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Autore Discussione: Inflazione, tre vie d'uscita  (Letto 2235 volte)
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« inserito:: Luglio 18, 2008, 05:50:29 pm »

18/7/2008
 
Inflazione, tre vie d'uscita
 
 
 
 
 
FRANCO BRUNI
 
Ieri alla Camera Tremonti ha ribadito la gravità della crisi in corso e le deboli prospettive di crescita. Il Fondo Monetario Internazionale ha confermato che l'Italia ha uno dei tassi di crescita più bassi attesi per il 2008 e 2009, in un mondo che comunque sta rallentando. La crescita particolarmente debole rende per noi più grave il problema dell'inflazione che accelera.

I dati sull'inflazione italiana comunicati dall'Istat martedì sono stati affiancati mercoledì da quelli di Eurostat e ieri, per tutto il mondo, da quelli del Fmi. Quasi dovunque gli aumenti dei prezzi si fanno più rapidi e diffusi. A qualcuno il 3.8% dei nostri prezzi al consumo può sembrare ancora contenuto, ma la percentuale cresce rapidamente, per il paniere degli acquisti più frequenti è quasi il 6%. L'inflazione è ormai al 4% nella media europea e in Usa, mentre in diversi Paesi emergenti è tornata a superare il 10%. L'inflazione è economicamente e socialmente costosa, aumenta i tassi di interesse, accresce il rischio di ogni scelta economica e ridistribuisce il reddito e la ricchezza in modo ingiusto e arbitrario.

L'idea che si tratti di un problema passeggero, legato a rincari insostenibili del petrolio e di altre materie prime, perde rilievo.

Anche se i prezzi alimentari ed energetici si ridimensionassero, il loro livello si è elevato in modo strutturale, dipende da movimenti di fondo della domanda e dell'offerta mondiali, colpisce il potere d'acquisto di tutti. Ha sempre meno senso trascurarlo consolandosi con l'inflazione cosiddetta «core», più bassa ma meno significativa. E' ormai arbitrario cercare di distinguere l'inflazione importata da quella di origine interna. La pressione inflazionistica si forma a livello globale, la politica monetaria che contribuisce a determinarla è decisa a livello europeo, l'intreccio delle esportazioni e importazioni è inestricabile e rende le dinamiche dei prezzi essenzialmente internazionali. L'inflazione aumenta anche perché il costo del lavoro nelle economie emergenti, dalle quali importiamo e dove delocalizziamo le produzioni, comincia a crescere in modo più normale. Se dovessimo davvero calcolare l'inflazione importata dovremmo togliere anche l'effetto di questo fenomeno dai nostri prezzi. Ma non sarebbe né sensato né utile.

Gli aumenti dei prezzi rimangono comunque diversi nei diversi Paesi, ciascuno dei quali deve reagire nel modo migliore alla pressione inflazionistica generale.
E' un compito che spetta alle autorità di politica economica, alle parti sociali e, in un certo senso, a ciascuno di noi, per il ruolo - anche minimo - che ha nell'influenzare i mercati e il clima di opinione dal quale dipende il loro funzionamento. Le parole d'ordine per moltiplicare gli anticorpi contro l'inflazione sono tre: flessibilità, concorrenza e produttività.

La flessibilità è necessaria perché l'economia mondiale cambia rapidamente. Cambiano la distribuzione geografica della produzione, i vantaggi comparati delle diverse regioni, le funzioni e i poteri dei governi nelle economie, le forze contrattuali delle categorie di percettori di reddito, le tecniche produttive e commerciali, i gusti dei consumatori. Quando tutto cambia, non possono rimaner fermi i rapporti fra i prezzi dei singoli beni e servizi, né la struttura funzionale, settoriale e territoriale dei salari e delle retribuzioni. Se questi rapporti si irrigidiscono, si ostacola in modo sterile il cambiamento e si dà spazio all'inflazione. Infatti, se un singolo prezzo o salario deve crescere, per un cambiamento di domanda o di produttività, la rigidità dei rapporti con gli altri prezzi e salari trascina anche questi all'aumento e provoca inflazione. Da questo punto di vista la flessibilità è il contrario dell'indicizzazione automatica dei salari. Ciò non significa, ovviamente, che nelle richieste salariali non si debba tener conto del potere d'acquisto della moneta in cui sono espressi.

La concorrenza è cruciale. Più un mercato è aperto e concorrenziale, meno protetti sono gli operatori che vi occupano posizioni dominanti, meno è automatico e immediato che le pressioni inflazionistiche generali si trasferiscano ai suoi prezzi. L'inflazione da potere di mercato è forse la peggiore e la più ingiusta. Il segreto per combatterla, come ha ben sottolineato la recente Relazione dell'Autorità antitrust italiana, è di non concentrarsi solo sui grandi monopolisti, ma entrare nel dettaglio dei poteri di mercato locali, colpendo le concertazioni e gli oligopoli che si formano anche fra le piccole e medie imprese, private e pubbliche.

La terza parola d'ordine è la produttività. Per frenare gli aumenti dei prezzi occorre produrre di più, meglio, a costi più bassi. E se occorre cambiare il prodotto o il lavoro che facciamo, e il modo con cui lo facciamo, dobbiamo disporci a farlo. E' ovvio che ogni sforzo in questo senso, anche piccolo, è un contributo a frenare l'inflazione.

Dobbiamo forse prepararci a convivere per qualche anno con un'inflazione più elevata di quanto sarebbe opportuno. Essa però sarà minore, meno persistente e nociva, nelle economie che sapranno primeggiare in flessibilità, concorrenza e produttività.

franco.bruni@unibocconi.it


da lastampa.it
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