Giochi, esibita la fierezza di un Paese che vuole occultare i suoi problemi
Roberto Cotroneo
Più i paesi sono totalitari, più si impegnano in operazioni di propaganda assolutamente sorprendenti. Più i paesi sono totalitari più cercano la propaganda.
La Repubblica popolare cinese ieri ha messo in scena uno spettacolo propagandistico migliore di quello delle Olimpiadi di Berlino del 1936: la storia è diversa, ma gli scopi sembrano gli stesso. Ovvero: mostrare un volto diverso, distrarre il mondo, ma soprattutto spiegare con chiarezza di quanta potenza sia capace la Cina che si affaccia al mondo attraverso questi giochi olimpici.
Lo sport aiuta molto da questo punto di vista, perché lo sport è portatore sano di una retorica grandiosa e stentorea assieme, alla quale è difficile resistere. Bisogna sfilare, gli atleti si giocano in un attimo sacrifici di una vita, teniamo fuori lo sport dalle polemiche della politica o dei diritti umani.
Tutte belle amenità che sono certamente vere e che hanno una loro logica e una loro spiegazione, ma che non spostano il discorso. Ieri, le immagini trasmesse in tutto il mondo erano spettacolari ed eloquenti assieme. I percussionisti con il count down facevano impressione, come facevano impressione le onde dei caratteri mobili fatte da più di ottocento cinesi, ed era tutto costruito non per stupire il mondo, divertirlo o emozionarlo, ma semmai per spiegare che la Cina è qualcosa di molto più potente di quanto si possa immaginare. Ed è potente perché sono in grado di mettere in gioco uomini, persone, masse vere e proprie.
È curioso come nell’era delle tecnologie più sofisticate i giochi di ieri siano stati aperti dal lavoro incessante e sorprendente di giovani cinesi, che hanno studiato in centinaia le decine di scenografie messe in campo.
È curioso come tutti i regimi totalitari amino mostrare con fierezza la loro storia, il loro passato, la loro tradizione. E lo fanno perché questo possa perlomeno un po’ spiegare, se non addirittura giustificare, quello che viene fatto ogni giorno in un paese che non rispetta i diritti e le libertà individuali.
Allora ieri tutto finiva per diventare un elemento di contrasto. Un elemento di contrasto il trionfo della tradizione. Un elemento di contrasto i 56 bambini, i soliti bambini usati per queste cose, di tutte le etnie cinesi riconosciute, che sfilavano sorridenti ma non troppo. Un elemento di contrasto gli artisti che disegnavano con il corpo e con i pennelli. Con quei colori leggeri, tutti sul verde, placidi e delicati, in un paese per nulla delicato, dove il livello di inquinamento è paragonabile alla Londra della prima rivoluzione industriale.
Un paese con una crescita industriale impressionante che ieri ha messo sul tappeto tutta la sua competitività e soprattutto tutta la sua aggressività.
Bastava un dettaglio: il pianista Lang Lang, soprannominato con ironia Bang Bang dai critici musicali di mezzo mondo, davanti a uno smisurato e pacchiano pianoforte bianco, che suonava con quell’enfasi inutile e sconsiderata che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Oppure il globo di non so quante tonnellate, che in cima vedeva esibirsi un cantante pop cinese e una inglese, in quei brani privi di senso e di emozione. E poi la celebrazione retorica non dei valori dello sport, ma di una tradizione millenaria, che non ha nulla a che fare con la Cina di oggi. Ma anzi: in un certo senso la nega.
E ancora: la solita retorica sportiva. In una sorta di decoubertismo rovesciato i cinesi vogliono vincere più ori di quelli che porteranno a casa gli Stati Uniti d’America. Una sfida che però di sportivo ha assai poco, e di rivalsa e di volontà di potenza ha tutto. Forse si potevano vedere dei giochi meno ossessionati dalla forza, dall’aggressività, dalla dimostrazione del ruolo e dello status. E non ci sono discorsi finti, occhi chiusi e politiche dello struzzo che tengano. Perché la realtà delle olimpiadi di Pechino ormai è chiara già dalla cerimonia di apertura. La realtà di un governo che utilizza un mezzo nobile per nascondere problemi assai meno nobili.
Capisco la gioia degli atleti nel vincere da domani in poi le medaglie d’oro, la gioia di salire sul podio e alzare la mano in segno di vittoria.
Ma ci sono podi e podi, e olimpiadi e olimpiadi, ci sono paesi democratici, e paesi totalitari che condannano a morte gli oppositori, impediscono la libera circolazione delle idee, schiacciano e reprimono le ragioni di popoli pacifici.
Curiosamente ieri, nella diretta televisiva, la Rai ha trasmesso lo spot della Lancia Delta girato dal testimonial Richard Gere, con il bimbo tibetano. Come tutti sanno Gere ha devoluto alla causa del popolo tibetano i guadagni che gli provengono da quello spot.
Ma «the show must go on» anche questa volta. E francamente non se ne sentiva davvero il bisogno. Abbiamo tenuto il fiato sospeso fino a ieri. Perché, e questo si sa, la forma, sempre, è sostanza. L’apertura dei giochi poteva essere, e mi si perdoni il gioco di parole addirittura doppio: giocosa, allegra, fraterna, entusiasta. Poteva essere un segnale per il futuro, come recitano troppo spesso molti ipocriti fingendo di non ascoltare - in nome di ipotetici valori dello sport che non dovrebbero essere dissimili dai valori con cui conduciamo abitualmente le nostre esistenze - le grida di dolore delle organizzazioni internazionali, ultima quella di Reporters sans Frontières.
Da domani la Cina non sarà più aperta di prima. E questi giochi non saranno un punto di partenza. Da quel che si è visto, e si è letto tra le righe di questa cerimonia di apertura, da domani la Cina sarà più forte e sicura. E anche più tranquilla.
Dalla fine dei giochi si ricomincerà a protestare per il popolo tibetano, e per i ragazzi cinesi condannati a 20 anni di carcere per aver visitato un sito internet? Si potrà ancora fare dopo essersi meravigliati da tanta potenza? Dopo aver gareggiato, esultato, sospeso il giudizio, per il tempo che basta, per il tempo di questi giochi olimpici.
A questi atleti, bravi, rigorosi, che sono lì con i nostri colori, per cui facciamo il tifo e di cui andiamo fieri, vogliamo umilmente ricordare, soprattutto dopo l’apertura di questi giochi, che non ci sono due morali, e che i diritti umani, in ogni caso e comunque, non possono attendere.
www.robertocotroneo.netPubblicato il: 09.08.08
Modificato il: 09.08.08 alle ore 9.46
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