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« inserito:: Luglio 22, 2008, 11:31:55 pm » |
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22/7/2008 (7:15) - RICOSTRUITA LA RACCOLTA DI VERSI PERDUTA
L'amore al tempo delle camicie rosse “La partenza del volontario” è il titolo del quadroni Ignazio Alfani che mostra uno spaccato di vita ai tempi dell’impresa dei MIlle
Fra una battaglia e l’altra il garibaldino Nievo fissò le sue love story in un taccuino di poesie. Morì prima di vederne la pubblicazione
MARIO BAUDINO
C’è la «giovin romita/nel montuoso Abruzzo» che vive «modesta e schiva», santa e bella, anzi «armata d’agnusdei» fino a che un brigante non pensa di «farsi devoto» e provvede a completare finalmente la sua educazione sentimentale. C’è «Re Bomba» (Ferdinando II di Borbone) che se ne muore e viene riconosciuto dal «diavol portinaio», che gli offre a titolo di «rost-beaf regale» un cardinale bello e scuoiato. C’è naturalmente il generale Garibaldi, glorioso e carismatico, e soprattutto ci sono le vicende amorose del protagonista, che si trova a vivere la stagione più esaltante della sua vita, e anziché annotarla su un diario la trasforma in un taccuino di poesie che porta sempre con sé, dalle battaglie in Lombardia alla partenza da Quarto con la spedizione dei Mille e oltre.
Ippolito Nievo pubblicò la maggior parte di quei componimenti col titolo Gli amori garibaldini proprio alla vigilia dell’impresa nel Sud. Ricevette le sue copie quando già si trovava a Palermo, nel giugno 1860, ed erano un disastro di refusi. «Nella mia qualità di eroe ho il diritto di essere un po' bestia: hai letto gli Amori Garibaldini? Se bestia non sono, hanno fatto il possibile di mostrarmi tale con tanti errori di stampa», scrisse alla madre. La prese con ironia, e del resto la storia incalzava, non c’era tempo per questi dettagli: si stava facendo l’Italia per l’appunto, e il libretto restò un allegro caos, per la disperazione degli studiosi. Nel tempo se ne sono fatte quattro edizioni, ma intanto i bombardamenti del ‘43 su Milano hanno distrutto quasi tutti gli originali, e ricostruire il testo completo, con gli inediti pescati qua e là, da vecchie riviste dove Nievo li aveva pubblicati in modo estemporaneo, è stato come lavorare a un puzzle inestricabile.
Ora Ermanno Paccagnini ha curato un volume con tutte le note e gli apparati storici per la biblioteca dei Piccoli classici italiani dell’editore De Ferrari, grazie al quale, per la prima volta, si può intuire come questo lavoro Nievo lo fece in presa diretta. Emerge un diario in versi dell’anno cruciale per l’Unità d’Italia, dall’aprile 1859 all’estate del ‘60, e un diario anche deliziosamente ironico, oltre che appassionato e talvolta esaltato. E’ storia in presa diretta, con il profumo dell’attualità. Vediamo gli eventi, e li vediamo raccogliersi in poesie martellanti e persino «facili». Come quando compare Garibaldi: «Ha un non so che nell’occhio/ che splende nella mente/ e a mettersi in ginocchio/ sembra inchinar la gente./ Pur nelle folte piazze/girar cortese, umano/ e porgere la mano/ lo vidi alle ragazze». Eccolo all’opera, il dominatore e seduttore di folle.
Ed eccolo, Nievo, completamente sedotto: «Conscio forse il cavallo/ di chi gli siede in groppa,/ per ogni via galoppa/ né mette il piede in fallo. / Talor bianco di spume/ s’arresta, e ad ambi i lati/ fan plauso al loro nume/ la folla dei soldati». E così quando compare in filigrana l’amata: «Poiché fu, per sua colpa o del destino,/ screditato l’amor senza riparo,/ pensò vestirsi da Garibaldino/ con la lusinga che l’avreste caro». Non c’è verso, quell’amore è impossibile, perché è rivolto a Bice Melzi d’Eril, sposata con suo cugino, e quel che è peggio grande amico, Carlo Gobio. Meglio farsi compatire, allora, «almen perché ammazzai qualche tedesco». Pare di sentire le voci, e persino certi intrecci, di Una storia romantica, il romanzo di Antonio Scurati dedicato alle cinque giornate di Milano. Con la differenza che Nievo è lui stesso personaggio di se stesso.
Scrive, sorride, ci crede, e rischia la pelle. «Cavalieri - brigadieri,/marescialli e capitani/ son fratelli - tutti quelli/ che menar sanno le mani». Così, in un inedito, fa il duro senza problemi: «Pan da sfamarsi ed acqua e vin da bere, / donnette da godere,/ tedeschi da ammazzar ne abbiamo assai./ Maggior felicità non bramo io stesso,/ giacché tu, amico, il sai/ quella che m’è lontana, anche dappresso/ felicità non m’ha donato mai». L’estasi era però destinata a essere breve. Ippolito Nievo morì - a trent’anni - in circostanze non chiare: venne incaricato di riportare da Palermo i documenti amministrativi dei Mille, ma la motonave Ercole, su cui viaggiava, si inabissò nel Tirreno la notte tra il 4 e il 5 marzo 1861. Si accertò che la causa del naufragio era stato lo scoppio delle caldaie, ma si è sospettato che qualcuno volesse far sparire i documenti e forse il denaro di un finanziamento inglese arrivato tramite Nino Bixio.
Stanislao Nievo, pronipote dello scrittore, ha dedicato all’episodio un romanzo-inchiesta (Il prato sotto al mare, vinse il Campiello nel ‘75) a proposito del quale Cesare Garboli, grande critico affascinato dai misteri della politica, sottolineò la tesi «di una sospetta strage di Stato italiana, maturata dalla Destra e decisa dal potere piemontese per liquidare la Sinistra garibaldina: "strage" con la quale si sarebbe aperta la storia dell'Italia unita». Anche Rino Cammilleri ha dedicato un giallo alla vicenda (Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo), ipotizzando una Tangentopoli anglo-sabauda. Ippolito Nievo non ha dato indicazioni al proposito. Incalzato dai fatti storici vieva la sua vita «inimitabile» da protagonista, con tutta la passione ottocentesca del caso. Ci ha lasciato un capolavoro, le Confessioni di un italiano. Ma anche un diario delizioso, una serie di istantanee in versi che tornano da un lungo e immeritato oblio.
da lastampa.it
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