberto Lucaccioni, 16 anni, è stato stroncato da una overdose di ecstasy (Mdma) al Cocoricò di Riccione.

Il Questore di Rimini, Maurizio Improta, ha ordinato la chiusura del locale per quattro mesi, elencando dettagliatamente tutti gli interventi delle forze dell’ordine negli ultimi due anni, compresi quelli del 118.

«Chiudere le discoteche per lo sballo è come chiudere le strade per gli incidenti», sostiene il nuotatore Simone Sabbioni, 18 anni, di Riccione. C’è una differenza che forse sfugge, al giovanotto e a tutti coloro che, in queste ore, dicono cose del genere. Sulle strade, gli incidenti sono l’eccezione, e tutti cercano di evitarli. In molte discoteche lo sballo è la regola, tutti lo sanno, ma si fa finta di niente.

I piagnistei dei gestori dei locali notturni li conosciamo bene: noi tentiamo! Noi controlliamo! Noi interveniamo! Cosa possiamo fare se i ragazzini bevono fino a rischiare il coma etilico e s’impasticcano? Se le ragazzine si prostituiscono per una banconota? Se giovanissimi italiani e coetanei immigrati si picchiano come ebeti nei parcheggi, tirandosi calci e bottiglie? Si potrebbe rispondere ai virginali disco-imprenditori: quanti minorenni con la vodka nel bicchiere avete allontanato? Quanti controlli avete condotto, quante pastiglie avete sequestrato? Quante denunce sono partite da voi, utili a identificare gli spacciatori?

La verità, come spesso capita, è banale. Le discoteche, come gli stadi di calcio, sono diventati luoghi extraterritoriali. Posti dove sono consentiti comportamenti che, altrove, porterebbero a una denuncia o a un arresto. I luoghi dello sballo sono diventati discariche sociali che fingiamo di non vedere. Papà e mamme preferiscono non sapere. Finché un giorno capiscono — magari dopo una telefonata notturna dei carabinieri — che là dentro ci stanno i propri figli e i propri nipoti. E rischiano di non tornare a casa.

Nessuno vuole «criminalizzare l’industria del divertimento», come recita il coro (interessato) dei professionisti del ramo. Ma qualcuno — la maggioranza degli italiani, almeno — vorrebbe evitare che quest’industria ospiti, tolleri e incoraggi comportamenti criminali. L’educazione e la prevenzione, evocate dalla politica in queste ore, non bastano. Davanti all’incoscienza e alla sfacciataggine di certi comportamenti — come quelli raccontati da Fabrizio Roncone giorni fa — c’è solo una strada: la repressione.

Parola sgradevole, ma inevitabile. La strategia dello struzzo — testa sotto la sabbia, sperando che passi — nasconde quasi sempre l’ignavia. Per anni abbiamo tollerato gli ubriachi alla guida e le strade notturne trasformate in anticamere dei campisanti. Tragedie, dolore, invocazioni, prediche, campagna di sensibilizzazione: nessun risultato. È bastato introdurre norme chiare nel codice della strada (compresa la «tolleranza zero» per i neopatentati) e intensificare i controlli: i risultati sono subito arrivati.

Lo stesso dovremmo fare con le discoteche. È inutile chiedere, pregare, auspicare. Bisogna intervenire.

Intendono collaborare, gestori e titolari? Beppe Riboli, uno dei più noti progettisti di locali notturni, spiegava al Corriere nel 2012: «Le discoteche sono arredate anche per il tipo di stupefacenti che si consumano. Gli enormi stanzoni neri per l’ecstasy hanno lasciato il posto ai privé della cocaina, con pista da ballo piccolissima e tanto colore bianco».

Oggi dice, a proposito del Cocoricò: «Se fai un club così (enorme, psichedelico, zero arredi), se offri musica così (hard core, techno, trance), se la mandi a 120 decibel (un aereo al decollo), se hai un parco-luci così (strobo da 5.000 watt, teste mobili, accecatori, videoled) non c’è verso: per essere normale devi essere sballato». Una novità, per gli addetti ai lavori?

Qualcuno, leggendo, dirà: non fate gli ipocriti, voi giornalisti, voi genitori, voi educatori, voi adulti! Cosa credete che girasse ai vostri tempi, nei concerti rock o nelle cantine del punk? Incensi e camomilla? Risposta: giravano alcol e droghe anche allora, ma in quantità e con modalità diverse. Chi ne faceva uso aveva le sue colpe, spesso pagate a caro prezzo; ma almeno ci risparmiava il perbenismo della trasgressione.

I nuovi, giovanissimi trasgressori vogliono sballare col permesso del Questore: francamente, è troppo.

4 agosto 2015 (modifica il 4 agosto 2015 | 09:22)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_agosto_04/non-si-puo-sballare-il-permesso-questore-
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« Risposta #117 inserito:: Settembre 06, 2015, 09:21:35 am »

Nuovi diritti
Sulle unioni civili non bisogna nascondersi
In commissione al Senato è stato varato il termine grottesco e irritante «formazioni sociali specifiche».
La prova che la politica italiana, quando non trova il coraggio, si maschera dietro le parole invece di dare il buon esempio

Di Beppe Severgnini

«Civile» è un aggettivo associato a sostantivi molto diversi — dall’ingegneria al comportamento, dalla società al diritto — e non conquista spesso i titoli dei giornali. «Unione civile», invece, s’è dimostrato un accostamento esplosivo. Approdando in commissione al Senato, le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono diventate «formazioni sociali specifiche», un termine grottesco e irritante. La prova che la politica italiana, quando non trova il coraggio, si nasconde dietro le parole. Ma i nomi non ci devono fermare. Nel XXI secolo due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, devono poter contrarre un’unione per organizzare la loro vita in comune: è normale. Tanto normale da essere stato accettato da diciannove Paesi dell’Unione Europea. Tra questi, dieci sono andati oltre e hanno introdotto il matrimonio omosessuale; l’ultima in ordine di tempo, l’Irlanda cattolica.

L’ Italia è l’unica tra i fondatori dell’Unione Europea a non contemplare né una cosa né l’altra. Al di fuori del matrimonio tradizionale, il limbo.

Non è solo un’ingiustizia: è una pigrizia e una stranezza. Non sembra così complicato. Si tratta di decidere i confini di questi nuovi accordi: quali diritti vanno riconosciuti ai contraenti? Il disegno di legge Cirinnà prevede il diritto di assistenza in ospedale, il diritto di successione nell’affitto di una casa, il mantenimento temporaneo dell’ex partner in difficoltà e la possibilità di fare «un accordo con cui i conviventi di fatto disciplinano i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune e fissano la comune residenza». Questioni ovvie: provate a chiedere in giro.

Le prese di posizione di alcuni rappresentanti politici — Lucio Malan ha paragonato le unioni civili all’avanzata del nazismo, Magdi Allam alla bomba atomica su Hiroshima — non sono soltanto imbarazzanti: dimostrano un estremismo che non appartiene all’elettorato di riferimento. Lo rivelano i sondaggi e le conversazioni. Una grossa fetta dell’opinione pubblica italiana appare bellicosa se si parla d’immigrazione; ma sembra pronta ad accettare un accordo di coppia diverso dal matrimonio. Si tratta — ripetiamo — di definirne i contorni. I parlamenti — fino a prova contraria — servono a questo.



Certo: alcune questioni appaiono spinose, come l’adozione dei figli dei partner da parte di coppie dello stesso sesso (per complicare ulteriormente le cose è in uso il termine inglese, stepchild adoption). Ma non è necessario affrontarle tutte insieme. Si può andare per gradi: un’espressione che, a una politica votata allo scontro, può sembrare blasfema. Ma altra strada non c’è.

È così difficile ammetterlo? Per molti italiani accettare le novità, in questa materia, costa fatica. Non c’è nulla di cui vergognarsi: la fatica è ammirevole, a differenza della fuga. Sono necessarie pazienza, calma e intelligenza giuridica; e possono portare a soluzioni diverse in Paesi diversi, a seconda delle sensibilità e delle tradizioni.

Prendiamo il tema più delicato. Se decine di milioni di italiani sembrano disposti ad accettare le unioni civili — chiamiamole con il loro nome — non altrettanti si sentono pronti ad accettare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ritengono sia giusto dare a un bambino una mamma e un papà. Deriderli, aggredirli o insultarli è controproducente. Noi non siamo americani. Per convincere gli italiani è sbagliato fare della questione una battaglia di diritti civili; meglio il ragionamento, la comprensione e l’esempio. L’Italia è una nazione empatica. Convince più una coppia omosessuale innamorata che un comitato aggressivo e sguaiato.

Il buon esempio dovrebbe venire dalla classe politica. Finalmente ha trovato il coraggio di affrontare la questione delle unioni civili; adesso trovi la calma necessaria. Probabilmente — com’è accaduto in altri passaggi difficili della coscienza nazionale — toccherà ai cittadini dimostrarsi più saggi. L’impressione, infatti, è che politici di ogni colore aspettino solo l’inizio della stagione dei talk-show per sbranarsi in pubblico. I media, come sempre, sono pronti ad allestire le gabbie. Ma non è così che una nazione diventa grande.

(ha collaborato Stefania Chiale)
3 settembre 2015 (modifica il 3 settembre 2015 | 08:44)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_03/sulle-unioni-civili-non-bisogna-nascondersi-f827a2ba-5203-11e5-aea2-071d869373e1.shtml
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« Risposta #118 inserito:: Settembre 22, 2015, 06:39:34 pm »


Tecnologia
Email: Sei cose da ricordare prima di cliccare il tasto «Invia»
A 20 anni dall’ingresso in società della posta elettronica connessioni veloci e smartphone hanno moltiplicato gli abusi

Di Beppe Severgnini

I molestatori digitali dispongono, ormai, di un arsenale. In qualche caso, bisogna essere pazienti: prima o poi impareranno a usarlo. Facebook è un amplificatore: i cafoni sono diventati cialtroni, i perdigiorno buttano via gli anni. Twitter è la macchina della verità: la sintesi rivela la bontà delle idee o l’assenza delle medesime. Dotare un esibizionista di un account Instagram è come fornire un microfono a Maurizio Landini o una telecamera a Giorgia Meloni: una tentazione irresistibile. Alcuni strumenti, però, hanno ormai una certa età: dovremmo aver imparato ad utilizzarli. Non è così, purtroppo. Come sapete, c’è ancora qualcuno che chiama al cellulare e inizia a parlare senza prima domandare: «Disturbo?». E ci sono molti che saturano le caselle altrui con email non richieste, senza provare il minimo senso di colpa.

La posta elettronica è invasa da forze di occupazione
È incredibile dover parlare di queste cose nel 2015, vent’anni dopo il debutto sociale della posta elettronica. Ma è necessario: la velocità di connessione e l’ubiquità degli smartphone hanno moltiplicato gli abusi. Ricordate gli anni felici in cui, vedendo il numero rosso che segnalava l’arrivo di una mail, eravamo quasi felici? L’animale sociale che è in noi emetteva un impercettibile mugolìo di soddisfazione. La stessa, piacevole sensazione che, dieci anni prima, ci regalava il lampeggio della segretaria telefonica, rientrando a casa: ehi, qualcuno ci ha cercato!
Tutto questo è finito. La posta elettronica - rapida, gratuita, semplice - è invasa da forze di occupazione. Filtri e firewall riescono a bloccare parte della spam automatica; ma nulla possono contro la stagista di un ufficio stampa, convinta che inondare l’umanità di comunicati sia un diritto costituzionalmente garantito. Alcune applicazioni segnalano, attraverso i colori, le mail probabilmente irrilevanti. Ma devono arrendersi davanti al signor Santo Pignoli, che passa le serate offrendo al mondo le sue opinioni. E pretende risposte.

Una persecuzione che rasenta lo stalking.
Ripeto: è imbarazzante dover ripetere certe cose. Ma è necessario: perché qualcuno non le ha ancora capite. Nessuno - a parte le compagnie telefoniche, Vodafone in testa - si sogna di chiamare la gente a casa solo perché esiste il telefono. Moltissimi credono, invece, che l’esistenza della posta elettronica, e la conoscenza di un indirizzo, autorizzi a praticare una persecuzione che, in qualche caso, rasenta lo stalking.
È un peccato: avanti così, e uno strumento utile e gratuito come l’email verrà abbandonato, in favore di nuovi strumenti (WhatsApp, Slack, è stato appena lanciato Symphony per il mondo finanziario). In un ultimo, disperato tentativo di spiegare l’ovvio, ecco un promemoria.

Sei cose da ricordare prima di cliccare il tasto «Invia»:

1) Una casella di posta elettronica non è un luogo intimo, ma è privata. Prima di entrare, chiedetevi: mi hanno invitato? O almeno: sarò gradito?
2) Entrereste in casa d’altri scaricando un baule nell’atrio? Ecco: evitate allegati, se non sono strettamente necessari.
3) L’«oggetto» non è un optional. È un biglietto da visita e un segnalibro: servirà a trovare la pagina.
4) Non è obbligatorio rispondere a ogni mail. Ed è vivamente sconsigliato rispondere d’impulso, se qualcosa vi ha turbato. Quasi certamente, ve ne pentirete.
5) Una risposta si può chiedere o sperare; non pretendere, né sollecitare.
6) Scrivete se avete qualcosa da dire, e ricordate una cosa fondamentale: potete anche non dirlo. Per esempio, volete davvero scrivermi per commentare questo commento? È l’ultima domenica d’estate: staccate le dita dalla tastiera e alzate gli occhi al cielo.

Io l’ho appena fatto, dopo aver visto il numero di mail arrivate tra ieri e oggi.

20 settembre 2015 (modifica il 20 settembre 2015 | 09:43)
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Da - http://www.corriere.it/tecnologia/15_settembre_20/sommersi-email-0e946fac-5f5f-11e5-9125-903a7d481807.shtml
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« Risposta #119 inserito:: Ottobre 31, 2015, 12:15:08 pm »

Il tic della Scorciatoia Populista

Succede a tutti, e non è un buon segno: i capi di governo italiani, prima o poi, scelgono la SP. Non è una Strada Provinciale: è la Scorciatoia Populista.
L’ha fatto Berlusconi, che quella scorciatoia l’ha fatta diventare un’autostrada a tre corsie. L’avrebbe fatto Monti, se avesse saputo come fare.
Aveva timidamente cominciato a farlo Letta, che non sembrava il tipo.
Lo sta facendo Matteo Renzi.


I segnali della SP sono sempre gli stessi. Toni sempre irritati con l’Unione Europea, sulla quale vengono scaricate anche le nostre colpe. Critiche generiche alle intercettazioni (senza ricordarne l’utilità per le indagini). E, soprattutto, allentamento dei controlli fiscali. Che in Italia sono troppi e fastidiosi, ma restano legati a due questioni: un’evasione fiscale che non ha eguali nelle grandi democrazie; e una cronica incapacità dei governi di ridurre la spesa pubblica. I soldi, in queste condizioni, bisogna trovarli. E le nostre tasche sono il luogo più facile dove andarli a cercare.

La disaffezione governativa verso la direttrice dell’Agenzia delle Entrate (Orlandi) e i Commissari alla Spesa (Perotti, Gutgeld) ha questo denominatore. Lo stesso vale per l’innalzamento del tetto del contante a tremila euro.  E’ come se il generale, in piena battaglia, scaricasse gli ufficiali per parlare direttamente alle truppe. Non per incoraggiarle, ma per dire: ehi ragazzi, che ne dite di andarcene a casa? E’ probabile che le truppe applaudano; ma poi si perde la guerra. E nel dopoguerra, state certi: i reduci se la prenderanno col generale.

Fuori di metafora: un leader deve condurre, rischiando l’impopolarità, soprattutto quando le elezioni sono distanti. Ci sono cose buone, nella legge di stabilità. Ma è evidente il timore di affrontare le corporazioni e le lobby. E’ interessante. Matteo Renzi, lo stesso che ha affrontato i sindacati (Job Act), il mondo della scuola e i senatori, non ha il coraggio di dirci quello che, in fondo, sappiamo già: se non cambiamo, l’Italia non cambia. Certe spese, certi sprechi, certi stipendi, certi enti, certi municipalizzate e certi evasori non ce li possiamo permettere.  Affrontarli vuol dire perdere molti voti? Ovvio: ma forse se ne possono guadagnare moltissimi altrove.

(Dal Corriere della Sera)
Beppe Severgnini

Da - http://italians.corriere.it/2015/10/29/il-tic-della-scorciatoia-populista/
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