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Autore Discussione: Prestigiacomo, giù le mani dai parchi  (Letto 2921 volte)
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« inserito:: Luglio 21, 2008, 02:55:57 pm »

21/7/2008
 
Prestigiacomo, giù le mani dai parchi
 
 
 
MARIO TOZZI
 

Tirano venti di guerra sui parchi naturali e sulle aree protette d'Italia, dai tagli previsti dal Dl 112/2008 (in particolare l'articolo 74) alle dichiarazioni di diverse personalità politiche e istituzionali favorevoli a ridimensionamenti e, addirittura, cancellazioni. Come se i parchi fossero enti elefantiaci e burocratizzati che inghiottono denari pubblici senza portare in cambio alcunché, e come se i fondi attualmente a disposizione fossero tanto ingenti da giustificare uno sfrondamento.

Questa immagine è lontana dalla realtà. I 23 parchi nazionali italiani (istituiti con un'ottima legge, la 394 del 1991) ottengono risultati miracolosi e sono un esempio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, pur avendo budget inferiori a quelli del servizio giardini di una qualsiasi grande città italiana, personale sottodimensionato e sottopagato (un presidente di parco nazionale percepisce circa 1500 euro netti al mese, un direttore poco più di 3000), scarse possibilità di controllo reale del territorio e, spesso, strutture e mezzi non adeguati. Nonostante questa situazione, che richiederebbe, semmai, un aumento delle loro competenze, i parchi favoriscono uno sviluppo economico importante a livello locale e nazionale, non fosse altro per la certificazione di qualità che danno alle aree su cui insistono, qualità che è il primo elemento di attrazione per chi viene a fare turismo in Italia.

Il 33% dei Comuni italiani ha il proprio territorio ricompreso in un parco, percentuale che sale al 68% se si considerano i Comuni sotto i 5000 abitanti (la maggioranza in Italia): è proprio qui che nasce il connubio fra produzione di alta qualità locale e protezione della natura che è un'altra carta vincente dei territori tutelati. Trenta milioni di visitatori annuali con un giro di affari stimato fra 1 e 2 miliardi di euro, altro che carrozzoni inutili e spreco di risorse. Spesso si tratta di veri e propri modelli di efficienza e motori di sviluppo, ma sempre i parchi nazionali conservano un patrimonio inestimabile della nazione, quello della ricchezza e diversità della vita, con tutti i servizi gratuiti cui nemmeno facciamo caso, dall'acqua all'aria, al cibo o alla protezione da eventi catastrofici: se c'è, per esempio, un argine alla desertificazione nel Sud d'Italia, questo lo si deve alle riserve naturali che conservano foresta e zone umide. Un parco migliora la qualità delle esistenze degli uomini e, spesso, reca il valore aggiunto di uno sviluppo economico qualitativo e basato su pratiche eco-sostenibili.

Da questo punto di vista l'Italia è custode di una straordinaria varietà di specie animali e vegetali: oltre 57.000 specie animali, più di un terzo dell'intera fauna europea, e 9.000 specie di piante, muschi e licheni, ovvero la metà delle specie vegetali del continente, sono tutelate e conservate soprattutto grazie ai parchi. Tra queste, 5.000 sono gli endemismi che rendono unico il nostro ambiente. Negli ultimi tempi i parchi hanno subìto un'impressionante serie di attacchi che vanno dall'uccisione di specie protette alla speculazione edilizia, agli incendi, alla caccia di frodo o al semplice vandalismo, con l'obiettivo non dichiarato di tornare all'assalto sistematico del patrimonio naturalistico della nazione. Si tratta di un danno irrimediabile, almeno quanto la distruzione di altri pezzi del patrimonio culturale del Paese. E si tratta anche di una perdita economica: attorno a specie simbolo come orsi e lupi è nata e fiorita l'economia di intere regioni, che ha portato a livelli di ricchezza impensabili aree in precedenza marginali.

Purtroppo in tempi di crisi economica la conservazione della natura ci rimette sempre, nell'ottica incredibilmente miope di considerarla qualcosa di separato da noi: i parchi sono i gioielli di famiglia, almeno quanto lo sono i monumenti e i capolavori di un Paese che un tempo era chiamato il giardino d'Europa. Se portano sviluppo economico va benissimo e tutti gli uomini e le donne che vi lavorano concorrono a questo scopo. Ma se non lo portano vanno mantenuti e finanziati ugualmente, perché qui non sono in discussione solo i prezzi, ma anche i valori, per la difesa dei quali i parchi sono gli ultimi baluardi.
 
da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 22, 2008, 11:29:41 pm »

22/7/2008
 
Poltrone e parchi
 
 
 
 
 
STEFANIA PRESTIGIACOMO
 
Caro Direttore,
di parchi e ambiente mi voglio e mi devo occupare e mi dispiace che chi ha scritto ieri, nella sua doppia veste di giornalista e di presidente di parco, non abbia colto l’urgenza di ripensare l’uso, il valore e le modalità di gestione di ciò che dovrebbe rappresentare la parte più pregiata del nostro Paese.

Credo infatti che sui parchi italiani ci sia molto da fare, ma non per «svenderli ai privati» come pure qualcuno travisando le mie parole ha scritto, non per ridurne la quantità e la qualità, non per far «dimettere» lo Stato dalla gestione ambientale del territorio. Io voglio fare esattamente l’opposto.

In Italia abbiamo circa 800 aree soggette a tutela fra parchi, riserve e aree protette nazionali e regionali. E circa 800 enti a gestirle. Dei 23 parchi nazionali alcuni sono commissariati, solo 2 hanno approvato il Piano Pluriennale economico sociale (quello del parco d’Abruzzo, ad esempio, ha impiegato 5 anni a ottenere il parere favorevole dalla Regione). E tutti questi enti sono condizionati da pastoie burocratiche e sovrapposizione di competenze. Questo gran numero di organismi drena una cospicua quantità di denaro pubblico che, disperso in tanti rivoli, però poi si rivela esiguo per ogni singola realtà. Risorse che alla fine servono per pagare presidenti, direttori, consigli direttivi e quasi null’altro, tranne pochissime lodevoli eccezioni. E la situazione per gli anni a venire è che, chiunque governi, di fondi pubblici non ce ne saranno di più. Allora ho posto un problema politico. Il modello che carica sul pubblico tutte le spese di gestione e «tutela» di un immenso patrimonio che va difeso, protetto, gestito, valorizzato è un modello plausibile, è un modello che ha futuro? O non significa condannare parchi e riserve a una vita grama? Non significa condannare il settore parchi a sopravvivere come una sezione del sottogoverno?

Per questo credo che non vadano cambiati i parchi ma gli enti parco, che si trovano spesso a (non) gestire territori sconfinati, che comprendono fino a 83 Comuni, attraversati da strade e autostrade. Ritengo indispensabile ripensare questo modello e affiancare al pubblico il coinvolgimento dei privati che aiutino la fruizione di questi beni di enorme valore. Occorre infatti dotare queste zone di servizi, di piccole strutture ricettive e di ristorazione, di aree artigiane, di tutte quelle iniziative che non scalfiscano minimamente lo stato dei luoghi e la loro integrità, ma siano forte volano di sviluppo per il territorio.

Occorre cambiare rotta per difendere i parchi. Perché ritengo che il ministero dell’Ambiente debba occuparsi della protezione e della valorizzazione dell’ambiente e non del «poltronificio».

Ministro dell’Ambiente
 
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