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Autore Discussione: RUTELLI  (Letto 11068 volte)
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« inserito:: Luglio 15, 2007, 09:23:01 am »

La leggenda del Cavaliere scomparso

Antonio Padellaro


Mentre il governo Prodi conclude al Senato, indenne, un’altra giornata di ordinario scontro con l’opposizione più rissosa che si ricordi. Mentre un prestigioso parlamentare della maggioranza, il senatore Gerardo D’Ambrosio, viene definito «assassino» da una gentile collega di Forza Italia (forse per aver difeso la Repubblica dalla illegalità e dal terrorismo quando era al vertice della Procura di Milano). Mentre a Napoli il capo di una opposizione siffatta viene coerentemente accolto dai suoi sostenitori al grido di «Prodi, Prodi, vaffanculo» (grido che lui benevolmente commenta: «Parole rozze ma efficaci»). Mentre insomma la destra berlusconiana si mostra in tutta la sua tronfia e muscolare volgarità, nel centrosinistra di oggi si progetta il centrosinistra che sarà.

Un cantiere di idee e di progetti che nelle sue diverse articolazioni sembra avere una necessità condivisa. Quella di liberarsi del fantasma di Berlusconi. Esigenza lodevole ma temiamo azzardata che ritroviamo nel manifesto di Rutelli per il nuovo centrosinistra, firmato tra gli altri dai sindaci di Torino e di Venezia Chiamparino e Cacciari. Là dove accanto a una serie di proposte per la crescita e la modernizzazione del Paese, si enunciano due princìpi di forte impatto.

1. Si dice che «è finita la lunga stagione in cui la coesione del centrosinistra è stata garantita dall’antagonismo verso Berlusconi».

2. Si sostiene che se l’attuale maggioranza non soddisferà le attese elettorali, «il Pd dovrà proporre un’alleanza di centrosinistra di nuovo conio, per non riconsegnare l’Italia alle destre, ma soprattutto per non essere imprigionato dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra, né dalla paralisi delle decisioni».

La seconda affermazione ha già fatto rumore sollevando la reazione della sinistra cosiddetta radicale che si è sentita ingiustamente presa di mira. Ma è sulla fine dell’antiberlusconismo che le domande appaiono più pressanti.

Fermo restando che un programma di governo non può reggersi soltanto sul contrasto dell’avversario.

Ma da dove nasce la convinzione che il cavaliere sia oramai un falso bersaglio eredità del passato? Quando è che ha annunciato il suo ritiro dalla politica? E quali sono i segnali che indicano una sua rinuncia a presentarsi come candidato premier della CdL alle prossime elezioni, quando saranno?

Non è vero forse il contrario? Che cioè Berlusconi è già in campagna elettorale, come dimostrano i suoi comizi e la fitta rete di iniziative che in suo nome fioriscono dalle Alpi alla Sicilia. Che la sua supremazia nella destra resta senza rivali, avendolo sia Fini che Bossi riconosciuto come capo indiscusso e sempiterno. Che la dissidenza di Pier Ferdinando Casini appare spericolata ma destinata a rientrare. Infatti in caso di voto anticipato sarebbero probabilmente i suoi dell’Udc a rimetterlo in riga sotto le insegne del cavaliere proprietario.

In conclusione, ha senso dichiarare conclusa la stagione dell’anti-Berlusconi con un Berlusconi più forte che mai? Con il suo patrimonio sempre più immenso? Con il suo conflitto di interessi sempre più intatto? Con i suoi giornali e le sue Tv sempre più militanti? (L’apertura del Tg2 di giovedì sera in diretta da Napoli era impressionante per il culto della personalità che vi si professava). E non dice niente la sostituzione al vertice del Tg5 del «moderato» Carlo Rossella con Clemente Mimun già noto per il suo Tg1 da combattimento?

Non è bastata la lezione di un Berlusconi già dato politicamente per morto almeno un paio di volte nell’ultimo decennio e poi regolarmente risorto con le conseguenze che sappiamo per il Paese e per il centrosinistra? O forse nel centrosinistra «di nuovo conio» esiste una formula magica per fare scomparire gli avversari che non ci piacciono? Ma soprattutto, come potrà mai questo nuovo centrosinistra vincere le elezioni senza il consenso dei tanti convinti che Berlusconi, con tutto ciò che ne consegue, sia il nostro problema politico numero uno?


apadellaro@unita.it


Pubblicato il: 14.07.07
Modificato il: 14.07.07 alle ore 12.52   
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« Ultima modifica: Aprile 27, 2009, 11:32:37 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 30, 2007, 04:40:44 pm »

Intervista con il vicepremier.

«Intercettazioni, bisogna dire sì».

Rutelli: basta ricatti delle minoranze «Gli accordi non si toccano. Bertinotti? Non si possono cavalcare tutte le proteste»

Il premier: spero che la ripresa sia serena. Padoa-Schioppa: non farò mai il politico
 

ROMA — Liberazione accusa: Prodi e Montezemolo vogliono un nuovo '98. Ci mettono con le spalle al muro, scrive Rina Gagliardi, per costringere la sinistra a «un'alternativa micidiale, o rompere o cedere».

Siamo a questo punto?

Francesco Rutelli, vicepremier e ministro dei Beni Culturali, scuote la testa. Non ci sta a subire quelli che giudica ricatti delle minoranze e ai quali vuole dire basta. «La vera alternativa davanti alla sinistra radicale — spiega — è un'altra: vogliono concorrere a governare il Paese, oppure preferiscono sventolare le loro bandiere?
Quando abbiamo formato l'alleanza di governo, abbiamo scommesso sulla prima opzione. Anche perché nelle primarie di due anni fa non abbiamo scelto Bertinotti, che ben rispettiamo, ma Prodi. Vede, anche nel partito laburista di Blair e Brown ci sono forze massimaliste, ma non è mai in questione la guida riformatrice moderna del Paese. So che in una parte della sinistra italiana esiste il rischio che prevalga la seconda opzione, ma io confido che scelgano di contribuire in modo costruttivo al governo ».

Ma la sinistra preme per rimettere in discussione il protocollo su pensioni e precariato. Lo ritiene possibile?
«Per le vie delle città ci sono manifesti bellicosi: "Pensioni, così non va". Non li ha stampati la destra, ma forze di governo. Io credo invece che sulle pensioni abbiamo fatto un lavoro equilibrato e mantenuto gli impegni con gli elettori: sbloccato la previdenza integrativa, alzate le pensioni basse per tre milioni di persone, migliorato la posizione contributiva dei lavoratori precari, trasformato l'ingiusto "scalone" in ragionevoli "scalini", tutelato le posizioni di chi ha un lavoro per davvero usurante. Non solo, però: abbiamo rimesso in pista i coefficienti previsti dalla riforma Dini, che evitano l'esplosione insostenibile del sistema e, visto il veloce aumento della vita media, assicurato un aumento graduale dell'età lavorativa, come avviene in tutta l'Europa. Ogni misura può essere meglio definita. Ma la sostanza è intoccabile. E nessuno pensi di aprire come per la Finanziaria 2007, come per l'extragettito, un pastrocchio di ritocchi e ripensamenti. Io stesso potrei proporre alcuni miglioramenti "riformisti". Ma l'accordo è concluso, e le decisioni non si toccano».

Rifondazione e Comunisti italiani annunciano un autunno caldo e minacciano di portare di nuovo la gente in piazza.
«Spero di no».

Ma è corretto, come dice Fausto Bertinotti, indossare sia l'eskimo sia la grisaglia? Essere partiti di lotta e di governo?
«Avere ideali, convinzioni, passioni è positivo. Ma chi governa cerca la sintesi. O c'è qualcuno che pensa davvero che si guadagnino fiducia e consensi cavalcando tutte le proteste? No alla Tav, no ai termovalorizzatori per smaltire i rifiuti, no all'aeroporto militare Usa. Pensi che nei giorni scorsi c'è stata anche una protesta contro di me perché dopo 40 anni sto finalmente per demolire l'"ecomostro di Alimuri", su una riva vicino a Sorrento. Ma abbatterlo costa, e qualcuno forse immagina che possa provvedere lo Spirito Santo; e altri lamentano che i titolari avranno in cambio una licenza per costruire un nuovo albergo dove non vi siano vincoli paesaggistici. Proteste per un albergo, mica per una fabbrica di armi chimiche».

Ma allora ritiene quasi impossibile il dialogo con Rifondazione?
«Vede, io ho governato la Capitale, con un largo consenso, sia senza, che con la sinistra radicale. Collaboro ottimamente con la Mazzonis, sottosegretaria alla cultura di Rifondazione. Mi aspetto da loro un'utile sottolineatura di traguardi sociali: migliorare i servizi, dare più tutele ai lavoratori discontinui e precari, ad esempio. Assieme a Prodi e a tutta la coalizione sono pronto a formare un'agenda comune e fare compromessi nell'interesse generale. Ma se mi si dice che era sbagliato superare la scala mobile, che è sbagliato il passaggio al regime contributivo per le pensioni, che è dannosa la flessibilità sul lavoro, che anche domani si dovrà andare in pensione a 57 anni, beh questa è proprio una politica conservatrice di sinistra. Renderebbe il Paese più povero, i giovani senza futuro».

Lei ha lanciato un documento, il manifesto dei coraggiosi, nel quale si invoca «un sano shock politico e progettuale per il centrosinistra » e si preconizzano alleanze «di nuovo conio ». La sinistra l'ha subito accusata di volerli scaricare per correre al centro ma anche Arturo Parisi e Dario Franceschini le hanno rimproverato di puntare a rompere lo schema bipolare.
«Lo schema bipolare deve restare, ma va rinnovato radicalmente. Altrimenti, che facciamo a fare il Partito democratico? Vogliamo che continui l'influenza perversa dell'incoerenza, o addirittura del ricatto delle minoranze? Io cerco una moderna democrazia dell'alternanza. "Alleanze di nuovo conio" significa non essere obbligati a coalizioni a destra persino con i gruppi neo-nazisti o, a sinistra, dell'estremismo anti- capitalista. Il Pd fa uscire dalla frammentazione, vuole unire le più avanzate culture riformiste, ambientaliste, liberali, progressiste. Soprattutto, deve interpretare meglio una società che cambia e non ascolta più gli slogan di venti o trenta anni fa. Non vogliamo essere spazzati via dalle nazioni che corrono, non vogliamo lasciare ai nostri figli un paese in Serie B. Il Pd non può essere una sorta di "piccola Unione", né un campionario delle culture "ex", come scriveva Matvejevic (ex comuniste, ex democristiane di sinistra o cristiano-sociali): alla maggioranza degli italiani non interessa. La rendita anti-Berlusconi è finita. Dobbiamo recuperare milioni di elettori in crisi e cominciare a conquistarne di nuovi, soprattutto al Nord».

Le spinte contrapposte all'interno della maggioranza sembrano comunque sempre meno mediabili. Così come farete ad affrontare la Finanziaria?
«Con la prossima Finanziaria potremo finalmente raccogliere i frutti di tanta fatica. Parte il taglio delle tasse sul lavoro. Dal 2008 elimineremo l'Ici a milioni di famiglie di reddito basso. I conti pubblici tornano in ordine. Piuttosto pensiamo a nuovi traguardi coraggiosi: sostegni immediati alle donne che lavorano e potranno lavorare più a lungo soprattutto se hanno figli, poiché vogliamo sconfiggere l'"inverno demografico". Molta più severità verso chi calpesta le regole e crea insicurezza: c'è troppo lassismo in Italia. Verso chi incendia i boschi, chi guida in stato di ebbrezza, persino verso chi riduce bambini in schiavitù e li costringe a rubare. Sto preparando una proposta di legge per togliere la patria potestà agli schiavisti. Ci rendiamo conto che in Italia chi rispetta la legge è sfavorito rispetto a chi delinque?».

Riuscirete a fare una nuova legge elettorale o si arriverà al referendum? Qual è il sistema che preferirebbe?
«Il referendum obbliga ad approvare una nuova legge elettorale in Parlamento con convergenze larghe: ci siamo impegnati a non ripetere l'affronto della "porcata Calderoli". Tra i modelli elettorali principali, preferisco nell'ordine il sistema francese, poi quello tedesco, poi quello spagnolo. Vedremo in autunno la soluzione».
È senza tentennamenti per Veltroni o le candidature di dirigenti del suo partito, la Margherita, come Rosy Bindi e Enrico Letta, in qualche modo la tentano?
«In Veltroni ho piena fiducia, oltre che amicizia. Certo, non andiamo mica verso un partito personalizzato, e nessuno di noi manda il cervello all'ammasso. Ma se la competizione è libera ed aperta, vedo Walter capace di sintesi e innovazione, e non interessato a un profilo parziale ».

Non pensa che sia sbagliato chiudere burocraticamente le porte in faccia a Marco Pannella e a Emma Bonino? Lei ha anche avuto una giovanile esperienza nel Partito radicale e converrà che tutto si può dire tranne che non siano sinceri democratici.
«Non è questo il punto. Il Pd non sarà mica una federazione tra partiti diversi. Io ho quasi concluso l'enorme, e paziente, lavoro di guida politica della Margherita, durato 6 anni, che ha aiutato la nascita del Partito Democratico. Chiunque voglia entrare nel Pd è libero di farlo, anche i radicali che condividano le regole stabilite. Ma tutti i partiti esistenti debbono fare la stessa scelta coraggiosa e generosa che abbiamo fatto noi: decidere di sciogliersi. Un nuovo partito non può candidare come leader nazionale qualcuno che continui ad essere parte di un altro partito, che può avere strategie politiche e persino elettorali differenti».

E intanto c'è la storia delle intercettazioni. Che risposta deve dare il Parlamento alle richieste del giudice Forleo?
«Le richieste vanno accolte. E va approvata una normativa che consenta ai magistrati di indagare liberamente ma non consenta a qualunque scriteriato di intercettare chiunque, compresi parlamentari e ministri, e di pubblicare i numeri personali di telefono o conversazioni irrilevanti di comuni cittadini. Vede, anche sull'ordinamento giudiziario la maggioranza ha fatto un buon lavoro, correggendo le storture delle controriforme della destra e non cedendo al giustizialismo. Dobbiamo fare lo stesso trovando il punto di equilibrio tra tutela della privacy e piena autonomia e responsabilità degli inquirenti».

I Ds, che nella tempesta di Tangentopoli sono sempre stati dalla parte dei giudici, anche nell'illusione di poter cambiare la storia politica nelle aule di tribunale, ora si ritrovano nel ruolo di vittime. Una nemesi?
«Veramente, all'avvio di Tangentopoli non mi pare fossero i Ds a sventolare il cappio nell'Aula di Montecitorio. Fu la destra. Certo: se da tutta questa storia uscirà una maggiore, più netta separazione tra politica e azione giudiziaria, se tornerà generalizzata una sobrietà e maggiore incisività dell'azione penale anche al di fuori delle inchieste che producono titoloni sui giornali, sarà meglio per tutti».

Questa vicenda quanto pesa nella formazione del partito democratico?
«In generale, credo che il fallimento delle scalate dei "furbetti" sia di grande aiuto per la nascita del Pd. Si è voltata pagina da tempo rispetto all'epoca in cui per fare politica occorrevano soldi dall'America o dalla Russia, o il controllo di partecipazioni statali. Ora è finita, spero, anche l'epoca in cui si cerchi di controllare banche, gestire da vicino cooperative o imprese che organizzino affari».

Marco Cianca
30 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 24, 2007, 06:37:39 pm »

24/8/2007 - PRIMARIE
 
Cinquantenni, andiamo al mare
 
BARBARA PALOMBELLI

 
Caro direttore,
confidando in una bella giornata d’autunno, il 14 ottobre prossimo, giorno in cui nascerà il Partito democratico, andrò al mare. Fino a un minuto prima, cercherò di convincere figli, amici dei figli, ragazzi e ragazze, a partecipare al voto.
Non andrò perché non vorrei che il partito nuovo/nuovo partito fosse un neonato con i capelli bianchi o tinti. Non andrò perché se tutti quelli che andranno avranno - come me - più di cinquant’anni, l’Italia resterà bloccata, ferma, immobile.
Se gli iscritti al Pd somigliassero o coincidessero con la platea dei dibattiti delle feste dell’Unità o della Margherita (dove spesso sono la più giovane), ci ritroveremmo con un movimento in cui tutti hanno qualcosa da difendere, dalla pensione alla licenza del taxi, dal negozietto alla piccola rendita.
Risultato: nessuna voglia di rimescolare le carte, i ruoli, i diritti che la nostra generazione ha conquistato ma che forse non sono più adatti al terzo millennio.

Serve un nuovo Sessantotto
Se gli ultracinquantenni prendessero la maggioranza, sarebbe un dramma: noi abbiamo la passione per gli anniversari, celebriamo quotidianamente - ormai - i morti di tutte le ideologie, costruiamo e veneriamo Pantheon di intellettuali che nessuno dei giovani ha mai letto neppure a scuola...
Massimo D’Alema, qualche tempo fa, in un’intervista a Gente, ha giustamente evocato «un nuovo ’68», sollecitando i ventenni e i trentenni a battersi per le loro rivendicazioni. Assenti e passivi, chiusi in una personale ricerca di lavoro che sempre più spesso viene affidata ai genitori e non alle associazioni sindacali, i nostri figli si chiamano fuori da tutto.
È il problema principale della politica contemporanea: si legifera nell’apparente indifferenza di coloro che quelle leggi e quelle scelte dovranno accettarle, subirle e rispettarle.

La partita? Stavolta giochiamola in panchina
Se il regolamento del nuovo Pd vietasse - come provocazione - l’iscrizione ai maggiori di cinquant’anni, scopriremmo quali passioni, quali ideali, quali stili di vita stanno a cuore a chi verrà dopo di noi.
Avrebbe un senso l’idea bizzarra di costruire un partito spalancando le porte a chiunque, come in un ipermercato: paghi 5 euro e compri due, una tessera e un diritto di voto. Se giocassimo questa partita in panchina, i nostri suggerimenti e i nostri consigli diventerebbero preziosi, indispensabili.
Se invece volessimo occupare tutti i ruoli, la moltiplicazione delle caste si scontrerebbe in modo irreversibile con l’onda dell’antipolitica. Altro che nuovo Sessantotto...

I nuovi iscritti li troveremo nei call-center
Ciascuna generazione ha il diritto/dovere di impegnarsi: era lo slogan che usavamo contro i «matusa» quando eravamo giovani. Volevamo le nostre musiche, i nostri capelli, le nostre minigonne, ma anche una nuova famiglia e nuovi diritti nel mondo del lavoro, della sanità e della previdenza. Abbiamo combattuto e vinto, con errori e dietrofront clamorosi.
Adesso saremmo molto più audaci scegliendo di fare un passo indietro (i nostri genitori capirono, consigliarono, soffrirono, ma ci lasciarono spazio) che non affollando i banchetti del 14 ottobre. Saremmo all’altezza del nostro passato migliore se promuovessimo il Pd nelle università, nei call-center, nei luoghi del precariato industriale e commerciale, invece che nelle fumose discussioni di noi eterni reduci.

da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Novembre 04, 2007, 09:28:11 am »

Intervista sulle nuove misure per la sicurezza

Rutelli: il Polo voti le nuove misure

Il Cavaliere? Immaturo e scomposto

Il vicepremier: ora servono più rigore e severità, diciamo sì a norme anche più stringenti


ROMA — «Quello che non funziona in Italia», dice Francesco Rutelli, vice-presidente del Consiglio e tra i padri fondatori del Partito democratico, «è la mancanza di autorità della legge, che non è mai stata in basso come negli ultimi anni. Questo dà una percezione di crescente insicurezza che, unita alla sensazione che le vittime dei reati rischiano di pagare conseguenze più gravi di chi i reati li commette, dà vita a una miscela esplosiva. Abbiamo il dovere di disinnescarla».


E' la miscela che ha già provocato il raid contro i romeni presi a bastonate nel quartiere di Tor Bella Monaca a Roma?
«Certo. Si rischia una spirale che si può fermare solo con la forza della legge».
Vi accusano di esservi mossi sull'onda dell'emozione suscitata dall'omicidio di Giovanna Reggiani.
«Non è così. Ci muoviamo perché la sfida per la sicurezza va vinta, sennò la Repubblica si sfalda».
Avete convocato un Consiglio dei ministri straordinario per votare un decreto-legge...
«Che anticipa gli effetti di uno dei disegni di legge varati prima di quel fatto terribile. Sull'insieme di norme aspetto di vedere se l'opposizione di centro-destra avrà la stessa sensibilità che avemmo noi votando le norme antiterrorismo proposte dalla loro maggioranza. Diamo una corsia veloce al "pacchetto sicurezza", con l'accordo di tutti ».


 
Francesco Rutelli e Walter Veltroni (Imago Economica)
Per adesso Fini, spalleggiato da Berlusconi, dice che lei e Veltroni dovreste vergognarvi.
«Vergognose, oltre che immature e scomposte, sono le reazioni di uno come Berlusconi che ha governato, male, l'Italia per cinque anni. E da quindici governa aree del Nord dove si registrano purtroppo delitti orrendi, come il duplice omicidio di quest'estate a Treviso. Ci vorrebbe più decoro e meno faccia di bronzo. Quanto a Fini, ho qui una serie di sue interviste degli anni in cui era vice-premier e ministro degli Esteri, nelle quali si congratula per l'ingresso della Romania nell'Unione Europea, senza una riga sui problemi di sicurezza che potevano venirne. Evidentemente allora aveva l'esigenza di risciacquare i panni del suo recente passato fascista davanti agli altri Paesi, mentre ora rispolvera l'aggressività di Bossi e della Lega che all'epoca criticava.»
L'ha attaccata anche come ex sindaco di Roma...
«Ricordi bene, la destra, che da sindaco ho chiuso il campo nomadi più grande d'Europa oltre a una cinquantina di insediamenti abusivi, ridotto a 5.000 unità i rom autorizzati, con un minimo servizi e l'obbligo di portare i bambini a scuola. Poi l'invasione dalla Romania negli ultimi due anni ha sconvolto le cose. Ristabilita la verità però, ora siamo noi al governo e a noi tocca fronteggiare la situazione».


Appunto. Come?
«Il punto più critico della legislazione è forse la legge Simeone sulle "scarcerazioni facili". Ma il pacchetto sicurezza contiene anche altre misure, come quella per istituire la banca dati del Dna, o per togliere la patria potestà a chi riduce i propri bambini in schiavitù, costringendoli a mendicare. Sono strumenti per i quali mi sono speso personalmente. Con la banca del Dna, nel Regno Unito, i responsabili per le violenze sessuali identificati sono passati dal 20 all'80 per cento ».
La «legge Simeone» che voi volete escludere per i colpevoli di scippi, furti e rapine, si chiama anche «Saraceni», dal nome di un deputato del centro-sinistra, e fu votata pure da voi.
«Portava la firma di Simeone, deputato di Alleanza nazionale, a dimostrazione che in quella parte politica certi atteggiamenti di rigore vanno bene per le dichiarazioni ai telegiornali, mentre gli atteggiamenti concreti sono altri. Anche per questo, chi era al governo fino all'anno scorso farebbe bene a non speculare su certe tragedie. Si uniscano a noi per dare risposte efficaci ed immediate ».
Fini dice che voteranno il decreto se introdurrete la possibilità di espellere chi non ha mezzi di sostentamento sufficienti. Lei è d'accordo?
«Intanto cominciamo a mandare via i fuorilegge. Su norme ancora più stringenti io non sono contrario, se ne può discutere, ma c'è un ordine di priorità. Ora occupiamoci di liberarci di chi ha già dimostrato di mettere a repentaglio la sicurezza altrui».


Il carcere per chi disobbedisce all'espulsione del prefetto richiama le norme della Bossi-Fini sui clandestini, e tanto rigore sta già creando problemi con alcuni alleati di governo. Come li risolverete? E accettereste i voti della destra senza quelli dell'estrema sinistra?
«Io credo che forze politiche che si ritengono popolari non possono che tutelare gli interessi popolari. E' la gente semplice del popolo che invoca garanzie per condizioni di vita tranquilla nelle nostre città. In Consiglio dei ministri ho riferito che appena pochi giorni fa nei quartieri spagnoli di Napoli e in quello di Torpignattara a Roma ho incontrato persone del nostro elettorato, gente allarmata che chiedeva più sicurezza. Penso che la maggioranza sarà coesa, perché siamo a un punto di svolta, e il governo ha approvato il decreto- legge all'unanimità. Dal centro-destra, invece, mi aspetterei che votasse le misure; in quale Paese del mondo la destra sarebbe contro norme che affrontano una situazione in cui si rischia la disparità di trattamento che penalizza gli italiani e le persone perbene?»
Qual è questa situazione?
«Quella in cui al proprietario di un bar beccato a non consegnare per due volte lo scontrino viene chiuso l'esercizio, mentre sul marciapiede opposto continua a vedere immigrati che vendono ogni tipo di merce, senza controlli e senza che gli succeda nulla. Sono il terminale di un orrendo racket, di fronte al quale non ci si può limitare ad esprimere sentimenti umanitari verso l'ultimo anello della catena».
Tolleranza zero contro gli evasori fiscali, ma anche contro i "vu' cumprà", dunque?
«Piuttosto che "tolleranza zero" direi "rigore e severità". Voglio ricordare l'esempio del mio amico Damiano Zoffoli, ex sindaco di Cesenatico, che ha risolto l'invasione dei venditori ambulanti sulle spiagge senza istituire squadracce, ma regolando degli appositi spazi per i mercati etnici. Si tratta di far rispettare le regole, altrimenti la disparità di cui dicevo e che si vede a tutti i semafori delle città, farà aumentare l'intolleranza».


Onorevole, rigore e severità rischiano di far aumentare una popolazione carceraria che a solo un anno dal tanto contestato indulto è già nuovamente ai livelli di guardia. Che farete?
«Se crescono i reati deve crescere anche il numero dei detenuti: la certezza della pena significa che chi è stato giudicato responsabile di reati gravi deve stare in carcere. Ci vorranno nuove prigioni? Le stiamo già facendo. L'indulto è stata un'obbligazione saldata, con l'avallo dell'opposizione, per risolvere una situazione molto critica. Ma è certo: non ci saranno altri provvedimenti del genere ».
Altri provvedimenti per scongiurare la miscela di insicurezza e impunità, invece?
«Penso che i magistrati non dovrebbero più concedere gli arresti domiciliari a chi un domicilio non ce l'ha, soprattutto per gli accusati dei reati più pericolosi. E che per i crimini più efferati si debba abolire il ricorso al rito abbreviato, che accorcia la pena fino a rendere possibile l'uscita di galera troppo anticipata per responsabili, ad esempio, di stupri con omicidio. Dopo dieci anni sono fuori. Non esiste».


Giovanni Bianconi
03 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 23, 2008, 02:29:30 pm »

POLITICA LA LETTERA

Io laico credente, e il Campidoglio

di FRANCESCO RUTELLI

 
CARO DIRETTORE, oltre millenovecentocinquanta anni fa, un pescatore palestinese e un ebreo della Cilicia si trovarono a Roma. Oggi, Pietro di Betsaida e Paolo di Tarso sono i Patroni di Roma. Allora, nel cominciare il cammino di quella che sarebbe divenuta la Chiesa, furono perseguitati, incarcerati ed uccisi nella nostra città. Se dimentichiamo tutta la forza e la complessità della storia di Roma, non andiamo lontano.

E Roma è andata lontano, nella sua Storia, e viene conosciuta - e amata - nelle più lontane contrade per l'unicità e l'universalità della sua vicenda. Universale, è un aggettivo che nella storia di Roma si impone almeno tre volte. Universale fu la Roma dei Romani. Universale è il significato letterale della parola cattolico. Universale è il nome stesso di Roma, tra le pochissime città al mondo che è essa stessa un messaggio, portatrice di valori, esperienze e un patrimonio che non hanno bisogno di aggettivi né precisazioni.

Quando lo storico Theodor Mommsen, preoccupato su ciò che sarebbe accaduto dopo il 1870, disse la celebre frase "a Roma non si può stare senza propositi cosmopoliti", gli rispose Quintino Sella con una altrettanto celebre polemica sul primato della scienza.
Tutto il cammino di Roma è stato incessantemente accompagnato dal dualismo fra la vicenda cristiana e l'affermazione dell'autonomia del potere civile. L'unica lettura inadatta di questi cammini, nell'anno 2008, sarebbe di non saperne leggere l'intreccio.

Il mio ufficio di Ministro della Cultura è stato, per venti mesi, dentro il Collegio Romano; non solo seminario dei Gesuiti e sede della loro azione potente nell'età della Controriforma: anche luogo fisico dove Galileo Galilei fu dapprima esaltato come eminente scienziato e poi interrogato e avversato. La stanza del Sindaco di Roma che affaccia sul Foro, contraltare civile dal massimo valore simbolico, si trova all'interno della torre costruita da Papa Nicolò V in occasione del Giubileo del 1450.

Il primo Museo pubblico del mondo, i Musei Capitolini, nasce come lascito alla città - Lupa capitolina inclusa - di Papa Sisto IV. All'ingresso del Palazzo Senatorio in Campidoglio, i visitatori sono accolti dalla "Sala del Carroccio": essa riflette la sbalorditiva vicenda di Federico II, imperatore orgogliosamente laico che tentò di ingraziarsi - e ammonire - i romani portando in dono i resti del Carroccio dei Comuni lombardi (si, proprio quello delle attuali rivendicazioni di Bossi) sconfitti nella battaglia di Cortenuova; ma per tutta risposta le fazioni lo distrussero.

Ancora: la stanzetta del Transito di Caterina da Siena, (dietro il Pantheon), donna che fustigò potenti ed ecclesiastici del tempo con lettere tra le più alte a difesa della politica come servizio anziché dominio. O la scena di Jacopa dè Settesoli che porta a San Francesco morente alla Porziuncola, come estremo segno di allegria romanesca, i suoi dolcini adorati: i mostaccioli.

Nel Rinascimento, come si può dimenticare l'umiliazione inflitta a Michelangelo, autore nella Cappella Sistina del ciclo pittorico forse più potente del mondo, su cui Daniele da Volterra (da allora e per sempre "il Braghettone") fu chiamato a dipingere il nascondimento dei genitali in primo piano. Ma si può non ricordare agli appassionati di musica che affollano l'Auditorium che la più importante istituzione musicale romana - e tra le più prestigiose a livello internazionale - prende il nome da Santa Cecilia, martire romana del II Secolo? E, se è oggetto di secolari discussioni il perché Cecilia sia la Patrona della musica, non si può discutere che la Basilica in Trastevere a lei dedicata sia uno dei luoghi più affascinanti (anche se meno conosciuti) della città.

Rettore di Santa Cecilia è oggi un monsignore mite e tenace: Guerino di Tora, il direttore della Caritas di Roma. Ecco: la vicenda cristiana di Roma non è fatta solo dei discorsi del Papa dalla finestra di San Pietro (una delle pochissime situazioni in cui il mondo ascolta la lingua italiana; oltre che nella pronuncia storpiata delle parole prestigiose del made in Italy, e nel risuonare del Bel Canto, della lirica, dal Giappone agli Stati Uniti). E' fatta di esperienze e testimonianze di servizio silenzioso.

In certe piccole stanzucce sulla via Casilina è venuta per anni occupandosi dei più disgraziati della città Agnes Gonxha Bojaxhiu, ovvero Madre Teresa di Calcutta. E da piccole stanze di Trastevere ha preso le mosse, sotto le insegne di un piccolo e quasi sconosciuto Santo - Egidio - una Comunità che oggi opera, è rispettata ed accolta in ogni parte del mondo. E solo l'azione che essa svolge in Africa per combattere l'Aids merita il plauso generale.

Voglio forse dire con questo che la vicenda bimillenaria della Chiesa di Roma è un susseguirsi di tolleranza, bontà e illustrazioni della fede in Cristo? Non dimentico, per restare entro le mura di Roma, la chiusura degli ebrei nel Ghetto; né le prove di indubbia storica intolleranza che hanno provocato sofferenze e dolore. Valgono le parole che Paolo VI pronunciò nel corso della visita al Campidoglio del 1966: "conserviamo [della sovranità temporale] il ricordo storico; ma oggi non abbiamo per essa nessun rimpianto, né alcuna nostalgia." E quelle di Giovanni Paolo II, che parlando nell'Aula di Giulio Cesare nel 1998 disse "qui si ritrovano la Roma civile e la Roma cristiana, non contrapposte, non alternative, ma unite insieme, nel rispetto delle differenti competenze, della passione per questa città e del desiderio di renderne esemplare il volto per il mondo intero".

Il più coraggioso riformatore tra i Sindaci di Roma del XX secolo è stato Ernesto Nathan, massone, ebreo, anticlericale: sono pronto a sostenere appassionatamente questa mia convinzione. Il che non vuol dire proporre i concetti, né le contrapposizioni dei blocchi di cent'anni fa.

Non posso sottrarmi ora a considerazioni di tipo personale. Ci sono state polemiche pubbliche sulle mie convinzioni religiose. Seppure non ostentate, sono visibili, e certo non le nascondo. Dunque: ho avuto una forte formazione cristiana, anche grazie all'evidenza e sincerità della fede di mia madre Sandra, la cui lunga, dolente malattia e la cui morte hanno accelerato in me prima dei vent'anni un aspro distacco dalla religione. La militanza con i radicali è stata la sede per tradurre ed esplicitare l'asprezza di questo distacco. Ma, francamente, dubito si debba deprezzare quell'esperienza, tante lotte per i diritti umani, i diritti civili, contro la fame nel mondo. E una formazione per il servizio pubblico che porto con me.

Anche se il Partito radicale in cui militavo è stato sciolto vent'anni fa, alcuni pensano che la militanza di allora debba costituire una sicura garanzia di ostracismo a vita verso la fede cristiana. O, piuttosto, che la scelta di battezzare i nostri figli (a partire dal 1983) abbia anticipato, e poi il mio silenzioso matrimonio cattolico (nel 1995) abbia significato una strumentale ricerca di benevolenza della Chiesa verso il mio impegno politico. Una cosa idiota.

Intanto, solo dei gran superficiali possono immaginare la Chiesa come una caricatura alla maniera dei defilé cardinalizi dei film di Fellini: lì c'è invece una enorme complessità di posizioni, culture e relazioni col mondo pubblico. In realtà, la tesi polemica associata a questo modo di considerarmi è stata: Rutelli è nel centrosinistra, ma trama per costruire un centrismo con Tizio e Caio. Tesi smentita dalla costanza della mia posizione politica di centrosinistra, sino alla Margherita, che ho fondato, sino alla nascita del Partito Democratico. Le mie idee politiche non sono confessionali, ma laiche. Non sono eterodirette ma, spero, responsabili.

Dunque, da candidato Sindaco di Roma, intendo riaffermare questi concetti. Roma è intreccio vitale della laicità dei credenti cristiani, degli ebrei e dei credenti in altre religioni, come dei non credenti. E' luogo, come polis, di dialogo, confronto e scontro anche delle posizioni di intolleranza anticattolica come di quelle di intransigenza clericale. Compito del Sindaco - che sia credente, come io sono, oppure non lo sia - e compito dell'amministrazione civica è di assicurare il laico, libero esercizio delle convinzioni di ciascuno, di promuovere la convivenza civile, di tutelare i valori storici dell'Urbe. Se sarò eletto, questo cercherò di fare, nel voler rappresentare tutti i miei concittadini, nel proseguire il cammino delle nostre amministrazioni (e specialmente di quella di Walter Veltroni), nel costruire una Roma moderna e umana, con una sua missione civile nel mondo del XXI secolo.

(22 febbraio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 13, 2008, 12:06:34 pm »

13/7/2008 (7:45) - RETROSCENA

Nell’agenda di Rutelli la tentazione Udc
 
Le manovre nell’ala moderata dei democratici


AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Walter Veltroni non vede di buon occhio l’iniziativa di domani organizzata da alcune fondazioni come Astrid, ItalianiEuropei e Glocus. E’ convinto che il tema delle riforme istituzionali sia agitato strumentalmente in funzione di un’alleanza con l’Udc, pensata in prospettiva come il superamento della sua leadership. Un assaggio Veltroni l’ha avuto ieri con la riunione di Montecatini dove Rutelli ha menato fendenti proprio sull’errore, commesso dal segretario del Pd, di avere messo in campo «la coalizione più breve di questo quindicennio», quella con l’Idv: «Dopo tre mesi è già entrata in difficoltà».

Allora, secondo Rutelli, occorre pensare ad alleanze durature, sterzare verso il centro, altrimenti accade come alle ultime elezioni politiche: «Abbiamo recuperato voti a sinistra ma non ne abbiamo preso nemmeno uno negli altri campi». Per non rimanere «una minoranza stabile» che rincorre Berlusconi, l’unica strada è dettare un’«agenda» delle priorità del Paese e riformulare alleanze di «nuovo conio» che escludano intese con la sinistra massimalista. Lo sguardo di Rutelli è rivolto all’Udc e a quel modello elettorale tedesco che Casini considera la conditio sine qua non per una futura unione del centro con il Pd. C’è pure chi, come il rutelliano Renzo Lusetti, immagina alleanze con l’Udc già a cominciare dalle amministrative del prossimo anno. Ma dagli ex Dc è arrivato una frenata tattica: è prematuro parlare di un accordo generalizzato. «La strada da qui alle prossime elezioni - dice Michele Vietti - è ancora lunga. Comprendiamo le difficoltà del Pd e della maggioranza rispetto alle illusioni del bipartitismo salvifico, ma non siamo disponibili a fare il soccorso di nessuno». Prudenza e trattativa: la logica è prima vedere cammello che vuol dire una serie di cose. Ieri al convegno di Montecatini, spiegavano che Casini vuole prima incassare dal Pd l’impegno per il modello tedesco che avrebbe come conseguenza il superamento del bipartitismo Pdl-Pd e una futura guida moderata delle alleanze. In altre parole (e questo viene confermato da fonti interne all’Udc), l’ex presidente della Camera pensa a se stesso come futuro candidato premier. Nel quartier generale dei centristi circola voce che una prospettiva del genere a Casini gliel’abbia ventilata direttamente Massimo D’Alema.

Dunque, dietro questo gran parlare di riforme, c’è uno scenario che scommette sul superamento del Pd guidato da Veltroni, con il recupero definitivo dei voti della sinistra radicale (è il lavoro di D’Alema) e lo sfondamento al centro (e questo è il lavoro di Casini). Ma questo scenario è il classico conto senza l’oste, perché passa sul corpo di Veltroni che non si lascerà impallinare tanto facilmente. Il leader del Pd sente puzza di bruciato e ieri, appunto, ha avvertito che la vera priorità non sono le riforme ma la «povertà» degli italiani. Soprattutto non si tiene conto di Berlusconi e della sua forza parlamentare e politica di impedire riforme che aiutino gli avversari. Alla fine, il premier dovrà ancora puntare su Veltroni per tenere in piedi il bipolarismo. Deve sperare che il segretario del Pd si liberi definitivamente delle «scorie dipietriste» e possa tornare al dialogo dei vecchi tempi. Ma tra gli uomini più vicini a Veltroni c’è un certo pessimismo che ciò possa accadere: il vulnus del Lodo Alfano è destinato a pesare. Per i veltroniani si apre una stagione molto dura sul fronte dell’economia e il Pd non farà sconti. La petizione «Salva l’Italia» e la manifestazione del 25 ottobre scandiranno un crescendo polemico al quale tutto il partito sarà chiamato a impegnarsi. «E forse - dice chi è vicino al segretario - sarebbe meglio che Rutelli facesse riferimento a queste iniziative piuttosto che parlare di altre “agende”».

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« Risposta #6 inserito:: Luglio 13, 2008, 12:07:24 pm »

Rutelli rilancia il "nuovo conio" e guarda all'Udc



Tabacci e FolliniCon la sinistra si era già rotto prima delle elezioni. Con l’Italia dei Valori, il feeling è durato giusto tre mesi. Quindi, via libera a nuove alleanze, al cosiddetto nuovo conio. A disegnare un nuovo orizzonte per il partito Democratico è Francesco Rutelli che da Montecatini, dove è in corso l’assemblea dei coraggiosi del Pd, si toglie qualche sassolino dalle scarpe.

Quello che gli brucia di più, come si immagina, è la sconfitta di Roma. Alemanno lo ha battuto e tutti a dire, più o meno sottovoce, «la candidatura era sbagliata», «non dovevamo mettere Rutelli». E il “sindaco in motorino”, quello che ha aperto la decennale stagione della sinistra in Campidoglio proprio non ci sta: «Credo di essere stato autore di un potente e profondo cambiamento negli anni in cui ho guidato la Capitale – ricorda – e se qualcuno volesse rovesciare i fatti reali sappia che troverà pane per i suoi denti. Sono una persona leale – aggiunge – che prende impegni e soffre se non è in grado di mantenerli, una persona che ha una discreta capacità di fare gioco di squadra, che ha preferito per solidarietà verso i gruppi dirigenti accettare la candidatura a sindaco di Roma, cosa che non avevo in testa di fare. Dopo la sconfitta ho svolto un'analisi cruda – conclude – e la mia parte di responsabilità me la sono presa pubblicamente in maniera esplicita».

Per questo Rutelli sente di aver ancora qualcosa da dire e lancia al Pd una sfida coraggiosa: «Dobbiamo essere consapevoli – spiega – che il voto utile dello scorso 13 aprile non sarà necessariamente considerato tale nei prossimi appuntamenti elettorali. Ciò rende indispensabile – sostiene – costruire una nuova fisionomia del Pd, che sia capace di parlare alla totalità dell'elettorato. Fallita la lunghissima coalizione dell'Unione – ricorda – non possiamo nasconderci l'entrata in crisi dopo neppure tre mesi di quella più breve di questo quindicennio». Insomma, con Di Pietro non è andata bene e per Rutelli non resta che guardare al centro, all’Udc.

Rutelli ci tiene anche a dire che bisogna smetterla con il dilemma «dialogo sì, dialogo no»: «Il compito del Pd – prosegue – è fare incursioni, sfondamenti, avere la capacità di formare l'agenda del nostro Paese». Servono «shock indispensabili e inevitabili», va avanti Rutelli, bisogna che «accettiamo di perdere consensi ma cercandoli nell'altro campo e nella società vasta». Non è un attacco a Veltroni, il suo, perché l’attuale segretario «dimostrerà di saper fare» i cambiamenti di cui Rutelli sente il bisogno.

Coglie al volo la palla lanciata dall’ex leader della Margherita Renzo Lusetti, secondo il quale «tutti, col senno di poi, ci interroghiamo se abbiamo fatto bene o male a fare l'alleanza con Di Pietro». Ma l’Idv non è l’unica ancora a cui appigliarsi, «le opposizioni in Parlamento sono tre – ricorda Lusetti – bisogna cominciare a sperimentarle, e le amministrative – propone – possono essere un buon banco di prova». L’ipotesi non dispiace nemmeno al deputato centrista Bruno Tabacci: «Dentro il Pd – dice – ci sono molti che la pensano così, e con questi si può parlare». Ma non gli va di fare da ripiego: «Non è che si possono proporre alleanze – polemizza – solo perché si è in rotta di collisione con qualcun altro, solo perché è accaduto con Di Pietro».

Sarcastico il commento di Antonio Di Pietro: «La voglio vedere – dice – la Finocchiaro quando in Sicilia andrà a fare campagna elettorale con Cuffaro. Il problema non sono le sigle ma le persone – aggiunge – Quindi se qualcuno pensa di allearsi con l’Udc, allora buon viaggio. Non è da noi che si allontanano ma dai loro elettori».

Pubblicato il: 12.07.08
Modificato il: 12.07.08 alle ore 17.08   
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« Risposta #7 inserito:: Luglio 13, 2008, 12:17:35 pm »

POLITICA

Riuniti a Montecatini i "coraggiosi", la componente moderata del partito

L'ex vicepremier guarda all'Udc: "Basta con l'antiberlusconismo come unico collante"

Pd, Rutelli dà la scossa a Veltroni "Cambiare agenda e alleanze"

 

MONTECATINI - Parte da Montecatini il tentativo di Francesco Rutelli di trovare un nuovo spazio nella politica italiana dopo la sconfitta nella corsa a sindaco di Roma. Nella località termale toscana, l'ex vicepremier del governo Prodi ha chiamato a convegno i "Coraggiosi", ovvero la componente di "destra" del Partito democratico.

Malgrado un sostegno di forma ("Siamo qui per aiutare e sostenere Veltroni") dal palco Rutelli non ha risparmiato gli attacchi al segretario. Al primo posto naturalmente il problema delle alleanze. Non è un mistero che l'ex sindaco di Roma punta a rafforzare i connotati "moderati" del Pd, puntando a un rapporto privilegiato con i centristi dell'Udc. Il partito, ha sottolineato, ha quindi il compito di "riformulare alleanze perché siano durature e non solo occasioni elettorali di cui ci si debba pentire dopo pochi mesi".

"Ha fallito la lunghissima coalizione dell'Unione - ha aggiunto - ed è entrata in crisi dopo neppure tre mesi la coalizione più breve di questo quindicennio", quella con l'Italia dei Valori. I democratici devono quindi "imboccare una strada politica forte e chiara" in cui "il nostro collante non può essere più l'antiberlusconismo". Servono quindi "alleanze di nuovo conio", ma "prima si fa il nuovo conio e conseguentemente vengono le alleanze".

"Il Pd nasce - ha proseguito Rutelli - per fare l'agenda di questo paese. E' impensabile che rimanga fermo immaginando una crisi di consenso nei confronti di Berlusconi che spiani la strada a un suo ritorno secondo l'idea che 'via lui tocca a noi'. No, non ci sono scorciatoie, spetta al Pd scrivere l'agenda per cui gli italiani debbano appassionarsi, dividersi, fino a condividerla". "Non bisogna perdere tempo - ha messo ancora in guardia - e mettere in campo gli shock inevitabili per cui Veltroni ha ricevuto la nostra fiducia. Noi siamo qui per aiutare e sostenere Veltroni e io ho fiducia che dimostrerò di saperlo fare".

"Ci dobbiamo occupare - ha aggiunto - dei grandi temi del nostro tempo", in primo luogo ambiente, sicurezza, potere di acquisto del ceto medio, e "se c'è questa agenda penso che in poco tempo il Pd diventerà maggioranza" e "naturalmente nasceranno le alleanze, anziché quelle troppo lunghe e purtroppo fallite della passata legislatura e quelle brevi e già in crisi più recenti".

Ancora più esplicito su questo tema, l'intervento a Montecatini del "coraggioso" Renzo Lusetti. "Le opposizioni in Parlamento sono tre, bisogna cominciare a sperimentarle". E "le amministrative possono essere un buon banco di prova per alleanze di nuovo conio, perché non proviamo a Bologna ad allearci con l'Udc?". "Bisogna cominciare a costruirle oggi queste alleanze - ha concluso - e dare un po' di pepe alla nostra azione".

Le rinnovate attenzioni per il momento non sembrano scaldare però i centristi e soprattutto nel capoluogo emiliano trovare un'intesa appare quanto mai difficile, visto che la condizione posta dal partito di Casini pare essere la testa del sindaco uscente Cofferati. "Con Rutelli e 'i coraggiosi' - spiega il deputato bolognese dell'Udc Gian Luca Galletti - condividiamo molte riflessioni sulla situazione politica e sui problemi del Paese. Certo sarebbe bello che questo dialogo partisse da Bologna presentando una candidatura alternativa a quella di Cofferati che ha portato la nostra città alla paralisi e al degrado".

(12 luglio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Gennaio 01, 2009, 10:34:43 am »

Caso Napoli: i verbali dei politici

Rutelli: Lusetti, esuberante e millantatore

Sul ruolo di Romeo: «Verosimile che abbia finanziato la Margherita ma non è l'unico imprenditore a farlo»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

 
NAPOLI - «Ho personalmente incontrato Alfredo Romeo e l'ho conosciuto come uno dei più grandi imprenditori a livello nazionale nel settore immobiliare. Ero sindaco all'epoca in cui la sua impresa si aggiudicò l'appalto per la gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Roma. Con lui non ho peraltro una particolare confidenza. Non ho mai avuto con lui colloqui connessi ai suoi interessi ». Così, la sera del 17 dicembre, Francesco Rutelli risponde ai pubblici ministeri di Napoli. Romeo è appena finito in carcere, altri assessori napoletani sono ai domiciliari. Per Renzo Lusetti, suo fedelissimo nella Margherita e amico dello stesso Romeo, c'è una richiesta di arresto. Il leader del Pd e presidente del Copasir — il comitato di controllo sui servizi segreti — si presenta in Procura dopo aver saputo che nelle intercettazioni telefoniche si fa il suo nome. Chiede di «essere ascoltato immediatamente in quanto l'incarico che attualmente ricopro non mi consente di far nutrire dubbi sulla onorabilità della mia persona da parte di alcuno». E prende le distanze.

«Lusetti è esuberante»
«I rapporti con il collega Lusetti sono cordialissimi e penso che sia persona onesta.
Per i rapporti tra Romeo e Lusetti dovrei poter parlare "fuori verbale". Renzo è una persona "molto esuberante". Fa parte della mia area politica. Non posso dire che abbia rapporti approfonditi con Romeo... Quando dico che Lusetti è "molto esuberante" intendo dire che, da classico uomo di partito, andando magari al di là, a volte, di ciò che è la realtà, è portato a riferire cose che in alcune occasioni sono ancora molto aleatorie». I magistrati gli fanno ascoltare una telefonata tra Romeo e Lusetti nella quale i due interlocutori parlano del «grande capo » e del Consiglio di Stato che deve pronunciarsi proprio sulla sospensione dell'appalto per la manutenzione delle strade di Roma e Lusetti assicura all'imprenditore: «Sto lavorando per te». Fanno anche riferimento a Paolo Troiano, giudice da contattare. Rutelli è categorico: «Non mi riconosco nel "grande capo" di cui si parla... Quelle che ascolto assomigliano a gigantesche millanterie. Certamente con Lusetti non ho mai fatto riunioni operative, né ho mai interferito in vicende giudiziarie legate agli appalti di Romeo».
Pm: «Che ruolo aveva Romeo nel partito?».
Rutelli: «Non so se Romeo sia iscritto al partito. Non escludo, anzi ritengo che possa essere verosimile, che Romeo possa aver finanziato il partito. Ma voglio chiarire che non è l'unico imprenditore o comune cittadino che abbia contribuito finanziariamente alle campagne elettorali...».
I magistrati gli fanno ascoltare una conversazione tra Romeo e Lusetti relativa ai congressi della Margherita di Bari e Firenze.
Rutelli: «A me sembra un grande "cazzeggio". A me sembra che, al di là delle chiacchiere, non abbiano ottenuto risultati ai congressi di cui si parla».

«Mai sponsorizzato Nugnes»
Rutelli parla poi di Giorgio Nugnes, l'assessore che si è suicidato forse temendo le conseguenze dell'inchiesta: «L'ho conosciuto e sono stato addolorato nell'apprendere il suo drammatico gesto e anche meravigliato. Ho avuto modo di apprendere dalla lettura dell'ordinanza che Romeo avrebbe sponsorizzato con me Nugnes. Lo escludo categoricamente. A Nugnes non ho mai avuto occasione di dare alcun supporto alle sue eventuali aspirazioni politiche». Poi ricostruisce il suo ruolo riguardo alle primarie in Campania.
«Ho sostenuto Sandro De Franciscis (presidente della Provincia di Caserta, ndr) mentre Nugnes appoggiava un altro candidato di altra area». Con Romeo, dice ancora, «non ho mai discusso di Nugnes». E riferendosi a conversazioni del maggio 2007 in cui l'imprenditore dice di brigare per fare avere all'allora assessore incarichi in dipartimenti, precisa: «I dipartimenti di cui si parla presumo siano incarichi interni alla Margherita. Era peraltro l'epoca in cui il partito si stava sciogliendo. Nugnes non ha avuto alcun incarico».

«Romeo è del partito»
Sui rapporti tra Romeo e i vertici del partito è stato interrogato a lungo anche Giuseppe Gambale, l'ex assessore della giunta Iervolino alla legalità e alla scuola, tuttora ai domiciliari.
Gambale: «Romeo aveva un rapporto di grande stima con De Mita, per questo chiede sempre se questa persona è vicina a De Mita, perché Romeo non voleva intervenire in vicende anche interne al partito».
Pm: «Chi è vicino a De Mita?».
Gambale: «Romeo».
Pm: «Rutelli ha detto che non lo conosce proprio. Lei invece sa di rapporti diretti tra Romeo e Rutelli?».
Gambale: «So che si conoscevano ».
Pm: «Si conoscevano in che termini? ».
Gambale: «So che Romeo faceva parte del consiglio di amministrazione del nostro giornale, Europa».
Pm: «E Rutelli nel vostro giornale che ruolo ha?».
Gambale: «È il giornale del partito e Rutelli è il segretario del partito».

L'incontro con Fioroni
Pm: «Senta, Romeo si doveva incontrare con Fioroni?».
Gambale: «Sì, il ministro della Pubblica Istruzione, il capo di una delle correnti della Margherita».
Pm: «Di cui Romeo è ben conosciuto perché deve portare...».
Gambale: «Aveva rapporti con Rutelli e la corrente rutelliana. Gliel'ho detto che partecipava al consiglio di amministrazione di Europa e in qualche maniera partecipava anche alla vita del partito».
Pm: «Con Rutelli e con Fioroni?».
Gambale: «Voleva conoscere l'altra corrente del partito... era per una ragione politica».
Pm: «E allora perché lo porta in maniera riservata da Fioroni?».
Gambale: «Non lo porto in maniera riservata, semplicemente "andiamo insieme", così al ministero Romeo era scocciato di andare al ministero e non sapere dove andare, dove entrare e come fare... "andiamo insieme, saliamo insieme"».
Pm: «Scusi ma lei mi sta dicendo che è uno dei maggiori esponenti della Margherita, seppure non a livello...».
Gambale: «Sì, ma non andava alla sede del partito, dottore, andava al ministero della Pubblica Istruzione, che devo fare?...».
Pm: «E c'era bisogno di Gambale per conoscere Fioroni?».
Gambale: «Sì perché non lo conosceva e voleva essere presentato».
Al termine dell'interrogatorio Gambale si rivolge al pm e afferma: «Credo di aver dato disponibilità a parlare anche di altro, che non c'era nell'ordinanza, tutto quello che serve a chiarire, l'ho detto dall'inizio. Dottore, forse se ci saremmo sentiti prima qualche cosa la potevamo pure evitare...». In realtà i magistrati non lo ritengono credibile e danno parere negativo alla sua scarcerazione.


Fiorenza Sarzanini
31 dicembre 2008
da corriere.it
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« Risposta #9 inserito:: Gennaio 01, 2009, 10:40:52 am »

30/12/2008 (7:14) - DOCUMENTO

"È vero, ho finanziato la Margherita"

Romeo: "Rutelli non lo conosco, Lusetti sì: è un millantatore"


FULVIO MILONE
INVIATO A NAPOLI

Diciotto dicembre, carcere di Poggioreale. Alfredo Romeo, finito in cella da appena un giorno, compare davanti ai suoi accusatori. Con lui ci sono gli avvocati Francesco Carotenuto e Bruno Von Arx. Dall’altro lato del tavolo siedono il giudice per le indagini preliminari Paola Russo e i pm Vincenzo D’Onofrio e Raffaello Falcone. Comincia così il primo, lungo round fra il detenuto eccellente e i magistrati che lo incalzeranno per 4 ore e mezza per sapere come e quando il re di Napoli è diventato il signore incontrastato di «Magnanapoli», l’uomo che secondo l’accusa avrebbe corrotto mezzo mondo politico napoletano.

Lusetti? «Un fanfarone»
Un interrogatorio a tratti drammatico, con Romeo che, sotto un fuoco di fila di domande, ammette anche i suoi contatti con i Palazzi Romani: «Sì, ho finanziato la Margherita». «Singoli candidati o il partito?», chiedono i magistrati. «In trasparenza credo, ma non...», balbetta lui. E quanto ha dato, insistono i pm. «Non mi ricordo esattamente quanto e come», è la risposta. E con Rutelli, che rapporti c’erano? «No, no, personali, diretti, nessuno!», risponde l’imprenditore. Era lui, Rutelli, il «grande capo» menzionato nelle telefonate intercettate e al quale Romeo voleva raccomandare un assessore suo amico, Giorgio Nugnes, morto suicida un mese fa? E’ vero, proseguono i magistrati, che «lei, Romeo, si accheta con il fatto che Rutelli le avrebbe consegnato di suo pugno un invito al congresso?». Lui nega, ma non spiega. E quando gli chiedono conto della sua «sponsorizzazione» a favore di Nugnes presso il parlamentare Pd Renzo Lusetti, risponde: «Lusetti era la persona più vicina a Rutelli».
Ma poi, dello stesso Lusetti, dice: «Millantava sempre, era un fanfarone». Si riprende, Romeo, solo quando gli chiedono di Pomicino: «Mi chiamava dalle 5 alle 6 volte alla settimana», spiega con disinvoltura.

Le pressioni dei politici
La tesi di Romeo, ad ogni modo, è che erano loro, i politici, che chiedevano e facevano pressioni, non lui che pretendeva appalti: «Io sono cercato, non cerco». «Rifiuto gli incarichi dalla mattina alla sera con il Comune di Napoli», dice e dipinge i suoi interlocutori, gli assessori della Giunta Iervolino, come delle «cavallette»: «Guardi signor giudice, io le spiego solo una cosa: noi oggi abbiamo un credito di venti milioni, il Comune non ci paga da due anni e questo era uno dei motivi principali che mi teneva in condizione di estrema diffidenza e estrema attenzione... Non so se ci sono le intercettazioni... dove io dico ai vari assessori che non intendo partecipare alla gara per la gestione dell’edilizia scolastica (uno degli appalti nel mirino dei giudici, ndr)... non ci credevamo, ma su quella abbiamo ceduto».
Insomma, Romeo quegli appalti d’oro non li voleva neanche. «L’ho sempre detto, lo dico all’assessore Gambale (in prigione anche lui, ndr): io non partecipo». E aggiunge di avere avvertito anche un altro amministratore, Di Mezza: «Dici al sindaco che questa cosa non mi interessa». Ma gli amministratori, insiste Romeo, premevano e chiedevano, sembrava non sapessero fare altro.

Le conversazioni con Bocchino
Le telefonate intercettate, però, lo smentiscono. Come quella al deputato di An Italo Bocchino, che il giudice gli contesta durante l’interrogatorio: proprio lì dove Romeo chiede al suo interlocutore di intervenire per convincere alcuni consiglieri della destra a ritirare degli emendamenti che potrebbero bloccare gli appalti. «Non ho mai chiesto di ritirare, ho sempre spiegato... le ragioni tecniche in base alle quali si poteva portare avanti un’operazione rispetto ad altre operazioni». L’operazione era la sua, naturalmente. Ma Romeo sostiene con forza che in realtà, al Comune, lui ricopriva un ruolo di advisor, nient’altro. E poi, gli emendamenti erano solo «delle provocazioni»: «Provate a leggere tutto questo vissuto e gestito da un imprenditore che è presente a Napoli e che è al centro di una serie di pressioni, provocazioni e vari atteggiamenti di partiti. Io voglio dire, sono umano come tutti quanti e quindi se arrivano provocazioni di questo tipo...».

Roma, la sua «fidanzata»
E parla, l’imprenditore arrestato, anche degli appalti con il Comune di Roma per la gestione degli immobili durante la Giunta Veltroni: «Era stato voluto dall’amministrazione Veltroni perchè il Comune che problema aveva? Era trasferire la responsabilità di tutti i sinistri civili, penali, in capo a un soggetto esterno alla pubblica amministrazione»: E dice di essere stato bravissimo, in quel campo: «Abbiamo ridotto i sinistri del 50 per cento...».
Ma Romeo insiste sulla diffidenza che giura di avere sempre nutrito nei confronti della classe politica napoletana, e parlando di sè in terza persona spiega: «Romeo è bravo... Come mai dal 1990 a Napoli non ha altri incarichi (appalti, ndr)? Mentre a Venezia ne abbiamo tre, a Milano ne abbiamo quattro, a Napoli uno solo!». Ma i magistrati continuano a muovergli una serie di contestazioni, come quella che riguarda un incontro con il ministro della pubblica istruzione del Governo Prodi, Fioroni. Chiede il pm: «In una delle conversazioni fra lei e l’assessore Gambale pare vi siate recati dal ministro Fioroni. C’è stato l’incontro»? Romeo: «Sì». Pm: «Di cosa dovevate parlare?». Romeo: «Chiacchiere da corridoio... Ci ha ricevuto per tre minuti». Pm: «Al ministro avete regalato un quadro?» Romeo: «No, no». Pm: «A chi l’avete regalato quel quadro (se ne parla durante una telefonata intercettata ma senza riferimento al nome del destinatario del dono, ndr)?». «Onestamente non mi ricordo».

da lastampa.it
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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 24, 2009, 12:04:44 am »

2009-02-23 21:50

TESTAMENTO BIOLOGICO: DA RUTELLI 'TERZA VIA' SU ALIMENTAZIONE
 
di Adele Lapertosa


ROMA - Pioggia di emendamenti sul ddl Calabro' relativo alle dichiarazioni anticipate di trattamento (dat), che registrano ancora una volta un Pd diviso. Non solo il capogruppo in commissione Sanita', Dorina Bianchi, non ha firmato l'emendamento su idratazione e nutrizione artificiale del gruppo, ma Francesco Rutelli ne ha proposto uno suo, in cui dice no allo stop di nutrizione e idratazione, affidando, in una sorta di compromesso, una 'terza via', la decisione al medico insieme a fiduciario e familiari in alcuni casi particolari.

- QUASI 600 EMENDAMENTI: dei 585 emendamenti presentati, 38 erano dell'Idv, 96 del Pd (di cui 48 del gruppo e il resto a firma di singoli senatori), 270 dai Radicali Poretti e Perduca, cui si e' aggiunta la senatrice Pd Franca Chiaromonte. Dieci sono arrivati dall'Udc, che si e' concentrata sulla tutela dell'assistenza al dolore e cure palliative, una trentina dalla Lega e il resto dal Pdl, che nel pomeriggio si e' riunito per sfoltire il numero.

- PD DIVISO: sembrava si fosse raggiunto l'accordo e invece no. Sul nodo cruciale di idratazione e nutrizione, l'emendamento del gruppo a firma Finocchiaro, Zanda e Latorre prevede che ''e' ammessa l'eccezionalita' del caso in cui la sospensione di idratazione e nutrizione sia espressamente oggetto della dichiarazione anticipata di trattamento''. Emendamento del gruppo non firmato dal capogruppo in commissione, Dorina Bianchi che ha preferito mantenersi neutra. ''Come relatrice - spiega - in questa prima fase non ho firmato nessun emendamento relativo a idratazione e nutrizione. Nel gruppo ci sono posizioni diverse, e quello che ha come prima firmataria Finocchiaro rispecchia la posizione generale''. Una posizione su cui Ignazio Marino ha espresso ''sconforto'' su come ''abbia serenamente ritenuto di non firmare gli emendamenti proposti dal suo stesso gruppo''. Per tutto il pomeriggio si sono rincorse voci di una riunione in Senato del neo-segretario Franceschini con i suoi, poi smentita in serata dal gruppo.

- RUTELLI LAVORA SU POSIZIONI: l'ex leader Dl ha presentato quattro emendamenti, di cui tre a sua firma e uno con Luigi Lusi, che segnano una sorta di 'terza via' su idratazione e nutrizione, affidando la soluzione del problema al confronto tra medico curante e fiduciario. ''Alimentazione e idratazione artificiali sono forme di sostegno vitale'' che ''non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento''. Ma, e qui sta la sua proposta, ''nelle fasi terminali della vita - si legge - o qualora il soggetto sia minore o incapace di intendere e di volere, la loro modulazione e la via di somministrazione, da commisurarsi alle aspettative di sopravvivenza, alle condizioni del paziente e alla necessita' di non dar corso ad accanimento terapeutico, debbono essere il frutto di una interazione e comune valutazione tra il medico curante, cui spetta la decisione finale, l'eventuale fiduciario e i familiari''.

 - VINCOLANTE PER PD: nei suoi emendamenti il Pd definisce la dat non obbligatoria ma vincolante, ed elimina le complicazioni burocratiche rappresentate dal notaio, affidando la redazione e sottoscrizione del documento al soggetto insieme al medico di fiducia. Sul tema dell'idratazione e nutrizione Anna Finocchiaro ha spiegato che ''e' stato presentato un emendamento sottoscritto dalla presidenza del gruppo, da senatori laici e da senatori cattolici, coerente con la posizione largamente prevalente nei gruppi parlamentari e in sintonia con quella assunta sabato dal segretario Dario Franceschini. Sono stati poi presentati altri emendamenti da senatrici e senatori del gruppo che esprimono posizioni diverse ma che hanno la stessa dignita' politica''.

- MAGGIORANZA PENSA A VENTILAZIONE: mentre il Pd discute su idratazione e nutrizione, nel Pdl c'e' chi va oltre come Laura Bianconi, che vorrebbe rendere 'obbligatorie' e non suscettibili di dat, oltre a idratazione e nutrizione, anche la ventilazione artificiale.
 
da ansa.it
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« Risposta #11 inserito:: Febbraio 24, 2009, 05:44:37 pm »

2009-02-24 16:06

TESTAMENTO BIOLOGICO:RUTELLI, INTOLLERABILE STRUMENTALIZZARE


 ROMA - E' "intollerabile che le mie posizioni, ogni volta che vengono espresse, debbano essere strumentalizzate". A dirlo è Francesco Rutelli, ex leader Dl, che oggi ha voluto chiarire la sua posizione dopo le polemiche sorte sugli emendamenti che ha presentato sul testamento biologico. "Il Pd - ha detto - dovrebbe occuparsi di impedire che avvenga questa intollerabile strumentalizzazione. Non è possibile che ogni volta che parlo si pensi che sia eteroguidato dalla chiesa o che lo faccia per creare una scissione politica interna al Pd per unirmi a un altro partito".

Rutelli ha detto di essere "incavolato e veramente arrabbiato con una parte della stampa" e ha fatto riferimento in particolare ai quotidiani 'Il Manifesto' e 'L'Unita", per le "storture e strumentalizzazioni" delle sue posizioni. Soprattutto "l'Unità - ha detto - ha presentato la mia posizione in modo distorto, caricaturale e inaccettabilmente fazioso. E' intollerabile che ogni volta che parlo, venga dipinto come quello che voglia fare lo strappo e la scissione".


FRANCESCHINI: EMENDAMENTI NON RAPPRESENTANO LINEA PARTITO
Il segretario del Pd Dario Franceschini partecipera' alla riunione del Pd al Senato tra la presidenza del gruppo ed i componenti della commissione Sanita' sul testamento biologico. Lo ha annunciato lo stesso leader nell'incontro, al partito, con i capigruppo ed i vice di Camera e Senato per fare un punto sui lavori parlamentari.  La posizione del Pd sul testamento biologico, e' stato ribadito nella riunione, resta lo stesso e gli emendamenti sul
tema dell'idratazione e alimentazione, presentati da Francesco Rutelli e dai teodem, per quanto abbiano ''legittimita' politica'' non rappresentano, a quanto si apprende, la mediazione del partito.

Quanto all'atteggiamento assunto dal capogruppo in commissione Dorina Bianchi, che ieri non ha firmato gli emendamenti comuni del Pd, il capogruppo Anna Finocchiaro ha spiegato che ''non e' assolutamente'' stata presa in considerazione la sostituzione.

E alla domanda se il ruolo di capogruppo e' compatibile con la posizione assunta dalla Bianchi, il capogruppo risponde: ''Dipende da come si interpreta il ruolo di capogruppo''. 

da ansa.it
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« Risposta #12 inserito:: Febbraio 24, 2009, 05:46:12 pm »

Critiche all'unità e al manifesto

Bio-testamento, Rutelli: «Nel Pd pari dignità per le diverse posizioni»

L'ex leader della Margherita: «Nessuna scissione. Indecente scrivere che spacco il partito»
 

ROMA - «Sono veramente incavolato, arrabbiato, amareggiato per l'alterazione sistematica delle mie posizioni, soprattutto per quanto riguarda il testamento biologico». Francesco Rutelli non accetta che lo si dipinga come intenzionato a spaccare il Pd o sottomesso alle posizioni del Vaticano sul testamento biologico. E per questo convoca una conferenza stampa, al fine di chiarire le proprie posizioni. «È intollerabile - dice l'ex sindaco - presentare la mia posizione in modo distorto, strumentale e fazioso.

Secondo me il Pd deve garantire che, se in temi così delicati come quelli della bioetica ci sono diversità di posizioni, queste si debbano potere esercitare. Non voglio passare per uno che strappa, rompe, divide e peggio persegue secondi fini e strategia politiche di scissione o che rispondano a poteri esterni alla politica come ad esempio il clero. Ogni posizione - chiede Rutelli - deve essere legittima».

PARI DIGNITA' - L'ex leader della Margherita ha presentato un emendamento al disegno di legge della maggioranza sul cosiddetto testamento biologico che si distingue da un altro emendamento del Pd e che, escludendo la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione nelle dichiarazioni anticipate di trattamento, lascia «l'ultima parola» al medico. «L'idea che questa proposta venga spacciata per la posizione di chi vuole ingraziarsi il clero o come una strategia politica tesa a dividere il Pd è indecente», ha detto Rutelli. Il Partito democratico, ha aggiunto, «deve garantire che, se ci sono posizioni diverse, esse vengano esercitate. O c’è pari dignità di opinioni o c'è dispari dignità». Nel corso della conferenza stampa Rutelli ha tirato fuori da una cartellina le copie odierne dell'Unità e del Manifesto ed ha citato più volte le ripetute critiche a lui indirizzate dal quotidiano diretto da Concita De Gregorio.

LINEA DEL PD - Il provvedimento sul testamento biologico è all'ordine del giorno della riunione convocata dalla presidenza del gruppo con i componenti del gruppo Pd presenti in commissione Sanità del Senato. All'incontro parteciperà anche il segretario del Pd, Dario Franceschini. La linea del partito, spiega chi ha partecipato alla riunione tra il segretario e le presidenze dei gruppi di Camera e Senato al Nazareno, non cambia. «Tendo a non distinguere la mia posizione da quella largamente prevalente nel partito - ha detto Anna Finocchiaro al termine dell'incontro - pur ritenendo che posizioni diverse hanno piena legittimità». La capogruppo Pd ha sottolineato che il testamento biologico è «l'unico» tema su cui ci sono nel partito posizioni diverse «e non da ora ma da tre anni, come del resto c'è divisione nella società italiana». Dunque «non occorre farne un caso politico. Non mi sembra il caso di fare di legittimo esercizio delle facoltà dei singoli parlamentari un casus belli».


24 febbraio 2009
da corriere.it
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« Risposta #13 inserito:: Febbraio 25, 2009, 11:24:53 pm »

Il prezzo del pluralismo 
 
 
 
 
L’operazione tentata da Francesco Rutelli per sbloccare l’impasse su alimentazione e idratazione forzate nel testamento biologico non ha successo.

Dalla destra versante di governo è venuto un irrigidimento, dalla destra versante parlamentare le aperture sono suonate più funzionali ad amplificare le difficoltà del Pd che non a trovare una soluzione. La destra dovrebbe rinunciare alla propria bandiera ideologica – il divieto per legge dell’interruzione del sostegno alimentare e idrico – per addentrarsi in formule più civili e realistiche: non ha mai dato segno di volerlo fare.

A destra c’è un’area vasta ma silente che sta stretta nella gabbia imposta da Berlusconi e da un drappello di estremisti nei giorni di Eluana. Lì però i margini di iniziative libere sono inesistenti, lo smarcamento di Pisanu è importante (e gravido di conseg u e n z e ) ma non fa primavera.

Questa assenza di interlocuzione non dà chances a tentativi come quello di Rutelli, che finiscono per rimbalzare sul centrosinistra. Qui un partito serio deve compiere una valutazione politica fredda (confermando le proprie posizioni, in assenza di margini di miglioramento dei testi di maggioranza) e una valutazione politica calda: visto che non compromettono l’esito del confronto parlamentare (come invece accadeva nella legislatura prodiana), e con l’unico vincolo che se si hanno responsabilità di partito non si vota con il governo, perché non valorizzare le posizioni autonome, per dimostrare che il Pd ha verso la complessità dei temi un’apertura inesistente a destra? Questo è l’atteggiamento di Franceschini. Dobbiamo dirci che parte del Pd non la vive così: si avverte un’ansia di certezze e di unità granitiche, si preferisce derubricare le obiezioni di coscienza a manovra politica. Così tutto si banalizza e si finisce per esercitare sui dissensi una pressione dura e impropria.

Come abbiamo scritto, il Pd è un approdo definitivo, l’epoca del nomadismo è finita. Fino a prova contraria Rutelli (che il Pd l’ha fondato) dice le stesse cose, con più amarezza: merita di esser preso sul serio e lasciato in pace. È anche il modo migliore per il Pd per smettere di farsi del male e sterilizzare ogni ipotetica (e fin qui immaginaria) manovra di spaccatura.

da www.europaquotidiano.com

 
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« Risposta #14 inserito:: Aprile 27, 2009, 11:34:16 am »

27/4/2009
 
Cultura e turismo, a un passo dal suicidio
 
 
FRANCESCO RUTELLI
 

Caro direttore,

l’Italia ha due leve speciali da muovere contro la crisi economica: cultura e turismo. Ma le sta bloccando, ed è una scelta suicida. Propongo tre iniziative per cambiare strada. Sia chiaro: non vanno unificate le politiche per la cultura e quelle per la promozione dell’industria turistica, che hanno natura ed esigenze differenti. Patrimonio, spettacolo e industrie culturali possono formare una potente sinergia con le industrie turistiche; dare risultati economici e occupazionali molto più rapidi, in tempo di crisi, rispetto ad altri comparti; terminata la crisi, riportare l’Italia all’eccellenza mondiale.

Il sostegno al turismo può avere effetto anticiclico. Le riduzioni di prezzo negli alberghi stanno già ottenendo alcuni risultati positivi (in montagna e nelle città d’arte, ma anche nelle previsioni del balneare) per la competitività della nostra offerta, negli ultimi anni in declino rispetto alla concorrenza straniera. La cosa più urgente è organizzare il turismo interno - i weekend all’estero vengono ridimensionati - e incentivare gli italiani a fare più vacanze in Italia.

Nei maggiori paesi europei, la crisi induce a frequentare maggiormente cinema, musei, eventi culturali. Ma nel nostro paese è iniziata una crisi nera per la cultura.

I tagli drastici al bilancio statale provocheranno in due-tre anni una caduta verticale dei servizi, delle aperture dei musei, dei restauri, della qualità della gestione e manutenzione del patrimonio. Va onestamente detto che la situazione non era florida con il nostro governo (il bilancio per Beni e attività culturali era pari allo 0,28% del Pil nel 2008); ma avevamo ripristinato le risorse tagliate in precedenza e varato riforme strutturali, come l’innovazione del tax credit e tax shelter per i finanziamenti al cinema, e il nuovo Codice del Paesaggio. In questa Legislatura, la crescita programmata delle risorse è stata rovesciata in tagli terrificanti, che coinvolgono il patrimonio, lo spettacolo, la produzione, per circa 1.400 milioni di euro nel triennio (solo la tutela ha le risorse ridotte per oltre un terzo nel 2009). Qualcuno dice: più che i quattrini pubblici, occorre stimolare quelli privati. Ma finora sono chiacchiere, e neppure un centesimo in più arriva da fonti private: la crisi economica riduce le sponsorizzazioni; nessun nuovo incentivo o defiscalizzazione viene messo in campo dal governo. Peggio: gli enti locali si trovano a dover ridurre i bilanci della cultura, mentre gli investimenti per quasi 1 miliardo di euro in cultura e turismo previsti nel Quadro Comunitario 2007-2013 restano bloccati.

Vengo alle proposte.
1) Il settore del turismo ha bisogno di una riforma istituzionale-organizzativa che permetta una strategia competitiva nazionale. Non la si farà mai con venti regioni che hanno la competenza costituzionale esclusiva e venti strategie separate; con lo Stato che investe pochi soldi (anche qui, il governo Prodi aveva raddoppiato le pur magre risorse). Restando le competenze attuali, affidarle nel governo a un vicepremier, un sottosegretario oppure un ministro non farebbe gran differenza. Per voltare pagina, ci vuole un accordo semplice: una modifica costituzionale di una sola riga - ho presentato da tempo la proposta in Senato - che consenta alle regioni di continuare a gestire i progetti di sviluppo, ma allo Stato di dettare la strategia nazionale. Con la crisi, e l’egoismo dei territori, i paesi competitori ci mangeranno vivi. E il taglio dei prezzi da parte degli albergatori - con l’Iva che resta troppo alta - sarà pagato inevitabilmente con decine di migliaia di posti di lavoro in meno.

2) Il mio garbato successore alla Cultura Bondi decida: se vuol fare il coordinatore del PdL e il ministro, e riesce così a conquistare più mezzi per la cultura, bene.
Ma se dedica meno tempo al ministero e non ottiene un euro in più, non vedo il vantaggio. Certo: un mandato di Legislatura può consentire buoni risultati organizzativi anche con risorse scarse; non certo con risorse (anche umane) falcidiate. Si può pensare a molte cose: un sistema di prenotazione unificato dei musei, tariffe differenziate (per orari, visite guidate e servizi «personalizzati»), un programma integrato per le città d’arte minori (oggi più danneggiate dalla crisi), una programmazione meglio coordinata di mostre e spettacoli. A un piano di incentivo - non di assistenza! - per la creazione di piccole cooperative per la prestazione di servizi nell’ambito del turismo culturale.

3) Infine: si prepari e si convochi una Conferenza nazionale per lo sviluppo del turismo e dell’economia della cultura. Un confronto costruttivo cui le opposizioni parlamentari non mancherebbero di contribuire. In questi comparti - integrati con la tutela del paesaggio e del mare, la promozione delle produzioni del territorio, cibi e vini in testa, i parchi, il termalismo, il benessere - possiamo tornare leader nel mondo. Se c’è una strategia credibile, è un’opportunità rara di sviluppo economico, sociale e civile, di occupazione stabile; e di motivazione a far conoscere meglio l’Italia agli italiani. Oggi stiamo galoppando all’indietro. Facciamo tesoro della crisi per riprendere la direzione giusta.


Ex ministro per i Beni e le attività culturali

 
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