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Autore Discussione: LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO  (Letto 4001 volte)
Admin
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« inserito:: Luglio 15, 2007, 09:35:24 am »

15/7/2007
 
Perchè firmo il referendum
  
LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO
 
Caro Direttore,
ho deciso di aggiungere la mia firma a quella dei molti che chiedono un referendum per modificare la legge elettorale. Lo farò con la consapevolezza che questo referendum non potrà rappresentare la risposta a tutti i problemi che derivano dall’attuale legge, ma nella speranza che da esso possa venire una scossa che risvegli la classe politica e che la spinga ad affrontare finalmente il tema delle riforme. Già nel marzo 2006, a Vicenza, chiesi un «pit stop» per cambiare la macchina dello Stato e renderla più efficiente e moderna. Più di recente, all’assemblea di Confindustria ho auspicato che la politica torni a svolgere una funzione di guida, ritrovando quella forza e quell’autorevolezza che rendono una classe dirigente capace di governare il processo di cambiamento di cui il nostro Paese ha bisogno.

La riforma delle istituzioni rappresenta da questo punto di vista la vera priorità perché altrimenti nessun governo sarà in grado di dare risposte ai problemi concreti dei cittadini. Serve una nuova legge elettorale capace di assicurare governabilità e di dare ai cittadini la possibilità di scegliere chi li rappresenta e chi li governa. Al convegno dei Giovani Imprenditori di Santa Margherita ho ricordato che esistono in Europa sistemi efficaci che hanno dato dei buoni risultati, a cominciare da quelli tedesco e francese. Chi ha risposto nel merito alle mie considerazioni, senza rifugiarsi nelle dietrologie, ha riconosciuto i segni di un problema reale. Il Paese non può più attendere i tempi e i rituali di una politica sempre più incapace di prendere decisioni. Il Parlamento è immobilizzato dai margini sottilissimi di cui gode la maggioranza, il governo sembra ogni giorno più diviso, l’opposizione spesso si limita ad una rumorosa attività di propaganda.

Su tutto incombe la sensazione di una crisi di leadership che tocca l’intero sistema. Un sistema indebolito da lunghi anni di galleggiamento, con schieramenti chiusi dentro steccati ideologici ormai privi di senso nell’era dell’economia globale. Intanto gli italiani attendono che si prendano le decisioni su temi sui quali si gioca il presente e si ipoteca il futuro: la crescita economica, la sicurezza, la scuola e l’università, le infrastrutture, il sistema previdenziale, la giustizia, l’efficienza della spesa pubblica. Sono problemi veri, che avrebbero bisogno di essere affrontati da una politica forte. Una politica nuova che può nascere dall’impegno di chi, in entrambi gli schieramenti, vuole ritrovare capacità di decisione nell’interesse generale. Chi ha l’ambizione di rappresentare il futuro della politica, deve dimostrare di avere il coraggio e il senso di responsabilità necessari per superare contrapposizioni e interessi di parte. L’impresa, e più in generale settori importanti della società civile, stanno facendo, non senza fatica, quanto è nelle loro possibilità.

Ma continuo ad essere convinto che è soprattutto dalla politica che devono venire le risposte chiare che i cittadini chiedono e di cui l’Italia ha bisogno. Occorre rompere il cerchio dell’immobilismo e della non volontà di decidere. Per questo, penso che un meccanismo di partecipazione democratica, come la raccolta delle firme per il referendum, possa rappresentare una spinta importante per uscire da una situazione di stallo che non ha eguali in nessun Paese moderno.

da lastampa.it
« Ultima modifica: Maggio 13, 2013, 11:13:55 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 07, 2007, 12:24:28 am »

Strategia Marchionne

Di Stefano Livadiotti

Aumentando i salari, la Fiat fa da apripista a Montezemolo. Che vuole riformare la contrattazione


Non si è fatto attendere l'appoggio pieno del falco Alberto Bombassei, vicepresidente per le relazioni industriali di Confindustria e titolare della Brembo. Seguito a ruota dal numero uno degli irrequieti industriali veneti Andrea Riello, da grandi gruppi come Ilva e Alenia, ma anche da molti piccoli imprenditori. La Fiat s'è ritrovata in buona compagnia nella sfida lanciata mercoledì 24 ottobre quando, forte del miglior risultato raggiunto in 109 anni di storia, ha deciso di versare nella busta paga di 75 mila dipendenti un anticipo di 30 euro in attesa della conclusione della trattative per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Un gesto che ha chiuso nell'angolo i vertici di Cgil, Cisl e Uil: furiosi per essere stati scavalcati dall'azienda, ma anche consapevoli di non poter sparare su chi mette dei soldi nelle tasche degli operai, i signor no del sindacato italiano si sono dovuti rifugiare in un balbettìo.

A lanciare l'idea è stato Paolo Rebaudengo. Il responsabile delle relazioni industriali della Fiat ne ha parlato a quattr'occhi con l'amministratore delegato, Sergio Marchionne. Poi, a meta ottobre, c'è stato un vertice a tre con il presidente, e leader degli industriali, Luca di Montezemolo, che oggi spiega: "I piccoli imprenditori hanno sempre seguito questa strada; la novità è che ora lo fa anche la più grande azienda industriale del paese".

Dietro l'operazione, definitivamente approvata dal consiglio di amministrazione riunito a Maranello per festeggiare il doppio titolo mondiale dell'azienda del Cavallino rampante (costruttori e piloti), si riconosce netto il profilo di Marchionne. Il manager italo-svizzero-canadese, autore di un manifesto che inneggiando alla competizione e alla meritocrazia ha raccolto il plauso dei leader politici del centro-sinistra, ama gli effetti speciali. Soprattutto quando, come in questo caso, sono a costo ridotto per l'azienda (solo 3 milioni al mese, secondo gli ultimi calcoli): annunciati come riconoscimento ai dipendenti per i risultati conseguiti dall'azienda, i 30 euro infatti non sono stati corrisposti come premio, ma solo a titolo di acconto sull'aumento contrattuale. Una brillante mossa di marketing, scattata all'indomani del referendum sul protocollo per il welfare che negli stabilimenti della Fiat è stato sommerso dai voti contrari.

Ma c'è, dietro la sortita della Fiat, soprattutto la visione di Montezemolo. L'uomo con il doppio cappello di presidente della Fiat e della Confindustria la sfida l'aveva lanciata già prima dell'estate. "Le nostre proposte sono più popolari tra i lavoratori che nel sindacato", aveva attaccato il 21 giugno scorso, facendo venire giù il teatro dove erano riuniti gli industriali di Reggio Emilia: "Se continua a non tenere conto dei problemi veri di competitività delle imprese, che interessano anche i lavoratori, il sindacato rischia di rappresentare solo i pubblici dipendenti, i pensionati e qualche fannullone". Dalla sinistra radicale gli avevano dato del black bloc.

Oggi, con il contratto pilota dell'industria italiana scaduto da mesi e finito come al solito nelle sabbie mobili di una trattativa infinita, Montezemolo ha deciso di spingere sull'acceleratore. Con un messaggio chiaro: quando in azienda ci sono i risultati, allora arrivano anche i soldi. "Quello del sindacato è un atteggiamento culturale superato: bisogna riportare i lavoratori al centro del confronto", dice oggi il presidente degli industriali. L'obiettivo è quello di arrivare a ridiscutere l'intero sistema delle relazioni industriali così come è stato disegnato ormai quasi 15 anni fa. La direzione di marcia è il potenziamento della contrattazione decentrata. Un passaggio indispensabile anche per il disboscamento della giungla degli oltre 400 contratti nazionali di categoria. "Il contratto nazionale resta un punto di riferimento", ha assicurato Montezemolo il 27 ottobre dalla tribuna del convegno della piccola industria a Caserta, "ma non basta: è nella sede aziendale che si tiene conto dei risultati e delle specificità del mercato".

Un primo tentativo di avviare una discussione il numero uno di viale dell'Astronomia l'aveva fatto appena insediato al vertice della Confindustria. Il grande capo della Cgil, Guglielmo Epifani, gli aveva platealmente sbattuto la porta in faccia, abbandonando il tavolo dove sedeva con gli altri sindacalisti prima ancora che si presentasse la delegazione imprenditoriale. Ora, però, nell'incalzare Cgil, Cisl e Uil, il numero uno degli industriali ha qualche arma in più. Intanto, proprio il protocollo sul welfare sul quale i sindacati hanno chiamato al voto i loro iscritti prevede un ampliamento della detassazione del salario contrattato a livello territoriale. Ma non solo. Prima ancora di incassare, da Caserta, l'approvazione della base confindustriale, a sole quarantott'ore dall'annuncio di Maranello Montezemolo ha trovato un fiancheggiatore nel governatore della Banca d'Italia. I dati snocciolati da Mario Draghi sull'andamento delle buste paga suonano come un atto d'accusa nei confronti del sindacato, tanto occupato nei suoi riti quanto assente sul fronte della tutela del potere d'acquisto degli iscritti.

I numeri di via Nazionale parlano chiaro. E dicono che, a parità di specializzazione, i salari italiani sono inferiori del 10 per cento a quelli tedeschi, del 20 a quelli britannici e del 25 a quelli francesi. La retribuzione media oraria è più bassa del 30-40 per cento e tende a salire solo per le fasce di età più alte, a dimostrazione del fatto che in Italia l'anzianità continua ad avere la prevalenza sul merito.

Per i lavoratori, in ogni caso, il piatto piange. Ma se il costo del lavoro continua a calare gli imprenditori non ne traggono alcun vantaggio. Perché a scendere ancora più velocemente delle buste paga è la produttività. Con il risultato che il costo del lavoro per unità di prodotto aumenta in Italia mentre scende in Francia e Germania. Come a dire che nell'intero sistema industriale italiano si sta facendo largo la logica imposta dal sindacato nella sua riserva di caccia della pubblica amministrazione: guadagnare poco, lavorare meno.

Abituato a un sapiente gioco di squadra al termine del quale, quasi a turno, uno dei tre leader pronuncia il solito no, questa volta il sindacato sembra non sapere che pesci pigliare. "Vedremo se si sbloccherà la trattativa o se, invece, altre aziende cercheranno soluzioni unilaterali: allora si rischia il caos", ha minacciato il duro della Fiom, Gianni Rinaldini. Ma lo sciopero del 30 ottobre non ha spostato nulla e la Federmeccanica non appare disposta a cedere. Sulla sua tenuta scommettono gli imprenditori che, dopo aver seguito la Fiat pagando un primo anticipo, si sono già dichiarati pronti a versare una seconda tranche. A febbraio 2008.

(05 novembre 2007)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 04, 2007, 07:26:35 pm »

4/12/2007 (12:14)

Montezemolo: "L'assenteismo nella PA costa un punto di Pil all'Italia"
 
La proposta del leader degli industriali: «Incentivi ai meritevoli, sanzioni ai fannulloni»


ROMA
L’assenteismo è l’emblema della inefficienza e del cattivo funzionamento della Pubblica amministrazione, il fenomeno più evidente e clamoroso. È il monito lanciato dal presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, che nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico alla Luiss ha puntato l’indice contro le troppe assenze dei dipendenti della Pubblica amministrazione. «Compresi i giorni di ferie - ha detto Montezemolo - l’assenteismo nel pubblico impiego è del 30% superiore rispetto alle grandi imprese industriali. Azzerare le assenze diverse dalle ferie porterebbe a un risparmio di quasi un punto di Pil, 14,1 miliardi: 8,3 negli enti centrali e 5,9 in quelli locali». «Portare la quota di assenze totali, comprese le ferie, a livello di quelle nel settore privato - ha aggiunto - darebbe un risparmio di 11,1 miliardi».

Per incentivare i meritevoli anche nella Pubblica amministrazione, come nel settore privato, occorre «tornare a remunerare di più chi lavora di più», propone Montezemolo. E nell’individuare una soluzione il presidente degli industriali ha proposto anche che si sanzioni «chi non produce pur essendo pagato per farlo. Nel pubblico impiego serve poi - ha detto - una verifica oggettiva dell’impegno. Basta con i premi di risultato uguali per tutti».

Secondo Montezemolo nella Pa «ci sono eccellenze che dobbiamo far emergere. Persone straordinarie il cui entusiasmo viene ogni giorno mortificato da un sistema che ha come obiettivo portare tutti alla velocità del più lento». «Questi - ha aggiunto Montezemolo - sono gli argomenti che dobbiamo affrontare nel dialogo con i sindacati se vogliamo far crescere di più il Paese e innalzare i salari dei lavoratori. «Maggiore produttività, più meritocrazia - ha spiegato Montezemolo - sono vitali per una società competitiva che vuole continuare a crescere. E sono fondamentali anche perché per i giovani possano esserci prospettive ed opportunità reali all’altezza delle loro aspettative e delle loro capacità».

Infine Montezemolo lancia una stoccata alla società italiana. Secondo Montezemolo, essa è caratterizzata da un eccesso di staticità perché troppo «incentrata sulle caste, dove la mobilità sociale è bassissima, dove i figli perpetuano il lavoro dei padri, dove c’è poco posto per i giovani nelle posizioni di vertice della politica e delle professioni». È il monito del presidente di Confindustria che ha sottolineato come «tra le persone di età tra i 18 ei 37 anni sei figli di operai su dieci fanno gli operai, una quota che è addirittura in aumento rispetto alle generazioni precedenti. Mentre - ha aggiunto Montezemolo - sette figli di professionisti, imprenditori, dirigenti fanno i professionisti, imprenditori e dirigenti. Qualche segnale di mobilità in più c’è nelle regioni del nord. Ma non nel resto del Paese».

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