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« inserito:: Giugno 28, 2008, 06:01:30 pm » |
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Di Pietro: i cittadini devono sapere, il regime avanza
Marcella Ciarnelli
Attacco alle istituzioni. Interesse privato. Antonio Di Pietro non tradisce il suo stile e va all’attacco del governo di Silvio Berlusconi, che ieri ha provveduto all’approvazione del Lodo Alfano, sfoderando l’arma dei referendum abrogativi.
Onorevole Di Pietro, un’altra legge salva premier con l’iter blindato in Parlamento? «Come giustamente è stato notato anche dal Partito democratico in riferimento al Dpef e alla legge finanziaria, si sta svuotando totalmente la funzione del Parlamento, che è diventato semplicemente un organo di passaggio e ratifica di decisioni che vengono prese in altri luoghi. Un metodo che non va. Ancor meno il merito. Questa è un’avvisaglia importante del regime che ci aspetta a cui voglio aggiungere anche il tentativo di zittire ogni forma di controllo, vedi la vicenda della Commissione di Vigilanza».
Come si contrasta? «Credo proprio che sia necessario informare bene l’opinione pubblica sul futuro che ci aspetta. La manifestazione che terremo l’8 luglio è una prima risposta di quell’altra Italia che non ci sta a chiudere gli occhi e a farsi prendere in giro da un imbonitore che dice una cosa e ne fa un’altra, parla di sicurezza e fa leggi contro la sicurezza. Parla di libera informazione e fa leggi contro la libera informazione, parla di rilancio delle infrastrutture e dell’economia e propone norme punitive sia per lo sviluppo del Sud e che per il federalismo fiscale».
Berlusconi lavora per sé? «Il presidente del Consiglio a fronte delle emergenze vere del Paese sta truffando letteralmente, non solo politicamente, i cittadini facendo credere che questi provvedimenti servano alla sicurezza, al rilancio dell’economia, alla governabilità, alla credibilità delle istituzioni. Invece se li valutiamo uno per uno, con la lente di ingrandimento, interessano solo lui».
È la P2 che ritorna? «Berlusconi non sta ragionando da lupo braccato per l’esasperazione dei suoi guai giudiziari, ma è la longa manus di un progetto mai sopito, sempre presente nelle nostre istituzioni. Preoccupazione che peraltro, lo stesso presidente dell’Antitrust ha rilanciato l’altro giorno, quando ha detto che è neccessario fermare i cartelli. Il progetto di asservire le istituzioni e gestirle nell’interesse di pochi è più che ma attuale. La dimostrazione è nel fatto che se c’è qualcuno che gli mette il bastone tra le ruote lo si ferma, se bisogna cambiare una legge si cambia, se c’è bisogno di criminalizzare un’istituzione, si fa. Anche Benito faceva così».
I numeri in Parlamento sono quelli che sono... «Abbiamo deciso di fare un’opposizione parlamentare ma anche d’informazione. Vogliamo parlare alla gente, non ai partiti. Attraverso il Parlamento e le nostre manifestazioni vogliamo far sapere agli italiani che in realtà hanno votato una truffa».
Parlamento e piazza? «Certo. E anche rete».
E poi i referendum? «Sette, che dovranno servire a formare ed informare. Vogliamo chiamare a raccolta i cittadini per dire no ad un grappolo di leggi che, messe tutte insieme sono, l’esemplificazione del regime che verrà. Vogliamo liberare l’informazione, liberare l’economia, liberare la giustizia».
C’è tempo per la raccolta? «Abbiamo una procedura da rispettare. Ovviamente non si può depositare il quesito prima che il provvedimento sia diventato legge. Ma soprattutto non lo si può depositare nei sei mesi successivi all’indizione dei comizi elettorali. Quindi il 13 settembre. E non si possono depositare le firme dopo il 30 settembre se lo vuoi far valutare dalla Corte di Cassazione entro il 30 novembre. Altrimenti si va all’anno successivo. Per cui noi lanciamo da subito l’allarme firma, per poi andare rapidamente alla raccolta vera e propria, in modo di far sì che l’anno prossimo si voti per le europee ma anche per il referendum sulla legge elettorale, già previsto, e per quelli per i quali ci siamo impegnati».
Questo è un paese normale? «Berlusconi e i suoi hanno detto che vogliono un Paese normale. In realtà ne vogliono uno normalizzato, in cui non si deve disturbare il manovratore ed in cui il popolo deve essere un po’ più suddito. Una volta c’era l’olio di ricino e adesso le veline di turno».
Pubblicato il: 28.06.08 Modificato il: 28.06.08 alle ore 8.25 © l'Unità.
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 03, 2008, 07:19:56 pm » |
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Attacco al Csm
Giovanni Salvi
La nota del Capo dello Stato, letta dal Vice Presidente del Csm in apertura della seduta sul parere in tema di conversione del decreto sicurezza, è di chiarezza esemplare: il Csm può e deve esprimere pareri sui disegni di legge che concernano la giustizia; questi pareri non costituiscono un vaglio di costituzionalità, che è riservato ad altri Organi dello Stato. L’ineccepibile puntualizzazione è servita a riportare serenità in Consiglio e a dissipare le nubi che si addensavano sulla discussione. Una cosa infatti è operare un vaglio di costituzionalità, con effetti istituzionali rilevanti, altra cosa compiere valutazioni tecnico-giuridiche, che come tali non possono esser monche della legge fondamentale. Bene ha fatto il Csm ad eliminare dal parere ogni aspetto che potesse dar luogo a equivoci e dunque a inutili polemiche.
I pareri sono previsti dall’art. 10 della legge del 1958, che regola le attività consiliari, ma in realtà sarebbero desumibili dal ruolo del Csm quale organo di rilievo costituzionale, composto da membri eletti dai magistrati e dal Parlamento in seduta congiunta, cui è attribuita la responsabilità del governo autonomo della magistratura. La loro legittimità, anche quando non richiesti, è stata affermata - tra l’altro - dalla Commissione Paladin, insediata nel 1990 dal Presidente Cossiga, proprio per sondare i limiti delle attribuzioni del Consiglio. È infine evidente che non può parlarsi di organizzazione, ordinamento giudiziario e processo senza parlare di Costituzione.
Ciò è dimostrato da una prassi costante, che ha riguardato peraltro ogni Governo, anche quelli di centro sinistra. Il parere espresso nel dicembre 2006 sul disegno di legge in tema di intercettazioni (ministro Mastella) manifestava preoccupazione per il «regime di indifferenziato divieto di pubblicazione degli atti “anche per riassunto” ... con evidente compressione dei valori riconducibili all’art. 21 Cost.».
Nel parere sull’organizzazione del p.m. (dicembre 2005, ministro della Giustizia Castelli) si richiamavano i precedenti pareri, nei quali «sono stati sottolineati dubbi di legittimità costituzionale delle disposizioni ... che disciplinano l’ufficio del pubblico ministero» e passava ad elencarne alcuni («... evidenti i profili di possibile contrasto con la disciplina costituzionale sotto il profilo della violazione della indipendenza e della soggezione del magistrato alla sola legge della sua attività... La somma di queste scelte lascia del tutto irrisolti i dubbi di legittimità costituzionale con riferimento, in particolare, all’art. 101 della Costituzione che vuole il rappresentante della giurisdizione soggetto solo alla legge. ... non sembrano in alcun caso affrontare in maniera positiva gli aspetti della legge di delegazione che presentano profili di possibile illegittimità costituzionale, e ciò neppure nei casi in cui sarebbe stato possibile adottare soluzioni in grado di limitare i rischi di illegittimità»).
Le lunghe citazioni annoieranno certamente il lettore. È però ora di finirla di parlare senza cognizione di causa. Ormai chi più strepita, più ha ragione. Illustri commentatori si sforzano di trovare ragioni anche dove non ce ne sono. Tocca leggere di invasione di campo per il solo fatto che un Organo di rilievo costituzionale si permetta di prospettare i gravi rischi per il buon funzionamento della giustizia che derivano da norme che potrebbero presentare profili di illegittimità costituzionale e dunque causare effetti indiretti, la cui dannosità è facile prevedere. Coloro cui compete proporre le leggi e coloro che hanno l’alto compito di approvarle dovrebbero esser grati per i rilievi che consentano loro di meglio operare.
Capisco che ciò possa apparire ipocrita: un parere carico di animosità e strumentale non fa piacere a nessuno. Basta però leggere il documento del Csm per capire che non è così. Il parere è per molti aspetti positivo; anche laddove individua criticità, lo fa in termini propositivi, indicando i possibili punti di intervento. Certo, vi sono anche rilievi fortemente negativi e non solo in punto di sospensione dei processi. È evidente la preoccupazione di evitare ricadute indesiderate sulla funzionalità del sistema giudiziario. A volte ciò viene fatto richiamando decisioni già assunte dalla Corte costituzionale, come quelle in tema di impossibilità di basare un giudizio di pericolosità sulla sola condizione di clandestinità; sempre è presente la necessità di attuare il principio costituzionale di ragionevole durata dei processi.
Il Csm è stato spesso nell’occhio del ciclone. Alla fine del mandato, il Presidente Cossiga ritenne persino di far presidiare il Consiglio dalla forza armata per impedire una seduta al cui ordine del giorno non aveva assentito. Credo però che questa volta vi siano aspetti nuovi, sui quali occorre riflettere. Che concetto della democrazia vi è dietro il rifiuto di ogni controllo che non sia quello elettorale? Quanta sintonia vi è tra questa concezione giacobina della politica e un sentimento profondo di vaste aree dell’opinione pubblica?
Sono tra quanti invocano ormai da anni un approccio ai temi della giustizia che sappia aggirare il cosiddetto conflitto con la politica (che tale non è) utilizzando ciò che è al tempo stesso strumento e fine: la priorità di un servizio che i cittadini possano sentire come giusto, anche perché reso in tempi ragionevoli. Le forti critiche di questi giorni al Csm sono in realtà politiche e come tali oggetto di legittima discussione politica. Non mi pare invece che esse abbiano reali fondamenti in una prospettiva giuridico-istituzionale: cercare argomenti in tal senso è davvero poco utile. Bere a valle del lupo non salva la pelle e anzi rende meno convincenti le ragioni della pecora. Occorre invece non cedere sui principi e sui fatti. I principi sono quelli per i quali l’organo di governo autonomo della magistratura è legittimato ad esprimere pareri sui disegni di legge e la Costituzione è il faro che orienta ogni decisione del giurista. I fatti sono quelli per i quali alcune delle misure legislative in discussione non renderanno i processi più rapidi, non renderanno i cittadini più sicuri, certamente non li renderanno più liberi.
Pubblicato il: 03.07.08 Modificato il: 03.07.08 alle ore 8.33 © l'Unità.
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 05, 2008, 09:23:14 am » |
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Berlusconi-Mills, il file segreto
di P. Gomez e L. Sisti
Appunti cancellati e scoperti sul computer dell'avvocato inglese. In cui si parla di incontri nel 2002. E di somme molto più alte elargite da Fininvest. Con una nota: 'Il Cavaliere capisce la mia posizione' David MillsIl 5 febbraio 2004, mentre ascoltava il suo cliente David Mills rievocare una volta ancora la storia dei suoi rapporti con la Fininvest e spiegare che con le sue testimonianze reticenti aveva "tenuto Mr. B fuori da un mare di guai", il fiscalista Bavid Barker annota su un pezzetto di carta due parole: "Subornazione di testimone". Ai suoi occhi, i 600 mila dollari che il legale inglese di Silvio Berlusconi aveva incassato dal "braccio destro" del Cavaliere, Carlo Bernasconi, non potevano essere altro che il prezzo del silenzio. La somma, o una parte della somma, sborsata dagli uomini Fininvest per evitare che Mills rivelasse ai magistrati come il leader di Forza Italia avesse bonificato nel 1991 in Svizzera 21 miliardi di lire a Bettino Craxi; come avesse violato le leggi anti-trust italiane e spagnole controllando attraverso prestanome la maggioranza della vecchia Telepiù e di Telecinco; e come centinaia di milioni di dollari fossero stati sottratti dai bilanci del gruppo per finire sui conti personali della famiglia Berlusconi.
"Ci parve tutto molto strano: a che titolo Mills aveva ricevuto soldi da Bernasconi? Era per caso il suo figlio adottivo?", ha ripetuto in aula con humour britannico Barker quando è stato ascoltato nel processo che vede Mills e Berlusconi imputati per corruzione in atti giudiziari. Un dibattimento da fermare a tutti costi: a colpi di ricusazione dei giudici e persino facendo ricorso a leggi unanimemente considerate incostituzionali. Un processo da bloccare, non solo per il timore della sentenza, ma anche per quello della requisitoria. Gli onorevoli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo non vogliono infatti che il pm Fabio De Pasquale ricostruisca pubblicamente tutti gli aspetti di una vicenda definita, nel 2004, dallo stesso Mills in uno sconcertante documento inedito "molto insolita" come "sono stati anche, a dir poco, insoliti i miei ultimi nove anni".
È la carta segreta dell'accusa che 'L'espresso' ha potuto leggere: due paginette sperdute tra le centinaia di migliaia di atti che De Pasquale vorrebbe ripercorrere nel suo intervento finale. È un file cancellato dal computer di Mills, ma recuperato dai detective di Londra. Scorrendolo si scopre che Bernasconi nel 1999 promise all'avvocato molto più dei 600 mila dollari fatti poi rientrare in Inghilterra. Ma che invece, scrive il legale inglese a un misterioso interlocutore, "voleva farmi un regalo di circa 500 mila sterline". E questa non è l'unica sorpresa del processo Berlusconi-Mills. Di che cosa si sia finora discusso in tribunale gli italiani del resto non lo sanno. Le tv non si sono fatte vedere. I giornalisti nemmeno, salvo qualche cronista inglese e alcuni stoici colleghi milanesi che, da marzo 2007, hanno seguito le udienze riuscendo però a pubblicare ben poco.
Per questo, nel luglio dello scorso anno, il duo Ghedini-Longo ha detto chiaro e tondo che quello contro Berlusconi "è un processo di cui meno si parla e meglio è per il cliente". Per questo ora la requisitoria di De Pasquale fa paura. Se il pm riuscirà a intervenire, butterà sul tavolo nuovi documenti, i file di Mills, i bonifici bancari giunti da poco per rogatoria, le testimonianze rese in un aula semideserta, che raccontano come, secondo l'accusa, per 13 anni il Cavaliere e i suoi uomini abbiano tentato di risolvere le loro grane giudiziarie distruggendo prove, pianificando versioni di comodo e versando milioni di sterline al loro avvocato londinese. Al centro del processo infatti non c'è solo la presunta mazzetta contestata dall'accusa. C'è anche un pagamento di 2 milioni e 400 mila sterline, definito da Mills "inaspettato", versato a titolo di compenso professionale, su esplicito consenso del presidente del Consiglio, dopo un incontro avvenuto ad Arcore nel luglio del 1995.
Insomma, se il processo venisse stoppato dopo la requisitoria, ma prima della sentenza, su Berlusconi resterebbe una macchia indelebile capace di azzoppare le sue aspirazioni di successione a Giorgio Napolitano al Quirinale. E ancor peggio potrebbero andare le cose se, come prevedibile, dopo il fermo di un anno del dibattimento, che il Parlamento dovrebbe votare il prossimo 27 luglio, il tribunale decidesse di stralciare (a causa dell'approvazione del lodo Schifani bis) la posizione del premier da quella di Mills. In quel caso si andrebbe a una sentenza contro il solo avvocato inglese che, nell'eventualità di una condanna o di una prescrizione, finirebbe per avere effetti politici anche sul Cavaliere (per l'accusa Mills è il corrotto, Berlusconi il corruttore, mentre Bernasconi è morto nel 2001).
Sul momento comunque il problema maggiore per il premier è la requisitoria di De Pasquale. Mills, come è noto, all'una di notte del 18 luglio del 2004 ha confermato davanti ai pm il contenuto di una lettera in cui confessava al proprio commercialista di aver ricevuto nel 2000, 600 mila dollari dopo una serie di colloqui con "una persona legata all'organizzazione di B" (Bernasconi). Poi però ha ritrattato. E ha indicato come fonte del denaro un altro suo cliente: l'armatore di Salerno Diego Attanasio. Ma in aula Attanasio è stato categorico: "Mai dati o prestati 600 mila dollari a Mills". L'analisi dei conti esteri gestiti dal legale londinese e le dichiarazioni di altri clienti hanno quindi dimostrato come Mills confondesse il suo patrimonio personale con quello di chi gli aveva affidato soldi in gestione. Tanto che ora De Pasquale, pur non essendo stato in grado d'individuarne l'origine esatta, lo dice chiaramente. E nel capo d'imputazione, riformulato pochi mesi fa, parla di "denaro confluito, e di seguito occultato, nella massa di fondi ($10 mln) di proprietà di Attanasio movimentati - su istruzioni di Mills - a Londra, in Svizzera e a Gibilterra". Non per niente tra le carte il pm milanese conserva uno schema da cui emerge come Mills, prima d'incassarla, abbia fatto circolare quella somma decine di volte (anche avanti e indietro) su conti suoi e della clientela.
La difesa di Berlusconi però teme soprattutto altri documenti: i file spuntati fuori dal pc di Mills nel febbraio del 2006, quando la Metropolitan police ha fatto irruzione nella sua abitazione. Uno di questi è la bozza della memoria con cui Mills aveva ritrattato la sua confessione del 2004. In due righe, non presenti nell'originale depositato, si cita un incontro, avvenuto nel novembre del 2002, tra Mills, l'attuale deputato Alfredo Messina (ex direttore finanziario di Mediaset) e gli "avvocati Fininvest" alla vigilia della deposizione del legale londinese nel processo (in cui era imputato Berlusconi) Sme-Ariosto. Un episodio che conferma come al di là degli attacchi di facciata - Mills fino ad allora era sempre stato trattato ruvidamente dai difensori del Cavaliere - i rapporti tra lui e il gruppo Berlusconi fossero in realtà più che buoni. Del resto proprio Mills, nella carta segreta di De Pasquale, un memorandum intitolato 'Il dividendo Fininvest e Carlo Bernasconi-Confidenziale', scrive: "Carlo mi assicurò che lui e il suo boss (Berlusconi, ndr) si erano resi conto che avevo fatto quel che dovevo fare e niente di più. Capì anche quanto la saga Berlusconi fosse stata distruttiva per la mia carriera". Poi prosegue, ricordando che Bernasconi "rimase inorridito" quando seppe che buona parte del denaro che gli era stato dato da Fininvest nel 1995 (i 2,4 milioni di sterline) non era stata riscossa da Mills, ma dai suoi partner di studio che lo avevano costretto a dividere la somma (1,5 milioni di sterline al netto delle tasse) con loro. Per questo Bernasconi decise di dargli mezzo milione di sterline. Vediamo come: "Nel settembre '99 Carlo mi chiamò e mi disse che aveva avuto un successo eccezionale in quell'hedge fund (che gli avevo consigliato, ndr) e voleva condividerlo con me. Disse che lui, e non soltanto lui (non fu più preciso né io insistetti - non penso intendesse Berlusconi stesso, ma altri della Fininvest), era molto dispiaciuto per me e che voleva farmi un regalo di circa 500 mila sterline. A dire il vero si scusò che (quella cifra, ndr) non fosse tanto quanto i miei partners mi avevano preso. (...) disse che il regalo sarebbe stato in parte in un hedge fund e parte in contanti. Alla fine mi trasferì 600 mila dollari, valore facciale, nel Torrey Fund (il fondo consigliato da Mills, ndr) nell'ottobre 1999 e mandò l'equivalente di 250 mila dollari alla mia banca di Londra".
Non è chiaro che cosa sia esattamente questo memorandum; Mills, come Berlusconi, rifiuta di farsi interrogare in aula. È probabile però che si tratti di una bozza delle spiegazioni preparate per il fisco inglese che proprio nella primavera del 2004 gli stava facendo le pulci. Nel documento il legale tende infatti a tenere fuori Berlusconi dal giallo politico-finanziario. Esattamente come ha scritto in una lettera ufficiale del 4 maggio inviata agli uffici delle tasse. Resta il fatto che in quei mesi, con chiunque parlasse o a chiunque scrivesse, Mills faceva risalire 'il tesoro' ai suoi affari con la Fininvest. Non con altri clienti. Federico Cecconi, l'avvocato di Mills, ostenta sicurezza: "Dagli atti risulta che quelle somme sono da ricondurre a soggetti ed entità diversi da Bernasconi o da manager Fininvest-Mediaset". Il Cavaliere, invece, è tutt'altro che tranquillo. E per essere sicuro di vincere conta sulle Camere: la legge blocca processi passerà a fine mese.
(03 luglio 2008)
da epresso.repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 09, 2008, 11:21:58 pm » |
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POLITICA
L'attrice sul palco durante la manifestazione "No Cav" a Roma
Una lunga invettiva contro la ex soubrette ma anche contro il Papa
La Guzzanti insulta la Carfagna "E' uno sfregio che sia ministro"
La ministro annuncia querela "contro la figlia del parlamentare di Forza Italia"
ROMA - "A me non me ne frega niente della vita sessuale di Berlusconi. Ma tu non puoi mettere alle Pari opportunità una che sta lì perché t'ha succhiato l'uccello, non la puoi mettere da nessuna parte ma in particolare non la puoi mettere alle Pari opportunità perché è uno sfregio".
Quella di Sabina Guzzanti contro Mara Carfagna è probabilmente l'invettiva più insultante e violenta della sua lunga e controversa carriera. L'attrice partecipa alla manifestazione "No Cav" di piazza Navona e sul palco si scatena in un attacco furibondo contro la ministro delle Pari opportunità, il cui nome era circolato nei giorni scorsi a proposito delle intercettazioni "calde" che coinvolgevano il presidente del Consiglio. Inevitabile, a nemmeno un'ora dalla conclusione della manifestazione, l'annuncio di una querela da parte del ministero. Che in una nota definisce l'attrice "la figlia del parlamentare di Forza Italia Paolo Guzzanti".
Nel mirino, però, ci sono anche Papa Ratzinger, che "fra vent'anni sarà all'inferno, tormentato da diavoloni frocioni", e Lamberto Dini, perché a suo guidizio "hanno accusato la sinistra radicale e Clemente Mastella ma è stato Dini a far cadere il governo, probabilmente come ex direttore della Banca d'Italia tiene qualcuno per le palle". Ce n'è anche per Walter Veltroni, "che prima dice 'non delegittimiamo le persone', poi però a Berlusconi non lo chiama mai per nome, come Emilio Fede quando fa finta di non ricordare chi siano le persone di cui parla, non è una tecnica che mostra rispetto".
"L'osteria delle ministre". L'intervento di Sabina Guzzanti comincia in rima. Stornella a braccio parafrasando una vecchia canzone romana: "Osteria delle ministre / paraponzi ponzi po / le ministre son maestre / paraponzi ponzi po / e se al letto son portento, figuriamoci in Parlamento / dammela a me Carfagna / pari oppportunità". E' un attacco preciso, quello contro la ex soubrette diventata ministro. Guzzanti recupera la polemica dei giorni scorsi sull'opportunità o meno della pubblicazione delle intercettazioni "private" del presidente del Consiglio, e ricorda come la giornalista Ritanna Armeni abbia definito "una caduta di stile e un'offesa" il paragone fra la Carfagna e Monica Lewinski (paragone sollevato dal deputato dell'Idv Massimo Donadi, secondo il quale "i cittadini americani avevano avuto l'opportunità di conoscere la moralità del presidente Clinton"), giudizio al quale era seguìta una condanna bipartisan delle critiche piovute sul ministro. "Quello fra la Carfagna e la Lewinski - chiosa Guzzanti - è un paragone del cazzo".
"E il Cavaliere è contento". Del polverone sollevato, insiste l'attrice, "il Cavaliere è contento, perché dice che gli italiani non si scandalizzano e che, anzi, il gallismo piace". "La prossima volta allora - continua - Berlusconi potrà fare un passo ancora più importante: il giorno del giuramento dei ministri del governo potrà dire 'pari opportunità, succhiamelo', col plauso di tutti gli italiani". E "per quei quattro gatti che non subiscono il fascino del gallismo - dice Guzzanti - sono rimaste poche speranze: una è il Viagra, e l'altra è la mobilitazione sindacale delle prostitute , solo che le prostitute non si fidano, perché dicono che i sindacati sono corrotti".
"Sui blog si discute di fellatio". Gli applausi dalla piazza si moltiplicano, parte qualche "Brava Sabina". Lei legge alcuni messaggi di blogger, contro il governo, contro Berlusconi, contro il lodo Alfano, ancora contro la Carfagna. "Il dibattito su internet e sui blog è acceso - spiega - si discute se è più opportuno chiamarli fellatio o pompini".
Il Papa e la "menzogna" della Sapienza. A metà intervento, il mirino di Sabina Guzzanti si sposta verso il Vaticano, ed è anche una delle parti più esagitate del monologo. "Il governo - dice - è caduto in buona parte anche grazie a Ratzinger, con quella porcheria della negata partecipazione a La Sapienza. La menzogna della censura a Ratzinger è stata sostenuta da tutti i media e i politici, salvo le solite, rilevanti eccezioni. Questo significa avere il controllo dei media, inventare una polemica che non sta né in cielo né in terra, perché non c'è motivo al mondo - urla l'attrice - percui Ratzinger debbe inaugurare l'anno accademico delle nostre università".
"Il Papa all'inferno, dove deve stare". L'attacco a Benedetto XVI continua: "Grazie alla legge Moratti - dice Guzzanti - fra vent'anni gli insegnanti saranno scelti dal Vaticano, ma fra vent'anni Ratzinger sarà dove deve stare, cioè all'inferno, tormentato da diavoloni frocioni attivissimi, e non passivissimi. Non come i gay che hanno accettato di spostare il Gay Pride a Bologna perché a Roma, a San Giovanni, c'era un coro di preti. E 'sti cazzi, si direbbe in una repubblica democratica".
"La Carfagna, uno sfregio". La Guzzanti torna ad attaccare Mara Carfagna verso la fine del suo intervento dal palco di piazza Navona. "Io non sono una moralista - dice - come ci accusano gli opinionisti che non hanno nemmeno un vocabolario, perché la parola 'moralista' ha un significato e per usarla sui giornali lo devi conoscere. Moralista è Casini, divorziato tre volte, moralista è Mele (il deputato dell'Udc coinvolto in uno scandalo di squillo e cocaina, ndr). A me non me ne frega niente della vita sessuale di Berlusconi - grida l'attrice, fra le ovazioni del pubblico - ma tu non puoi mettere alle Pari opportunità una che sta là perché t'ha succhiato l'uccello. Non la puoi mettere da nessuna parte ma in particolare alle Pari opportunità, perché è uno sfregio. Vattene!".
(8 luglio 2008)
da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 09, 2008, 11:22:44 pm » |
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POLITICA
Sotto accusa gli interventi di Grillo e della Guzzanti "Ma grazie a tutti quelli che sono in Piazza Navona"
Lunga diretta a Repubblica Tv
La piazza virtuale si divide
di VALERIA TEODONIO
ROMA - Migliaia di messaggi sono arrivati durante la diretta sul sito di Repubblica Tv, dalle 18 alle 21.30. C'è chi scrive per approvare l'iniziativa, chi fa il tifo per questo o quel personaggio salito sul palco, o chi, semplicemente, vuole esserci, almeno virtualmente. Ci sono anche critiche, riservate in particolare a Beppe Grillo e a Sabina Guzzanti. E qualcuno ha anche gridato allo scandalo quando, intorno alle 20.30, è saltato il collegamento con il satellite, ipotizzando addirittura una censura. In realtà si trattava solo di un problema tecnico.
Ernesto da Pescara scrive: "Si sta assistendo in diretta a un grande evento democratico, cari italiani è ora di svegliarsi!!" Patrizia da Milano: "Travaglio sei un grande! Per fortuna ci sono i giornalisti come te!". Ivan da Roma: "Meno male che c'è Tonino.. altro che Veltroni... dormi dormi Walter..." Anna da Frosinone: "Ha ragione Di Pietro, siamo in emergenza democratica, dobbiamo mobilitarci ora prima che sia troppo tardi. Grazie a tutti quelli presenti a Piazza Navona per quello che fate per tutti noi". Anna da Piacenza: "Grande Sabina! Tu sì che sei un esempio di donna!". Francesco da Pistoia: "Ho visto Piazza Navona piena e sono felice. Restituiamo agli italiani la loro Costituzione". Riccardo da Salerno: "Grillo vai a lavorare". John da Lanciano: "I toni della Guzzanti non piacciono a tutti". Donato da Piacenza: "I comici hanno trasceso, ok. Ma che venisse coinvolta l'opposizione che non si oppone era prevedibile. Ci brucia a tutti questo PD molliccio!". Raffaella da Napoli: "Ero a favore di questa manifestazione, ma Grillo inascoltabile, inaccettabile, veramente antidemocratico". Enzo da Monza: "Manifestazione efficace, coltivando la speranza che gli oratori che si sono succeduti non abbiano predicato solo agli apostoli. Controproducente l'intervento di Sabina Guzzanti: peccato!". Bruna da Cagliari: "che sollievo sentire qualcuno che non ha paura di dire che il re nudo". Lionello da Vicenza: "Concordo con Grillo. Napolitano non mi rappresenta". Sofia da Cuneo: "Bravo Di Pietro, giustissimo quello che dice, la piazza è libera e deve poter esprimere quello che vuole. Grande Antonio continua così". Antonio da Bologna: "la Guzzanti realista anche se eccessiva , ma il senso della manifestazione resta e non scandalizziamoci più di tanto. No ad ipocrisie inutili, in fondo la provocazione oggi ci sta".
(8 luglio 2008)
da repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 09, 2008, 11:24:57 pm » |
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POLITICA
Veltroni: "Una manifestazione più contro il Quirinale che contro Berlusconi"
Finocchiaro: "Protestare è legittimo, attaccare il presidente è inaccettabile"
No Cav Day, il Pd contro Grillo "Lasci stare Napolitano"
ROMA - "La manifestazione è stata più contro il Quirinale e il Partito Democratico piuttosto che contro Berlusconi. Gli insulti di Grillo e Travaglio al PD non ci sorprendono e non sono nuovi". Il segretario del Partito democratico Walter Veltroni prende le distanze dal No Cav day. "Quello che è per me intollerabile - dice il leader dell'opposizione - è ascoltare gli attacchi al capo dello Stato. Giorgio Napolitano sta garantendo, in un momento difficile, il rispetto della Costituzione con rigore e determinazione. Le sue scelte sono e saranno da noi condivise".
Il Pd fa quadrato attorno al presidente della Repubblica. Gli attacchi di Grillo a Napolitano - che nel suo blog se la prende con la "banda dei quattro" (Napolitano, Schifani, Fini e Berlusconi), e dice che se il Quirinale non si dissocia dal Lodo Alfano "vuol dire che è utile per tutti" - non vanno giù neanche ad Anna Finocchiaro, capogruppo dei senatori del Pd. "Se manifestare contro i provvedimenti del governo è legittimo - dice Finocchiaro - attaccare il presidente della Repubblica è inaccettabile".
Dal Giappone, a margine del G8, Silvio Berlusconi dice che le manifestazioni non sono utili a formare l'immagine di un paese, che per essere migliorata ha bisogno di fatti concreti. "La priorità - dice il premier - è risolvere il problema della spazzatura che ha causato un danno d'immagine all'Italia".
L'evento di oggi - la cui parola d'ordine è 'la giustizia è uguale per tutti' e che ha nel mirino i provvedimenti varati o annunciati dal governo in materia di sospensione dei processi, immunità per le alte cariche e intercettazioni - è stata preceduta da un coro di polemiche, legato sia alla presenza di Grillo che al rischio che l'evento diventi anti-Pd.
"Se l'alleanza con il Pd non viene messa in discussione - dice il leader dell'Idv Antonio Di Pietro - e Veltroni è il leader della coalizione "in cui mi riconosco", "ognuno fa opposizione come vuole. Questa manifestazione non è di rottura ma è un modo per informare i cittadini su cosa sta facendo il governo". E a chi l'accusa di spaccare l'opposizione e mettere in difficoltà il Pd, ribatte: "Criminalizzate me, ve la prendete con il dito e non vi accorgete della luna che cade".
(8 luglio 2008)
da repubblica.it
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