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Autore Discussione: Bonino: «Processo equo per Bashir la Corte dell’Aja non usa il boia»  (Letto 2078 volte)
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« inserito:: Luglio 17, 2008, 11:19:04 pm »

Bonino: «Processo equo per Bashir la Corte dell’Aja non usa il boia»

Toni Fontana


Emma Bonino vice-presidente del Senato ed esponente radicale, è stata una dei protagonisti della conferenza che, il 17 luglio 1998, si concluse con l’approvazione dello Statuto di Roma e l’istituzione della Corte Penale internazionale. «10 anni fa - dice - venne definita la natura dei crimini di guerra e contro l’umanità. Una svolta storica, oggi viene incriminato il sudanese Al Bashir; se venisse arrestato verrebbe giudicato secondo i canoni dello stato di diritto e non quelli del tribunale speciale che, in Iraq, sta processando Tareq Aziz che rischia la pena di morte».

L’incriminazione di Al Bashir segna una svolta a 10 anni dalla nascita della Cpi. Secondo alcuni osservatori tuttavia si tratta di un passo azzardato e privo di effetti pratici..

«Per prima cosa vorrei sottolineare che Al Bashir, primo capo di Stato in esercizio ad essere accusato del crimine più odioso che la Corte contempli, quello di genocidio, in caso di arresto verrebbe giudicato secondi i canoni di uno stato di diritto, con due gradi di giudizio e senza la possibilità che gli sia comminata la pena di morte. Viceversa, dopo anni di reclusione segreta, Tareq Aziz, uno dei più stretti collaboratori di Saddam Hussein, è al momento sotto processo al Tribunale Speciale per l’Iraq, un organo non previsto dalla Costituzione irachena, accusato di crimini commessi come Ministro degli Esteri durante il regime Baathista. È probabile che verrà condannato a morte, senza poter usufruire di un processo imparziale. Al fine di evitare la sua esecuzione, Marco Pannella sta guidando un’azione internazionale non violenta volta ad impedirne l’esecuzione, come preconizzato peraltro dalla risoluzione sulla moratoria internazionale contro la pena capitale adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’otto dicembre scorso».

Al Bashir ben difficilmente verrà arrestato..

«Incriminare un Capo di Stato che gode di amicizie influenti, anche nel Consiglio di Sicurezza, è per così dire azzardato. D’altra parte, al Procuratore Ocampo è stato chiesto proprio dal Consiglio di Sicurezza di fare luce sulle responsabilità della pulizia etnica in corso in Darfur. Se le sue conclusioni sono queste, per chi crede e per chi si è battuto, come noi radicali, per l’affermazione del giustizia penale internazionale, occorre contrapporre a questo facile scetticismo la logica che ha condotto all’istituzione della Corte, e cioè basta impunità per chi si macchia dei più gravi crimini, siano essi capi di Stato o meno. Senza dimenticare che la corte ha una giurisdizione complementare e che il Consiglio di sicurezza, se vuole e pubblicamente, può assumersi la responsabilità di dilazionare per un anno il processo se questo dovesse facilitare il processo di pace, del quale, tuttavia, oggi non si vedono tracce significative».

Grandi paesi come Cina, Russa e Usa non hanno sottoscritto il Trattato di Roma. Ciò indebolisce l’attività ed i poteri della Corte?

«Certamente. Ecco perché guardo con attenzione alle elezioni americane di novembre che potrebbero determinare un mutamento decisivo, non solo per la posizione degli Stati Uniti, ma di tutti quei Paesi che l’amministrazione Bush ha "convinto" a non ratificare lo Statuto. L’assenza di Cina, Russia e di altri importanti paesi come India e Brasile, deve far moltiplicare gli sforzi per una piena universalità dello Statuto, di cui oggi celebriamo il Decennale, che ha il merito non solo di aver istituito la Corte ma di aver definito una volta per tutte la natura dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità e il genocidio, incardinandoli nelle norme di diritto internazionale».

L’Italia non ha ancora adeguato la sua legislazione, e, di conseguenza, Bashir non verrebbe arrestato se venisse a Roma..

«La posizione dell’Italia è davvero singolare perché, pur essendo tra i primi a ratificare lo Statuto, ad oggi non si è riusciti ad adeguare la normativa interna agli impegni che la ratifica comporta. Questa pericolosa inadempienza pone l’Italia nella condizione di non poter collaborare, qualora necessario, con la Corte. Così, se Bashir o un altro ricercato (penso per esempio al recente caso del congolese Jean-Pierre Bemba arrestato in Belgio su mandato della Corte) si trovasse in Italia, il nostro paese non sarebbe in grado di arrestarlo e di consegnarlo alla Corte. Proprio per il grande impegno e sforzo diplomatico assunto dall’Italia per giungere all’adozione dello Statuto e al raggiungimento delle 60 ratifiche necessarie per la sua entrata in vigore, che non a caso è conosciuto come "Statuto di Roma", Governo e Parlamento devono porsi come priorità questo atto dovuto che per troppo tempo è stato relegato tra gli affari di scarsa importanza. È una questione di credibilità e di conferma del ruolo forte e determinato del nostro paese per la tutela dei diritti umani e la promozione dei meccanismi della giustizia penale internazionale come strumento per porre fine all’impunità ovunque nel mondo».

Pubblicato il: 17.07.08
Modificato il: 17.07.08 alle ore 8.16   
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