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« inserito:: Giugno 26, 2008, 03:35:34 pm » |
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Rubriche » Piccola Italia
Antonello Caporale
Le ipotesi di reato vanno dalla truffa alla lottizzazione abusiva
Trenta preti sono già stati sentiti dai magistrati
La colonia diventa un hotel a Salerno vescovo sotto accusa
Numerosi esposti alle gerarchie vaticane, ma monsignor Pierro tiene duro
SALERNO - E' domenica e l'arcivescovo di Salerno ha scelto una chiesa di campagna per dire messa. La chiesa di San Luigi, nel comune di Mercato San Severino, venti chilometri a nord del capoluogo. Monsignor Gerardo Pierro ha il volto del curato di campagna. Piega le mani, poi le unisce e le indirizza a Cristo: "Beati i perseguitati dalla giustizia. E' loro il Regno dei cieli". Non invoca la preghiera dei fedeli per il corpo di Berlusconi ma per il proprio, trafitto oramai da una sequela piuttosto terrificante di accuse che fanno di questa diocesi, periferia di Roma, terreno di uno scontro che varca e di molto i confini dello spirito. Nel rosario dei reati supposti e temuti, denunciati o solo ventilati, non manca nulla: truffa, aggravata e non, pratiche ai confini dell'usura, investimenti finanziari ai limiti della legge, lottizzazioni più o meno abusive, pratiche religiose tra lo scabroso e il noir. I soldi, puliti o anche sporcati da menti criminose, stanno facendo affondare tutta la Diocesi nella vergogna di essere raccontata più dai fascicoli processuali che dalle sue opere di bene.
Sono oramai cinque anni che le gerarchie vaticane sono raggiunte da esposti firmati da preti e diretti contro altri preti salernitani. Da cinque anni, a singhiozzo, la Procura della Repubblica è chiamata a indagare, i finanzieri a perquisire, i tecnici della Banca d'Italia a valutare. Non c'è pace per questa chiesa, non c'è tregua per questo vescovo. La polizia criminale identifica e convoca chiunque abbia una tonaca. Sono più di trenta i sacerdoti che hanno dovuto rispondere a verbale. In trenta, cifra monstre, hanno varcato il portone del tribunale per difendersi o accusare, spiegare o solo ricordare. Per il vescovo una via crucisi infinita. Viene dunque alla mente, e assume un significato più denso, un altro passaggio della sua omelia domenicale: "Mi sento molto più sicuro quando i carabinieri sono con me".
L'ultimo esplosivo dossier spedito in Vaticano (e per conoscenza al Procuratore della Repubblica) porta la data dell'8 febbraio scorso ed è sottoscritto dal presidente dell'Istituto per il sostentamento del clero, don Matteo Notari. L'istituto gestisce le finanze della Chiesa e nelle sue casse entrano i soldi dell'otto per mille. In diciassette cartelle inviate al segretario di Stato, ai prefetti della Congregazione dei vescovi e del clero, e al Nunzio apostolico, enumera le anomalie di affari economici gestiti dalla diocesi di Salerno. Don Notari, poi non più proposto per la carica, denuncia il Vescovo, lo accusa di colpevoli omissioni: una colonia per ragazzi poveri ristrutturata con i fondi regionali e con l'otto per mille. La colonia viene però ceduta a una associazione privata a titolo gratuito. E qui il primo miracolo si compie: da colonia per poveri ad albergo per ricchi. La sala mensa trasformata in sala relax, al posto del biliardino la sauna, camere vista mare, e campi da tennis e tutto quel che serve per la trasformazione. Anche un nome nuovo: l'Angellara Home. Leggiamo dal sito web: "La deliziosa location ne fa la meta ideale per chi desideri coniugare una vacanza di sapore culturale al piacere di un soggiorno balneare". La location è però venuta deliziosa grazie ai fondi regionali, un finanziamento pubblico di tre milioni di euro consegnato da Bassolino che in pompa magna è andato persino a inaugurare il primo lotto dei lavori per il completamento del villaggio dei poveri. Un qui pro quo!
E un altro formidabile fraintendimento stava per accadere quando l'arcivescovo chiese all'istituto per il sostentamente del clero di deviare 500mila euro verso la spiaggia. "Cinquecentomila euro? E per fare cosa?", rispose il sacerdote che gestiva la cassa. Per realizzare una "spiaggia attrezzata per i presbiteri". Panche, sdraio, capanni, un campo da tennis. Il corpo affaticato dei presbiteri, prima che il loro spirito, si sarebbe dovuto ristorare in riva al mare. La tonaca a posto ma i piedi nell'acqua, magari anche con una bibita ghiacciata tra le mani.
I soldi non sono stati scuciti, ma l'idea è valsa un'altra denuncia. E ancora altri esposti, veramente una massa critica notevole, hanno raggiunto e oramai occupato anche gli anfratti delle stanze del Vaticano. Il cardinale Re è sepolto da questa teoria di accuse o solo sospetti, e tutti in qualche modo si dirigono contro il vescovo e le omissioni di cui si sarebbe reso responsabile.
Strano vescovo in verità monsignor Pierro. L'unico pastore a mettersi in coda nello scorso ottobre davanti al seggio dove si svolgevano le primarie del Pd: "Embè?". Impossibile a credersi, ma sui giornali locali resta impressa un'altra memorabile prova che ha concesso alla città: in ginocchio, alla destra del cardinale Martino che esibisce sull'altare della cattedrale di Salerno l'omaggio appena ricevuto dal suo riverito confratello: un rolex d'oro. Il rolex (corpo di Cristo?) è mostrato agli allibiti fedeli.
Con Pierro al comando tutto è possibile. E infatti tutto è già successo. Un processo, (siamo agli inizi del 2000) per appropriazione indebita. Indagine poi archiviata, ma densa di altri veleni: l'oggetto dell'inchiesta era una raccolta privata di danaro a fini speculativi. Investimenti in borsa, acquisto di valuta estera. Promotore il rappresentante dell'epoca dell'istituto per il sostentamento del clero, don Generoso Santoro. Lo stesso che in questi giorni è tornato davanti ai giudici per altri soldi, centinaia di migliaia di euro, racimolati da singoli investitori e poi un po' (forse) svaniti. Il vescovo dice di non sapere, l'avvocato del prete dichiara che il suo cliente si sente "minacciato" dal vescovo. Il Pm aggiunge carte alle carte. Minacce, lettere, anonime e non, telefonate minatorie e anche molto di più.
Una Chiesa costellata da scandali: ora la religiosa peruviana che partorisce, ora il parroco del comune di Acerno che non trova più nei registri immobiliari il centro sportivo parrocchiale: venduto, donato, boh! Ora la comunità di accoglienza per ragazze madri messa in vendita, al miglior offerente, per sei milioni di euro. E una lottizzazione plurimilionaria in Baronissi, e i rapporti di fratellanza e di affari con i massoni della città. Non c'è più inchiostro per descrivere tutte le croci che deve portare sulle spalle questo monsignore, curato di campagna, chiamato oltre ogni ragionevole prudenza a guidare un gregge composto da lupi.
segnala una storia a: a. caporale@repubblica. it
(26 giugno 2008)
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« Ultima modifica: Giugno 02, 2018, 12:05:19 pm da Arlecchino »
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 17, 2008, 05:44:17 pm » |
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Antonello CAPORALE. Magistratura, articoletti approvati in silenzio In Italia, per nostra fortuna, c'è un ministro alla Semplificazione, esse maiuscola. Lo dice la parola stessa: semplificare, rendere chiare le ombre, semplici gli scritti complicati delle leggi. Ridurre, tagliare, disboscare. Il massimo della vita per Roberto Calderoli a cui è toccato il compito di assumerne l'incarico. Si è presentato all'Italia con una falce in mano: l'uomo avrebbe raso al suolo, come il contadino con il grano, le spighe dell'incomprensibile e dell'ingiusto. Calderoli divide l'impegno di semplificatore con quello di costituzionalista. L'ex dentista lombardo ha in mano il piano del nuovo federalismo italiano. Cosicché i suoi colleghi, vedendolo un attimo affaccendato in altre questioni, lo stanno aiutando a disboscare la materia con articoletti semplici e chiari. Hanno iniziato dalla magistratura: quella speciale però, meno rognosa (e ringhiosa) di Pm e giudici. Un articoletto di indicibile chiarezza, il 21-bis del decreto legge 85/2008 convertito nella legge 121 di quest'anno, semplifica, e di molto, l'attività per esempio della Corte dei Conti. Coniugando il 21-bis al successivo articolo 22 una manina sottile ha proposto, e il suo intendimento è stato accolto, che i magistrati contabili, addetti al controllo delle spese dello Stato, dei lumaconi ante litteram, dovessero ridurre e semplificare la loro organizzazione. E dunque ha attribuito al presidente della Corte, togliendo quel potere al consiglio di presidenza formato da 17 membri, l'autorità di nominare i magistrati che devono controllare, per esempio, le fatture e le altre spese dei servizi segreti. Lui, il presidente, nomina. Lui, il presidente, revoca. E non deve dare conto. In qualche modo il legislatore ha previsto, per estensione, il principio di segretezza. Se segreti sono i servizi, segreti saranno anche i magistrati addetti a far loro le pulci. Tutto riservato ma tutto più fast, veloce e sicuro. Tutto il presidente fa. Prima per esempio il consiglio di presidenza autorizzava i magistrati ad andare fuori ruolo: cioè a fare un altro lavoro, nella specie impegnati negli uffici ministeriali con compiti di "diretta collaborazione" con il ministro. I ministri infatti si affidano spesso a magistrati cui conferiscono incarichi di alta segreteria e consulenza (capi di gabinetto soprattutto). Negli anni scorsi l'ufficio era remunerato con pochi spiccioli perciò il tizio andato "fuori ruolo" assommava quella modesta indennità (un piccolo ristoro) allo stipendio principale. Col tempo però non sono rincarati soltanto il pane e la pasta. No, signora mia: anche gli stipendi accessori dei fuori ruolo hanno subito un'impennata che li ha fatti volare a vette altissime, 70, 80 mila euro all'anno. Ogni capo di gabinetto ha un cachet diverso e nella stupefacente foresta delle remunerazioni la cifra dello stipendio accessorio ha raggiunto, per mano di una delle mille Autorità indipendenti che esistono, la punta dei 150 mila euro. Una tombola per i fuori ruolo: stipendione al ministero più stipendione del tribunale. Fino a ieri però la richiesta di essere posto in quel ruolo, oh, scusate, fuori ruolo (in panchina ma pagato da giocatore effettivo) doveva almeno passare per il giudizio di un consesso composto da numerosi colleghi. Adesso basta il sì e il no del presidente. Sei stimato dal presidente? Allora forse sì. Sei nemico del presidente? E allora, forse forse, proprio no. E se passa un emendamento del senatore Carlo Vizzini (art. 6 bis del disegno di legge 847/2008) il presidente della Corte decide in splendida solitudine tutti gli incarichi extra (incarichi universitari per esempio) dei suoi magistrati. E in splendida solitudine li revoca. Come piace a lui, sempre che piaccia a lui. Snellire, snellire. Nello snellimento l'organo di autogoverno dei magistrati contabili è stato ridotto: erano 17 membri, diverranno 11. I dieci eletti dai magistrati diventano quattro. I quattro eletti dal Parlamento restano quattro. E tre restano quelli di diritto (Presidente, Presidente Aggiunto e Procuratore Generale). Perdono potere i magistrati, aumenta il potere dei deputati. Tutto più semplice, e finalmente più chiaro. Segnala una storia a: a.caporale@repubblica.it (17 novembre 2008) da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 21, 2008, 10:52:26 am » |
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IL PERSONAGGIO.
Il presidente fa l'incredulo: "Un altro al mio posto? Nessuno mi ha detto nulla"
L'infinita resistenza di Riccardo "Un vero dc non lascia mai"
di ANTONELLO CAPORALE
"MA QUELLO è stato il mio fidanzato!". Quando ha visto in tv la foto di Riccardo Villari, gira purtroppo sempre la stessa, quella con la cravatta regimental, Barbara D'Urso, collegata per la diretta, si è ricordata dei suoi diciassette anni.
La settima giornata da fuggitivo di Villari è iniziata con questo bel ricordo, uno spruzzo di giovinezza. Gioia durata poco perché, dopo un colpo di tosse, Fabrizio Morri del Pd lo ha tenuto mezz'ora a telefono ricordandogli che c'era Zavoli e dunque: "Leva le tende". A questo punto il presidente ha deciso di proseguire la latitanza accucciandosi dietro piazza di Spagna per qualche ora ancora. Fino a che è comparso, ore 14, a palazzo San Macuto, la sede della sua commissione.
Elegante e sicuro, "scaltro e colto" ha detto di lui il ministro Rotondi. Villari è giunto al palazzo con un bel comportamento istituzionale, sicuro e riservato. I giornalisti hanno subito capito che sarebbe stato un altro indimenticabile show. Quelli del Pd entravano angustiati, veramente tramortiti. Quegli altri leggeri e disinvolti. La seduta si è chiusa dopo mezz'ora.
Villari che col tempo ha consolidato un contegno molto presidenziale, si è materializzato: "Non mi dimetto. Sono un democratico, sono stato eletto democraticamente e faccio questo per tutelare le Istituzioni". Di più: "Ho ricevuto pressioni indebite e minacce". Un giornalista, anch'egli incredulo: ci sarebbe Zavoli al suo posto. Lui con una degnissima faccia di bronzo: "Nessuno mi ha mai informato dell'accordo raggiunto".
Questione di gusti, ma spettacolino non da poco. La truppa dei cronisti si è diretta allora al Senato, dove i democratici dovevano democraticamente decidere l'espulsione di Villari dal gruppo parlamentare. "Secondo lei ha preso soldi?". A questa domanda Anna Finocchiaro è rimasta interdetta, ma non ha ceduto: "A tanto non ci sono arrivata".
Villari gode già di una vita agiata e quel che mancava è arrivato: la poltrona. Alla buvette due senatori si scambiano le opinioni: "Ricordi che diceva sempre? Nel vocabolario di un democristiano la parola dimissioni non esiste". E infatti. Con un bicchiere di prosecco in mano Franco Marini, dato come l'ultimo suo referente politico, lo manda a quel paese: "E' uno stronzo". Anche Fioroni lo manda lì: "Lo dobbiamo agevolare e fargli capire da che parte deve andare". "Ah, la tentazione della carne!", dice Giorgio Tonini, amico di Veltroni.
Tra le cinque e le sei il nome di Villari è scomparso tra quelli iscritti al gruppo del Partito democratico, il suo corpo si è volatilizzato di nuovo lasciando la sua assistente, esausta e parecchio incredula, nello sconforto e nel totale disimpegno: "Non so nulla, non so nulla". Forse di nuovo in viaggio a Napoli, o riparato in qualche rifugio romano. Fuggiasco, di nuovo. Una magia la sua elezione che, secondo i bene informati, è tutta dentro l'abilità di un uomo: Italo Bocchino.
Bocchino, una onorata carriera da portaborse, ora vicecapogruppo della maggioranza, dona ancora un consiglio all'opposizione: "Per me è un errore espellerlo". Dall'altro lato la Giovanna Melandri, afflitta ma resistente, tenta la mossa disperata: "A questo punto il problema è di Berlusconi". Cicchitto: "Problema nostro? Ma è loro!".
Acque confuse e corpi stremati. Nuovo messaggio dal presidente fuggitivo: "I partiti devono fare un passo indietro, devono rispettare le Istituzioni". E' tutto così inverosimile da far apparire magico dunque irreale questo pomeriggio romano ancora con un bel sole tiepido. Magico come l'abracadabra che ha trasformato Villari: da qui a lì ma a testa alta, invocando le guarentigie repubblicane e persino difendendo l'onore delle istituzioni. C'è stato persino un comunicato del senatore De Gregorio, transfuga della passata legislatura, che ha messo i puntini sulle i e illustrato il coraggio impiegato da sé medesimo nel trasferimento, armi e bagagli, da Prodi a Berlusconi.
Tutto è perciò noto e già successo, e questo replay sembra nel solco della tradizione. "Non ci posso credere, non voglio crederci", quasi piange Vincenzo Vita che per tutta la vita ha lottato contro Berlusconi e adesso vede il nemico entrargli in casa, mettersi di fianco a lui. Oggi non ci sono dichiarazioni dei dalemiani, battaglia sospesa in attesa del ritorno del capo dall'estero. Anche Nicola Latorre ha tenuto la bocca cucita e ha allontanato il suo corpo da ogni sospetto. Due giorni prima l'avevano visto confabulare proprio con Villari. Ma non c'erano telecamere in giro, per fortuna.
(21 novembre 2008) da repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Novembre 25, 2008, 01:28:39 am » |
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Un video sul sito di Chiodi, l'uomo che Berlusconi vuole come prossimo governatore
Promessa di colloqui di avviamento per chi si presenterà al gazebo del centrodestra
Spot elettorale offre lavoro
Abruzzo, bufera sul candidato Pdl
Accuse di voto di scambio. Storace (la Destra): "Roba da codice penale"
Il video intitolato "Tutti i giovani del presidenti" è stato poi rimosso
di GIUSEPPE CAPORALE
L'AQUILA - Il Popolo della Libertà, prima ancora di vincere le elezioni, offre opportunità di lavoro in Abruzzo. Con uno spot elettorale che finisce sul sito del candidato e su YouTube. Per poi pentirsi dopo un paio d'ore e ritirare in gran fretta il tutto. "E' stato solo un errore materiale", dicono dallo staff del candidato del Pdl Gianni Chiodi. Un "errore" nel quale si diceva che tutti i giovani che si sarebbero presentati con un curriculum presso i comitati, o i gazebo, sarebbero stati chiamati, entro due mesi, per colloquio, "selezione" e "avviamento all'imprenditorialità". Ma il colloquio per entrare in questo "generatore di sviluppo economico" avverrà solo a fine gennaio. Dunque dopo le elezioni regionali. Dopo che Gianni Chiodi, candidato presidente alla Regione, voluto da Silvio Berlusconi, sarà stato - eventualmente - eletto.
Proprio Chiodi ha pubblicizzato, in prima persona, questo tipo di messaggio elettorale, registrando lo spot "incriminato". Messaggio che è stato inviato (e frettolosamente bloccato) al circuito delle tv locali. Ma che nel frattempo era stato messo su YouTube e sul sito dell candidato presidente. Dove è rimasto per alcune ore.
"Abbiamo sbagliato dvd - dicono dall'ufficio stampa -, quello spot era già stato giudicato non opportuno e a rischio di strumentalizzazioni".
Ma l'iniziativa ha prodotto anche una lettera aperta ai giovani, dai contenuti analoghi: "Correte alle Bancarelle per Chiodi Presidente, rispondete ai 'questionari di auto-selezione', prenotate gli incontri di orientamento e formazione che partiranno dal gennaio 2009... Stringiamoci la mano e scambiamoci energia".
Ma la campagna pubblicitaria in questione è durata pochissimo, perché è stata travolta dalle polemiche e con un'accusa precisa: tentativo di voto di scambio, dice Francesco Storace, il primo a saltare sulal sedia: "Lo spot del Pdl è una vergogna, un fatto gravissimo in una regione già travolta dagli scandali. Adesso presenteremo subito una denuncia alla Procura della Repubblica dell'Aquila, perché qui siamo di fronte ad un reato penale. Un bieco tentativo di strumentalizzare i giovani, di far leva sulle loro insicurezze. Il lavoro è un diritto non un favore in cambio del voto. Una roba così, non l'avrebbe fatta nemmeno Achille Lauro...".
Rabbia e indignazione invece da parte di Rifondazione Comunista. "In Abruzzo sembra che non si possa proprio prescindere dal clientelismo, ora addirittura finisce in uno spot - commenta il segretario regionale Marco Gelmini - abbiamo chiesto a Chiodi di rimuovere quel video e lo ha fatto. Resta l'amarezza di come ancora si intenda la politica in questa regione".
(24 novembre 2008) da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Dicembre 03, 2008, 11:58:15 am » |
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La Megaparentopoli di Seregno
Giù al Nord, cioè a Seregno, quarantamila abitanti nella Brianza ricca, grassa e piatta, la via della politica è lastricata di parenti. Di ogni grado e specie. Figlio e cognato, sorella e fratello. Chi al municipio e chi in una municipalizzata. Chi al partito e chi al cda. Un poltronismo familiare edificato e poi ancor meglio sviluppato sotto il governo della Lega.
La politica formato famiglia pone Seregno di diritto nella top ten delle città governate secondo lo jus sanguinis. "Chi non è di Seregno ritiene tutto molto incredibile", ammette il sindaco Giacinto Mariani. Anzitutto non si crede che il sindaco, questo sindaco, sia un leghista. Compito, molto moderato, molto benestante, Mariani guida una giunta di centrodestra che qui ha raccolto anche la forza residuale dell'Udc.
Da sole Forza Italia e Lega avrebbero potuto comandare e decidere. Ma, con un gesto compassionevole, hanno sospinto sul vagone dei desideri anche Alleanza Nazionale, falange compatta e piuttosto aggressiva, e gli amici-nemici dell'Udc. Tutti insieme e piuttosto appassionatamente.
Si è deciso, come succede un po' dappertutto, di mettere ordine nelle società pubbliche che erogano servizi e gestiscono, in ragione della mission, quattrini. Seregno insieme ad altre quattro città brianzole (Desio, Lissone, Cesano Maderno e Seveso) ha promosso la costituzione del gruppo Gelsia, una holding che aggrega alcune società di servizi pubblici locali che oggi è una delle prime multiutility in Lombardia per fatturato e clienti serviti. Gas, energia, raccolta e trasferimento dei rifiuti. "Fare sistema" lo slogan.
Hanno fatto sistema, specialmente a Seregno, soprattutto i propri cari. La figlia del vicesindaco è consigliera di amministrazione della holding; il cognato di un assessore è consigliere di una società partecipata (la Aeb); poltrona al fratello di un altro assessore (di An), poltrona alla sorella del capogruppo in consiglio comunale di Forza Italia. In un'altra società di scopo (energia, calore, trading) si è trovato posto per la sorella di un consigliere comunale (Forza Italia). Il segretario della Lega ha ottenuto di sedere nel consiglio di amministrazione di una figlietta magra della holding (Gelsia Reti); quello dell'Udc ha ottenuto quanto gli spettava (consigliere di amministrazione) in un'altra Spa, Gelsia Calore.
Costernato il sindaco: "Lo statuto ci impone di raccogliere le indicazioni provenienti da singoli consiglieri comunali, da gruppi politici, o da associazioni che raccolgano la proposta di almeno cinquanta cittadini. La politica si fida di chi conosce".
La politica conosce, tra gli altri, fratelli e sorelle, cognate e cognate, figli e figlie. A bocca asciutta, secondo l'ultima proiezione, i nipoti e le cugine. Nemmeno si segnalano amanti, e neanche papà e mamme chiamate al fronte, il fronte del fare. "La mia amministrazione ha gestito la razionalizzazione dei servizi, garantito occupazione ad oltre quattrocento persone, risolto problemi che i governi di centrosinistra avevano lasciato marcire. Questo non si dice. E non si dice che solo tre delle trenta nomine decise sono imputabili a me, che alcune di esse sono conferme di scelte della giunta precedente. E nemmeno si ricorda che il partito democratico, pur di polemizzare, ha evitato di segnalarci persone, di fornire proposte. Cosicché abbiamo dovuto fare da soli".
Il sindaco parla piano, sereno, per nulla scandalizzato. Espone e registra: tutto perfettamente a regola d'arte. Non si può dargli torto: ogni cosa è sistemata bene, ogni puntino è a norma di legge.
E qui si ritorna al punto di partenza, alla tesi, veramente innovativa, del comprensivo sindaco Seregn, come dicono i lumbard: chi meglio di un fratello? Chi è più fidata di una sorella? "Lo statuto parla chiaro e io sono obbligato a rispettarlo".
Obbligato lui e il resto della truppa. Obbligati e anche trasparenti. Perché c'è da dire che il sito web del comune fornisce nel dettaglio nomi e cognomi, indennità (trentamila euro all'anno se si presiede; diciottomila se si è nel consiglio) e funzioni. Sorvola sul resto.
Ma succede ovunque. Saluti da Seregno, che si trova giù al nord Italia.
segnala una storia a: a. caporale@repubblica. it
(3 dicembre 2008)
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« Risposta #5 inserito:: Dicembre 19, 2008, 06:45:09 pm » |
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ECONOMIA IL CASO
Lunghi tratti di biro su alcuni fogli per un'opera costerà miliardi
E tra i progettisti dell'opera sullo Stretto spuntano i nomi dei valutatori
Il progetto del Ponte? Disegnato sul quaderno
di ANTONELLO CAPORALE
ROMA - Che ponte miracoloso! E che progetto! Il sogno di unire Scilla e Cariddi è ricco di fatica e di ingegno. Calcoli e ricalcoli, vent'anni di indagini, e sonde e foto e studi fino a quando finalmente la luce si è vista. Impregilo ha vinto la ciclopica gara producendo carte e ancora altre idee per qualificare meglio il piano dell'attraversamento carrabile dello Stretto. Impregilo, capofila di un gruppo di aziende specializzate nelle grandi opere (Condotte, Cmc, coop ravennate, la giapponese Ishikawajima) ha chiesto a un colosso della progettazione, la danese Cowi, di offrire alla società appaltante, lo Stretto di Messina, il progetto di gara, la cartolina finale della grande opera. Colossi, dunque. Che però nella stesura degli elaborati hanno voluto mantenere un basso profilo. Molto molto basso.
Non hanno attivato i fuochi pirotecnici che i software ingegneristici sono in grado di esibire, e neanche hanno pensato di farsi aiutare dal sistema elettronico di scrittura word in uso pure al più decrepito dei computer. Si sono negati anche e perfino la vecchia ma leggendaria Olivetti. A penna, su un foglio a quadretti, come amanuensi venuti dall'antichità, hanno scritto numeri e comparti, proposte e idee.
Almeno nella parte (2R-codice Bo-001 n° 1) che Repubblica ha potuto visionare, nell'ambito più complessivo della illustrazione dell'opera ("L'opera di attraversamento - Relazione specialistica - sistema di sospensione") i progettisti si sono serviti della biro e hanno scritto. Come fosse un compitino di matematica del liceo: scrittura però chiara, e disegni intellegibili. Mano disciplinata e senza salti di linea.
Grandioso. Il ricorso a questa inedita sfida polemica alla modernità, nel cuore di un progetto che all'opposto testimonia l'avanzare impetuoso dei tempi moderni, racconta forse quale forza evocativa i progettisti abbiano voluto mostrare. E la commissione che ha affidato la gara ha raccolto questa testimonianza giudicandola meritevole del successo. Intendiamoci e scriviamolo subito. I regolamenti che disciplinano la trasmissione di tali atti possono contemplare, e a volte effettivamente contemplano, la stesura dei documenti anche attraverso manoscritti. Cosa rara e bizzarra ma possibile. Dunque lecita, perciò non sindacabile.
La società Stretto di Messina ha poi convocato i massimi esperti della scienza e della tecnica a comporre il tavolo esaminatore. Tra i chiamati al compito di valutare congruità ed efficacia dell'elaborato, un grande ingegnere inglese, Ian Firth, consulente e specialista di strutture e ponti di grande luce, e un cattedratico danese, il professor Niels Gimsing, del dipartimento di ingegneria strutturale dell'Università tecnica della Danimarca. Gimsing è molto noto anche per gli studi dedicati al ponte dello Storebelt (si veda per tutti East Bridge, Storebelt Pubblications, 1998) opera ideata proprio dal colosso danese Cowi chiamato poi in Italia da Impregilo.
E l'ingegner Firth è chief operating officer di Flint & Neill, società di consulenza, specialista nella progettazione di ponti. Poche settimane fa questa società è andata a nozze con la Cowi. Un dispaccio del 3 dicembre comunica infatti: "Flint & Neill merges with Danish giant, Cowi".
Certo, il progetto di gara che la commissione ha dovuto esaminare è datato 16 maggio 2005, l'approvazione risale a circa un anno dopo, e l'alleanza societaria è fatto di questi giorni. Ma l'evento irrobustisce anziché diradare la sequela di contestazioni di conflitti di interesse di cui sarebbero vittima i maggiori protagonisti del mondo imprenditoriale coinvolto nell'intrapresa.
Elementi che si sommano alle critiche, ancora più serrate, sulla qualità del progetto e la sua congruità economica. Solo pochi giorni fa il professor Remo Calzona, che ha vissuto come valutatore scientifico la progettazione dell'opera, ha dichiarato proprio a Repubblica la sua contrarietà all'idea del ponte a campata unica: "E' troppo costoso e anche pericoloso".
Calzona documenta il rischio che anche tra Scilla e Cariddi possa verificarsi, nel caso si segua l'idea approvata, il rischio che il ponte subisca il cosiddetto effetto galopping, un ingobbimento sinuoso della carreggiata dovuto alla dinamica dei venti. Effetto che proprio in Danimarca, e proprio sullo Storebelt, si è verificato imponendo ulteriori costi derivanti dalla apposizione di "alettoni" che hanno il compito di non far ondulare il manto stradale.
Il progetto contestato ma in attesa di finanziamento comporta anche immense attività di scavo. Solo in Calabria si movimenteranno, con gli scavi, oltre quattro milioni di metri cubi di terra e di roccia. Tutto in un luogo in cui le "imprese" in odore di mafia sono specializzate proprio nel movimento terra.
Però 'u ponti vulimu. E' divenuto un bisogno impellente, un punto d'onore per calabresi e siciliani, un'opera-totem, raffigurazione icastica dello Stato chiamato a narrarne l'efficienza e a trasmetterne il genio. A prescindere, direbbe Totò.
(19 dicembre 2008) da repubblica.it
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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 01, 2009, 10:33:52 am » |
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Antonello Caporale Gallarate, un modello di efficienza C'è modo e modo di dare smalto ed efficienza alla pubblica amministrazione. In tempi di recessione, quando la crisi si fa davvero dura e i comuni sono costretti ad azzerare ogni spesa superflua, la fantasia soccorre. A Gallarate, profondo Nord, hanno eliminato tutte le poltrone superflue nelle municipalizzate, ridotte all'osso le spese dei consigli di amministrazione. Modificata, e decisamente in meglio, la struttura tecnocratica. Per farla breve: a una sola persona, il signor Gioacchino Caianiello, è toccato raccogliere e riassumere tutto il sistema di produzione ed erogazione dei servizi. Caianiello, in contemporanea, è presidente di nove aziende, tra SpA e Srl. Cose grandi e cose piccole, scatole vuote e scatole piene. Lei è un gran lavoratore "Mi sono messo al servizio della comunità. Mi è stato richiesto questo grande sacrificio e io sono lieto di assecondare la richiesta". Il suo cognome tradisce origini poco padane. "Napoletano, rione Sanità più precisamente". Ma Gallarate l'ha adottata. "E' una vita che sono qua. Molto bene integrato, mi sono impegnato al massimo, mi sono appassionato alla politica presto. Ero socialista, ora milito in Forza Italia". In città la conoscono tutti. "Diciamo di sì. Tenga presente che sono gestore del bancolotto". Chi cerca la fortuna deve passare dal suo negozio. "Non mi posso lamentare, è stato sempre ben frequentato". E dire che qualche anno fa ha dovuto subire un'incredibile azione intimidatoria. "Un attentato, mi hanno sparato". Acqua passata. "Cose così". Nove poltrone. Il consiglio comunale di Gallarate le ha consegnata tutta la fiducia. "Abbiamo dovuto creare, in seguito alla legge che distingueva tra produzione e distribuzione di beni e servizi, altrettante società". Un obbligo di legge, non un piacere personale. "E certo!". Nove indennità cumulabili. "Guadagno quattro soldi, cosa crede?". Gas, acquedotto, farmacia, depuratore, nettezza urbana. Non ha un minuto per lei. "Mi hanno chiesto questo sacrificio e io mi sacrifico". E se le dicessero di restituire le poltrone? "Assolutamente. Sono disponibile in ogni momento". L'uomo forte di Gallarate. "Il Ricchelieu". Una c. "Quello che disegna, l'uomo ombra, ma io non mi curo delle malelingue. In politica ci sta tutto". Uomo forte di Forza Italia. "Sono vicino all'onorevole Abelli e anche al senatore Dell'Utri". E Gallarate è un modello di efficienza. "Venissero a vedere: conti in ordine, grande sinergia, efficienza". Lei si scrive e lei si risponde. Lei si convoca e lei si sconvoca. "La verità è una sola: così le cose funzionano meglio". Segnala una storia a: a.caporale@repubblica.it (31 dicembre 2008) da repubblica.it
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« Risposta #7 inserito:: Gennaio 22, 2009, 12:43:43 am » |
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Parla Riccardo Villari, il presidente della Vigilanza che non si vuole dimettere
Questi nemmeno si salutano poi si arriva alla Rai e bum trovano l'accordo
"Quei due partiti sono nemici su tutto ma sulla Rai c'è l'accordo-miracolo"
di ANTONELLO CAPORALE
"Mi voglio proprio divertire". Due mesi e spiccioli. Tanto è durata la locazione della poltrona di presidente della Vigilanza Rai a Riccardo Villari. Dell'epatologo napoletano conosciamo oramai ogni virgola. È stato apprezzato persino per i successi giovanili (Barbara D'Urso), fatto oggetto di entusiastiche considerazioni ("il nostro Villari Clinton"), e per l'impeccabile aplomb con il quale ha affrontato ogni testacoda politico.
Tutti amici, tutti a spingere e poi come al solito ti lasciano a terra. "Ha dell'incredibile questa cosa".
È il momento buono per un'intervista. "No, sono molto accalorato, però voglio mantenere il mio tratto sempre educato".
Effettivamente sempre distaccato, molto, molto sereno. "Non voglio farmi coprire dalla polvere".
Non è il momento delle urla e degli insulti "Mi metto in un cantuccio e osservo fino a che punto arriveranno".
L'intervista oggi sarebbe perfetta. "Ci sarà tempo e modo, voglio sempre conservare un contegno".
Il contegno. "Però questi qua sono nemici su tutto: non si parlano, né si guardano, né si salutano. E poi si arriva alla Rai..."
Miracolo. "Miracolo"
Chissà la gente cosa avrà capito? "Boh".
Era chiaro: ti danno un passaggio ma a metà tragitto ti fanno scendere. "Ma io adesso voglio godermi fino all'ultimo questo spettacolino".
E diamine, facciamola questa intervista. In questo preciso momento Villari parla e bum. "Ci conosciamo e davvero le chiedo questa cortesia: io devo tutelare me stesso dall'inizio alla fine dell'avventura. Voglio mettermi fermo e osservare quel che succede".
In politica la forma è sostanza. "Preservo la dignità della mia funzione. Poi ne parleremo, indagheremo e rifletteremo su tutto, approfondiremo la questione da cima a fondo e ci sentiremo anche più leggeri".
E questo non si discute. "Ha visto la dichiarazione di Morri?".
Il profumo di Rai è irresistibile. "Erano nemici su tutto".
(20 gennaio 2009) da repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Febbraio 05, 2009, 05:00:09 pm » |
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La famiglia. Dagli affari al grande salto in politica
Il capostipite e fondatore: io non sono solo sanità
L'ex portantino e i tre eredi
Dynasty sanitaria tutta d'oro
di ANTONELLO CAPORALE
ROMA - Non c'è un Angelucci, esistono "gli" Angelucci. Una storica foto riassume e definisce l'orizzonte fisico della missione industriale. Quattro maschi adulti e in fila, il capostipite in occhiali scuri. Tetri come funzionari brezneviani, ma affiatati e fedeli l'uno all'altro. Formiche ingegnose dedite al compito della vita: fare soldi, presto e bene.
Tonino è il capo, Giampaolo è il figlio delegato, cioè il vice. Gli altri due fratelli adulti hanno funzione di decoro industriale. Ce ne è un quarto ma è piccolino, ancora bambino. Dunque escluso dalle vicende. La moglie e mamma, la signora Silvana, invece è scomparsa anni fa. Tonino e Silvana, cioè Tosinvest. Tosinvest si chiama la holding sotto cui brilla il family team. Sede in Lussemburgo, perché il talento a questi livelli ha necessità di una boccata d'aria, e ramificazioni italiane, soprattutto romane. Soprattutto sanitarie.
C'è sempre un motivo, un perché sul fatto che lo Stato perde soldi nella sanità mentre i privati fanno soldi con la sanità. Quel percorso, tra Tac e posti letto, affidamenti e convenzionamenti, ha già condotto gli Angelucci - mesi addietro - a vedersela con i giudici pugliesi. Questa volta l'indagine parte da Velletri, la procura di quella città da dove Tonino convertì la liquidazione di portantino ospedaliero in un sogno: fare impresa, fare cash. Non c'è che dire. Cinquemila posti letto, cinquemila dipendenti, quasi il 2 per cento di Capitalia. Potrebbe bastare e basterebbe a chiunque.
Un ponte di comando che sembrava incredibilmente non bastasse alla responsabile della gioielleria esclusiva a cui si era rivolto il signor Angelucci. Dall'innocente colloquio intercettato il senso della vita. "Dottor Angelucci", si presenta lui. "Mi scusi, l'avrò declassata", dice lei. "Ha mai sentito l'ospedale San Raffaele? Quello sono io" rammenta il patron. "Ah, quello è lei, mi scusi se l'ho declassata". Eppure il boato, il tumulto che si impossessa del cuore della signora, si ha solo quando il tycoon butta sul piatto l'arma letale: "Libero, lo legge Libero lei?". "Mamma mia, io sono una fedele di Libero!". E vabbè, io so l'editore di Libero, ha visto?".
Angelucci conosce la verità elementare della chimica del potere. Bisogna che le singole particelle, le filiazioni societarie, intercettino una rotativa. Insomma, perché la fortuna non ti molli decisivo risulta sporcarsi le mani d'inchiostro - costi quel che costi - per contare davvero. E quella innocente conversazione, e lo stordimento della povera signora al momento del colpo finale ("Lo legge Libero lei?") è la prova del nove. Gli Angelucci, anche in questo caso, hanno fatto meglio e di più. Non uno ma due giornali, Libero e Il Riformista. Non una linea editoriale ma due. Con il piede destro nel centrodestra e col piede sinistro nel centrosinistra. Aggiungasi che la famiglia ha esercitato un notevole fascino finanziario che ha convinto i diessini, alleggeriti di parecchi debiti, a trasferire a Tosinvest Botteghe Oscure, le Frattocchie e persino un pezzetto di Unità. Si era a un passo da concedergliela tutta in sposa: problemi politici hanno convinto la famiglia a rinunziare all'acquisto. E però tutto quel che resta del comunismo italiano è nelle loro tasche. Giampaolo ferma la Ferrari, lui ama le Ferrari, nei dintorni di via dei Polacchi. Poi si incammina e accede al Bottegone, nel tempio del Pci dove, con gusto, ha ristrutturato tutta l'ala meno esposta ai rumori, ricavandoci altri appartamenti, uno dei quali abita personalmente. In una delle visite accurate nel sottoscala si dice abbia scovato decine di busti e quadri. Gli sarebbe anche venuta l'idea: una sorta di memorabilia del pensiero marxista.
Il passo doppio dei quattro Angelucci, di destra e di sinistra, di sopra e di sotto, vicini a D'Alema e a Fassino (il secco lo chiama papà Tonino) e a quegli altri, soprattutto a Gianfranco Fini avendo alle dipendenze dell'impero un altro Fini, Massimo, medico stimato del San Raffaele, si è come interrotto l'anno scorso.
Il capostipite ha voluto fare il grande salto in politica. Candidato ed eletto con il Popolo della libertà. Adesso l'onorevole Angelucci potrà vedere sottoposto al vaglio della Giunta parlamentare l'autorizzazione all'arresto. Tira il giusto vento per fortuna. Non si sono viste le carte ma la sua parte politica non sembrerebbe interessata ad accedere alla domanda del procuratore. A prescindere, come diceva Totò. Certo non l'immunità ha carezzato Tonino Angelucci quando ha deciso di candidarsi. In una imperdibile intervista a Libero, e l'uomo in tutta la sua vita ne ha concessa solo un'altra, ha spiegato: "Non vorrei che qualcuno considerasse il mio impegno così riduttivo e circoscritto. Angelucci non è solo sanità".
Però, e purtroppo, ancora tac, posti letto, convenzioni e prestazioni. Gli Angelucci al centro. Gli, plurale.
(5 febbraio 2009) da repubblica.it
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« Risposta #9 inserito:: Maggio 05, 2009, 11:23:29 am » |
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Rubriche » Piccola Italia
Antonello Caporale
L'Aquila e il decreto abracadabra
E' stato ribattezzato "decreto abracadabra" per le innumerevoli devianze creative con le quali accompagna il processo di ricostruzione dell'Aquila e dei paesini circostanti. La luna di miele tra gli abruzzesi e Silvio Berlusconi ha subito una prima e significativa increspatura. La lettura approfondita del decreto legge, e la verifica che i soldi all'Abruzzo in gran parte (4,7 miliardi di euro) saranno racimolati dall'indizione di nuove lotterie, dagli interventi sul lotto, e dai sempreverdi provvedimenti anti-evasione, soldi veri niente, e che in più le risorse saranno spalmate su un periodo lunghissimo (da oggi al 2033) hanno creato fremiti di rabbia dapprima isolati e poi sempre più partecipati.
Il tam tam ("Berlusconi ci inganna!") è iniziato, e non è una novità, sui blog. Prima Facebook e poi i partiti. Prima i conclavi nelle tende poi le riunioni istituzionali. Una giovane donna, Rosella Graziani, che sa far di conto, ha messo a frutto tutto il tempo ritrovato e fino alla settimana scorsa inutilizzato per radiografare il decreto legge e poi bollarlo in una lettera pubblica: "Mai nella storia dei terremoti italiani avevamo assistito a una ingiustizia tanto grande e a un tale cumulo di menzogne che ha ricoperto L'Aquila più di quanto non abbiano fatto le macerie".
Quali le menzogne e dove l'inganno? I soldi veri, il cash disponibile che Tremonti rende immediatamente spendibile si aggira sul miliardo di euro. Tolte le spese per l'emergenza, restano 700 milioni di euro destinati alla costruzione delle casette temporanee. E qui il primo punto: 400 milioni saranno spesi per edificarle nel 2009 e 300 milioni nel 2010. Se ne dovrebbe dedurre che la totalità delle case provvisorie sarebbero, è bene riusare il condizionale, realizzate totalmente entro l'anno prossimo. Dunque qualcuno avrebbe un tetto a settembre, qualcuno a ottobre, qualche altro a gennaio, o nella primavera che verrà. E' così? E' il dubbio, maledetto, che affligge e turba.
Secondo punto: le casette sono sì temporanee ma il decreto le definisce "a durevole utilizzazione". Durevole. Moduli abitativi condominiali, magari lindi e comodi, a due o tre piani. In legno. Ecocompatibili, risparmiosi, caldi. Perfetti. Possono durare decenni. E dunque: sarebbero provvisori ma purtroppo paiono proprio definitivi. E, questa è una certezza, sono le uniche costruzioni ad avere pronta una linea di finanziamento. Piccole e sparse new town. New town aveva detto Berlusconi, no? E le case vere? Quelle di pietra?
Qui la seconda questione campale: sembra, a scorrere gli allegati al decreto, che Berlusconi non possa concedere più di 150 mila euro per la ricostruzione dell'abitazione principale. E per di più questi soldi sarebbero veri fino a un certo punto, perciò la definizione di decreto abracadabra. 50 mila euro li concederebbe - cash - il governo; 50 mila li tramuterebbe in credito di imposta (anticipata dalla famiglia terremotata e ammortizzata in un arco temporale di 22 anni); altri cinquantamila sarebbero coperti con un mutuo a tasso agevolato a carico però del destinatario del contributo.
Non si sa bene ancora se sarà così strutturato il fondo. Le norme del decreto possono subire fino al prossimo giovedì emendamenti e correzioni. Quel che comunque sembra chiaro è che la somma ipotizzata (150 mila euro) ammesso che venga confermata, sarà sufficiente per una casa di tipo popolare e di nuova costruzione, ma totalmente sottodimensionata per finanziare i lavori di recupero e restauro conservativo. Nel centro storico dell'Aquila ci sono 800 edifici pubblici e 320 edifici privati, sottoposti a vincoli per il loro pregio.
Recuperi dispendiosi economicamente e, secondo questo decreto, sostanzialmente a carico dei privati. Così ieri i sindaci delle aree terremotate si sono ritrovati in conclave e hanno iniziato in un borbottio che è poi sfociato in un documento di dura protesta. "Vogliamo vedere nero su bianco i soldi per la ricostruzione e non solo quelli per le casette transitorie. L'Aquila va costruita dov'era e com'era. Così non sarà: a leggere il decreto i tempi sono dilatati fino al 2033, una data ridicola", ha dichiarato la presidente della Provincia Stefania Pezzopane.
Ai dubbi che già gonfiano i primi timori si aggiunge poi l'offesa istituzionale subita dagli enti locali. Il governo, promotore della prima legge costituzionale a vocazione federalista, ha accentrato ogni potere di spesa negando finanche al sindaco dell'Aquila, città epicentro del terremoto e capoluogo di regione, le funzioni commissariali esecutive. Penserà a tutto, come al solito, Guido Bertolaso...
(5 maggio 2009) da repubblica.it
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« Risposta #10 inserito:: Maggio 11, 2009, 09:32:53 am » |
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Il salto carpiato di Bertolaso
Antonello Caporale.
Il funerale del primo morto della tenda è di qualche giorno fa. Un uomo, quarantenne, è deceduto all'ospedale di Castel di Sangro per complicanze polmonari occorse sul suo corpo già gravato dalla malattia e purtroppo ricoverato sotto la tela. La probabilità che altri funerali dovranno celebrarsi è piuttosto alta. Diciamo almeno pari alla rabbia che, questione di giorni, tracimerà se le condizioni di vita nelle tendopoli si confermeranno ancora così spietate e impossibili.
Esistono segnali concreti, basta chiedere ai medici e agli infettivologi, dell'innalzamento delle situazioni acute che già oggi si presenta allarmante. La tenda miete vittime, e questo si sa. E i decessi nel periodo appena successivo a una catastrofe naturale toccano storicamente punte fuori dall'ordinario. In Irpinia decine e decine furono i morti, soprattutto anziani, nel periodo racchiuso tra la data dell'evento (23 novembre) e la fine dell'estate successiva (30 agosto). Malattie e decessi si contarono anche in Friuli. Friuli ed Irpinia sono le comparazioni possibili essendo i terremoti dell'Umbria e del Molise molto più modesti per forza distruttiva e decisamente localizzati in aree di dimensioni contenute.
La tenda, dunque, se è una compagna preziosa nelle ore immediatamente successive alla catastrofe, diviene nemica già dopo la seconda settimana di soggiorno. All'Aquila rischia di restarvi piantata più di dieci settimane. Anzi più di venti. Forse più di trenta. Il salto carpiato verso il rischio infinito lo si deve a Guido Bertolaso, l'uomo con la tuta, il pluridecorato comandante della Protezione civile, pluricommissario, plenipotenziario del governo, regista e principe in ogni disgrazia e attore protagonista di tutti i grandi eventi che il governo, con un tocco di eccentricità, li rubrica come emergenza nazionale per infilarli sotto la sua ascella.
Ma l'Abruzzo e Bertolaso sin dall'inizio non hanno legato bene. "Le scosse di terremoto che continuano a scuotere l'Abruzzo non sono tali da preoccupare, ma purtroppo a causa di imbecilli che si divertono a diffondere notizie false siamo costretti a mobilitare la comunità scientifica per rassicurare i cittadini". Come una targa a memento perpetuo, questa frase segna il carattere di travolgente certezza che anima i passi e le parole dell'uomo con la tuta. Vero, Bertolaso non poteva dire altro. Ma forse lo poteva dire diversamente. E, questo è sicuro, fare qualcosa di più prima per tentare di mitigare il pericolo, nel caso lo si fosse ritenuto concreto.
Il suo ottimismo, così denso e certo già prima della catastrofe, ha convinto il governo nelle giornate successive alla distruzione del capoluogo abruzzese ad adottare per il piano di ricostruzione la più ardua delle operazioni possibili: lasciare gli aquilani nelle tende fino a quando vere case non saranno costruite. Case asismiche ed eco-compatibili, moduli abitativi ad alto livello tecnologico ed elevata componibilità. Sei mesi appena nell'inferno della tendopoli per poi passare direttamente nel paradiso del campus, dei quartieri edilizi residenziali, di una abitazione comoda e sicura. E certa.
Mai era accaduto prima d'ora e c'era un perché. L'emergenza post-terremoto ha sempre conosciuto tre fasi duranmte le quali si sviluppa l'accoglienza, il sostegno e il reintegro abitativo. Una prima, di puro soccorso (fase a), con alloggiamenti di pronta realizzazione (tendopoli e/o roulottopoli), una seconda (fase b) con alloggiamenti a realizzazione differita e caratteristiche di ricovero a più lunga sostenibilità (moduli metallici o casette in legno monofamiliari); e poi la ricostruzione definitiva, la fase c. Ma il governo ha scelto di ridurre la catena e saltare completamente la seconda fase. Magari una telefonata a Giuseppe Zamberletti, deputato di lungo corso democristiano, padre della legislazione sulla Protezione civile, che prima e meglio degli altri (forse meglio anche di Bertolaso) ha valutato le opportunità e le caratteristiche delle singole fasi, teorizzando la necessità di un gradualismo che allentasse la domanda alloggiativa in un contesto di civile ancorché precaria sistemazione.
Invece niente. A Berlusconi non è parso vero fare a meno delle "baracche" ("gli sa troppo di campo rom", riferì il frastornato e inconsapevole sindaco dell'Aquila nelle ore immediatamente successive al terremoto), quando Bertolaso ha proposto al consiglio dei ministri di dar fiducia alla sua idea straordinaria di realizzare case, anzi c. a. s. e. acronimo che sta per "Complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili". Veri alloggi, palazzine a due o tre piani costruite su piastre di cemento a tecnologia giapponese, assorbenti l'energia sismica attraverso i "dissipatori", cuscinetti che rullano, ammortizzatori formidabili.
Le case a molle, idea magnifica! E soprattutto idea brevettata dalla Protezione civile in collaborazione con una propria fondazione, il centro europeo di formazione e ricerca in ingegneria sismica, l'Eucentre. Fatta questa scelta e coniugatala a una seconda ("No a una tassa di scopo per la ricostruzione in Abruzzo") l'esecutivo si è consegnato al capitombolo: o la va o la spacca. Queste case - "a durevole utilizzazione" - costano tanto, e tutti i soldi cash sono stati impegnati per farvi fronte. Quindi al resto delle necessità si è consegnato un decreto dai risvolti esoterici, un abracadabra di impegni presi eppure tenuti sospesi una coltre di nebbia. I soldi per le case in pietra ci sono, ma forse non ci sono. Ciascuno avrà 150mila euro per rifarsi un tetto. Ma forse di meno. O forse di più. Gli allegati tecnici al decreto sulla ricostruzione consegnano purtroppo l'impressione di un testo piuttosto confuso, enormemente impreciso, tecnicamente poco consapevole, a tratti con un sostenuto invito alla supposizione, vedasi le lettere a) ed e) alla relazione di accompagno e interpretazione dell'articolo 3 del decreto legge. Però s'è detto: c'è stato un qui pro quo.
(11 maggio 2009) da repubblica.it
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« Risposta #11 inserito:: Maggio 22, 2009, 11:51:52 am » |
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L'inchiesta.
Il Comune: chi vuole lasciare le tende può costruirsi una baracca vicino alla casa distrutta
L'Aquila, ricostruzione fai-da-te "Chi può si edifichi un ricovero"
Su 70.000 abitanti sono 100.000 le richieste di indennizzo
dal nostro inviato ANTONELLO CAPORALE
L'AQUILA - Come una cena di gala che finisce per essere ricordata dalle posate di plastica, così la ricostruzione dell'Aquila, annunciata come la più eccellente prova italiana di efficienza, piega in questi giorni verso un ritorno all'intramontabile genere nazionale del fai da te.
Con una mossa piuttosto disperata, di fronte al vedo-non vedo della legge che assegna i soldi (che ci sarebbero o forse no) per rifare ogni cosa, la giunta comunale dell'Aquila con delibera 147 del 12 maggio scorso avverte i concittadini che si fossero stancati delle tende e degli alberghi di avanzare autonomamente verso le vicinanze di casa. Chiunque abbia un cortiletto, una piazzola, un bordo strada libero può realizzare - a proprie spese s'intende - un box, o anche una dimora in legno, oppure un container, una baracca. Il "manufatto temporaneo" non deve essere più alto di sei metri e più grande di 95 metri quadrati. Casa o negozio, fai tu! S'arrende sconfortato il municipio dell'Aquila e s'arrangi chi può. "Non potevamo comportarci diversamente, abbiamo necessità di restituire un po' di vita alla città e di rispondere alle esigenze minime e urgentissime", commenta Antonello Bernardi, medico e consigliere comunale.
Il moto ondoso degli aiuti e della bontà nazionale sta lentamente acquietandosi. E il fuoco d'artificio aquilano, case a molle bellissime come l'Italia mai ha visto e avuto, pronte per l'uso e il consumo entro fine novembre, si spegne di fronte alla marea di lamiere che tra qualche giorno verrà consegnata alla vista del premier e, sfortuna, dei grandi della Terra per via del G8. Lamiere e baracche, proprio quello che Silvio Berlusconi ha cercato con ogni forza di evitare arrivando a sostenere il più rischioso dei progetti di sistemazione provvisoria: solo tende.
"La tenda inebetisce, massacra il morale, riduce l'intelligenza a zero e il corpo vitale di un lavoratore ad oggetto da assistere. Mangiamo bene tre volte al giorno, ci fanno fare la doccia e i bagni sono disinfettati due volte al dì... Le guardie ci controllano, gli infermieri ci aiutano e noi siamo lì reclusi e beati. Gente a cui il destino ha offerto prima della morte una vacanza, magari di merda, per un sacco di tempo", commenta l'architetto Antonio Perrotti, sistemato sotto la tela e promotore nel campo base del più agguerrito comitato popolare.
Il regime di vita, totalmente assistito, prevede in cambio però silenzio e ridotta capacità visiva. La nota della signora N. F., che il timore di rappresaglie induce a negare la propria identità, dimorante al campo base Italtel 1: "Capisco la sicurezza, ma con questa necessità si annienta ogni libertà di espressione. Al mio campo si entra e si esce solo con un badge di identificazione. Una sera iniziai a discutere con amici della necessità di fare qualcosa, muoverci, capire. Si forma un crocchio di una decina di persone e io inizio a interrogarmi ad alta voce. Passa qualche minuto e si fa vivo il muso di una camionetta dei carabinieri. Ci spiegano che ogni assembramento avente natura politica dev'essere autorizzato e che loro, finché non fosse terminato il nostro conciliabolo, sarebbero rimasti lì ad ascoltare".
Guido Bertolaso, manager della ricostruzione, ha puntato tutto sulle case a molle, le palazzine in legno e cemento precompresso a due o tre piani, che devono servire alla nuova L'Aquila. Ha bisogno però di pace e concordia. Per averla ha chiesto aiuto ai carabinieri e convocato il vescovo. Monsignor Molinari gli ha portato tutti i parroci ai quali Bertolaso ha consigliato di farsi attivisti della Protezione civile: alleviare, attutire, sistemare, e - diamine! - zittire se è il caso.
Il conto per tenere gli aquilani (in silenzio) al mare e concedere ogni possibile servizio di catering a chi non ha lasciato la montagna costa tre milioni di euro al giorno. Ai quaranta gradi e alla scelta temeraria delle tende si fa fronte con i condizionatori appena montati. Il reparto di malattie infettive è stato robustamente integrato da medici, tutti i casi di malanno da tenda (gastroenteriti, bronchiti, polmoniti, asma e tubercolosi) saranno presto trattati nell'ala dell'ospedale restituita alla città (cento posti letto) e nelle attrezzature mediche del centro clinico fabbricato per il G8 (ottanta posti letto).
Dove può, Bertolaso mette un cerotto. Ma quale cerotto può coprire la decisione di trasferire la città in quindici little town, a distanza di sicurezza dal centro storico del capoluogo, il punto g del dolore? "Centosessanta ettari, un consumo di territorio infinito dislocato tra località remote. Alloggio sicuro per 15mila persone, ma inutile per L'Aquila che morrà nell'attesa". L'Aquila, dice l'architetto Perrotti, ha bisogno di una flebo immediata e urgente di vita "e invece vedo che corrono in tutt'altra direzione". La zona rossa ancora non è stata valutata dai tecnici e dunque la parte del corpo più ferito e più vitale della città resta abbandonato da ogni cura. "L'Aquila vive se il centro storico si rialza subito. La decisione di Bertolaso di trascinare via gli aquilani e sigillare il centro ammazza ogni speranza", dice Rossella Graziani, dipendente dell'università.
Pronta la risposta del governo. La legge che finanzia la ricostruzione c'è e ciascuno dove vorrà realizzerà quanto chiede. Al Senato sono giunte le norme e i capitoli di spesa sono stati corretti al rialzo. Ma anche qui affiora il dubbio che l'Aquila abbia prodotto, oltre la morte e la distruzione, una inestricabile questione matematica. Se al municipio del capoluogo sono giunte 100mila richieste di primo indennizzo a fronte di 70mila residenti ("c'è un evidente squilibrio, dobbiamo controllare bene", annota il direttore generale del comune) in Parlamento la legge si gonfia di promesse finanziarie senza impegnare un euro in più di quelli già previsti... Sostiene il senatore Legnini, del Partito democratico: "Il governo ha deciso di saldare tutta la fattura per la casa ricostruita dal terremotato mettendo a copertura la identica somma. Vi sembra possibile?". Da decreto a legge abracadabra: ogni comma un mistero giacché la ricostruzione pare frutto di un effetto ottico. Ma per fortuna ci penserà Bertolaso. L'ha detto al consiglio comunale: "Lasciate stare la politica, ci sono qua io".
(22 maggio 2009) da repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Giugno 17, 2009, 12:44:12 pm » |
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La responsabile del Turismo ripresa col braccio teso a Lecco alla festa dei carabinieri.
A fianco a lei il padre nella stessa posa
La Brambilla e il saluto romano il video che imbarazza il ministro
di ANTONELLO CAPORALE
ROMA - Il fotogramma era eloquente ma parziale: il braccio teso, la mano dritta a punta, il corpo fermo, gli occhi fissi nel vuoto. Intenso e partecipato. Il video, che potete guardare su repubblica.it, raccoglie in un modo ancor più emozionante la scena immortalata dal reporter della Gazzetta di Lecco alla festa dell'Arma dei Carabinieri. Tra fasce tricolori e divise sull'attenti, Michela Vittoria Brambilla, neoministro per il Turismo, tende dinamicamente a sopravanzare il corteo istituzionale irregimentato ma piuttosto moscio e allunga il braccio fino a farlo puntare quasi al cielo. "Fa ridere soffermarsi sull'angolazione del mio gomito", commentò alla vista delle foto. Al video, che pure ha potuto visionare, ha deciso invece di rispondere col silenzio.
C'è da dire che l'angolazione ricavata dal film esprime compiutezza e aderenza ai criteri guida del saluto romano: braccio destro teso avanti-alto con la mano tesa aperta leggermente inclinata in alto rispetto all'intero braccio. Ridefinita così la posizione, e rivisto ancora il filmato, tutto sembra al suo posto, perfettamente in linea con la storia e - evidentemente - il primo amore. Il braccio disteso, gesto pieno e consapevole. Insomma, sembra fascistissimo.
E, se sono esatte le ricostruzioni familiari, parecchio fascista pare anche il gesto del papà che dallo stesso palco, ma dal lato opposto della figliola, ha reclamato a sé lo stesso saluto, e l'ha mostrato con medesima forza e uguale emozione. Tutti e due un attimo prima con la mano sul cuore, anche qui tutto perfetto, e un attimo dopo, appena alla fine dell'inno di Mameli, come sapete. Sembra che Brambilla faccia buon uso, diciamo così, del saluto fascista. Una deputata del Pd, Lucia Codurelli, giura che il ministro lo scorso 29 maggio avrebbe concesso il bis durante un raduno a Varenna, in provincia di Lecco, di persone in camicia nera. Non è vero. La Brambilla in quell'occasione vestiva uno splendido tailleur turchese. Qualche camicia, forse forse, solo sullo sfondo. Ma non c'è prova documentale. E la foto immortala la mano del ministro sul petto. Lì si ferma.
Finora, purtroppo o per fortuna, Michela Vittoria Brambilla si era conquistata la fama di essere una vulcanica donna del fare. I circoli della libertà, migliaia e migliaia, figli della sua intraprendenza. E anche la tv delle libertà, le telecamere, un partito nel grande partito di Berlusconi. Due anni di fuoco, molte presenze a Porta a porta, tutte con i tacchi e parecchie con le autoreggenti. Ancora un fotografo, ancora uno scatto, e le sue calze e anche i suoi slip sono divenuti oggetto della narrazione.
Poi i circoli si sono sciolti, la tv è stata chiusa e la Brambilla si è messa in pantaloni. Quando sembrava che le gambe stessero a posto e anche i piedi piuttosto comodi nei sandali con le zeppe, ecco le mani, anzi la mano destra aperta e tesa, trasgredire. Un perfetto saluto romano, tecnicamente ineccepibile, e un segno, se vogliamo, anche al decoro che Trilussa sempre ci fa ricordare: Quanno dai la mano a uno te po' capità de strigne dè no zozzone o de'n ladro. Perciò salutamose tutti alla romana: se vorremo ancora bene, tenendosi a distanza!
(17 giugno 2009) da repubblica.it
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« Risposta #13 inserito:: Luglio 16, 2009, 11:41:57 am » |
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L'intervista.
Il racconto di Vernola, escluso dalle europee: tra le candidate-sexy c'era anche Patrizia D'Addario
"La Brambilla chiedeva per le liste nomi di belle ragazze con il book"
Le foto dovevano valorizzare il lato estetico delle aspiranti europarlamentari
di ANTONELLO CAPORALE
E' il suo ultimo giorno da eurodeputato. Raccoglie le sue cose, prima dell'addio a Strasburgo. Marcello Vernola, pugliese e figlio di papà (dc, ministro dei Beni culturali) si è reso protagonista di una plateale contestazione a Berlusconi dopo non essere stato ricandidato. Superlativo il ricordo che ha affidato ai giornali delle ragioni che - a suo avviso - hanno interrotto la brillante carriera politica. Secondo Vernola, Denis Verdini, coordinatore del partito, alle sue rimostranze per l'ingiustizia che stava per subire, gli domandò: "Tu mica c'hai le poppe?".
Verdini ha smentito. "Ho buona memoria e ricordo anche che con una nota di colore - quasi a rincuorarmi - riferì che quando si tenne quello stravagante seminario politico per belle donne, sua moglie gli avesse chiesto di tornarsene a casa: "Oramai che ci fai lì?"".
Chiunque potrebbe dire che lei parla per vendicarsi. "Chiunque ha delle responsabilità in quel partito sa che io dico la verità. Il senatore Quagliariello e il ministro Frattini mi confidarono le loro perplessità a tenere lezioni di politica a una platea così originale ed eccentrica".
Le cui fila era stato chiamato in qualche modo a infittire. "Avevo aderito ai Circoli della libertà della Brambilla, divenendone membro dell'esecutivo nazionale. Alle politiche Michela ci chiese di proporre per la candidatura nomi di ragazze corredando i curricula con book fotografici".
Book? "Donne di bella presenza. Il corredo fotografico doveva servire a rendere percepibile il lato estetico della candidatura".
Lei selezionava e inviava alla Brambilla. "E la Brambilla inoltrava a Berlusconi".
Qual è stato il criterio adottato? "Io indicavo donne che avessero una storia da proporre, una cifra culturale o imprenditoriale. Per esempio ho proposto Gabriella Genisi, organizzatrice del festival letterario di Polignano a mare. Un appuntamento culturale molto noto a cui, siamo nel luglio 2007, non manco di partecipare Sandro Bondi".
Quando iniziano i suoi problemi in Forza Italia? "L'adesione a quei circoli mi rese nemico acerrimo di Raffaele Fitto. La nomenklatura di Forza Italia subì come un grave affrontò la corsa solitaria al potere, allora pareva inarrestabile, della Brambilla".
Non era gradito. "Ricordo perfettamente che alle Europee le ragazze da candidare dovevano essere otto. E ricordo altrettanto nitidamente le voci sui nomi di Patrizia D'Addario e Angela Sozio".
Chi glieli aveva comunicati il numero delle veline e i nomi? "Ambienti bene informati. E ho la convinzione che lo fossero davvero. Capito che il mio destino era segnato, chiesi udienza a Berlusconi che mi ricevette nella caserma di Coppito. Mi disse: "Ho in mente una rivoluzione. Voglio candidare ragazzi e ragazze"".
E capì. "Capii che per me era finita, anche se lui mi aveva garantito la ricandidatura. Con il senno del poi compresi quella domanda che mi aveva fatto lasciandomi interdetto: "Ma quand'è che mi presenti le tue amiche baresi?"".
(16 luglio 2009) da repubblica.it
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« Risposta #14 inserito:: Settembre 17, 2009, 10:40:26 pm » |
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Il miracolo dell'Aquila
di Antonello Caporale
E' un vero miracolo di efficienza quello dell'Aquila? Non sono possibili paragoni al mondo? Si sono abbattuti i costi e i tempi di reinsediamento? E' stata messa a frutto tutta l'esperienza accumulata in Italia nella gestione della fase della prima e della seconda emergenza? Sono domande utili a farsi. I dati storici e le comparazioni con gli altri eventi ci aiuteranno a stabilire la misura e la qualità della fatica realizzata.
Un avvertimento è d'obbligo: la comparazione è naturalmente limitata alla fase attuale dell'emergenza abruzzese. In Abruzzo la ricostruzione in cemento armato non è ancora iniziata; in Irpinia e in Molise non è invece mai finita producendo uno scandaloso spreco che Repubblica negli anni, non ha mai smesso di denunciare. Quindi ci fermiamo ad oggi. E puntiamo i fari unicamente sull'emergenza.
L'emergenza ha due fasi. Una prima, nelle ore immediatamente successive al sisma, e una seconda. Nella prima sono generalmente da considerarsi gli alloggiamenti in tende. Nella seconda la predisposizione di sistemi abitativi provvisori. I cosiddetti moduli. Essi possono avere due caratteristiche: essere del tipo "leggero" (containers e roulottes) e "pesanti" (casette in legno o in prefabbricato composto). I tempi di realizzazione di questi secondi, nella media nazionale stilata secondo i dati storici (terremoti del Friuli, di Campania e Basilicata, Umbria e Marche e infine Molise), sono di 211 giorni. Una media appunto: dalle prime consegne (in 62 giorni a San Giuliano di Puglia, alle ultime, con il completamento di tutto il piano di reinsediamento abitativo (360 giorni in Irpinia). Nel mezzo la progressiva e graduale sistemazione.
Se dunque volessivo davvero stilare una classifica delle prime case assegnate (m.a.p., moduli abitativi provvisori) con caratteristiche e in numero simili a quelli celebrati ad Onna, dovremmo segnalare questo ordine d'arrivo:
1) Molise (San Giuliano di Puglia), 30 moduli a 82 giorni dal sisma 2) Umbria, 30 moduli a 98 giorni dal sisma 3) Irpinia, 30 moduli a 105 giorni dal sisma 4) Abruzzo, 30 moduli a 116 giorni dal sisma
In effetti le prime case consegnate a L'Aquila datano 2 luglio, realizzate dalla provincia di Trento a Coppito e destinate al personale della Guardia di Finanza. I primi senzatetto ad essere ospitati abitano invece a San Demetrio e le hanno ricevute ("a tempo di record", ha scritto il Giornale) il 21 agosto. In estate infatti sono stati consegnati trenta moduli (21 a San Demetrio e 9 in località Stiffe).
Ritorniamo per un momento alla prima emergenza. Quel che segue è un raffronto tra il punto più alto dell'efficienza organizzativa (l'Abruzzo) e il punto più basso (l'Irpinia).
A L'Aquila sono state assistite circa 73mila persone nella settimana successiva al terremoto tra alberghi e tendopoli allestite. In quelle ore i temporaneamente sfollati (che hanno ricevuto solo cibo e cure) ammontano a più di centomila.
29 anni fa in Irpinia (l'area, ad esclusione del Friuli, più lontana da Roma, 340 chilometri dall'epicentro contro i 119 dell'Aquila) ma molto più grave per entità del danno e ampiezza geografica furono assistite 300mila persone circa. Duecentomila persone in tendopoli, ottantamila persone in roulotte, 20.900 persone in 451 alberghi. I temporaneamente sfollati (assistiti con cibo e cure sanitarie) ammontavano a circa 500mila. (Pubblicazione 18 marzo 1981, depositata alla Camera dei deputati).
I tempi di allestimento. 90 mila persone hanno trovato riparo in tendopoli entro sette giorni dal sisma (30 novembre-1 dicembre 1980). Altre 50mila entro 15 giorni dal sisma (5-8 dicembre 1980). Il resto della popolazione entro il 15 dicembre 1980.
I costi di reinsediamento. A L'Aquila si è deciso di saltare un passaggio che, nei precedenti storici, era ritenuto essenziale: la costituzione nella prima emergenza di roulottopoli e moduli abitativi in containers. La scelta ha avuto perciò un costo umano (la vita in tenda è durissima) ed economico.
L'assistenza completa per le persone ospitate soltanto in tendopoli è costata in sei mesi 114 milioni di euro. A ciò si devono aggiungere i costi in alberghi e in private abitazioni per il resto della popolazione. Proprio in questi giorni la Protezione civile sta rinegoziando con gli albergatori il prezzo del soggiorno (all inclusive) pro-capite: 50 euro a persona. Se questa cifra è esatta, per una famiglia di quattro persone si spendono circa 6mila euro al mese.
Il governo ha accettato questi costi e ha impegnato tutte le risorse disponibili (circa 700 milioni di euro) per la realizzazione delle C.a.s.e., abitazioni tecnologicamente avanzate ed ecocompatibili. Il loro completamento, previsto per fine dicembre 2009, permetterà di accogliere circa 4500 famiglie. Il costo a metro quadrato dell'abitazione (sono inclusi i costi di urbanizzazione primaria e secondaria) è di 2400 euro. Si deve ritenere che l'abitazione, sebbene durevole, sia comunque provvisoria perché gli assegnatari sono titolari di un distinto contributo per la ricostruzione in cemento della propria casa distrutta.
Sono circa tredicimila le famiglie ad oggi senzatetto. E molte di esse dunque devono essere ancora per molto tempo assistite altrove.
In Irpinia, quindi nel luogo dove più bassa è stata la capacità organizzativa e realizzativa, il piano di reinsediamento aggiornato al 30 giugno 1981 - in tempi dunque analoghi a quelli previsti per L'Aquila - prevedeva la installazione di 13.500 prefabbricati pesanti (simili a quelli consegnati a Onna e che oggi vengono chiamate case) nei 36 comuni del cratere e altri 10mila nei 76 comuni dell'area extraepicentrale. Il costo al metro quadro attualizzato (al netto però delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria che incidono per il 20-30 per cento) è di mille euro.
Al 15 novembre 1981, circa un anno dopo il sisma, il piano di reinsediamento, in ritardo sul cronoprogramma di circa 45 giorni, sono stati completati e consegnati, su 25586 prefabbricati, 18462 alloggi monoblocco con finanziamenti pubblici. A cui si aggiungono 2248 prefabbricati donati da enti vari e già consegnati.
(17 settembre 2009) da repubblica.it
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