Lidia Ravera
Scrittrice. Assessore Cultura, Politiche giovanili
Femminicidio, la violenza sulle donne è un problema degli uomini
Pubblicato: 14/10/2013 11:16
Ho sempre considerato asfittico il recinto degli argomenti "da donne". Una vita a farti interpellare sugli asili, la moda, i sentimenti. Al massimo l'aborto e il divorzio (più sul personale che sul politico). E poi ancora la bellezza, le dive, il gossip. Domande epocali, tipo: preferisci l'uomo in boxer o in slip?
La letteratura ridotta a: esiste una scrittura femminile oppure no? La politica ridotta a: ma tu sei d'accordo con le quote rosa o ti offendi perché ti senti panda (l'animaletto, non l'utilitaria)?
Essendo persona nota e quindi "attenzionata dai media" dal lontano 1976 ho masticato risposte per decenni. Da un po' di tempo il più gettonato fra i "temi delle donne" riguarda, purtroppo, un dramma epocale e non un vissuto/verità o una sublime frivolezza: il femminicidio, neologismo doloroso che rimanda a un fenomeno radicato nella storia della relazione fra i sessi.
È di ieri l'altro l'approvazione di un decreto legge che inasprisce le pene per gli stalker, prevede una rigida prevenzione, sostiene finalmente le vittime potenziali, prima che la distrazione del mondo le condanni a morte.
Bene. Non sarà risolutivo, ma è già qualcosa.
La Repubblica, 12 ottobre: va in stampa una pagina (la dodicesima) di soddisfazione politica per il decreto legge, in basso al centro c'è l'ultima notizia: "Savona, non accettava la separazione: uccide la moglie e si spara".
Un titolo tragicamente consueto, ma cerchiamo di non considerarlo normale. Non abituiamoci, come ci abituiamo, dopo aver piagnucolato un po', a tutte le catastrofi ricorrenti (vedi barconi che rovesciano donne uomini e bambini, al largo della Sicilia).
Proviamo a non abituarci, e, come chi non si abitua, proviamo a porci qualche domanda. Per esempio: siamo sicuri che basti una buona legge? Io no. Io credo che i femminicidi/suicidi raccontino, più che la vulnerabilità femminile, la fragilità maschile. La terribile debolezza dei maschi.
Io credo che covi da anni, questa malattia non diagnosticata. Da quando le donne, un trentennio prima della fine del secolo scorso, hanno incominciato a ridefinire il loro ruolo nel teatro delle relazioni. Non più soltanto oggetti di desiderio altrui, costrette ad agghindarsi e apparecchiarsi e, eventualmente, annullarsi, pur di non correre il rischio di non essere scelte.
Non più funzioni di vite altre, addette alla manutenzione dell'eros o della prole, ma titolari del diritto di desiderare e scegliere, di sbagliare e interrompere e riprovare. Come gli uomini. Chi è nato dopo non lo sa, ma c'era un tempo in cui le donne venivano comunemente ritenute inferiori. Socialmente erano accettate in quanto figlie, fidanzate, mogli.
Dall'uomo prendevano cognome e collocazione nella scala sociale, sostentamento e protezione. Se tradivano l'uomo che le aveva collocate sostenute e protette, finivano in galera (abbandono del tetto coniugale), fino al 1963.
Se l'uomo, divenuto marito, le tradiva, abbozzavano, perché rientrava nei diritti collaterali di lui, distrarsi con altre. Abbozzavano perché non avevano, tranne rari casi, altro tetto che quello coniugale, sopra la testa. Il dominio maschile era così indiscusso che le separazioni, i divorzi, erano molto meno frequenti di quanto siano oggi. Per gli uomini non c'era convenienza a rompere il matrimonio, le donne non se lo potevano permettere.
Negli anni che innescarono il grande cambiamento, ero una ragazzina, insieme ad una bella percentuale delle infaticabili donne mature del presente. I nostri boyfriends furono i primi a far le spese della rivoluzione fra i sessi. Di colpo, le fanciulle parlavano, amavano, lasciavano. Non difendevano più la loro verginità, avendo sdoganato (grazie dottor Pinkus!) la sessualità dalla riproduzione. Non si relegavano più al ruolo di prede. Si facevano attive, desideravano, guardavano, giudicavano, ridevano. Ogni relazione amorosa si trasformò, in quegli anni, in una palestra dialettica (leggete il magnifico "Vai pure" di Carla Lonzi, ripubblicato recentemente da Et-al). I maschi "maturi" di oggi, hanno, nella maggior parte, fatto tesoro di quegli scontri verbali e carnali.
A nessuno di loro verrebbe in mente di sparare invece che divorziare. I più giovani, senza l'allenamento di una fidanzata femminista negli anni in cui la fatica era anche divertente, si ritrovano in casa donne non arrese, non subalterne.
In superficie, tocca essere tutti d'accordo sulla parità, le pari opportunità, l'equipollenza e le pari dimensioni dei cervelli. Ma sotto, nel profondo, è annidata ancora la vecchia cultura. Io sono un uomo e lei è mia. Non sarà mai di qualcun altro. Piuttosto la ammazzo. Piuttosto mi ammazzo.
E così via. Il femminicidio, vi assicuro, non è un tema per donne. E non è neanche un problema delle donne. È un problema degli uomini. Sono loro che devono riunirsi in piccoli gruppi, tematizzare la loro angoscia, descrivere la perdita di potere nel privato, che subiscono senza parlarne da decenni. Sono loro che devono commentare e approfondire il fenomeno del femminicidio. La violenza contro le donne, non è un problema nostro. È un problema loro.
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