LA-U dell'OLIVO
Novembre 23, 2024, 04:20:38 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Giovanni Bazoli. Il cristiano di fronte alla «gerarchia di valori».  (Letto 2458 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Agosto 03, 2008, 07:47:42 pm »

Anticipazione

Dall'attività forense alla guida di un grande istituto di credito: il bilancio di una esperienza professionale

Etica e affari, la solitudine del banchiere

Il cristiano di fronte alla «gerarchia di valori».

La testimonianza di Giovanni Bazoli



Il bilancio di un'esperienza professionale. Qualche mese fa mi è stato conferito un riconoscimento alla «carriera». Poiché risultava evidente che, per carriera, i promotori del premio intendevano riferirsi a quella di banchiere, io mi posi l'interrogativo se il lungo cammino da me compiuto nell'ambito bancario potesse davvero interpretarsi come una «carriera». Se per «carriera» si dovesse intendere un iter professionale programmato, ossia un percorso di lavoro progettato e coltivato con appositi studi sin dagli anni giovanili, la risposta nel mio caso non potrebbe che essere negativa. I miei studi e il successivo tirocinio erano stati indirizzati all'esercizio della professione di avvocato: precisamente quel «mestiere» che, integrato dall'insegnamento universitario (nelle medesime materie giuridiche della professione forense), svolsi con passione e soddisfazione per più di venti anni: cioè sino all'agosto del 1982, quando l'accettazione della presidenza del Nuovo Banco Ambrosiano rivoluzionò la mia vita.

Se vengo chiamato a tracciare un bilancio della mia vita lavorativa, non posso fare a meno di riconoscere che esiste una linea di continuità professionale tra l'impegno nel campo legale e quello successivo nell'ambito bancario. Anzi, devo persino ammettere che i risultati raggiunti nel secondo periodo hanno rappresentato i frutti più maturi dell'esperienza professionale precedente. Ho richiamato questa vicenda personale perché essa può offrire lo spunto per sviluppare alcune riflessioni sul tema della professionalità e, più specificamente, sul significato e il valore che può assumere oggi in una prospettiva cristiana la professionalità applicata al mondo dell'economia e della finanza. Professionalità come «sapere». Ritengo che per svolgere in modo approfondito e completo un discorso sulla professionalità si debbano distinguere due profili: quello della professionalità intesa come patrimonio di conoscenze e di esperienze e quello delle motivazioni etiche sottese all'impegno professionale.

Per quanto riguarda il primo aspetto mi pare di poter condividere e seguire una schematizzazione che è stata recentemente proposta, secondo cui il «sapere professionale» è la risultante e il compendio di tre principali fattori: il sapere, il saper fare, il saper essere. Ciò trova puntuale conferma nella mia personale esperienza. Il concetto di «sapere» racchiude in sé l'insieme di conoscenze scientifiche e competenze: al sapere si arriva quindi attraverso l'istruzione e l'educazione. Il «saper fare», invece, «è l'esito di un processo cognitivo fondato sull'esperienza: un'esperienza realizzata nel confronto quotidiano con il contesto di vita e di lavoro». Il saper fare è la capacità di lavorare costruttivamente con altri, di individuare i problemi, di ricercare soluzioni, di apprendere dall'esperienza: in definitiva, è l'accezione del sapere nella sua configurazione ampia di teoria, di pratica e di valore. Un terzo aspetto che, come dicevo prima, concorre alla formazione professionale è il «saper essere».

Nella scelta iniziale e quindi nell'esercizio della professione prescelta si manifesta l'esigenza di ricerca della propria identità. Raccontando come è nata la sua professione di storico, ha scritto Pietro Scoppola, nel suo ultimo e commovente libro-confessione, dove sono registrati con spietata sincerità i pensieri che hanno attraversato la sua mente nelle ultime settimane della malattia: «Per me la scelta non è nata come scelta di una professione, è nata piuttosto come ricerca di un'identità. (...) Viva era l'esigenza di cercare e definire la propria identità culturale e politica e anche di approfondire l'identità religiosa di fronte ai mille problemi e dubbi che il confronto dei cattolici con la democrazia suscitava. Un'identità da ricercare non in solitudine ma nel rapporto con amici più maturi, che avvertivano un'analoga esigenza, e con i grandi del passato. (...) Nella ricerca d'identità fondamentali sono state alcune letture, non solo storiche». Così è stato anche per me. La scelta delle professioni che ho esercitato in tempi diversi ha messo in campo ogni volta problemi di identità tutt'altro che ovvi, affrontati e risolti sia nella solitudine che caratterizza sempre le scelte ultime, sia nel confronto con gli amici e le persone più care. Impegno professionale e motivazioni etiche. Fin qui ho parlato di professione nella sua dimensione di «sapere». Resta da considerare quella che potremmo definire una seconda dimensione — altrettanto essenziale — della professionalità: accanto alla dimensione del sapere, quella del «volere».

Questo significa considerare le motivazioni e gli obiettivi concretamente perseguiti nell'attività professionale. Sotto questo aspetto appare evidente che ogni uomo è motivato ad impegnarsi nel lavoro professionale intrapreso da due obiettivi: da un lato, quello di ottenere un compenso economico e, dall'altro, quello di ottenere nell'attività svolta un'affermazione personale. Entrambe queste motivazioni, in quanto del tutto naturali e legittime, sono comuni anche ad un operatore cristiano. I problemi etici, rispetto ai quali le posizioni si differenziano, riguardano le modalità con cui gli obiettivi sono perseguiti. Ai cristiani spetta una missione davvero ardua, sul presupposto che essi intendano osservare un dovere di coerenza con la propria fede. Questa, invero, li impegna a conservare, come si legge nella Gaudium et Spes, «una giusta gerarchia di valori, rimanendo fedeli a Cristo e al suo Vangelo, cosicché tutta la vita, individuale e sociale, sia compenetrata dello spirito delle Beatitudini, specialmente dello spirito di povertà». Sono tanto evidenti quanto stringenti le implicazioni che da una siffatta «gerarchia di valori» derivano sul modo di intendere e di perseguire, nell'attività professionale, sia i compensi e i profitti economici sia i successi e le affermazioni personali. Qui si misura quanto sia impervia la strada della coerenza per chi si sforzi di testimoniare la propria fedeltà a una scelta cristiana di vita.

Occorre impegnarsi ben più che a non danneggiare gli altri, a rispettarli sempre; ben più che ad osservare le regole esistenti, a controllare dentro di sé le spinte egoistiche alla ricerca smodata del denaro e del potere. A maggior ragione ciò risulta vero nell'operare in un settore, come quello dell'economia e della finanza, che è istituzionalmente rivolto alla produzione di beni e vantaggi materiali e dove quindi il successo professionale viene misurato sul metro di tali risultati. Per questa ragione, nel tracciare un bilancio della mia vita professionale, penso che l'essermi impegnato a dare una testimonianza, sia pure modesta e imperfetta, di correttezza nel raggiungere i risultati valga più dei risultati stessi. Questo richiamo alle motivazioni di ordine morale dell'impegno professionale mi porta a insistere sulla distinzione tra il conseguimento di obiettivi coronati da successi esteriori — quelli che mi hanno attribuito presso l'opinione pubblica negli ultimi decenni un ruolo di protagonista nella trasformazione del sistema bancario italiano — e la ricerca di obiettivi e risultati di valore morale e civile, rimasti per lo più nell'ombra.

Non ho dubbi ad affermare che solo questi ultimi acquistano importanza, nelle fasi dei rendiconti esistenziali, di fronte alla propria coscienza: nel senso che valgono ad acquietarla, se almeno in parte sono stati conseguiti, mentre invece accrescono l'inquietudine e il senso della propria inettitudine se sono stati mancati. Mi limito, in chiusura del discorso, a indicare alcune di queste ragioni ideali da cui è stato ispirato il mio impegno professionale in campo bancario. Si è trattato, di volta in volta, di ragioni di ordine etico-sociale, di ordine storico, di ordine civile. Furono, all'origine, le ragioni stesse che mi convinsero a prendermi carico di un'eredità rischiosa come quella lasciata dal fallimento del Banco Ambrosiano. Furono, nelle fasi successive, le motivazioni delle sfide combattute per difendere dall'aggressione di forze soverchianti l'indipendenza e l'integrità umana e morale dell'azienda risanata. Sono stati, più recentemente, gli obiettivi di ordine civile e sociale, sottesi a quelli economici, che hanno ispirato le più recenti operazioni riguardanti il sistema bancario del nostro Paese. Se queste motivazioni hanno rappresentato la bussola che ha orientato il mio impegno, così da non farmi rimpiangere di aver abbandonato l'attività professionale precedente, sono anche quelle che hanno assicurato la mia libertà e serenità di coscienza nei momenti delle decisioni più rischiose e difficili: i momenti di estrema solitudine, in cui le ragioni di ordine morale contano di più delle ragioni del «sapere» professionale.

Giovanni Bazoli
03 agosto 2008

da corriere.it
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!