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Autore Discussione: ROSY BINDI... -  (Letto 38721 volte)
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« inserito:: Luglio 12, 2007, 12:48:41 pm »

12/7/2007 (7:52) - PERSONE

"Il pericolo? Che il partito nasca contro il governo"
 
La pasionaria si candida: "Offro un'altra possibilità rispetto a Walter"

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


Prima di tutto si deve riconoscere che è una persona onesta, una di quelle - insomma - dalla quale compreresti la famosa auto usata perché è onesto il suo modo di ragionare, visto che ti accoglie avvisandoti che «guardi non è mica che noi siamo dei pionieri, non ci stiamo mica avventurando coraggiosamente alla scoperta di terre sconosciute: noi siamo, a voler dire la verità, piuttosto i gestori di un ritardo, perché l’Ulivo è nato più di dieci anni fa e stiamo ancora qui a discutere di come farne un partito». Ed è onesta anche la trasparenza con la quale Rosy Bindi parla del suo dissenso rispetto ad alcuni dei primi movimenti del nascente Pd. Non le piace l’idea che le liste per l’elezione della Costituente debbano essere necessariamente collegate alla candidatura del segretario (e ieri è tornata a proporre, senza fortuna, al «Comitato dei 45» la doppia scheda e il voto disgiunto); non le piace la possibile rotta di collisione - che già molti intravedono - tra il nuovo partito (e il suo leader) e il governo di Romano Prodi; e non le piacciono, soprattutto, le motivazioni ex post utilizzate per coprire esigenze e giochini di Ds e Margherita, «che naturalmente capisco, perché non è che abbia cominciato a far politica ieri, ma allora se ne parli con schiettezza, insomma si passi a metodi nuovi e si cominci con lo spiegare, per esempio, quando, perché e in quale sede è stato deciso che in ticket con Veltroni ci sia Dario Franceschini, che è mio amico e che stimo: ma mi chiedo perché serva un ticket oggi, visto che l’avevamo abbandonato già nel 2001 con la candidatura di Rutelli e poi di nuovo l’anno scorso, con quella di Prodi».

Non vorremmo che da tutto questo si traesse un’impressione sbagliata dello stato d’animo di Rosy Bindi, che continua a ragionare (ma il più è deciso) alla sua candidatura per le primarie del 14 ottobre: è una entusiasta del Partito democratico, considera «l’elezione diretta del segretario una delle più importanti innovazioni politiche degli ultimi anni», ammira Veltroni «che è il leader giusto per fare ciò di cui questo Paese ha bisogno: unirlo con serenità». Ma non ci sta - per carattere e formazione - a farsi menare per il naso. Ed essendo nota come «Sorella coraggio», ed avendo cominciato a rompere le scatole a chi predica bene e razzola male già un bel po’ d’anni fa, nella sua Dc, quando segretario era un certo De Mita (e la Dc, certo, non quella di Piccoli o Forlani), insomma, essendo tutto questo, figurarsi quanto può tremare di fronte all’idea di dissentire da Rutelli e Fassino: o di fronte alla malizia che la sua candidatura possa essere fatta passare come quella di una «pasionaria» (altro suo soprannome) che parte, sventatamente, lancia in resta contro il quartier generale e il leader designato.

«Non è questo il senso, ovviamente. E del resto non mi pare che sia avvertita così - spiega accoccolata su un divano del suo ministero (un appartamento a un quarto piano, moderno, lindo, chiaro, che sembra d’essere sbarcati in Svezia) -. Ancora più contenta mi rende il fatto che la mia candidatura non sia intesa come quella “della donna” oppure come la candidatura “cattolica” di cui il Partito democratico avrebbe bisogno: per quello, cioè per la corrente cattolica del Pd, c’è Fioroni che lavora, e basta e avanza... Vede, uno studio condotto tra i potenziali elettori alle primarie rileva che la caratteristica che mi distinguerebbe sarebbe il mio impegno nel sociale, per le questioni che riguardano - insomma - direttamente la vita della gente: bene, è un giudizio nel quale mi riconosco in pieno». E proprio «la gente» - o meglio: il rapporto tra il nascente Pd e la gente - è il suo rovello di queste ore. In fondo, dietro la sua candidatura sembra esserci fondamentalmente questo: offrire un’altra opportunità, una possibilità di scelta a chi il 14 ottobre andrà a iscriversi al Pd ma non vorrebbe votare Veltroni. «Io ho chiesto solo regole che non scoraggiassero altre candidature e quindi più partecipazione da parte della gente. Gliel’ho detto all’inizio: capisco tutto e c’è poco da fare i finti ingenui - spiega- . Ds e Margherita hanno equilibri e organigrammi da far quadrare a Roma e rappresentanze locali da garantire. Però c’è modo e modo. E questo sistema delle liste nazionali legate necessariamente a un candidato segretario - e viceversa, naturalmente - non mi convince. Io sono per la doppia scheda: perché potrebbe essere, per esempio, che voglio votare per Veltroni segretario ma non anche, per dire, per Bettini. Inoltre, questo sistema di più liste collegate allo stesso candidato leader, garantisce certo a Ds e Margherita la possibilità di eleggere nell’Assemblea costituente tutti i dirigenti regionali e nazionali che devono sistemare, ma scoraggia altre candidature e ostacola la partecipazione di gruppi ed esperienze». Ieri, «Sorella coraggio» ha riproposto queste obiezioni al Comitato dei 45: respinta con perdite, si direbbe in gergo militare.

«Peccato - dice Rosy Bindi -. Ma sa che le dico? Che più ostative saranno le regole, più ho voglia di candidarmi. E se sarà così, farò una campagna per segnalare il pericolo maggiore che aleggia sopra di noi: che il Partito democratico nasca - come qualcuno forse vorrebbe - contro il governo, e che Veltroni finisca per diventare il nemico numero uno di Prodi». Questo dirà nella sua «campagna» per le primarie. Questo e altro, chiaro. Per esempio, l’ennesima fine di un’illusione. Raccontano i suoi collaboratori che Rosy Bindi avesse assai apprezzato - e ci avesse creduto - la prima pagina con la quale La Stampa salutò con grandi foto, il 22 aprile, il giganteggiare sulla scena di tre donne: Ségolène Royal, Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Grande titolo: «Democratici, l’ora delle donne». Non era vero. «Promesse, auspici. In fondo è di questo che abbiamo dovuto accontentarci. Ma che vuole, magari sarà vera l’ultima, quella di Giuliano Amato: il prossimo capo della Polizia sarà donna...». Lo dice sorridendo, Rosy la candidata. Come chi, insomma, alle belle favole è tempo che non crede più.

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 12, 2007, 06:50:57 pm »

Il premier: «C'è spazio per candidati, programmi, liste e progetti»

Prodi sul Pd: «Non tutto è già stato scritto»

«Guai a immaginare questa come una corsa 'contro'.

Si tratta di una sfida 'per', alla quale tutti siamo chiamati con responsabilità» 
 
 
ROMA - «Sbaglia chi pensa che tutto sia già scritto e preordinato. C'è spazio per candidati, programmi, liste e progetti. Ma guai a voler immaginare questa corsa come una corsa 'contro'. Si tratta di una sfida 'per', alla quale tutti siamo chiamati con le stesse responsabilità».

È quanto scrive Romano Prodi in una lettera pubblicata sul suo sito internet, parlando del Partito democratico. «Mi aspetto che i 475 collegi elettorali che il 14 ottobre accoglieranno nelle nostre città il voto dei cittadini siano fin da oggi virtualmente aperti.

Per discutere, confrontarsi, aprirsi al dialogo. E per raccogliere un consenso non di facciata, ma una partecipazione convinta». Parlando delle candidature alla segreteria, il presidente del Consiglio spiega: «C'è chi ha già dato la propria disponibilità a giocare in prima persona questa partita e chi deve ancora decidere i modi e le forme del proprio impegno. A loro va il mio grazie sincero per il coraggio e la giusta ambizione che un partito come il Pd deve avere. Un partito che in futuro potrà rappresentare non solo una parte ma, ne sono convinto, la maggioranza delle italiane e degli italiani».

12 luglio 2007
 
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 12, 2007, 07:03:32 pm »

Dalla parte di zia Gina
Beatrice Magnolfi


Ho avuto una prozia che si chiamava Gina, come la signora evocata dalla ministra Bonino per giustificare l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. La «mia» Gina era nata negli anni 20, rimpiangeva di aver dovuto lasciare la scuola dopo la IV elementare per andare a lavorare nei campi e poi, a soli 14 anni, alla fornace dei mattoni, perché in tempo di guerra servivano le braccia dei ragazzini. Poi è arrivato il momento della pensione.

Dopo aver fatto tanti mestieri e aver curato, al contempo, un nutrito drappello di familiari e congiunti, non sarebbe riuscito a convincerla a rimanere al lavoro nemmeno domineddio, col quale era molto in confidenza. Altri tempi, lo so bene; il paese è completamente cambiato, per fortuna.

Le «ragazze» degli anni 50, di cui si parla in questi giorni a proposito di pensioni, sono lontanissime dalla storia di mia zia. Magari sono tutte sessantenni che si sentono più pimpanti di prima e non chiedono di meglio che continuare a lavorare.

Eppure, forse perché Bonino mi ha fatto pensare alla Gina, continuo a domandarmi se far pagare alle donne la nostra difficoltà a far quadrare i conti pubblici sia proprio la cosa più riformista da fare. La più innovativa, la più europea, la più rispettosa delle pari opportunità.

Si parla molto di andamento demografico e di aspettativa di vita. Ma i dati statistici vanno letti nella loro interezza, ivi compresi quelli che riguardano i tempi di lavoro e le retribuzioni. Secondo l’Istat, le donne lavorano il 30% in più e guadagnano il 30% in meno, a parità di qualifica. All’orario di lavoro, le donne occupate sommano 5 ore al giorno di impegni di cura (bambini, anziani, cura della casa, ecc...), mentre i loro compagni raggiungono a mala pena 1 ora e mezzo. Sono dati che non hanno nulla a che fare con l’Europa.

Si parla molto di denatalità, ma non si ricorda che chi è nata negli anni 50 - sono sempre le statistiche a dirlo - ha cresciuto, mentre lavorava, due figli a testa, con una media di presenza del padre al fianco dei bambini che era perfino inferiore ai 20 minuti al giorno odierni. Anche questo non è affatto uno standard europeo.

Occorre anche considerare il tipo di lavoro, che per la maggior parte delle donne vicine alla pensione non è certo un impiego direttivo, da manager, da ricercatrice o docente universitaria; i grandi numeri si concentrano nella piccola impresa, nella pubblica amministrazione e nell’insegnamento: stipendi bassi e cartellini da timbrare, studenti sempre più sbruffoni, ruolo sociale zero.

Sono state delle pioniere in tutto, le ragazze degli anni 50: in bilico fra due modelli contrapposti, esperte di contraddizioni e sensi di colpa, sono state le prime a lottare per l’emancipazione senza trascurare la famiglia, le prime ad accedere in massa all’istruzione, le prime per le quali il lavoro è stato uno sbocco normale. Ma anche le prime a convivere con figli ormai adulti che non possono permettersi una vita autonoma e continuano a farsi accudire, e contemporaneamente, le prime ad avere, non più giovani, ancora una generazione davanti, quella dei vecchi-vecchi da accompagnare nella decadenza fisica e nelle malattie. Sono le prime nel consumo di detersivi e prodotti per la casa rispetto agli altri paesi europei. E sono anche le prime, sempre loro, nei consumi culturali, libri, cinema e teatro, in un continuo slalom per tenere insieme tutto.

E se il nostro governo spiega con onestà e chiarezza (comunicare con i cittadini non è un optional) che devono essere le prime anche a lavorare più a lungo, potrebbero, chissà, perfino trovare l’orgoglio di prestare un ulteriore ennesimo «servizio civile», naturalmente per scelta e non per obbligo.

L’importante è non prenderle in giro. Non parlare di modernità mentre si sta chiedendo un ennesimo sacrificio. Non citare le pari opportunità quando si stanno trattando in modo uguale situazioni differenti. Non evocare l’Europa che ha tassi di occupazione femminile, di distribuzione del carico familiare e di efficienza del welfare che sono lontanissimi dai nostri. E soprattutto garantire che le risorse aggiuntive non servano per compensare l’attenuazione dello scalone, perché far pagare alle donne la libertà degli uomini è una prassi, questa sì, anacronistica, anzi vecchia come il mondo.

Piuttosto, mettiamo sul tavolo strumenti concreti per costruire un domani meno incerto e precario ai figli, per aiutare le più giovani a tenersi il lavoro e a far carriera dopo aver fatto un bambino, per investire sui servizi agli anziani non autosufficienti, che sono la nuova emergenza sociale delle famiglie. Senza tabù ideologici (le donne ne hanno sempre avuti pochi), ma partendo dal dato di realtà, che è l’essenza del riformismo. Solo così possiamo avere le carte in regola per chiedere qualcosa a tutte le Gina d’Italia.


*Sottosegretario
Riforme e Innovazione


Pubblicato il: 12.07.07
Modificato il: 12.07.07 alle ore 8.48   
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 16, 2007, 07:08:32 pm »

Con lei in corsa Veltroni e Colombo

Rosy Bindi si candida alla segreteria del Pd

L'annuncio affidato a un comunicato: «Anche io, come tanti, sento la responsabilità di un impegno in prima persona»   
 

ROMA - Rosy Bindi si candida alla segreteria del Pd alle primarie del 14 ottobre. Lo ha annunciato lo stesso ministro della Famiglia attraverso una nota: «L'appuntamento del 14 ottobre ha risvegliato nel popolo dell'Ulivo nuove attese e una grande speranza nel Partito democratico - è scritto nel comunicato -. Queste attese e queste speranze non possono andare deluse. Anch'io, come tanti, sento la responsabilità di un impegno in prima persona. Ho riflettuto a lungo sul contributo che avrei potuto dare a questa straordinaria opportunità per la politica e il paese. Sono ormai convinta che la scelta più giusta e più utile sia quella di presentare la mia autonoma candidatura alla segreteria del nuovo partito». Al momento, oltre alla Bindi, i candidati sono Walter Veltroni e Furio Colombo. Il ministro Bersani aveva al contrario annunciato la propria rinuncia alla segreteria del Pd pochi giorni fa.

CONTRO IL REGOLAMENTO - Il ministro Bindi ha poi spiegato: «Il Comitato dei 45 ha approvato un regolamento elettorale che favorisce chi può contare su una forte organizzazione. Ds e Margherita, attraverso i loro più autorevoli esponenti, hanno già dichiarato di appoggiare la candidatura di Walter Veltroni». «Nonostante questi limiti - ha continuato - sono convinta che in tantissimi, donne e uomini e soprattutto giovani e giovanissimi, che già si sentono democratici pur non militando nei partiti esistenti o sentendosi estranei ai loro apparati organizzativi, si aspettano e vogliono essere protagonisti di questa nuova stagione».

«LASCERO' ALTRI INCARICHI» - La scelta delle segreteria del Pd obbligherebbe ovviamente il ministro della Famiglia a rinunciare agli altri incarichi. Onere che la Bindi accetta senza problemi: «Se sarò eletta rinuncerò a qualunque altro incarico. Consapevole del rilievo di questo impegno per la nostra democrazia e il futuro del Paese, mi dedicherò esclusivamente a questo compito entusiasmante che corrisponde ad una grande domanda di cambiamento della politica»

16 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 17, 2007, 10:42:26 pm »

Rosy Bindi si candida, e Rutelli si arrabbia con Parisi


Grazie a donne, giovani e militanti. «Rigrazio tutti coloro, in particolare i tanti come me, i cittadini comuni e i militanti dei Ds e della Margherita che in queste ore, attraverso tante mail e tanti messaggi apprezzano la mia scelta». A dichiararlo è la candidata alla leadership del Partito democratico Rosy Bindi che, in una nota, rivela che «ci stiamo organizzando e tutti saranno coinvolti in questo cammino. E ringrazio tutte le colleghe e i colleghi che hanno dichiarato il loro apprezzamento».
Ma, prosegue il ministro della Famiglia, «soprattutto Arturo Parisi, che tanti anni fa ci ha consegnato l'intuizione politica dell'Ulivo e da allora prosegue con tenace fedeltà la prospettiva del Partito democratico». «Non mi candido e appoggio la Bindi», ha fatto sapere Arturo Parisi, annunciando che con la candidatura alla segreteria del Pd di Rosy Bindi vengono meno le ragioni di una sua discesa in campo e ha annunciato anzi il suo sostegno alla leadership del ministro della Famiglia. «Al momento scelgo indiscutibilmente lei».

Perché? «La Bindi ha alzato la mano indipendentemente dall'indicazione dei partiti anzi contro l'indicazione dei partiti stessi - continua Parisi - superando i limiti di un regolamento che è stato pensato sulla base e con il presupposto che ci fosse il controllo dei partiti».

«Brava Rosy» lo dice anche il ministro delle Telecomunicazioni Paolo Gentiloni, che nel suo blog nel web però scrive: «Io tifo Walter, ma oggi penso che Rosy abbia tutte le carte in regola per non essere una "sparring partner" e per presentarsi come candidata segretaria».

La decisione di Rosy Bindi di candidarsi alla Segreteria del Pd? «Benone! Sono contenta perché è una bella candidatura», dice Anna Finocchiaro. «Plauso a Bindi candidata - afferma invece la "teodem" Paola Binetti - ma scelgo il manifesto di Rutelli». Alla Bindi arrivano poi gli auguri di una collega del governo, Livia Turco: «Ad una cara carissima amica non si può che augurare in bocca al lupo». E il capogruppo dell'Ulivo alla Camera, Dario Franceschini, afferma: «Il fatto che ci siano altri candidati come Rosy Bindi e Furio Colombo arricchisce il confronto sul nuovo partito».

Da Trieste, laconico il commento di Francesco Rutelli al sostegno di Parisi alla candidatura di Bindi: «Ognuno dice e fa, come si vede, quello che vuole». Intanto, resta ancora il punto interrogativo su cosa deciderà il sottosegretario Enrico Letta, anche se in molti danno quasi per scontata la sua candidatura.


Pubblicato il: 17.07.07
Modificato il: 17.07.07 alle ore 17.49   
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 18, 2007, 10:05:46 pm »

Pd, Letta rompe gli indugi: «Mi candido per le primarie»

Il 25 luglio il debutto a Piacenza?


Enrico Letta rompe gli indugi e si candida: correrà per la segreteria del Partito democratico.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a quanto si è appreso, in queste ore ha sciolto la riserva e confidato ai suoi collaboratori più stretti la decisione di competere alle primarie del prossimo 14 ottobre.

Letta - 41 anni il 20 agosto, pisano - aspetterà la prossima settimana per ufficializzare la candidatura perché, ha spiegato al suo entourage, «non voglio rubare la scena a Rosy Bindi». L'appuntamento, quindi, dovrebbe essere a Piacenza mercoledì 25 luglio, nel cuore di quel nord che il Partito democratico si propone di riconquistare.

A Piacenza, poi, c'è il sindaco dielle Roberto Reggi già al lavoro affinché la città emiliana sia la "Torino" di Enrico Letta che, inoltre, sta mettendo a punto un documento programmatico di sostegno alla sua candidatura.


Pubblicato il: 18.07.07
Modificato il: 18.07.07 alle ore 16.21   

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« Risposta #6 inserito:: Luglio 18, 2007, 10:12:43 pm »

18/7/2007
 
Danze romane
 

FEDERICO GEREMICCA
 
Emma Bonino rimette il proprio incarico di ministro nelle mani di Romano Prodi e Romano Prodi, tempo un’oretta, la rimette al suo posto di ministro senza «neppure prendere in considerazione» l’ipotesi di sue dimissioni. Nel brevissimo intervallo si scatena la solita guerriglia nella coalizione di governo, durante la quale Rifondazione ha modo di dare dell’irresponsabile e della ricattatrice al ministro para-dimissionario, il partito di Mastella di dire che a questo punto meglio un governo istituzionale che porti alle elezioni e l’opposizione - naturalmente - di fregarsi le mani e di ripetere: «Lo vedete che il governo è morto? Si agita ancora, ma in realtà è morto».

Se invece di scrivere al premier una lettera, Emma Bonino avesse alzato il telefono per dirgli «bada che se sulle pensioni cedi alla sinistra radicale io mi dimetto», avrebbe almeno risparmiato al governo (e dunque, si presume, anche a se stessa) la quotidiana slavina mediatica. Ma tant’è. Il clima da campagna elettorale mai conclusa non rende deprimenti e dannosi solo i rapporti tra maggioranza e opposizione: è ormai stabilmente attecchito anche all’interno della coalizione di governo, dove da tempo è tutto un fiorire (e combattere) di presunti pavidi contro presunti coraggiosi, custodi del maggioritario e vestali del proporzionale, radicali e riformisti, leader di oggi e leader di domani. Che in queste condizioni il solito sondaggio mensile segnali un ulteriore calo di fiducia verso il governo (35% rispetto al 39% di giugno: cioè ben al di sotto dei consensi ottenuti dall’Unione appena 15 mesi fa) non può sorprendere.

Anzi, verrebbe da dire che sfiora il miracolo il fatto che un italiano su tre esprima ancora gradimento nei confronti dell’esecutivo. Naturalmente, se Emma Bonino avesse usato il telefono invece che carta e penna, nulla sarebbe cambiato per quanto riguarda il merito della nuova «curva pericolosa» che è di fronte a Romano Prodi. E il merito è quello che è: tentare di dare un’aggiustata in corsa all’ennesimo lavoro a metà (stavolta lo scalone in materia di pensioni) lasciato in eredità al centrosinistra dal governo di Silvio Berlusconi. L’impresa si presentava come già difficile in partenza, considerate le contrapposte aspettative che pesano sul riordino del sistema previdenziale e la quantità di osservatori (nazionali ed esteri) già lì col dito alzato pronti a giudicare quel che verrà fatto. Va onestamente riconosciuto, però, che le difficoltà sono state moltiplicate per dieci dalla dinamica messasi in moto nella coalizione di governo un minuto dopo (o forse addirittura prima...) il giuramento dei ministri al Quirinale: e cioè quella sorta di gara, di sfida, a chi la spunta e a chi è più inflessibile tra la componente radicale e quella riformista dell’Unione.

Secondo molti - e non si fa fatica a crederci - questa dinamica, al di là delle note e antiche convinzioni personali in materia, avrebbe pesato anche sulla mossa di Emma Bonino. Con una ulteriore aggravante: che oltre a dover dimostrare che le «posizioni conservatrici o reazionarie della sinistra comunista e sindacale» non passeranno (così nella sua lettera a Prodi), la leader radicale ha dovuto battere un colpo anche perché insidiata nella sua torretta liberista dalle posizioni assunte da alleati (si fa per dire) di centro - e il riferimento è a Rutelli e al suo manipolo di «coraggiosi» - nonché addirittura da ex compagni di partito come Capezzone, che ormai alla deriva tra centrodestra e centrosinistra vagheggia addirittura una nuova «marcia dei 40 mila» giusto sulla riforma delle pensioni. Si tratta, come per altro i risultati dovrebbero aver dimostrato agli stessi protagonisti, di atteggiamenti incomprensibili: o meglio, comprensibili alla vigilia di elezioni, quando si è a caccia di voti, non certo quando il mandato ricevuto è a operare e costruire, piuttosto che propagandare. Il perseverare - nonostante sondaggi, risultati elettorali amministrativi e disaffezione dei cittadini suggeriscano di darci un taglio - ormai non pare definibile con una parola diversa da suicida.

Comunque sia, il governo dovrebbe aver guadagnato un altro titolo di apertura dei giornali. Dopo quello di ieri sul monito di Draghi (appunto in materia di pensioni e fisco) e quelli dei giorni scorsi per l’ennesimo «lascia o raddoppia» al Senato sulla riforma della giustizia, quelli di oggi saranno a metà tra «lo strappo della Bonino» e l’annuncio di Palazzo Chigi che venerdì il Consiglio dei ministri varerà la riforma delle pensioni. Prodi, naturalmente, è stato subito parzialmente smentito dal ministro Damiano, che, alla domanda se il governo ce la farà a chiudere la partita-previdenza entro la settimana, ha prima fatto una smorfia e poi risposto «dobbiamo provarci»: ma stavolta, almeno, non vi sono stati aggiunti diktat, minacce e annunci di crisi. Può sembrar poco, è vero: purtroppo non lo è.
 
da lastampa.it
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« Risposta #7 inserito:: Luglio 20, 2007, 04:14:23 pm »

POLITICA

Il ministro Bindi ha presentato il suo programma "di partito e non di governo"

"Non mi candido contro Veltroni. Certo tra noi molte differenze"

Il manifesto di Rosy: partecipazione "Non ho bisogno di ticket" e "no ai tatticismi"

Critiche alla coppia tra il sindaco di Roma e Franceschini: "Io faccio da sola".

Un po' "Davide contro Golia senza neppure la fionda", la candidata chiede aiuto logistico all'Ulivo.

Intanto si affida a internet

di CLAUDIA FUSANI

 
ROMA - "Io non mi candido contro Veltroni, semmai do un contributo al nuovo partito". Comincia mettendo i puntini sulle "i" e spiegando perchè la sua, quella di Rosy Bindi, è una candidatura "diversa". "Tanto per cominciare - arringa i presenti il ministro della Famiglia che, sorridente, sfoggia tailleur nero e filo di perle con un taglio di capelli sempre corto ma più sbarazzino - io sono una donna e lui è un uomo e questo è il momento delle donne; ho una forte attenzione aio temi del sociale e poi non mi candido con un programma di governo - perchè un governo c'è già - ma con un programma per il partito nuovo".

Residence di Ripetta, cuore di Roma, a due passi da piazza del Popolo, mezzogiorno. Rosy Bindi parla di sé, del partito che immagina e che vorrebbe e spiega perché ha deciso di candidarsi nonostante l'ingombrante e stravincente ticket Veltroni-Franceschini. Perchè ha deciso di andare anche contro il diktat del suo partito - la Margherita - che aveva già selezionato il suo candidato forte, Dario Franceschini.

Servono motivazioni molto forti per fare una scelta così di rottura, di passione. Il ministro della Famiglia cerca di spiegarli tutti, questi motivi. E comincia da quella che è la sua idea di partito "che dovrà ridare dignità e autorevolezza alla politica, perchè la politica si assuma la responsabilità di risolvere i problemi del nostro paese".

Passione, partecipazione, risposte concrete. "Il mio - promette - sarà il partito degli italiani, tutti, senza differenze, senza nomi importanti". Un partito "senza ambiguità nè tatticismi", delle persone normali "e non degli apparati" tanto che "il primo firmatario della mia lista è uno studente, poi c'è una casalinga". Lei cattolica, dovrà e vorrà "rappresentare tante culture".

Per scaramanzia la Rosy aveva prenotato una stanza piccola, cento persone, chissà. Un disastro, nel senso che per il battesimo della sua candidatura sono arrivate moltissime persone, pigia pigia, posti in piedi, caldo, mescolarsi. C'è Gad Lerner ("Sto con Rosy, è una popolare con la P maiuscola"), c'è Franca Chiaromonte, deputata dell'Ulivo, femminista storica, che fa pubblico endorsement, la dichiarazione di voto: "Appoggiare la candidatura di Rosy è una scelta dettata da trent'anni della mia storia politica e femminista. Mi spiace per Anna Finocchiaro, Giovanna Melandri, Livia Turco, la mia non è una cesura col mio passato (e che avrebbe preteso il rispetto della disciplina di partito e l'appoggio a Veltroni, ndr) sono sicura che lavoreremo insieme". In sala anche il parisiano Antonio La Forgia, Marina Magistrelli, Franca Bimbi, la regista Liliana Cavani, Giovanni Bachelet, il figlio di colui che fu il suo professore, un fuoco di artificio di battute e lodi al coraggio di Rosy: "Chi non risica non... Rosyca".

Il ministro-candidato non vuole un ticket, non cerca un secondo, "non serve, non ha senso: Veltroni ha le carte in regola per rappresentare tutte le componenti del futuro partito, come io, se diventerò segretaria, saprò interpretare tutte le componenti, pur provenendo da una storia diversa, senza bisogno di un'altra persona accanto a me". A chi dice che sia sostenuta da Prodi, risponde: "E a chi non piacerebbe?". A Enrico Letta, se vorrà candidarsi, fa i migliori auguri.

Ma la parola d'ordine del suo manifesto è partecipazione. "C'è chi pensa - ha proseguito il ministro - che le tante diseguaglianze che oggi l'Italia sta vivendo debbano essere risolte con l'antipolitica mentre noi sappiamo che questo si può fare solo con una grande partecipazione politica. Per questo facciamo appello ai giovani, alle donne, perchè si assumano questa responsabilità, cioè quella di interpretare questo paese e di dare delle risposte insieme. Per mettere insieme il Sud e il Nord, i giovani e gli anziani per ridare speranza ad un paese che ha subito troppe ferite in questi anni". La ricetta dell'antipolitica è una sola: "Più partecipazione". Coinvolgere, mescolarsi, rompere con i vecchi metodi.

Lei è perfettamente consapevole di aver "rotto" con i vecchi metodi, di aver sparigliato regole già scritte, anche per questo dice ai candidati e ai rispettivi apparati: "Facciamo un patto d'onore tra candidati e dopo le primarie, chiunque sia il vincitore, non vengano chieste verifiche nelle istituzioni locali", quella vecchia pratica per cui venivano sostituiti gli amministratori che avevano appoggiato il candidato perdente.

Applausi, emozioni e sorrisi per il candidato-donna, il primo e - parrebbe - anche l'unico del nuovo partito che pure ha preteso il 50 per cento dei candidati donne. Nell'ingresso dell'albergo c'è il tavolo per la raccolta delle firme: dovranno essere tremila entro il 30 luglio, di cui 500 raccolte in cinque regioni diverse. Volontari e messo comunale sono al lavoro dalle undici della mattina. Certo, la Rosy si sente un po' come "Davide contro Golia (Veltroni ndr) senza però avere neppure la fionda". Al di fuori delle metafora biblica, il problema è che la Bindi non ha nè un partito nè una struttura per la sua campagna da segretario. "Chiedo all'Ulivo che mi dia almeno una stanza in SS.Apostoli..." dice. Eh, già: i concorrenti hanno tutto, a cominciare dalle strutture di partito che organizzano incontri, raccolta firme e soldi. E lei?

Di certo non si perde d'animo. "C'è internet, e poi ci sono gli amici, non siamo un partito ma una famiglia molto professionale". I supporter di Rosy devono tenere d'occhio due web indirizzi: su rosybindi.it ci sono già adesso le informazioni per capire dove andare a firmare e il programma del candidato; nella prossime ore, entro il fine settimana, sarà attivo un altro sito "scelgorosy.it" dedicato alle primarie. I collaboratori giurano che alla web candidata, che non dimentica di organizzare anche il porta a porta, "arriva un mail di sostegno ogni cinque minuti, una valanga di simpatia".

(19 luglio 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Luglio 22, 2007, 07:14:44 pm »

21/7/2007 - E-POLITICA E DEMOCRAZIA ELETTRONICA
 
Adinolfi e l'idea di una "grande coalizione" del Web
 
 
"Mario, fai sognare anche noi": l'augurio dei blog di destra a un blogger di sinistra 
 
Mario Adinolfi, blogger di centrosinistra, mi ha inoltrato questo documento scritto da 5 blogger di centrodestra, che ha ricevuto dopo la sua candidatura per il Partito Democratico:  un'iniziativa "in nome del bene comune, per una volta sganciata, per quanto è possibile, da differenze politiche e culturali".

Bloggare è di sinistra, di destra, o è la volta di una "grande coalizione" del Web?

Abbiamo una rovente estate per discuterne...


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"MARIO, FAI SOGNARE ANCHE NOI"
Siamo un gruppo di blogger che si collocano all'interno dell'attuale schieramento politico di centrodestra. Crediamo da sempre nello strumento blog quale possibile mezzo di influenza culturale e politica, quale evoluzione del modo di informare e di essere informati. Negli ultimi anni abbiamo condiviso molte battaglie "virtuali", contribuendo con passione e impegno alla realizzazione di progetti ambiziosi. Abbiamo sempre cercato di usare i nostri blog senza partigianerie, sforzandoci di non seguire ciecamente gli ordini di scuderia ma discutendo, confrontandoci, creando un canale di comunicazione anche con chi non la pensa come noi. Tutto questo, sia chiaro, rimanendo saldamente ancorati alle nostre convinzioni politiche e culturali. Avevamo riposto molte speranze nella crescente diffusione dei blog di centrodestra, sperando che prima o poi alle parole sarebbero seguiti i fatti concreti, l'impegno sul campo, la raccolta di quanto si era seminato in precedenza. Oggi, a malincuore, dobbiamo ammettere che poco o nulla è successo in questo senso. Si tratta di una riflessione che facciamo convintamente da mesi ma che particolarmente in questi giorni diventa tremendamente attuale.

La candidatura a segretario del Partito Democratico di Mario Adinolfi, giornalista e blogger di centrosinistra, ha messo in evidenza ancora una volta la differenza di impostazione che separa i blog che si riconoscono nell'attuale maggioranza di governo e quelli di centrodestra. Da anni ci siamo autoconvinti che noi siamo i "blog del fare" contrapposto ai "blog del dire"; noi azione, loro sterile, continuo e cervellotico dibattito; noi liberi e liberali, loro indottrinati e statalisti. Forse avevamo ragione, forse no. Fatto sta che oggi, mentre gli ideologi della rivoluzione dei ragazzi in pigiama hanno perso molto del loro appeal e del loro slancio originario, dall'altra parte qualcosa si muove: Adinolfi parte dal blog e tenta di intraprendere la sua "rivoluzione in bermuda". Una scelta coraggiosa, quasi suicida politicamente ma di sicuro impatto mediatico.

Sia chiaro: nessuno di noi si sente vicino alle posizioni politiche di Mario Adinolfi, tantomeno a quelle del nascente Partito Democratico . Le nostre considerazioni riguardano solo ed esclusivamente lo strumento blog e i suoi possibili utilizzi anche nella vita reale. La "second life" creata ad hoc dai blogger di centrodestra ci appare a volte come qualcosa di sterile e fine a se stesso, un esercizio narcisistico e onanistico che somiglia tanto ad un'élite (o presunta tale) che ad un movimento di ampio respiro. Si discute, ci si fanno i complimenti a vicenda o si litiga, ma tutto rigorosamente all'interno dello stesso "branco" di appartenenza. E' proprio la mancanza di visione ad ampio spettro che imputiamo a chi fino ad oggi ha "gestito" il movimento dei blogger di centrodestra presenti in rete. L'idea che, vittime di una sorta di nuovo complesso dei migliori data dalla oggettiva incapacità dell'attuale governo di centrosinistra, quelli che avrebbero dovuto fare la "rivoluzione culturale" siano finiti in un limitante tifo di squadra che perde quel minimo di capacità critica necessario, se non a costruire, quantomeno a proporre il domani.

L'immobilismo colpevole del centrodestra virtuale si scontra oggi con il movimentismo dell'altro versante politico. Adinolfi è lì; dove sono i guru dei blog liberalconservatori? Per questo, dunque, pur non condividendo il progetto politico alla base dell'impegno di Adinolfi e sentendoci distanti anni-luce dal Partito Democratico, ci troviamo quasi costretti ad appoggiare l'impegno di Mario che rappresenta, anche per noi, un momento di avanguardia nel mondo dei blog. Dal virtuale si passa al reale; dai post alle dichiarazioni rogrammatiche; dall'onanismo salottiero e sonnacchioso all'impegno politico concreto.

E' quello che vorremmo accadesse anche sul nostro versante. Ma visto che questo sembra per adesso un obiettivo lontano, esprimiamo i nostri migliori auguri a Mario Adinolfi e gli offriamo, nei limiti delle sacrosante differenze politiche e culturali, il nostro supporto in questa difficile ma entusiasmante battaglia.

Firmato:
Domenico Naso –http://www.ilmegafono.net
David Moser –http://daverik.wordpress.com
Roberto Nicolai –http://www.robinik.net
Diego Destro –http://daw.ilcannocchiale.it
Fabrizia Cioffi –http://inyqua.iobloggo.com
Cantor –http://www.cantorblog.net


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« Risposta #9 inserito:: Luglio 24, 2007, 05:55:28 pm »

Vi spiego le mie idee

Rosy Bindi


La fase costituente del PD entra nel vivo grazie ad una competizione vera tra più candidati, ciascuno con le sue idee e il suo programma. Ho riflettuto a lungo su come dare il contributo migliore e la scelta di candidarmi mi è parsa la più utile e impegnativa.

Il sostegno che ho ricevuto in questi primi giorni, mi conferma nella decisione. Risponde alle attese di tanti militanti nella Margherita e nei Ds ma anche di tantissimi - giovani, donne, uomini - che guardano da tempo e con speranza a questo progetto.

La nostra ambizione era ed è quella di restituire autorevolezza alla politica, scommettendo proprio su un’idea nuova di partito e di politica. Un’idea che insieme abbiamo coltivato e perseguito, tra fatiche e lacerazioni, con tenacia e con grande passione comune. Un partito plurale e aperto, capace di unire le culture politiche del Novecento ma anche le nuove istanze dei movimenti per la pace, lo sviluppo sostenibile, i nuovi diritti di cittadinanza.

Il Pd non sarà, lo abbiamo ripetuto anche nei nostri congressi, una fusione a freddo tra due gruppi dirigenti ma una grande forza popolare, democratica, radicata nel territorio. Dobbiamo invece avere il coraggio di mescolarci tra di noi, senza quote e senza bilanciamenti di appartenenza, di spalancare a tutti le porte del nuovo partito. Dobbiamo avere a cuore l’unità futura del partito, la capacità di sintesi della sua leadership. Anche a questo giova il confronto sul programma, le alleanze, le riforme istituzionali e il rapporto con il governo Prodi.

In questo confronto porto la convinzione che il Pd si colloca al centro del centrosinistra per portare tutto il centrosinistra al governo. Un partito che concepisce il bipolarismo come democrazia governante e non allude tatticamente ad alleanze di «nuovo conio», al contrario, lavora per rafforzare la scelta di governo di tutto il centrosinistra. Il Pd che potenzialmente supera il 35% deve avere un dialogo inteso con la sinistra stimata al 15%.

Il Pd mette alla prova se stesso nel sostegno al Governo e nelle scelte impegnative di questo tempo. È necessario cambiare la legge elettorale per mettere in sicurezza il bipolarismo italiano, ma il consenso in Parlamento va cercato a partire da un accordo nel centrosinistra. Assi preferenziali tra una parte del centrosinistra e una parte del centrodestra hanno più il sapore di sospettosi accordi politici che di chiari e doverosi dialoghi istituzionali.

Sul piano delle riforme sociali abbiamo corretto l’iniquità dello scalone. Il governo ha dimostrato di saper fare riforme impegnative pensando anche al futuro delle nuove generazioni, una prova di riformismo maturo e della capacità del Pd di tenere unita tutta la coalizione. Noi, infatti, dobbiamo avere a cuore la sfida di superare vecchie e nuove disuguaglianze sociali: tra Nord e Sud dell’Italia, tra donne e uomini, tra giovani e anziani. Il sostegno al Governo Prodi è il sostegno a un programma di crescita e di sviluppo che coniuga equità e solidarietà, che ripensa il welfare in una chiave più moderna e più giusta. Un partito che guida il cambiamento, riconosce i meriti e promuove l’innovazione. Ma non si accontenta delle pari opportunità di partenza e ha l’ambizione di non lasciare indietro nessuno e sostenere le qualità di ciascuno.

Un partito infine che riconosce il momento delle donne, e investe su di loro per una nuova qualità della democrazia. Le donne conoscono dissensi di partenza, ma non se ne fanno paralizzare e sono le prime ad avvertire il bisogno di una nuova laicità. La mia candidatura vuole anche incoraggiare il protagonismo femminile, la voglia di assumere, in tante, nuove e maggiori responsabilità anche in politica.

Ciascuno di noi in questi anni ha lavorato sodo per arrivare all’appuntamento del 14 ottobre. Ognuno sa quanta strada è stata fatta nei Ds e nella Margherita e quanto il simbolo dell’Ulivo sia stato immagine ma anche sostanza di una nuova casa comune.

Per questo le primarie sono una straordinaria occasione di mettere alla prova la nostra capacità di innovazione. Per questo tutte le candidature possono dare un contributo e tutte sono degne di essere prese in considerazione.

La mia è al servizio di una mobilitazione più larga, oltre gli iscritti ai due partiti. Sono a disposizione di tutti: per valorizzare le energie migliori, motivare all’impegno politico quanti già si sentono democratici e vogliono essere protagonisti a pieno titolo di questa nuova stagione. Non mi nascondo le difficoltà, politiche e organizzative.

Il regolamento favorisce chi può contare su forti strutture organizzate centralmente, premia le vecchie appartenenze e non prevede la possibilità di votare direttamente il nuovo segretario. I Ds e la Margherita hanno già espresso, attraverso i loro più autorevoli esponenti, appoggio a Walter Veltroni. Presentare liste e candidati alternativi in tutti i collegi non sarà una passeggiata.

Occorre evitare che il legittimo sostegno al ticket con Franceschini provochi più o meno esplicite «conventio ad escludendum» nei confronti di altri candidati. E non vorrei che i dirigenti locali di Ds e Margherita si mettessero a disposizione solo di una parte e non di tutti gli altri candidati che ugualmente sono impegnati nella costruzione del partito nuovo.

La responsabilità che hanno oggi i due partiti è quella di animare il confronto con tutti e per tutti, così da garantire una reale fase costituente.

Resto convinta che il progetto del Pd sia più forte degli accordi tra i vertici. Resto convinta che la libertà delle persone sia più forte delle regole. La scommessa della mia candidatura è anche questa: realizzare il massimo di apertura a tutti i livelli e incoraggiare l’incontro vero e leale tra tutte le diverse sensibilità del Pd.

Sarebbe imperdonabile sciupare questa occasione per il timore di perdere ciascuno qualcosa: certezze e garanzie del passato, ruoli e collocazioni del presente.

Sarebbe imperdonabile mortificare la domanda di nuova politica che viene dal Paese, ma anche la domanda di democrazia e libertà che viene dai militanti e dagli iscritti di Ds e Margherita.

Chi sarà eletto il 14 ottobre è chiamato ad un’impresa impegnativa ed esaltante, cui mi dedicherò a tempo pieno dimettendomi dal Governo in caso di vittoria, dare forza e anima ad un soggetto politico nuovo. Un Partito democratico, davvero.

Pubblicato il: 24.07.07
Modificato il: 24.07.07 alle ore 13.53   
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« Risposta #10 inserito:: Agosto 02, 2007, 05:49:03 pm »

Bindi: «Corro per tutti e per arrivare prima»

Alessia Grossi


«La sfida della mia candidatura non è quella di rappresentare tutte le donne, ma tutti, donne e uomini». La ministra della famiglia Rosy Bindi, unica candidata donna alla guida del nascente partito democratico risponde alle domande dei navigatori durante la videochat di mercoledì su l'Unità.it. «Le donne possono rappresentare tutti. È il momento in cui questo può avvenire, chiedo il voto anche degli uomini». E, aggiunge la Bindi, «corro per arrivare prima, non per arrivare seconda. Sono di Siena, il palio si corre per vincerlo».

«Ma che ne pensa la candidata Bindi del "Manifesto dei coraggiosi" di Rutelli e come vede la possibilità di alleanze di "nuovo conio" cui il testo fa riferimento in caso di crescenti difficoltà in seno alla attuale maggioranza?» domanda il direttore, Antonio Padellaro. «Non capisco che cosa ci sia di coraggioso in quel manifesto e anche l'espressione "nuovo conio" mi preoccupa», dice Rosy Bindi. «Ma aspetto di conoscere l'opinione di Veltroni» dice un po' provocatoriamente. «Veltroni deve dire cosa pensa del Manifesto di Rutelli che tra l'altro lo sostiene. Non è concepibile che in merito si sia espresso solo Franceschini» - continua «e anche a Letta rivolgo la stessa domanda». Rosy Bindi ammette che una coalizione, specialmente se difficile come quella dell'attuale maggioranza «debba avere l'ambizione di allargare le proprie prospettive ma non a tutti i costi. Non sempre guardare al centro significa garanzia di moralità ed eticità. Puntiamo casomai a stare con il Pd accanto alla sinistra democratica e alla sinistra europea, che oggi rappresentano il 15 per cento dell'elettorato» spiega la ministra. «Che ne pensa Rosy Bindi della "disavventura" del deputato dell'Udc Mele» - chiede Cosetta Pellegrini- «come pensa che la gente prenderà questa questione in un momento in cui l'idea dei privilegi della casta ha già allontanato i cittadini dalla politica?» «Il Pd deve raccogliere anche la sfida di restituire una rispettabilità alla politica e motivare i cittadini» - dichiara la Bindi. «Ma non dobbiamo confondere l'antipolitica con questa miseria». «In Senato in questo momento si stanno facendo i test per gli stupefacenti perché l'Udc vuole dimostrare che Mele è solo una mela marcia». «Oltretutto - aggiunge la ministra «Ci vuole un gran coraggio per proporre, come ha fatto Cesa un indennità per il ricongiungimento dei deputati che hanno la famiglia fuori Roma». «L'atto di Mele se fosse stato compiuto da un qualsiasi cittadino sarebbe stato condannato senza riserve»- spiega la Bindi -«mi auguro che l'Udc la smetta e che chieda scusa ai cittadini».

Ma la sfida della ministra della famiglia è anche e soprattutto quella sulla laicità e molte sono le domande che i lettori le rivolgono a riguardo. Gaia chiede quali sarà il suo impegno per la laicità del nuovo partito, Luigi cosa pensa del testamento biologico, Giovan Sergio cosa ne pensa della ricerca sulle staminali. A tutti la candidata alla segreteria del Pd, da cattolica che crede fermamente nella laicità dello Stato, ribadisce: «Chi come me entra nel partito democratico da credente deve sentire come un impegno quello di una sana e fertile laicità per costruire una vera pluralità». «Legiferare su testamento biologico e ricerca è necessario» aggiunge, «tenendo presente il bene dell'umanità e la dignità della persona». «Da cattolica sono contraria all'eutanasia ma il Senato sta lavorando e credo che debba farlo nel rispetto della pluralità e delle diverse sensibilità» conclude la Bindi.

«E i Dico? Non crede che siano stati sacrificati sul tavolo del governo» chiede Antonietta. La ministra della famiglia è chiara: «Le difficoltà non sono venute dal governo. Quella della famiglia è diventato un argomento politico con cui la destra ha creduto di prendere i voti delle piazze che si sono riempite in sua difesa».«Il nuovo disegno di legge di Salvi incontrerà probabilmente più difficoltà di quello sui Dico» aggiunge la Bindi. «Non è coerente con il programma dell'Unione. Si batte per il riconoscimento di tutti i tipi di convivenze e credo» -continua il ministro- «che in molti solleveranno il dubbio di incostituzionalità». «Chi difendeva la famiglia si sentirà ancora più minacciato dalla proposta di Salvi. Io stessa non la condivido».

Al di là delle beghe politiche, degli scandali della cocaina, della corsa al Pd, ci sono le difficoltà delle persone. Ed è Bianca a proporle concretamente alla ministra: «Sono una mamma lavoratrice, praticamente due lavori a tempo pieno senza riconoscimento. Dopo il primo figlio sono stata emarginata in azienda e costretta a chiedere il part-time per stare dietro a tutto», una chiara sintesi delle difficoltà che incontrano le donne in Italia. E la domanda riguarda il futuro delle sue figlie, «almeno». «Io cerco già di sostenere le donne: come ministro della famiglia mi batto perché si possa conciliare la vita del lavoro con quella della famiglia», rassicura la Bindi. «Domani ci sarà una conferenza stampa per il piano degli asili nido e dei consultori». «Ma il governo potrà fare ancora poco rispetto al cammino che si dovrebbe fare». «Il Pd si darà da fare per questo, Bianca».


Pubblicato il: 01.08.07
Modificato il: 01.08.07 alle ore 16.12   
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« Risposta #11 inserito:: Agosto 04, 2007, 10:12:45 am »

4/8/2007 (7:24) - INTERVISTA

Bindi: "Sfido Veltroni in tv"

Rosy all'attacco: "Serve un faccia a faccia, altrimenti è tutto deciso dalle segreterie"

UGO MAGRI


Rosy Bindi maneggia la fionda che le hanno appena regalato alcune fan in vista della sfida contro Veltroni-Golia. «La sapevo usare da ragazzina», confessa, «ora non so più nemmeno come si tiene...».

Alle primarie sarà duello all’ultimo sangue, come in America?
«Non è in ballo la presidenza degli Stati Uniti. La gara è per dare al Partito democratico il segretario migliore. Anzi... la migliore. Ma chiunque verrà eletto, continueremo a lavorare insieme. Io mi sento in competizione con tutti, e contro nessuno».

Anche lei contagiata dal «buonismo» veltroniano?
«No, anzi, una cosa “cattiva” la dico subito. Questa corsa mi sembra un po’ viziata».

Da quando?
«Dall’inizio. E’ cominciata con un concorrente unico, che si è presentato come il candidato di tutti. Chi ricorda il discorso di Veltroni al Lingotto, era un po’ come se dicesse: “Io sono il tutto. Se poi qualcuno proprio vuole entrare in gioco lo faccia, ma insomma...”. Non era affatto previsto che ci fossero competitori. Solo dopo s’è addirittura invocata una pluralità di candidati».

E questo cosa comporta?
«Comporta un rischio. Che l’onere di giustificare la propria scelta cada solo su quanti si sono candidati dopo Veltroni, mentre la sua, di candidature, venga data per acquisita. Tutti debbono spiegare, motivare, prendere posizione ma non lui».

Perché lui no?
«Perché viene considerato il segretario “in pectore”. Questo condanna in partenza gli altri, me, Letta, a una condizione minoritaria».

Cosa si augura?
«Spero che arriverà un momento di confronto, quantomeno tra i principali candidati».

In tivù?
«Magari, perché no. Oppure alle feste dei due partiti. Dove allo stato attuale i confronti tra candidati non sono previsti».

Una dimenticanza?
«Secondo me è sbagliato. Capisco che i vertici Ds e della Margherita abbiano già deciso su chi puntare. Ma perlomeno dovrebbero sentirsi in dovere di giustificare queste scelte attraverso un democratico confronto».

Qualcun altro s’è fatto avanti per ospitare dibattiti?
«Gli unici di cui ho notizia sono due associazioni, Emily e Libertà e Giustizia. Io ci vado. Se ci saranno altri, tanto meglio».

Mettiamo che si arrivi a un faccia-a-faccia. Su cosa farà leva?
«Anzitutto sulla mia coerenza rispetto al progetto di Partito democratico. Ne sono stata un po’ pioniera dai tempi dell’Ulivo, credo di avere le carte in regola per interpretare la natura di questo nuovo partito».

Pure Veltroni pensa di averle.
«Anche lui, certo. Ma c’è un altro aspetto. Io ritengo che davvero per una donna sia giunto il momento di candidarsi».

Chiede di essere sostenuta in quanto donna?
«Non in quanto donna. Ma chi andrà a votare, e valuterà i candidati, mi auguro che non ignori la portata politica di questa novità. Chiedo apertamente che venga considerata. Il Pd lo facciamo anche per rispondere alla crisi della democrazia. E uno degli aspetti più evidenti di questa crisi è l’esclusione delle donne dai luoghi decisionali. Metafora a sua volta di tante altre esclusioni che paralizzano le decisioni stesse».

Veltroni insiste su una democrazia capace di decidere. Lei no?
«C’è quest’idea che la democrazia rappresentativa sia già nelle cose, acquisita, scontata. Per cui ora si chiedono le decisioni... Io dico invece che la democrazia non decide abbastanza perché è escludente. Le donne, insisto, sono le prime escluse. Ignorarlo significa rinunciare a rendere il Pd davvero democratico».

Claudia Mancina, che pure l’aveva apprezzata, dice: in tema di laicità mi fido più di Veltroni...
«Legittimo. Noto solo che pure la teodem Binetti dice di fidarsi più di Veltroni che di me. Allora rispondo a Claudia: tu all’opera mi hai già vista, prove di laicità ne ho date. Ma un Veltroni all’opera col sostegno della Binetti lo devi ancora vedere...».

Obietta il suo avversario: le candidature Bindi e Letta puntano a organizzare una componente più che alla leadership.
«Se avessi voluto organizzare una componente, avrei fatto come Fioroni una lista in appoggio a lui. Invece io mi candido proprio perché ho un’idea di partito e non di componente. E mi candido, sia chiaro, per il primo posto, non per il secondo».

Quale bisogno c’era di una candidatura cattolica, visto che nel ticket c’è già Franceschini?
«Io credo che i cattolici debbano giocare un ruolo da protagonisti. Mica stiamo facendo la Cosa Tre... (ennesimo tentativo della Quercia di rifondarsi, ndr)».

Cosa intende per protagonisti?
«Non animati da spirito identitario, buono per la riserva indiana. Ma impegnati a fondare una nuova laicità sulle questioni vere di oggi, quelle capaci di accendere gli animi, di riempire le piazze, di scatenare conflitti: la convivenza tra le fedi, la difesa della famiglia, l’orientamento sessuale, la fecondazione assistita, il testamento biologico, il modello di sviluppo... Il Pd non se la può sbrigare con l’indifferenza, la tolleranza o la rinuncia. Serve una nuova sintesi. Penso di poter contribuire a realizzarla».

Ne dia una prova.
«I Dico. Lì l’abbiamo trovata pur partendo da punti molto diversi. Il processo deve continuare, perché il marchio della laicità non ce l’ha la sinistra, come il marchio etico non ce l’hanno i cattolici. Che lo facciamo a fare, altrimenti, un partito plurale? A sistemare un po’ di persone? Al Pd serve andare nel profondo delle questioni, senza fermarsi all’unanimismo di superficie. Altrimenti perdiamo una grande occasione. E non so quante altre ce ne capiteranno ancora».

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« Risposta #12 inserito:: Agosto 26, 2007, 09:52:03 pm »

Rosy Bindi: non si può lasciar fuori un partito del 15%


In un'intervista a Repubblica, Rosy Bindi ribadisce le proprie perplessità di fronte all'ipotesi avanzata da Walter Veltroni che in futuro il Pd possa correre da solo pur di evitare alleanze disomogenee: «Una posizione più che legittima», ma «in astratto», perchè il «punto cruciale» è il sistema elettorale, sottolinea l'esponente della Margherita. Sì, perchè «se ci presentiamo da soli e poi si lavora per il modello elettorale tedesco dietro l'angolo c'è la Grosse Koalition». Da qui la proposta: «Mettiamo in sicurezza il bipolarismo e diciamo agli elettori che in caso sconfitta si va all'opposizione».

Il ministro poi risponde anche a chi, come Rutelli, ritorna a parlare di nuovo conio per le alleanze: «Non si può lasciare a sinistra del Pd e fuori dalle responsabilità di governo un partito del 15%. Certo Rifondazione e la sinistra radicale non devono tirare la corda ma bisogna evitare di provocarli. Io non sono Rutelli che considera il programma carta straccia e ogni giorno dà segnali di voler fare un'altra cosa».



Pubblicato il: 26.08.07
Modificato il: 26.08.07 alle ore 11.57   
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« Risposta #13 inserito:: Agosto 31, 2007, 12:00:44 am »

Lavavetri, Rosy Bindi: sorpresa dal centrosinistra

I lavavetri sono il nemico numero uno a destra come a sinistra.

Mezza Italia ha applaudito l�assessore alla sicurezza di Firenze Cioni quando, per un vetro di troppo, ha firmato un'ordinanza contro i lavavetri e Calderoli ha proposto al diessino la tessera onoraria della Lega. L'altra mezza è molto perplessa, in un paese dove magari il carcere lo meriterebbero mafiosi, camorristi, omicidi, ladri, spacciatori e qualche politico che ancora si proclama innocente.

La più esplicita è Rosy Bindi. «Sono sorpresa e anche un po indignata non tanto dall'ordinanza del sindaco Domenici quanto dalle prese di posizione, dalle reazioni a catena cui abbiamo assistito in questi giorni», ha detto il ministro della Politiche per la famiglia. Dalle molte dichiarazioni «non è emersa con chiarezza la differenza fra la cultura del centrodestra e quella del centrosinistra in merito ai temi della sicurezza, dell'ordine e della pulizia nelle nostre città». Eppure la sinistra una cultura su questi temi l'ha sempre avuta.

«Credo che dobbiamo liberare le nostre città dai lavavetri, dagli abusivi - ha detto la candidata alla guida del Partito Democratico - ma dobbiamo liberare anche gli abusivi e i lavavetri dal racket e soprattutto dobbiamo interrogarci su dove vanno e cosa fanno queste persone quando non sono più nelle nostre strade». «Una ordinanza che viene assunta dopo tanti anni - ha aggiunto - senza che sia stata svolta un'opera umanitaria nei confronti di queste persone, insospettisce sulla cultura della sicurezza e della solidarietà del centrosinistra». «Credo che il sindaco di centrosinistra e del Partito Democratico debba innanzitutto chiedere a chi lava i vetri come si chiama, da dove viene, dove abita, cosa fa dei soldi che raccoglie, perché noi potremo anche toglierlo dalla nostra vista ma non l'avremo liberato e non gli avremo restituito la dignità».

Amato pensa al modello Giuliani
Mentre il ministro dell'Interno Giuliano Amato sogna il modello �Rudolph Giuliani�, il sindaco di New York famoso per la �tolleranza zero�, e anche il sindaco di Trieste, di centrodestra, sale sul carrozzone degli sceriffi e firma un'ordinanza fotocopia a quella di Firenze contro i lavavetri, sono in molti che si indignano. «Penalizzare le figure più deboli con un cieco ricorso alla repressione non è affatto un modo per iniziare a risolvere i problemi � dice Giovanni Russo Spena -. È solo un modo per nasconderli, esattamente com�è successo in alcune città americane». Il capogruppo del Prc al Senato blocca subito Amato: «Contrariamente a quel che afferma il ministro Amato, Guliani non ha affatto risolto il dramma della microcriminalità e della povertà diffusa. Si è limitato a �ripulire� Manhattan (che non è New York), cacciando via quanti apparivano inadeguati alla sua concezione di decoro urbano e di sicurezza, costringendoli a spostarsi altrove».

Il modello Giuliani non va giù nemmeno a Paolo Cento. «Giuliani non è il nostro modello di sindaco - ha detto il sottosegretario all'Economia - stiamo importando un modello di sicurezza che discrimina gli ultimi, il centrosinistra non può approdare a delle politiche sociali come quelle del sindaco di New York». L�esponente dei Verdi scende in piazza San Giovanni a Roma, insieme al presidente della commissione regionale Lavoro Giuseppe Mariani, per pulire i vetri degli automobilisti fermi al semaforo. «Parlare di arresto, un'iniziativa peraltro incostituzionale, è lanciare un messaggio devastante ai cittadini», ha concluso Cento. «L'iniziativa di oggi - ha proseguito Cento - vuole dire al centrosinistra che le politiche per la sicurezza si attuano non con la demagogia ma con l'accoglienza, i servizi ed il mettere in rapporto le iniziative delle cooperative sociali.

Il biltz contro i lavavetri a Roma
Visto che il tema è caldo, a Roma è scattata un�operazione per contrastare alcuni fenomeni di �degrado urbano�, come spiegano in Questura: circa 40 i fermati. Lavavetri, parcheggiatori abusivi e minori mendicanti sono stati accompagnati dai vigili urbani presso la questura per procedere alla fotosegnalamento. «Al momento nelle zone di San Giovanni, Esquilino, Colle Oppio e Santa Maria Maggiore non sono più presenti lavavetri o mendicanti», afferma perentorio il comandante dell'unità organizzativa. «Quindici di loro li abbiamo multati per �intralcio della strada�», aggiunge fiero un dirigente della Ospol, l�unità che ha seguito l�operazione. E poi spiega i dettagli della brillante operazione: «Erano tutti stranieri, alcuni pure con un permesso di soggiorno. Abbiamo sequestrato la merce che vendevano ai semafori: Arbre Magic, fazzolettini, accendini. Abbiamo anche sequestrato i secchielli ai lavavetri».

«Così avete colpito solo i poveracci», ribatte Alessandro Marchetti, segretario romano del Sulpm. «Per quale motivo, prima di colpire i lavavetri e i mendicanti- aggiunge Marchetti- in modo così plateale e solo sull'onda della decisione del sindaco di Firenze, non sono stati prima pedinati gli stessi, che spesso vengono addirittura accompagnati sui �posti di lavoro� da furgoni bianchi, per scoprire chi c'è realmente a gestire questo racket? Questa retata, buona solo per gli occhi dei romani, di fatto mette in guardia i veri delinquenti e li terrà ben nascosti mentre a finire nei guai saranno come al solito i poveracci del terzo mondo».

Pubblicato il: 30.08.07
Modificato il: 30.08.07 alle ore 19.46   
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« Risposta #14 inserito:: Agosto 31, 2007, 12:10:40 am »

Viaggio nel disagio con Rossi-Doria, poi incontro con la senatrice Ds

La sfidante di Veltroni in visita a Forcella e a Scampia da padre Valletti

Patto tra Bindi e Carloni

"Qui la politica è debole"

Conchita Sannino


Il ministro: De Mita non si candidi alla guida del Pd  «Chi sostiene me, non può che sostenere il cambiamento». Poi ci ripensa, e raddoppia lo slogan: «Ecco, se io fossi come quei vescovi che hanno un motto nel loro stemma, farei incidere: "Dire ciò che si pensa, e fare ciò che si dice"». Perciò Rosy Bindi, nel corso di una intensa ed eterogenea giornata napoletana, lancia il suo deciso stop a Ciriaco De Mita. «Non credo sia una buona idea, francamente, che egli si proponga come segretario regionale del Pd. Penso che lui sia una delle poche teste politiche del Paese. Proprio per questo potrebbe dare un grande contributo... rinunciando a candidarsi».

Eccola la pasionaria ulivista. In corsa per la segreteria nazionale del Partito democratico, il ministro della Famiglia Rosy Bindi continua il suo tour italiano facendo tre significative tappe partenopee, e spacca in due la sua giornata. Di mattina tra operatori sociali e militanza attiva di chi le chiede «un nuovo centrosinistra soprattutto a Napoli e in Campania», di pomeriggio al fianco della senatrice ds Annamaria Carloni (e signora Bassolino) che le conferma impegno, mobilitazione, sostegno. E inaugura per lei la sede del comitato pro-Bindi al civico 23 di corso Umberto. «Dobbiamo essere presenti con quante più liste possiamo. Mi candido anche io, certo. Dobbiamo dare una mano a Rosy che è simbolo di coraggio e rinnovamento», firmato Carloni. Ed è ancora la senatrice a puntare il dito contro «le offensive dietrologie di tanti uomini del partito: è inammissibile definire Rosy un ventriloquo. Lei parla per sé, e rappresenta il sentire di tante di noi».

Tailleur pantaloni in lino chiaro, il ministro Bindi affronta i 40 gradi senza condizionatori di Forcella o Scampia, intorno zero scorta visto che gira non in quanto ministro alla Famiglia ma come sfidante di Veltroni e Letta. La corsa per le primarie del 14 ottobre la riporta in città dopo un mese: la Bindi conferma il valore dell´»alternativa» anche nella Campania governata da quasi tre lustri dal centrosinistra, e per prima cosa si lascia accompagnare dal suo sostenitore Marco Rossi-Doria, nella città disillusa ma che non ha ancora mollato: incontra gli educatori della scuola-esempio "Ristori" a ridosso di Forcella; poi ascolta a lungo i formatori, i volontari, gli operatori della sanità o del sociale che fanno capo alla comunità di gesuiti di don Fabrizio Valletti, nel cuore della deserta Scampia. Interlocutori preparati e durissimi, che le consegnano fiducia e attese. «Siamo la città in cui due ragazzi 25enne, per pagarsi il "lusso" di fare gli operatori sociali, devono lavare i piatti nelle cucine dei ristoranti, perché vengono sottopagati e dopo anni», denuncia Caroline Peyron della "Ristori". «Ci sentiamo isolati», racconta Fernanda Tuccillo. E a Scampia don Fabrizio Valletti chiosa: «Il ceto politico non si è dimostrato all´altezza della sfida. C´è bisogno di una svolta, e a questo punto anche di persone nuove». E Rossi-Doria chiede esplicitamente: «Ci si attende da te un gesto significativo: un candidato proprio alla segreteria regionale Pd, per testimoniare una discontinuità propositiva». Replica la Bindi: «Su questo vedremo, perché no. Ma sia chiaro. Non butterò la croce addosso a Iervolino o a Bassolino per tutte le sofferenze di Napoli. La politica è inefficiente e debole. A Napoli saranno poi i cittadini a decidere». Ma ammette: «Dobbiamo rompere: però dialogando, ricostruendo».

Il ministro lascia trapelare quindi l´ipotesi di «un nostro candidato o candidata alla segreteria regionale, ma solo se non ci sarà un riferimento unitario». L´unica vera bocciatura è per il leader regionale del suo partito, Ciriaco De Mita, intenzionato a scendere in campo come segretario campano del Pd: «È talmente intelligente, capirà che è meglio partecipare in altro modo». Sembra sarcasmo, ma la pasionaria argomenta: «Sono felice che De Mita abbia scelto di stare dentro questo processo importante, gli riconosco una grande capacità: proprio per questo dovrebbe orientarsi verso la rinuncia. D´altro canto io non mi ero mai candidata e ho deciso che stavolta bisognava dare un segnale; lui che, al contrario di me, ha ricoperto tanti ruoli importanti, stavolta desista».

Il resto è preparazione di un consenso verso le liste da presentare entro il 22 settembre. La Bindi lancia da Napoli la battaglia per il «cambiamento di una politica debole, o di apparati. A cominciare dai metodi di selezione, che in una fase come questa non sono formalismi ma contenuti. Battetevi come me contro il "prezzo" di 5 euro che vogliono fissare per chi voterà alle primarie». Dalla platea di Emily si alza la voce di Tina Femiano, attrice: «Uno scandalo: è con noi su questo tema?». E la Bindi: «Sfondate una porta aperta. Questa cosa dei 5 euro rischia di drogare la competizione. Siete napoletani e donne: vi devo dare io lezioni di fantasia? Inventatevi una protesta che faccia notizia». Poi affida agli interlocutori la sincera preoccupazione: «Oh, non è che tutti quelli a cui piaccio e che dicono di stimarmi, non vanno a votare? Diamoci da fare, non so se avremo un´altra occasione, dopo il 14 ottobre».

(29 agosto 2007)

da espresso.repubblica.it
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