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Autore Discussione: Cento costituzionalisti, no a lodo e blocca-processi  (Letto 2912 volte)
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« inserito:: Luglio 04, 2008, 07:35:38 am »

2008-07-03 19:01

Cento costituzionalisti, no a lodo e blocca-processi


ROMA - Cento costituzionalisti bocciano l'emendamento 'blocca-processi' e il lodo Alfano. In un documento, intitolato "In difesa della Costituzione", i docenti - tutti ordinari di diritto costituzionale e di discipline equivalenti, tra cui gli ex giudici della Consulta Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky e Leopoldo Elia - si dicono "vivamente preoccupati" per le due iniziative legislative.

La prima, spiegano, volta a "bloccare per un anno i procedimenti penali in corso per fatti commessi prima del 30 giugno 2002, con esclusione dei reati puniti con la reclusione superiore a dieci anni"; la seconda che punta "a reintrodurre nel nostro ordinamento l'immunità temporanea per reati comuni commessi dal Presidente della Repubblica, dal Presidente del Consiglio e dai Presidenti di Camera e Senato anche prima dell'assunzione della carica"; immunità già prevista da un articolo della legge n. 140 del 2003, "dichiarato illegittimo - ricordano - dalla Corte costituzionale" nel 2004.

Riguardo all'emendamento 'blocca-processi', secondo i docenti questo solleva "insuperabili perplessità di legittimità costituzionale perché gli articoli 2 bis e 2 ter in esso contenuti, "essendo del tutto estranei alla logica del cosiddetto decreto-sicurezza, difettano dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall'articolo 77 della Costituzione".

Inoltre, "violano il principio della ragionevole durata dei processi (art. 111)" e "pregiudicano l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112)". La data del 30 giugno 2002, poi, "non presenta alcuna giustificazione obiettiva e razionale". Ad avviso dei costituzionalisti, infine, "non sussiste alcuna ragionevole giustificazione per una così generalizzata sospensione che, alla sua scadenza, produrrebbe ulteriori devastanti effetti di disfunzione della giustizia venendosi a sommare il carico dei processi sospesi a quello dei processi nel frattempo sopravvenuti".

A proposito del lodo Alfano, invece, i costituzionalisti sostengono che la sospensione temporanea dei processi, "concernendo genericamente i reati comuni commessi" dalle quattro alte cariche, "viola, oltre alla ragionevole durata dei processi e all'obbligatorietà dell'azione penale, anche e soprattutto l'art. 3 della Costituzione, secondo il quale tutti i cittadini 'sono eguali davanti alla legge'".

 "L'immunità temporanea per reati comuni - aggiungono - è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro. Tanto meno nell'ordinamento spagnolo, più volte evocato ma sempre inesattamente". Tra i primi firmatari del documento anche Alessandro Pace (presidente dell'associazione italiana costituzionalisti), Enzo Cheli, Alessandro Pizzorusso, Franco Bassanini, Federico Sorrentino, Franco Modugno e Mauro Volpi. 

da ansa.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 05, 2008, 12:00:59 am »

4/7/2008
 
Gossip di Stato
 
 
 
 
 
LUIGI LA SPINA
 
Le motivazioni, a questo punto, hanno un’importanza relativa. Sarà stato l’effetto della paziente offensiva moderatrice del Quirinale. O la convinzione che l’attacco preventivo, rispetto alla possibile pubblicazione delle intercettazioni «pornopolitiche», potesse essere controproducente. Oppure la speranza che non siano così scontati sia il rifiuto della ricusazione nei confronti del giudice Gandus sia la sua condanna nel processo sul caso Mills. Siano stati i consigli di Letta o quelli dei suoi avvocati, bene ha fatto Berlusconi a rinunciare all’appello agli italiani, dagli schermi di «Matrix», contro la magistratura.

Sull’orlo di un passo dalle conseguenze imprevedibili e comunque drammatiche, alla vigilia di uno scontro istituzionale gravissimo, il presidente del Consiglio si è arrestato forse nella consapevolezza di un allarme che incomincia a serpeggiare nell’opinione pubblica: il rischio che il «corpo a corpo» tra Berlusconi e i giudici impedisca il rispetto di quei due impegni fondamentali per cui ha ottenuto, per la terza volta, le chiavi di Palazzo Chigi: il miglioramento della situazione economica e la garanzia di una maggiore sicurezza, soprattutto nelle città. Due promesse che, al di là dei fuochi artificiali comunicativi di alcuni ministri, sono difficili da mantenere.

Difficili anche per chi dispone di un’ampia maggioranza parlamentare ed è fronteggiato da un’opposizione debole, divisa e in tutt’altre faccende affaccendata.

Prima la legge salvaprocessi, poi il lodo salvacariche dello Stato, infine l’ipotesi di un decreto salvaintercettazioni.
Una febbrile scarica di provvedimenti contro la magistratura che sfrutta il momento di scarsa autorevolezza e credibilità di questa categoria.
Ma che, in maniera troppo evidente, non cerca, innanzi tutto, di porre rimedio a quelli che appaiono i più urgenti e scandalosi mali della giustizia italiana, ma sembra concentrata a risolvere le questioni personali del premier. Partiamo proprio dal problema più grave: la lentezza dei processi, soprattutto quelli civili. Perché il Parlamento, con l’ampio consenso possibile, non provvede a ridurla drasticamente? Pigrizie, sciatterie, vanità, anche faziosità sono diffuse in alcuni settori della magistratura e il Csm, l’organo di autogoverno, spesso appare troppo corporativo nei riguardi dei colleghi. Riconoscerlo è doveroso, ma non si capisce perché le Camere, con una seria discussione, non possano provvedere a norme di correzione che sarebbero largamente condivise.

Anche la questione delle intercettazioni può non essere un tabù. Si possono regolare in maniera più garantista per i diritti dei cittadini, senza pregiudicare due condizioni: l’uguaglianza di tutti gli italiani davanti alla legge e la libertà, che è anche un dovere dei giornalisti, di assicurare un’informazione non compiacente nei confronti del potere, da chiunque sia rappresentato in quel momento. Quello che non è accettabile, in una democrazia, è un salvacondotto personale acquistato nel momento in cui si ottiene la maggioranza dei consensi elettorali. Sappiamo che Berlusconi si sente al centro di un accanimento giudiziario. Vero o falso che sia questo giudizio, è comunque un fatto che il nostro premier sia stato quasi sempre riconosciuto non colpevole delle accuse a lui rivolte, da quella stessa magistratura che imputa di intollerabile pregiudizio nei suoi confronti. Senza considerare che, in Italia, ci sono ben tre gradi di giudizio prima che cada, per un imputato, la presunzione di innocenza. E questi non sono più i tempi nei quali bastava un avviso di garanzia per imporre le dimissioni.

Resta, sempre a proposito delle fantomatiche intercettazioni «pornopolitiche», la questione del confine tra pubblico e privato. A parte la labilità di questo confine, in Italia e all’estero, a proposito di personaggi di vasta notorietà, dai politici alle star di cinema e tv, non si può dimenticare che lo stesso Berlusconi è stato il primo e il più assiduo picconatore del presunto muro tra i due campi della sua vita, quella personale e quella dell’uomo di Stato. Anzi, l’uso sapiente e consumato della simpatia che poteva suscitare negli italiani l’esibizione delle sue «galanterie» nei confronti delle donne, del suo successo con loro, persino della sua virilità, a dispetto degli anni e dei conseguenti acciacchi, è stato coscientemente e assiduamente adoperato proprio come strumento di seduzione politica.

Ora, il presidente del Consiglio invoca, come garanzia di costume democratico e di convivenza civile, il rispetto del limite fra pubblico e privato. Accogliamo la richiesta come un sia pur tardivo ravvedimento. Ma, soprattutto, come una solenne e impegnativa promessa.

da la stampa.it
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