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Autore Discussione: Berlusconi al Quirinale? Cominciamo a dire no  (Letto 4083 volte)
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« inserito:: Luglio 05, 2008, 05:13:05 pm »

Berlusconi al Quirinale? Cominciamo a dire no

Pancho Pardi


È necessario aprire subito una larga battaglia di opinione in tutta la società. Berlusconi ha più volte lasciato capire che considera naturale coronamento del suo quinquennio di governo l’ascesa alla presidenza della Repubblica. Tutti coloro che ritengono inaccettabile questa prospettiva hanno il dovere di dirlo e spiegarne le ragioni. Il compito si misura con una difficoltà: molti nel Partito Democratico hanno manifestato a lungo indifferenza e addirittura compiacenza. La vittoria elettorale ha poi spinto qualcuno a considerare l’ascesa di Berlusconi al Quirinale come evento inevitabile, per di più motivato dal nuovo atteggiamento magnanimo del capo del governo. Voglio illustrare le ragioni per cui ci si dovrà opporre con la massima convinzione.

La prima riguarda l’anomalia istituzionale. Berlusconi non era eleggibile e lo è diventato solo perché è stato eletto; non era compatibile con l’esercizio del potere politico e lo è diventato solo perché l’ha esercitato. La potenza del fatto compiuto ha negato la forza del diritto. I suoi apologeti dicono: ma è stato votato dal popolo. Si deve ribattere: a causa della sua condizione originaria di possessore di mezzi di comunicazione non aveva alcun diritto a essere eletto.

Un monopolista televisivo al vertice del potere politico è un’eventualità impossibile in qualsiasi altra democrazia. In tutti gli altri Paesi democratici chi ha il potere può al massimo cercare e ottenere il sostegno da parte di chi ha quel possesso: i soggetti sono sempre in ogni caso almeno due e non possono coincidere nella stessa persona. E si trascurano qui di proposito gli aspetti degenerativi come la capillare penetrazione dei dirigenti Mediaset dentro la Rai, mentre non è dato alcun caso opposto. Il centrosinistra non ha mai voluto capire e fronteggiare questa elementare anomalia, ne è stato sconfitto e ora giace in condizione subordinata. Ma non c’è alcuna ragione perché si debba tollerare che l’anomalia, dopo aver inquinato l’intera politica italiana, salga alla massima carica dello Stato. Solo dopo aver considerato questa ragione principale si possono esaminare le ragioni accessorie.

Berlusconi è stato più volte ed è ancora imputato per vari reati. Ma, dicono ancora i suoi sostenitori, non è mai stato condannato. Non è vero, perché fu condannato all’inizio per falsa testimonianza ma la condanna fu subito cancellata da una provvidenziale amnistia. Amnistia a parte, quel reato non è precisamente un titolo di merito per un aspirante statista. Ma c’è molto di più. Berlusconi è uscito indenne da numerosi processi perché, tramite i suoi avvocati-deputati, li ha più volte pilotati fino alla prescrizione, e perché in altri casi ha imposto alla sua maggioranza mutamenti appropriati nelle leggi che li disciplinavano. In un caso grottesco ha ottenuto le attenuanti generiche proprio in virtù del suo ruolo di capo del governo!

La terza ragione collegata alla precedente è che Berlusconi non ha mai avuto alcun rispetto per l’autonomia della magistratura. Clinton, accusato di non aver detto la verità su una vicenda tutta privata e tenuto per questo anni sulla graticola, non si è mai neanche sognato di accusare l’autorità che lo inquisiva. Al contrario Berlusconi ha trasformato ogni sua vicenda giudiziaria in uno scontro di natura istituzionale capace di scuotere alle fondamenta l’edificio repubblicano.

La quarta ragione è che, dopo una breve parentesi di apparente moderazione, ha ricominciato l’offensiva: il mafioso Mangano è un eroe mentre i magistrati che lo inquisiscono sono la metastasi della democrazia. Con quella bocca può dire quel che vuole e le grandi firme della finta equidistanza non battono ciglio.

La quinta ragione è che pretende di essere sciolto dal vincolo delle leggi: sono stato scelto da popolo quindi faccio quel che mi pare. Qui si annida un virus più pericoloso del conflitto d’interessi. La democrazia ridotta alla scelta del leader: il popolo consegna la sua sovranità al capo, si identifica con lui. Il capo è sintesi della volontà popolare e ogni offesa a lui è offesa alla volontà popolare. Rapporto diretto, ma a senso unico, tra capo e popolo: preso sul serio riduce le assemblee elettive a parvenza insignificante. E difatti alla sua volontà si uniforma prona la sua maggioranza. Diventa decisivo che l’opposizione si opponga a quella volontà. Ha senso discutere con essa di rafforzamento del potere esecutivo, fino a che non è scongiurato il pericolo che il potere rafforzato cada nelle sue mani? E il suo attuale non è già abbastanza forte, irrobustito com’è da un potere extraistituzionale pervasivo e senza controllo? Si può dunque solo immaginare che un soggetto simile possa pensare di occupare il Quirinale per sette anni? Non è improbabile che qualche stratega del centrosinistra pensi che questo sia il solo modo di toglierselo di torno: privo del suo leader il centrodestra perderebbe le successive elezioni e l’attuale opposizione tornerebbe al governo. È calcolo al tempo stesso cinico e velleitario. Si patirebbe una lesione incalcolabile alla natura della repubblica e si sottovaluta un rischio formidabile: che il prestigio dell?ascesa rafforzi invece di indebolire la sua coalizione. Meglio non illudersi, meglio aprire fin da ora una limpida battaglia culturale: in un Paese democratico, un monopolista televisivo, anche non inseguito da vicende giudiziarie, non può salire alla massima carica dello Stato. Accettarlo sarebbe una vergogna nazionale incancellabile.

www.liberacittadinanza.it


Pubblicato il: 05.07.08
Modificato il: 05.07.08 alle ore 15.27   
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 06, 2008, 09:35:24 pm »

6/7/2008
 
Urgente governare senza urgenza
 
 
MICHELE AINIS
 

Berlusconi si è espresso fin qui con un’orgia di decreti è come se vivesse in un’emergenza permanente: questo vizio droga la politica e stressa le istituzioni

Niente decreto legge sulle intercettazioni: la non notizia, in questo caso, è una notizia. Perché il piglio decisionista del governo Berlusconi fin qui si è espresso attraverso un’orgia di decreti, avendone inanellati una decina in meno di due mesi. E perché il Partito democratico ormai presidia soltanto quest’ultima trincea, quest’ultima pericolante barricata. Non s’oppone al merito dei provvedimenti varati dall’esecutivo, bensì piuttosto al metodo, allo strumento normativo.

La blocca-processi? Giammai con un doppio emendamento al decreto sulla sicurezza. Il lodo Alfano? Sì, o forse nì, ma certamente no con un decreto. La stretta sulle intercettazioni? Giusta anche quella, se si segue però la via parlamentare. Il decreto no, giacché la Costituzione ne restringe l’uso a «casi straordinari di necessità e d’urgenza». Insomma l’opposizione non contesta le ragioni del governo; si limita a negarne l’urgenza, la priorità in agenda. Sicché in ultimo una questione di diritto costituzionale diventa una questione politica, ed anzi assorbe tutta la politica.

È una situazione inedita, così come l’allarme che Palazzo Chigi applica ai più vari accidenti. Traendone argomento non solo - e per esempio - allo scopo di timbrare un decreto legge urgente sulla magistratura onoraria (il 30 maggio), ma inoltre cinque decreti del premier nell’ultimo Consiglio dei ministri, che dichiarano lo stato d’emergenza in altrettante località del Belpaese, e che s’aggiungono ai quattordici già approvati in precedenza. A scorrerne l’elenco, parrebbe che un’onda di tsunami si sia rovesciata sull’intero territorio nazionale, da Bari a Forlì, da Frosinone a Ischia, da Roma a Pompei. E c’è infine l’ordinanza di protezione civile - anch’essa firmata dal presidente del Consiglio - che ha disposto la schedatura degli zingari, compresi i bambini: un altro attrezzo normativo congegnato per fronteggiare le catastrofi, le calamità naturali, ma che è stato viceversa curvato dal governo in nome d’una necessità tutta politica.

La necessità - diceva William Pitt, primo ministro inglese durante la seconda metà del Settecento - è l’argomento dei tiranni, ed è anche il credo degli schiavi. La storia gli ha dato ragione molte volte. Ciò non toglie che uno stato di necessità possa ben giustificare decisioni straordinarie, poteri eccezionali: dopotutto anche nella Costituzione italiana l’emergenza rappresenta un limite ai diritti, perché sospende le garanzie di libertà. E allora chi, se non il governo in carica, dovrebbe dichiararla? «Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione», recita un celebre aforisma di Carl Schmitt; e nelle democrazie è sovrano l’organo investito da un mandato popolare. Non ha quindi diritto questo medesimo sovrano a stabilire la lista delle urgenze nazionali? E non è forse la decisione sull’urgenza, su quanto reclama cure rapide e incisive, la più politica fra le decisioni di governo? Naturalmente sì, ci mancherebbe: non è l’opposizione a dettare l’agenda di governo. Ma se l’urgenza deborda in emergenza, e se l’emergenza diventa a propria volta un grimaldello per scardinare l’ordine delle competenze e dei poteri, allora anche quest’ultima soggiace alle regole dello Stato di diritto. Così, la necessità invocata da un decreto legge non può suonare apodittica o arbitraria, ha detto la Consulta nel 2007. Ma soprattutto nessuna emergenza è per definizione permanente, o riferibile all’universo mondo. È questo il vizio giuridico del governo Berlusconi, e tale vizio in conclusione droga la politica, stressa le istituzioni, impedisce di concepire programmi a lungo raggio, senza l’affanno dell’urgenza quotidiana. Ecco perché, dopo due mesi d’esperienza, è ormai diventato urgente governare senza urgenza.

micheleainis@tin.it

da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 09, 2008, 11:13:30 pm »

POLITICA IL RACCONTO

Quell'accusa alla Carfagna

 

di FILIPPO CECCARELLI

A Piazza Navona, all'imbrunire, il testacoda dell'antiberlusconismo che prima curva nel turpiloquio, prende ardore e velocità nello spettacolo, poi sbanda nella gara a quale artista del palcoscenico le spara più grosse. Quindi si rovescia su stesso, fino a perdersi nel delirio a sfondo apocalittico, sessuale, teologico e pagliaccesco. E addio politica, allora, addio opposizione, addio civiltà e addio a tutti. Sul proscenio della manifestazione contro le leggi vergogna restano così solo i comici, i predicatori, gli arcangeli del sarcasmo e le poesie anche rimarchevoli, ma pur sempre pregiudizialmente "incivili" di Camilleri. Sono loro, beninteso, che riempiono le piazze. Ma poi, dopo l'incendio?

Divampa tutto in meno di un'ora. Camilleri, in versi, accenna alle "sgualdrinelle che confortano le sue notti" e pizzica appena il Vaticano che lo ha invitato: "Pecunia, antica saggezza, non olet". Il cabaret avvelenato di Marco Travaglio riesce ancora tenersi all'interno di un discorsi su di "Lui", il Cavaliere, le mogli, la richiesta di poter fare la comunione, i modi in cui promuove la classe dirigente, specie quella femminile, "le sue quote rosa". Poi "Pronto? Pronto?", ecco Grillo, gli è saltato il collegamento video. Perizia d'attore lo porta a denunciare un incidente sospetto. E' una voce, la sua, sempre più esagitata, come dall'aldilà. "Italiani!" grida, e in crescendo strappa il velo della grande menzogna.

Lui veramente grida: "E' tutta una presa per il culo!", lo Stato è fallito, il paese non c'è più, la politica è finita, gli assassini sul lavoro, i licenziamenti in arrivo, i veleni Ogm, il disastro energetico alle porte, ce n'è pure per la "fica in leasing", le ministre che la danno, Fini in barca con Tronchetti Provera, "le rovine, le rovine...", il compleanno di Morfeo Napolitano a Capri, "io non ne voglio più sapere", "fatevi un bel passaporto e andate tutti a fanculo!".

Folle accaldate e cariche di aspettative esprimono il loro pieno consenso. Fino a quel momento si sono un po' annoiate. I comizi politici lasciano ormai il tempo che trovano. La televisione impone protagonismi, euforia, emozioni e anche volgarità, se è il caso. Ma sotto il palco Di Pietro comincia a fremere; e Paolo Flores si fa più pallido del solito. Nel cielo, sopra la fontana dei fiumi in restauro, volteggiano terribili e rumorosi gabbiani, così diversi da quelli che i notabili dell'Italia dei Valori esibiscono all'occhiello in forma di civettuola spilletta.

In una vita pubblica che sempre più vive di spettacoli la rivalità fra gli attori, la gara a chi è la prima donna, è una variabile che gli organizzatori della manifestazione non hanno evidentemente calcolato. Perciò Sabina Guzzanti raggiunge il podio, saluta, si schiarisce la gola, sorride appena e attacca un paio di strofe di canzoni d'osteria. Si capisce subito che le intercettazioni sono un bocconcino prelibato e che la questione Carfagna verrà portata alle estreme conseguenze in un vorticoso giro di parti anatomiche, pratiche innominabili, storielle di sesso, rimandi a dicerie sul coccolone di Bossi. Si capisce che si va a parare sulle Pari Opportunità, ma lei riesce lo stesso a sorprendere il pubblico gridando il suo iroso sdegno contro le assai primarie motivazioni che hanno spinto Berlusconi ad assegnare alla Carfagna quell'incarico.

Al confronto Beppe Grillo sembra un'educanda. Sul Papa la Guzzanti è già planata, valutandone il trapasso all'inferno e ricostruendone la probabile pena laggiù, con demoni omosessuali ("attivissimi" specifica) che lo tormentino. Si avvicina intanto il temerario presentatore Mattia Stella, nel ruolo del bravo ragazzo, e lei praticamente lo caccia, "non ho finito, ho aspettato là dietro sette ore...". Di Pietro si aggira nel backstage come una fiera al bioparco. Deve ancora affrontare la faccenda dei potenti che vanno con le prostitute perché si drogano, perché "pippano", ma Berlusconi no, lui si strafà di Viagra. In questo "porco paese".

Nulla del genere si era mai visto e ascoltato, a memoria di osservatore. Ci si sorprende a pensare che continuano a spostarsi e a strapparsi i confini della vita pubblica. Dall'indignazione all'incazzatura con divagazioni sessuali e religiose è un passaggio che trascende il linguaggio per un movimento senza nome, senza destino e senza confini.

Una piazza evoluta e insieme regressiva. Un frullatore di storie di pubblica intimità. Berlusconi è lo specchio di tutto questo. Forse farebbe bene a preoccuparsi. Ma forse potrebbe perfino compiacersene.

(9 luglio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 09, 2008, 11:16:08 pm »

Promozioni, vallette e 007 quel pasticciaccio Silvio-Sanjust


Roberto Cotroneo


Questa non è mica una storia come le altre. E soprattutto questa è una storia su cui bisogna fare chiarezza, senza ombre e senza che rimanga il benché minimo dubbio. Perché riguarda Silvio Berlusconi come presidente del Consiglio, i servizi segreti, la Rai, e molto altro.

Ed è una storia che se verrà confermata, darà molti guai al premier, assai peggiori di tutte le intercettazioni, delle battute boccaccesche sussurrate a mezza voce, dei gossip soliti che alla fine non fanno che scaldare troppo un’estate come tante.

La racconta ieri Giovanni Valentini su Repubblica, esaminando le carte che sono all’esame del Tribunale dei ministri, al quale è arrivata questa vicenda, e che deve decidere se archiviare oppure no. Sperando che il verbo archiviare non coincida con il verbo insabbiare.

Secondo le carte, la storia comincia il 29 settembre del 2003. Silvio Berlusconi è il presidente del Consiglio. Quel giorno tra l’altro è anche il suo compleanno, compie 67 anni. Decide di andare in televisione, in Rai, a reti unificate per illustrare al popolo italiano la sua riforma delle pensioni. Niente di particolare, ma ad annunciare l’intervento del presidente Berlusconi c’è una giovane ragazza che di nome fa Virginia Sanjust di Teulada. Lei ha 26 anni ed è molto graziosa. Berlusconi tornato a Palazzo Chigi si informa sulla ragazza e per ringraziarla chiede a una sua collaboratrice di avere il suo indirizzo per mandarle un mazzo di fiori.

Nel pomeriggio, in piazza Campo dei Fiori, arriva un mazzo di fiori con bigliettino del presidente del Consiglio. In quel momento nella casa ci sono tre persone. Federico Armati, ex marito della ragazza e agente del Sisde alle dipendenze della presidenza del Consiglio, e altri due amici. Armati, che è stato sposato con Virginia per poco più di un anno, e che ha avuto un figlio con lei, la invita a chiamare subito palazzo Chigi per ringraziare a sua volta il presidente. La ragazza chiama, risponde una segretaria, lascia un nome e un numero di telefono, e tempo cinque minuti le arriva una telefonata, direttamente sul suo cellulare da Silvio Berlusconi che la invita a pranzo a palazzo Chigi per il giorno dopo.

Bene. Al pranzo con Virginia, che tra l’altro è la nipote dell’attore Franco Interlenghi e di Antonella Lualdi, ci sono Gianni Letta e Giulio Tremonti. E alla fine del pranzo Berlusconi invita la ragazza a seguirlo nel suo studio privato. Qui le regala un bracciale di diamanti e le chiede di cosa ha bisogno. Lei risponde sicura: una promozione per l’ex marito che è un agente dei servizi. Berlusconi prende appunti. Da questo momento nasce una relazione di amicizia tra Berlusconi e la giovane ragazza, al punto che Berlusconi pensa di utilizzarla come volto di Forza Italia, probabilmente perché ha un viso giovane e fresco, particolarmente adatto all’immagine degli azzurri.

Nel frattempo si occupa dell’ex marito e della carriera di Virginia in Rai. Per lui è pronta una promozione, datata 11 novembre, dunque meno di un mese e mezzo da quell’incontro, che viene comunicata da Berlusconi in persona alla ragazza con una telefonata, prima ancora che l’interessato ne venisse informato. Per lei un programma che si chiama Oltremoda, dove Virginia Sanjust subentra a Fernanda Lessa. Secondo l’avvocato Niccolò Ghedini Berlusconi non si sarebbe mai interessato della carriera di Federico Armati nei servizi. Il problema però è un altro. E qui viene il punto delicato.

Tutta questa vicenda arriva al Tribunale dei ministri perché c’è una denuncia per abuso d’ufficio e maltrattamenti presentata da Federico Armati contro Berlusconi, che a sentire lui, lo avrebbe mobbizzato. Berlusconi viene iscritto nel registro degli indagati. La procura di Roma chiede l’archiviazione, ma nel frattempo Armati deposita una memoria completa su come, a suo avviso, si sono svolti i fatti. E cosa è successo dopo la promozione di Armati, comunicata da Berlusconi in persona. È accaduto che secondo Armati, è nata una intensa relazione tra Berlusconi e la Sanjust. Una relazione fatta di inviti in Sardegna, telefonate anche notturne, gioielli e molto denaro.

Ma a un certo punto Armati ha una violenta lite con la ex moglie e, secondo quanto dice lui, lei lo minaccia di danneggiarlo professionalmente. Così quella promozione deve essere cancellata. Detto, e fatto. Secondo quanto dicono le carte, Armati viene spedito al ministero della Giustizia e destinato alla cancelleria presso la Corte di Cassazione: e il suo stipendio si riduce da 4.481 euro a 1.700 mensili.

Federico Armati è pronto a scrivere una memoria, con una serie di rivelazioni proprio alla vigilia delle elezioni del 2006, ma qualcuno provvede, e lui viene trasferito al Cesis, che è il comitato che coordina i servizi, con lo stipendio che passa da 1700 euro a 5.500 euro. La memoria di Armati non viene mai consegnata, ovviamente.

Ora, questo è il materiale che è arrivato al Tribunale dei ministri. Abbiamo un presidente del Consiglio che potrebbe aver subito un procedimento ricattatorio ed estorsivo, ma di fronte a questo la procura di Roma ha ritenuto di archiviare il caso, nonostante esista una notizia criminis. Abbiamo anche un’annunciatrice che avrebbe potuto far carriera per le raccomandazioni di un Berlusconi che in questo caso era il presidente del Consiglio dei ministri, e non il capo dell’opposizione, come invece nella vicenda delle telefonate di Saccà. Abbiamo in gioco gli apparati dello Stato, e in particolare i più delicati, ovvero i servizi segreti.

Federico Armati, ha consegnato la memoria integrale su cui dovrà pronunciarsi il tribunale dei ministri solo da poco tempo. L’avvocato del premier dice che tutto sarà archiviato, e che la faccenda non lo preoccupa. Ma intanto se tutto dovesse mai essere confermato, non si potrà che arrivare alle dimissioni di Berlusconi.

Qui non si tratta di battute goliardiche al telefono, o altro ancora. Tra l’altro Virginia Sanjust di Teulada, a un certo punto si dimette da annunciatrice Rai, rinuncia al programma Oltremoda, e si ritira a una condotta di vita riservatissima. Nel senso che oggi non è possibile parlarle e contattarla, non ha più fatto apparizioni pubbliche e la sua carriera sembra svanita nel nulla. Se verrà dimostrato che tutta questa storia è falsa sarà nient’altro che una brutta vicenda molto torbida. Se invece gli elementi risulteranno veri, allora la storia diventerebbe drammatica per il premier, nonostante i suoi fiori, i suoi gioielli, le sue telefonate galanti, le promozioni facili, i servizi segreti, e le memorie scritte che spariscono prima delle elezioni e dopo nuove promozioni, i tentativi di estorsione e i ricatti.

www.robertocotroneo.net


Pubblicato il: 09.07.08
Modificato il: 09.07.08 alle ore 13.13   
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