LA-U dell'OLIVO
Novembre 24, 2024, 09:50:22 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Bruno Ugolini. Silvio chiamerà Romano?  (Letto 3974 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Luglio 28, 2008, 11:21:19 pm »

Poveri precari, sfruttati e abbandonati

Bruno Ugolini


Non sono bastati i libri, i film, le inchieste, le testimonianze e nemmeno le manifestazioni, le promesse elettorali.
Tutto quanto si è prodotto negli ultimi mesi attorno al tema della condizione dei «precari» è stato brutalmente cancellato. Come se non esistessero più. Il governo di centrodestra, quello che annuncia trionfalmente di rappresentare i deboli e addirittura la sinistra, ha deciso di mettere mano alle misure varate dal governo di centrosinistra e di ripristinare non i diritti dei precari, appunto, ma quelli degli imprenditori pubblici e privati.

Norme che facevano parte di quel protocollo approvato da cinque milioni di lavoratori proprio un anno fa. Chissà se nelle forze più a sinistra che all’epoca bocciarono quel protocollo ora ci sarà un qualche ripensamento?
La marcia indietro innestata dal centrodestra rappresenta un duro colpo per i lavoratori atipici. Un pianeta la cui densità non è facile calcolare. Ovverosia ciascuno se ne fa un’idea guardando il paesaggio umano che lo circonda. E dove ad ogni angolo s’incontrano figli, nipoti, amici che non riescono a trovare una sistemazione lavorativa, magari adeguata alla preparazione professionale conquistata con dura fatica. Anche se questo non significa che non esistano giovani che riescono a trovare una collocazione rassicurante.

Sui dati statistici c’è, ad ogni modo, molta discussione. Un apprezzato studioso come Luciano Gallino, ha scritto di cinque milioni di precari. È uscito di recente un libro, a cura di Natale Forlani Maurizio Sorcioni «Giovani precari? Il lavoro dei giovani tra percezione e realtà» che tende a ridimensionare tale dato. Secondo Forlani (già dirigente Cisl ora amministratore delegato di «Italia Lavoro») non si possono mettere insieme quelli con i contratti a termine, con gli interinali, con i lavoratori a part time e con tutte le fatispecie delle collaborazioni continuative e occasionali. Anche perché tra queste ultime sono presenti ad esempio figure come gli amministratori di condominio non paragonabili con gli operatori ad un call center. E per Forlani sarebbe tutta una questione di «percezione», verrebbe voglia di dire che è come il carovita, l’inflazione.

Fatto sta che altri studi testimoniano pur con tutti i distinguo che siamo di fronte ad una realtà consistente. Quelli che passano sotto la definizione di «parasubordinati» ovverosia senza un contratto a tempo indeterminato sarebbero stati nel 2007 1.566.978 se si tiene conto solo di quanto registrato dalla gestione separata dell’Inps. Ovverosia la contabilità che annota i contributi versati dai collaboratori di diversa specie.
Il dato è contenuto nel rapporto 2008 curato da Patrizio Di Nicola, Isabella Mingo, Zaira Bassetti, Mariangela Sabato (università la Sapienza). Gli Autori segnalano come l’azione del precedente governo abbia ridotto la quota di coloro che sono a rischio precarietà passati da 858.388 del 2006 ai 836.493 del 2007. Questo con la lotta alle false collaborazioni, con l’aumento dei contributi pensionistici di 5 punti che ha reso meno convieniente per le aziende le collaborazioni, con gli incentivi alla stabilizzazione.

C’è chi da ragione alle cifre complessive di Gallino. Il recente rapporto Isfol segnala, sempre per il 2007, che il lavoro dipendente a termine, nelle sue molteplici forme (contratto a tempo determinato, apprendistato, interinale) riguarda quasi 10 lavoratori su 100. Più contenuta la quota dei collaboratori (Co.Co.Co., a progetto, occasionali) pari complessivamente al 5,7%. Il lavoro atipico riguarda quindi tra i 3,5 e i 4,5 milioni di lavoratori.
Un dato che rappresenta la metà dei nuovi posti di lavoro. Altro che percezione alimentata dai mass media! Tutti riescono a vedere come sia sempre più difficile trovare un contratto non ballerino. Certo, come sostiene ancora l’Isfol, esiste anche la «flessibilità costruttiva»: il 28% degli atipici ritiene di avere in prospettiva un lavoro di tipo permanente ed il 7% considera la precarietà come una fase di necessaria crescita professionale.

È vero che esistono giovani che considerano magari il weekend trascorso nel call center come attività transitoria per finanziare gli studi in attesa di un futuro, qualificato sbocco professionale. Ma nei call center non lavorano solo studenti in transito, c’è anche chi ci deve vivere col lavoro e il reddito da precario al telefono. E se è vero che l’evolversi dei processi produttivi abbisogna di flessibilità non si comprende perché questa flessibilità non debba avere le stesse prerogative del posto fisso in termini di diritti e di costo. Passano gli anni, ma tutto rimane inalterato e i timidi tentativi del centrosinistra di offriure più garanzie vengono spazzati via dalla destra al governo. Mentre nulla si fa per altre categorie che si annidano nelle pieghe dei lavori atipici. Sono quelle dei giovani che si annidano negli studi professionali, nuove fucine di precari e atipici.

Qui s’avanza un precario di nuova generazione, magari con partita Iva, spesso di elevata formazione e qualità professionale, troppo a lungo ignorato. È nata così la Fulpp (Federazione Unitaria Lavoratori e Professionisti Precari). Sono circa duecentomila tra tecnici, operatori sanitari, ricercatori, medici, avvocati, ingegneri. Ha dichiarato il leader di questa associazione che il loro reddito «è compreso tra 600 e 800 euro al mese, regolato da contratti fantasiosi».
Ecco, è questa la ricetta cara all’attuale compagine governativa. Tutta presa, con il neoministro del Lavoro Maurizio Sacconi, a produrre un libro verde dove per lanciare «l’economia sociale di mercato» si intende innalzare età pensionabile e far dilagare il precariato senza regole. Punire insieme giovani e anziani: questo è il vero programma del governo Berlusconi. Altroche riforme di centrosinistra, come si ascolta dalle trombe della propaganda del centrodestra.

Pubblicato il: 28.07.08
Modificato il: 28.07.08 alle ore 8.46   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Luglio 28, 2008, 11:28:54 pm »

28/7/2008
 
Riforme, non imboscate
 
 
 
 
 
PIETRO GARIBALDI
 
L’emendamento sui contratti a termine, approvato a sorpresa in Parlamento, ha toccato uno dei nervi più sensibili della società italiana, quello legato alla precarietà del mercato del lavoro.

In Italia vi sono oggi due mercati del lavoro. Da un lato vi è il mercato primario, dove circa 15 milioni di lavoratori sono assunti a tempo indeterminato con grandi tutele sulla stabilità del loro rapporto lavorativo. Nel caso dei dipendenti pubblici e dei lavoratori delle grandi imprese, la certezza del posto è quasi assoluta. Vi è poi un mercato del lavoro secondario, formato da circa 3,5 milioni di lavoratori precari. Questi ultimi sono i lavoratori a termine, i lavoratori a progetto e tutti quei lavoratori che svolgono mansioni simili a quelle dei lavoratori del primario, ma con protezioni decisamente inferiori.

I lavoratori di questo mercato secondario sono circa il 15 per cento del totale, ma si arriva quasi al 50 per cento tra i lavoratori più giovani.

Lo psicodramma di molti giovani lavoratori riguarda la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. In un anno poco più del 10 per cento dei lavoratori riesce a fare il tanto desiderato salto. Uno dei modi per forzare la conversione del rapporto di lavoro è quello di impugnare presso il tribunale la regolarità del termine apposto al contratto. In questo caso sarà il giudice a decidere se il termine inserito nel contratto era regolare. In caso di irregolarità un lavoratore di una grande impresa avrà così diritto di essere reintegrato in via permanente sul posto di lavoro. Nel caso dei lavoratori a termine delle Poste, la pratica del ricorso era molto diffusa e determinava quasi automaticamente il reintegro permanente sul posto di lavoro.

L’emendamento approvato dalla Camera è volto ad attenuare i diritti dei lavoratori che vincono la causa. Questi lavoratori avrebbero d’ora in poi diritto soltanto a un indennizzo monetario fino a sei mesi, senza poter essere reintegrati sul posto di lavoro. C’è già chi parla di incostituzionalità della norma. Al di là dei dettagli giuridici, è comunque evidente che il sistema vigente non funzioni e che sia necessario un riordino della disciplina. Non a caso, durante l’ultima campagna elettorale, quello del precariato è stato uno dei temi più dibattuti.

La soluzione per superare la situazione attuale e i paradossi esistenti si può trovare. Si dovrebbe istituire un nuovo contratto che mantenga la flessibilità nelle assunzioni per le imprese, ma che al tempo stesso garantisca ai lavoratori un sentiero certo di lungo periodo, senza ricorsi in tribunale e senza psicodramma da conversione. Il «contratto unico a tutele crescenti nel tempo», proposto da diversi mesi sulla voce.info, rappresenta esattamente questa soluzione. Sarebbe un contratto a tempo indeterminato fin dall’inizio. Tuttavia, le imprese avrebbero diritto a interrompere il rapporto di lavoro nei primi tre anni dietro il pagamento di un indennizzo che crescerebbe con la durata del lavoro.

Le soluzioni tecniche non mancano. È però evidente che un tema tanto sensibile richieda una seria discussione in Parlamento e un coinvolgimento delle parti sociali, fermo restando che la maggioranza ha il diritto-dovere di decidere i dettagli della nuova disciplina. Una riforma dei contratti di lavoro è però cosa diversa da un’imboscata parlamentare, come frettolosamente avvenuto la scorsa settimana.

pietro.garibaldi@carloalberto.org
 
da lastampa.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Settembre 03, 2008, 06:22:00 pm »

Nubi d’autunno

Bruno Ugolini


Che autunno sarà? Le ipotesi sono diverse e mutano a seconda degli interlocutori. Spesso gli aggettivi si sprecano. L’attuale ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, prima di andare in ferie, ha predetto un autunno responsabile. È molto probabile che non volesse invocare il senso di responsabilità del governo. Era, come al solito, un predicozzo preventivo rivolto ai sindacati, chiamati ad un ruolo di moderazione da esercitare nei confronti del mondo del lavoro. Insomma dovrebbero far da pompieri e non distrarre i governanti. Il fatto è che le nubi che si addensano sull’autunno, dopo le tante sceneggiate estive, non sono cariche di aggettivi ma di fatti reali.

C’è innanzitutto una questione salariale, riconosciuta da tutti, Confindustria in testa, fino a non molto tempo fa. Ora le cifre dell’Istat su un aumento in un anno delle retribuzioni contrattuali orarie, pari al 4,3%, potrebbero innescare un’irrealistica carica d’ottimismo propagandistico. C’è intanto da osservare che i positivi aumenti registrati sono via via cancellati dall’inflazione crescente. Nello stesso tempo essi sono dovuti, come sottolinea la stessa Istat, dai buoni risultati ottenuti attraverso i rinnovi dei contratti di lavoro. Quegli stessi contratti che molti, nel governo e nella Confindustria, vorrebbero ridimensionare, impoverire, attraverso le loro proposte di riforma contrattuale. E in attesa del difficile negoziato di questo settembre.

L’altra minacciosa nube dell’autunno riguarda l’occupazione. Non c’è solo l’Alitalia di mezzo, con il suo pesante carico di cosiddetti esuberi. È ancora la stessa Istat a segnalare un dissanguamento dei posti di lavoro nelle grandi aziende. Mentre è in aumento il ricorso di numerose imprese alla cassa integrazione con migliaia di lavoratori a casa, con buste paga ridotte. Sono tutte componenti che tra l’altro dicono come si vada erodendo il monte salari complessivo e che spiega perché si stiano erodendo i consumi. I debiti delle famiglie sono passati in pochi anni, ha spiegato Marco Venturi, presidente della Confesercenti, dal 20% al 30%. Quasi un terzo dei redditi se ne va in rate e mutui per la casa, quasi il 50% del reddito di una famiglia copre le spese per le bollette, la casa e la salute. Sono le cifre del caso italiano al quale il centrodestra sembra rispondere predicando appunto il senso di responsabilità ed elargendo ai poverissimi una specie di carta annonaria che ricorda il dopo guerra. Oppure fissando un ridicolo tetto d’inflazione programmata pari all’1,7 per cento. Un tetto atto solo a comprimere i salari.

C’è una terza nube autunnale. È quella dei precari, spesso giovani proiettati come saltinbanchi nelle infinite odissee di un “mercato” che alza e abbassa a piacimento crudeli saracinesche. Ma che investe anche tanti cinquantenni cacciati dai processi produttivi e alla vana ricerca di una nuova sistemazione. Per loro non è possibile parlare nemmeno di modesti incrementi salariali. Sfuggono anche all’Istat. Sono tutti “soggetti sociali” per i quali il centrosinistra aveva cominciato ad adottare misure eque. Ora spesso rapidamente cancellate.

Non è finita. Perché tra le incognite dell’autunno c’è anche la massa dei contratti ancora da rinnovare, cominciando da quelli del pubblico impiego. Sono in tutto oltre tre milioni e mezzo di lavoratori. Per non parlare, in questa rapida rassegna di quel che si agita all’orizzonte, di un dramma del lavoro che scava nelle coscienze giorno dopo giorno. È di lunedì la nuova notizia di due morti a Catania. Sono avvenimenti che scandiscono con orrore il nostro tempo. E può capitare in questo nostro Paese che quando uno denuncia un malservizio, come è capitato al ferroviere Dante De Angelis, venga licenziato. Oppure può capitare che si vogliano ritoccare i provvedimenti anti-infortunistici assunti dal centrosinistra, non per migliorare ma per renderli più “leggeri”. Eppure non bisogna arrendersi. Non c’è bisogno di aggettivi roboanti per l’autunno ma di energie, di proposte e di movimenti senza separatismi, capaci di parlare a tutti, capaci di durare e di ottenere risultati.

Pubblicato il: 03.09.08
Modificato il: 03.09.08 alle ore 13.03   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #3 inserito:: Settembre 09, 2008, 04:10:23 pm »

Silvio chiamerà Romano?


Bruno Ugolini


È l'ora dei "collaborazionisti". È un termine da seconda guerra mondiale. Erano così etichettati coloro che in qualche modo, tra gli italiani, invece di osteggiare i tedeschi invasori davano loro una mano. Collaboravano insomma.

Ora lo stesso termine qualche giornale lo ha usato per indicare non semplici cittadini ma importanti esponenti della vita politica e sociale appartenenti al mondo del centrosinistra ma che hanno accettato offerte di impegno da parte del governo di centrodestra. È il caso dell'imprenditore Roberto Colannino o di Giuliano Amato o di Augusto Fantozzi, tanto per fare tre nomi importanti.

A parte il fatto che le nostre strade non brulicano ancora delle camicie brune di Hitler, per cui quel termine da dopoguerra appare esagerato, c'è da annotare un altro fatto singolare. Ovverosia che il centrodestra di fronte a problemi immani, come quello dell'Alitalia o del futuro di Roma capitale è costretto a invocare l'apporto di persone capaci e preparate provenienti dallo schieramento del centrosinistra e che non intendono abiurare al proprio credo politico. Non invocano nemmeno, però, il detto "Crolli Sansone e tutti i filistei". Assumono delicate responsabilità perché mettono al primo posto non l'orgoglio di partito ma le sorti del Paese.   

Certo è anche la dimostrazione della fragilità impotente del centrodestra. Hanno i numeri ma non la qualità. Non hanno evidentemente a disposizione energie, intelligenze, capacità. Devono ricorrere al "nemico". Verrebbe voglia di dire a questo punto che Berlusconi dovrebbe invocare il ritorno a Palazzo Chigi di Romano Prodi. 

http://ugolini.blogspot.com/


Pubblicato il: 30.08.08
Modificato il: 30.08.08 alle ore 14.04   
© l'Unità.
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!