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Autore Discussione: SANDRO BONDI. Don Milani incompreso e "scippato"  (Letto 2412 volte)
Admin
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« inserito:: Maggio 29, 2008, 04:58:33 pm »

27/5/2008
 
Don Milani incompreso e "scippato"
 
 
SANDRO BONDI*

 
Gentile direttore, 

il Suo giornale ha creduto di vedere nel mio discorso su don Milani, La Pira e padre Balducci una volontà egemonica simmetrica a quella che la sinistra ha coltivato per decenni nel nostro Paese. In realtà, lo spirito del mio intervento al convegno di Magna Carta, organizzato dal suo presidente sen. Gaetano Quagliariello, era diametralmente opposto. Il fatto stesso che qualcuno nella sinistra si sia sentito «scippato» di qualcosa che gli appartiene a seguito di un dibattito che per una volta ha inteso superare i pregiudizi ideologici, sta a significare che di un simile fatto di libertà c’era bisogno. Non solo perché la lezione del passato non potrà essere compresa appieno finché la si continuerà a leggere con la lente talvolta deformante dell’appartenenza. Ma anche perché fin quando si cercherà di ingabbiare figure storiche come quelle di cui stiamo parlando entro i confini del proprio recinto, senza tener conto delle profonde differenze che esistono tra di esse, il processo di comprensione non potrà fare alcun passo in avanti.

Inutile ribadire, dunque, che nessuno «scippo» è stato mai perpetrato né tanto meno immaginato. Tutt’altro. In particolare, nel mio intervento ho voluto ricordare che grazie a La Pira, a don Milani e a padre Balducci, pur diversissimi tra loro, il grande tema del rapporto tra cattolicesimo e politica e, in ultimo, quello ben più impegnativo del rapporto tra cattolicesimo e cultura moderna ha trovato una declinazione che è andata ben oltre i confini di Firenze. Con il mio intervento, inoltre, ho voluto specificare come l’Italia abbia saputo realizzare in questi anni un’importante saldatura tra cattolicesimo e cultura laica sensibile alle ragioni e alla dimensione pubblica della fede. In ultimo, che la fine del collateralismo della Chiesa italiana con questo o quel partito politico sta rivelandosi come una grande opportunità per tutti. Oggi purtroppo sono in molti a pensare che esista nella Chiesa una dottrina sociale a uso dei cattolici del centro-sinistra e una dottrina sulle questioni non negoziabili della salvaguardia della vita umana a uso dei cattolici del centro-destra. A me piace pensare invece che esista un solo magistero della Chiesa, il quale richiama l’attenzione di tutti sul fatto che la nuova questione sociale, l’obbligo che abbiamo di perseguire una maggiore giustizia, riguarda, oggi come ieri, i più deboli, i più fragili, vuoi perché troppo poveri, troppo vecchi o perché non ancora nati.

Riguardo, in particolare, alla figura di don Milani, a me molto cara, ho espresso una tesi che ho spesso sostenuto in questi ultimi anni, e cioè che il parroco di Barbiana sia stato incompreso da una parte del mondo cattolico e strumentalizzato da una certa sinistra. Sono convinto invece che il trascorrere del tempo ce lo stia restituendo sotto una nuova luce. Oggi abbiamo perciò il dovere di ristabilire un giudizio equanime sul significato della sua opera. Per farlo possiamo partire proprio dalla sua concezione della scuola. Contrariamente a quello che molti pensano, la crisi della scuola italiana non ha alcun rapporto con il «mito» di don Milani. «La scuola statale - scriveva il parroco di Barbiana - non è un progresso rispetto a quella privata. Ora bisognerà ripensarci e rimettere la scuola in mano di altri. Di gente che abbia un motivo ideale per farla». Altrove aggiungeva: «La scuola non può essere fatta che per amore (cioè non dallo Stato)». Come si vede, le sue idee erano tutt’altro che schierate politicamente, e meno che mai con una scuola statale. Il parroco di Barbiana anticipava semmai la proposta di una scuola libera, non burocratizzata, e perciò pubblica nel senso più vero della parola. La stessa dedizione di don Milani alla causa degli ultimi, dei più deboli, dei più poveri, non era né una scelta politica, né tantomeno un’opzione di carattere ideologico. Nasceva soprattutto da una sofferta testimonianza religiosa, e dalla denuncia del fenomeno dell’abbandono e della discriminazione sociale della scuola italiana.

La denuncia di don Milani sulle disfunzioni della scuola pubblica italiana, a mio avviso, rimane valida ancora oggi. Basta scorrere l’ultimo rapporto del Censis per avere la conferma che, a trent’anni dalla denuncia di don Milani, i tassi di abbandono della scuola dell’obbligo continuano a essere più alti tra i figli delle famiglie più povere. La tanto decantata scuola pubblica non ha modificato questa situazione, anzi, per certi aspetti, l’ha resa ancora più clamorosa e intollerabile. La scuola di don Milani non impone ideologie ma autentiche passioni civili, la sua è una scuola che fornisce a tutti i giovani gli strumenti per una crescita culturale e spirituale. Egli aveva intuito che senza amore, senza una fede sicura, senza forti convinzioni morali e civili, non vi può essere vera cultura e vera educazione. Il metro con cui don Milani misurava i fatti, le persone e la storia non era un metro politico, ma era quello del Vangelo. Fu, quindi, innanzitutto un religioso, un uomo per il quale l’amore verso i suoi ragazzi era così grande che poteva arrivare addirittura a prendere il posto dell’amore di Dio, tanto Dio poi lo avrebbe perdonato.

* ministro dei Beni e delle Attività culturali

da lastampa.it
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