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Autore Discussione: A Mindanao, prigione di padre Bossi dove l'Islam avanza nella giungla  (Letto 3077 volte)
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« inserito:: Luglio 14, 2007, 12:06:14 pm »

ESTERI

Nella foresta più fitta i ribelli "mori" detengono il missionario

Sull'isola di Jolo vescovo e preti possono girare solo con la scorta

A Mindanao, prigione di padre Bossi dove l'Islam avanza nella giungla

dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI

 
ZAMBOANGA (FILIPPINE) - Alloggio in una casetta di legno appollaiata sulle palafitte. L'unico rumore sono le onde che s'infrangono sulla spiaggia, dove frotte di granchi corrono tra gli scogli. Potrebbe essere un tranquillo resort su un'isola tropicale ma i turisti stranieri sono scappati da tempo. Il posto è deserto. "I soli che vedo qualche volta - dice il portiere - sono gruppetti di esperti militari americani che vengono dalla base vicina". Dietro questo mare alla periferia di Zamboanga City, a poche centinaia di metri da me nella foresta tropicale, il missionario italiano Giancarlo Bossi è in mano ai suoi sequestratori da più di un mese. Qui tutti sanno dov'è. Mi indicano con la mano un punto là vicino, in mezzo al verde. Tutti salvo i militari filippini, apparentemente, visto che sono incappati in una sanguinosa imboscata (14 soldati uccisi, di cui 10 decapitati) mentre a sentir loro stavano cercando padre Bossi in un'altra zona dell'isola di Mindanao. Padre Bossi potrebbe essere liberato a breve. Se i contatti con i suoi carcerieri avvengono nella discrezione. Oppure è in gravissimo pericolo, se i militari insistono a cercare la prova di forza e si va alla carneficina.

La vegetazione impenetrabile, i torrenti segreti, l'omertà della popolazione offrono condizioni ideali per il nascondiglio clandestino. "Altro che ostaggio di serie B - mi dice un missionario che segue le ricerche e scongiura di non citarlo per nome - la verità è diversa, più ne facciamo un caso internazionale più il suo prezzo sale. Qualunque gruppo che è in cerca di visibilità è attirato da noi missionari stranieri. Diventiamo delle prede ambite".

Qui a Zamboanga un sacerdote italiano, Salvatore Carzedda, fu ucciso nel 1992. Altri sono dovuti fuggire. Chi è rimasto sa di essere un bersaglio. Sull'isola di Jolo a mezz'ora di traghetto da Mindanao il vescovo e i preti cattolici ormai possono girare solo con la scorta militare. Proprio qui nelle Filippine, l'unico paese cattolico di tutta l'Asia (è battezzato l'85% della popolazione), la vita di molti preti è ormai appesa a un filo.

È diversa l'immagine delle Filippine che ti accoglie arrivando a Manila. La capitale esibisce molti segni esteriori di un piccolo boom economico: i grattacieli delle banche e gli hotel di lusso che si affollano nel centro direzionale di Makati Avenue, gli ingorghi di auto, i call-center delle multinazionali che delocalizzano anche qui grazie alla diffusione della lingua inglese. Con 90 milioni di abitanti, la quarta nazione dell'Estremo oriente ha un reddito pro capite uguale alla Cina, superiore all'Indonesia, il doppio del Vietnam. In quanto al cattolicesimo, sembra regnare indisturbato. A Manila le chiese ti accompagnano dappertutto, dalla cattedrale spagnola gremita di cerimonie a ogni ora del giorno fino all'aeroporto dove ti accoglie la parrocchia Our Lady of the Airways (Nostra Signora delle Linee aeree). Gli esercizi commerciali hanno nomi come Hardware Blessed Faith (Ferramenta Fede benedetta). Le agenzie di viaggi si chiamano Apostolic Travel anche se non si occupano di pellegrinaggi. Le simpatiche jeepneys che sono il simbolo di questo paese - scassatissimi taxi collettivi dal muso di jeep, colorati come un carnevale di Rio - portano i nomi di Gesù Maria e tutti i Santi. Ma basta grattare dietro l'apparenza sorridente e gentile, e Manila scopre il volto di una città blindata. Le guardie giurate presidiano i metal detector anti-bomba all'ingresso degli alberghi e dei supermercati. Il governo annuncia una legge antiterrorismo che darebbe carta bianca alle forze armate, in un paese dove le Nazioni Unite e l'Unione europea denunciano oltre 800 esecuzioni sommarie, 58 giornalisti uccisi (un triste record mondiale) in cinque anni.

L'epicentro della tensione è qui a Mindanao, l'unica isola dove la popolazione musulmana è il 35%, con insediamenti a chiazze di leopardo e zone dove gli islamici arrivano al 90%. La diversità di Mindanao ha radici molto antiche. Quando sbarcò Magellano nel 1521, scoprì che due secoli prima lo avevano preceduto i predicatori musulmani dall'Indonesia. Quando il re di Spagna Filippo II si appropriò di queste isole affibbiandogli il proprio nome nel 1565, la flotta dell'ammiraglio Miguel Lopez de Legazpi si trovò di fronte un avversario che conosceva molto bene. Erano passati appena pochi decenni da quando la Reconquista ispanica aveva cacciato gli arabi dall'Andalusia. E qui gli spagnoli furono subito alle prese col sultanato maomettano di Jolo, ponte strategico fra Mindanao e l'Indonesia. La sfida tra il cristianesimo e l'islam si riproduceva identica; la linea del conflitto che aveva insanguinato la vecchia Europa attraversava queste settemila isole in capo al mondo. Gli spagnoli li chiamarono subito "moros", come quelli di casa loro. Cinque secoli dopo l'appellativo è diventato una bandiera, impugnata con orgoglio da due movimenti armati, il Moro National Liberation Front e il Moro Islamic Liberation Front. Questa è la nostra terra e voi cristiani l'avete occupata: è la scorciatoia storica semplificata con cui la guerriglia si dà radici e nobiltà, evoca una rivincita su Cordoba e Granada. Solo a Mindanao 120mila morti in dieci anni, è il bilancio spaventoso di questa guerra che vuol essere il riscatto dei soprusi subiti dagli antenati, che ha partorito la scheggia più violenta col movimento Abu Sayyaf, cioè "la Spada di Dio" in arabo.

A Manila non lo hanno capito, ma per padre Bossi e per i suoi confratelli rimasti coraggiosamente a Mindanao i campanelli d'allarme si moltiplicavano da tempo con un crescendo impressionante. Gli anni '50 e '60 sono stati l'ultima èra di serena convivenza tra le comunità religiose, quando Mindanao viveva al suo ritmo placido di isola di pescatori, lontana dagli avvenimenti internazionali. Ma con gli anni '70 arrivarono i primi echi del nazionalismo arabo di Nasser, nacque il movimento armato Mnlf che il dittatore Marcos usò come pretesto per inasprire la repressione, in una sequenza di stragi che hanno lasciato ferite mai rimarginate. Negli anni 90 in Abu Sayyaf è emersa la nuova generazione di terroristi formati coi talebani in Afghanistan: Osama Bin Laden è stato nelle Filippine, qui ha anche preso moglie.

Nell'ultimo quindicennio il fondamentalismo islamico ha fatto breccia cogliendo impreparata una gerarchia cattolica troppo sicura di sé, legata a doppio filo coi governi. Oggi solo a Zamboanga, città di appena 700mila abitanti, ci sono cento moschee e aumentano a vista d'occhio le donne col velo (usanza un tempo sconosciuta). L'anello di congiunzione con le tensioni internazionali è una generazione di giovanissimi studenti islamici, partiti a formarsi nelle università teologiche del Pakistan, dell'Arabia saudita, dell'Egitto, della Siria. "Tornano dal Medio oriente contagiati - dice il missionario che sta seguendo il sequestro Bossi - , sono intellettualmente agguerriti, intimidiscono i leader islamici anziani più moderati". Disdegnano altri lavori per dedicarsi a tempo pieno alla religione. La loro vocazione si chiama dawa, "proselitismo". Vanno a caccia di cristiani da trasformare in balik: "ritornati all'islam".

Si è istruito in Siria il nuovo leader di Abu Sayyaf, Yasser Igasan, di cui il generale Romeo Tolentino dice: "Più che un capo guerrigliero è una guida spirituale carismatica, la sua cultura religiosa gli dà autorità sugli altri". Due dei terroristi che provocarono la strage nelle discoteche di Bali (2002) avrebbero trovato asilo qui nella giungla di Mindanao. L'attentato più cruento che porta la firma di Abu Sayyaf è del 2004: un bomba su un traghetto per pendolari, più di 100 morti. I consiglieri militari Usa sono ossessionati dalla saldatura di una micidiale alleanza operativa tra la guerriglia filippina e la Jemaah Islamiah indonesiana. L'America è abituata a considerare le Filippine come l'alleato più docile di questa zona del mondo: fu l'unica vera colonia degli Stati Uniti, dal 1898 al 1935, poi teatro di un trionfale ritorno del generale Douglas MacArthur contro i giapponesi.

Oggi Washington spinge il governo di Gloria Macapagal-Arroyo a una guerra senza quartiere contro il terrorismo, noncurante degli allarmi sulla situazione dei diritti umani. Ma dietro lo scontro religioso altri squilibri alimentano l'instabilità. Il responsabile della Banca mondiale a Manila, Joachim von Amsberg, parla di "malgoverno, cronica debolezza delle istituzioni, collusioni tra politica e affari, fallimento dello Stato nel fornire i servizi pubblici essenziali". È la ragione per cui un decimo dei filippini sono costretti a emigrare all'estero in cerca di lavoro, fornendo colf all'Italia, infermiere al Canada, insegnanti d'inglese a Pechino, muratori negli Emirati arabi. Il più alto tasso di natalità di tutta l'Asia porterà la popolazione a raddoppiarsi in soli trent'anni, ma il controllo delle nascite è un tabù che i governi non osano affrontare per non inimicarsi le gerarchie ecclesiali. Le diseguaglianze sociali sono agli estremi: il 42% della popolazione vive sotto la soglia della povertà assoluta (2 dollari al giorno).

La violenza è endemica nella vita politica. E i sacerdoti sul fronte del pericolo non sono solo quelli delle aree islamiche. Un prete italiano, Tullio Favale, fu ucciso nel 1985 dai militari perché considerato troppo "di sinistra". Un suo confratello filippino ha pagato con la vita la campagna contro le devastazioni ambientali delle grandi aziende del legname. Oggi nel mirino c'è un altro prete filippino impegnato, Ed Panlilio. Per combattere la potentissima mafia del gioco d'azzardo che ha sui suoi libri-paga molti politici, a maggio il 53enne padre Panlilio si è candidato alle elezioni locali a Pampanga, la Las Vegas filippina. Nonostante i vertici della Chiesa locale lo abbiano sospeso lui ha stravinto, plebiscitato dall'entusiasmo popolare ha sconfitto i vecchi notabili della zona. Appena si è insediato, il suo braccio destro è stato ucciso in un'esecuzione mafiosa.


3 (14 luglio 2007) 

da repubblica.it
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