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« Risposta #2 inserito:: Novembre 06, 2009, 04:38:28 pm » |
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6/11/2009 (6:53) - INTERVISTA
Angela Merkel: "La mia meravigliosa infanzia nella Ddr"
La cancelliera racconta l'apertura delle frontiere: "Passai all'Ovest con un'amica, ci regalarono una birra"
ALESSANDRO ALVIANI
Sesto piano della cancelleria federale a Berlino. Angela Merkel, in tailleur grigio scuro, accoglie sorridendo un ristretto gruppo di giornalisti stranieri al tavolo ovale in cui di solito si riunisce il Consiglio dei ministri tedesco. Sul suo volto il viaggio di ritorno dagli Stati Uniti e le frenetiche discussioni sul futuro di Opel hanno lasciato i loro segni. Dietro di lei una finestra panoramica apre un suggestivo squarcio sul Tiergarten e su Potsdamer Platz, la piazza che fino al 1989 era terra di nessuno e che oggi è diventata il simbolo del nuovo volto della capitale tedesca.
Frau Bundeskanzlerin, lunedì il mondo si ritroverà a Berlino per festeggiare i vent’anni dalla caduta del Muro. Come fu il suo 9 novembre 1989? «Allora lavoravo all’Accademia delle Scienze, a Berlino e, come ogni giorno, avevo iniziato alle 7,30 - un orario pessimo per chi fa ricerca - e finito alle 16,30. Intorno alle 17 feci ritorno a casa, sulla Schönhauser Allee e, vista l’atmosfera di quei giorni, accesi la tv e seguii in diretta la conferenza stampa di Günter Schabowski».
Quella che porterà migliaia di berlinesi dell’Est a concentrarsi davanti al Muro per chiedere di passare dall’altra parte. Andò anche lei? «Prima telefonai a mia madre, visto che avevamo un accordo: andare a mangiare ostriche all'hotel Kempinski non appena la frontiera fosse stata aperta - cosa che non ho ancora fatto. Poi, come ogni giovedì, andai in una sauna con un’amica. Tornando a casa, camminammo dalle parti di Bornholmer Straße e da lì passammo all’Ovest, dove qualcuno ci diede un barattolo di birra. C’era un’atmosfera emozionante».
Cosa fece col «Begrüßungsgeld», la «somma di benvenuto» che la Germania occidentale consegnò a ogni cittadino orientale al suo arrivo all’Ovest? «Ormai non lo ricordo più. Comunque era qualcosa di pratico, per chi non aveva marchi occidentali, nulla di arrogante. Tanto più mi fecero arrabbiare dichiarazioni come quella di Otto Schily - un politico che poi ho imparato a stimare - secondo cui i cittadini dell’Est non erano interessati che alle banane (introvabili nella Ddr, ndr). Un’arroganza completamente fuori luogo».
In questi mesi la Germania è tornata a chiedersi se la Ddr fosse o no un «Unrechtsstaat», cioè uno «Stato non di diritto». Qual è la sua opinione al riguardo? «La Ddr era un “Unrechtsstaat”, in quanto non era fondata sul diritto. Non c’era libertà di espressione, non c’era libertà di voto. C’era, semmai, la dittatura del proletariato. Tuttavia nessuna esistenza era segnata esclusivamente dalla dittatura. Ognuno tentava di sviluppare delle proprie forme di vita individuali, cercava margini per la vita privata: si festeggiava il Natale, si andava in vacanza. I 35 anni passati nella Ddr sono stati importanti nella mia vita, ho fatto esperienze preziose. E ho dei meravigliosi ricordi d’infanzia».
Alla caduta del Muro, però, c’era un’intera generazione, quella più anziana, che all’improvviso si trovava a che fare con novità assolute. «Certo, volendo fare un riferimento all'Italia: avevamo sentito parlare di carpaccio, parmigiano o rucola. Ma la rucola non c’era e il parmigiano sapevamo vagamente che andava sulla pasta, e comunque non c’era neanche quello».
Lei si è anche opposta attivamente al regime tedesco-orientale? «Non ero certo una sostenitrice del regime, ma non ero neanche una esponente del movimento per i diritti civili, nel senso che non ero una oppositrice attiva. Tuttavia ho sempre mantenuto una distanza molto critica verso la Ddr, sin dall’infanzia. Ciò ha a che vedere anche con la famiglia in cui sono cresciuta».
In che misura l’aver vissuto nella Germania dell’Est ha influenzato il suo stile politico? «Il mio stile è il risultato di un mix di fattori: la mia personalità, la mia formazione scientifica come fisica (se avessi studiato giurisprudenza sarei certamente diversa), la mia provenienza dal Nord della Germania (in Baviera sono più espansivi e già in Sassonia sono abituati a parlare molto di più), l’essere una donna e anche l’essere cresciuta nella Ddr. Nella Germania dell’Est mi sono abituata a non apparire troppo, perché apparire troppo era qualcosa di negativo. E poi nella Ddr sapevamo leggere tra le righe, cosa che avevamo appreso sfogliando il giornale del partito, la Neues Deutschland. Nella Germania occidentale ho invece imparato che bisogna essere molto più espliciti: una cosa va sottolineata cinque volte per indicare che si tratta di qualcosa di nuovo».
Venti anni dopo la caduta del Muro, Berlino è davvero riunificata? «Le due Berlino erano dei casi particolari: Berlino Ovest era una “isola in un mare rosso”, visto che era circondata dalla Ddr, Berlino Est era considerata il vanto del regime comunista tedesco-orientale: era meglio rifornita, le possibilità di acquisto erano migliori. Oggi la città sta crescendo bene insieme».
Crede siano stati fatti anche degli errori nel processo di riunificazione della Germania? «Sarebbe sbagliato dire che non sono stati commessi errori. Ma si tratta di una strada che veniva percorsa per la prima volta. Se venisse percorsa di nuovo, di sicuro alcune cose verrebbero fatte diversamente. Penso al sistema di finanziamento della previdenza sociale e dell’Agenzia del lavoro o agli incentivi per la ristrutturazione degli edifici».
È dispiaciuta dell’assenza di Obama ai festeggiamenti del 9 novembre a Berlino? «È un peccato, ma lo capisco. La sua presenza ci avrebbe fatto piacere e mi ha anche detto che sarebbe venuto volentieri, ma martedì dovrà essere in Asia. In Europa è già stato spesso, non possiamo lamentarci».
Il focus delle celebrazioni di queste settimane è centrato tutto sulla Germania e su Berlino. Non si rischia di creare una certa frustrazione in Paesi come Polonia o Repubblica Ceca? «Non bisogna affatto dimenticare quello che è successo in Polonia, dove Solidarnosc è stata una forza trainante, in Ungheria, a Praga o in Romania. Ma credo che, specie all’estero, si dia una particolare importanza a Berlino e, soprattutto, alla Porta di Brandeburgo, un simbolo della Guerra Fredda e della divisione dell’Europa. Queste non sono soltanto delle celebrazioni tedesche, ma sono dedicate a tutti quelli che contribuirono a superare i regimi comunisti in Europa».
Il 9 novembre a Berlino ci saranno molti capi di Stato e di governo europei. Sarà l'occasione per parlare anche di altri temi, ad esempio di nomine Ue? «No, lunedì festeggeremo. Troveremo altre date per parlare di temi politici».
da lastampa.it
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