LA-U dell'OLIVO
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Autore Discussione: ROSY BINDI... -  (Letto 35395 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Aprile 01, 2010, 09:33:14 am »

Cronaca di una Waterloo

di Marco Damilano

Mancanza di un progetto alternativo a Berlusconi e Bossi.

Incapacità di interpretare il rapporto con la società.

L'analisi severa del presidente Pd Rosy Bindi
 


Non c'è un dato economico e sociale del Paese che sia migliorato, dovrebbero perdere voti. E invece loro acquistano consensi e noi siamo lì, fermi. Non siamo riusciti a trasmettere un'idea di società alternativa a quella su cui Berlusconi e la Lega prendono i voti».

L'analisi delle regionali di Rosy Bindi, presidente del Pd, è preoccupata: il centrosinistra perde perché da tempo ha smarrito il contatto con la società italiana. Qualcosa di molto più profondo e radicale di una semplice défaillance del Pd, che non si risolve con un cambio al vertice: «Per favore, non ricominciamo con il tormentone. È dal 2007 che ogni anno mettiamo in discussione la leadership. Fermiamo questa corsa suicida. E torniamo a riflettere, con serietà, su cosa è successo in Italia negli ultimi vent'anni».

Lei conosce e combatte la Lega almeno dall'inizio degli anni Novanta, quando era segretaria della Dc veneta, ha assistito all'alba del fenomeno. Oggi cosa c'è nel voto del Nord per il partito di Bossi?
«La Lega resta un movimento di protesta capace come nessun altro di interpretare le inquietudini del suo elettorato, in un tempo segnato dalla paura. Lucra voti senza risolvere i problemi, senza portare a compimento nessuna riforma. Non c'è più sicurezza in questo Paese, e non c'è il federalismo. Eppure la gente continua a votarla. La stessa cosa che succede per Berlusconi: nonostante l'evidente declino della sua leadership, nonostante il fallimento del suo governo, nessun italiano oggi può dire di stare meglio di ieri, scopriamo che trasformare le elezioni regionali in un referendum sulla sua persona ancora una volta ha funzionato. Dobbiamo chiederci il motivo».

Forse perché voi dell'opposizione fate peggio di lui. In Francia l'astensionismo ha colpito il centrodestra al potere, qui colpisce anche la minoranza e il Pd.

«Non condivido un giudizio così netto. Rispetto alle elezioni europee siamo riusciti a evitare di farci chiudere nella trincea delle regioni centrali, non siamo la Lega appenninica come qualcuno ci rappresenta. Ma non sfuggo al problema: anzi, è proprio questo il punto fondamentale da cui deve partire la nostra riflessione. Perché se il Paese sta male, se non c'è un lavoratore o un imprenditore che possa sentirsi gratificato da questo governo, Berlusconi e la Lega continuano a vincere? E rendono marginali i politici più responsabili del centrodestra come Gianfranco Fini, che gode del mio apprezzamento ma è in posizione minoritaria nel suo partito».

Qual è il loro segreto? O la vostra colpa?
«Me lo vedo già il dibattito interno al mio partito. Coalizione sì coalizione no, andare con Di Pietro o con Casini, organizzati sul territorio o con Internet... Io spero invece che si abbia il coraggio finalmente di alzare il tiro. La partita è culturale, si gioca su un'idea dell'Italia. È qui che noi veniamo a mancare: finora noi non siamo riusciti a trasmettere un'idea di società alternativa a quella su cui Berlusconi e la Lega prendono i voti. Dobbiamo reinterpretare il rapporto tra politica e società».

Forse per trasmettere un'idea diversa dovreste partire da una diversa classe dirigente. Bersani sarà messo in discussione?
«Sarebbe un errore gravissimo. Guardi, è dal 2007 che perseguiamo questa strada. Quell'anno il centrosinistra perse un turno di elezioni amministrative, si disse che il governo Prodi era finito e si passò a eleggere Veltroni segretario del Pd con le primarie. Poi Veltroni ha perso in Sardegna e si è dimesso, e così via. Ogni anno cambiamo leader, ora non ricominciamo con il tormentone. Fermiamo questa corsa suicida. E andiamo in profondità: la nostra proposta, il progetto che non si vede. Una nuova classe dirigente non si inventa, non si improvvisa, nasce se si fanno partire progetti politici innovativi. Altrimenti restano i vecchi attori».

Lei parla di errori di lungo periodo. Ci sono stati sbagli in questa campagna elettorale? Candidature poco convincenti come la Bonino?
«Prima del voto ho detto apertamente che in una regione come il Lazio e in una città come Roma la candidatura di Emma Bonino non era la migliore che potessimo mettere in campo. È stata frutto di un caso e non di una scelta. Come dice il blogger Zoro, “c'avevamo solo quella”. Però devo rendere onore alla combattente. Siamo andati al fotofinish grazie alla battaglia della Bonino, nonostante i soliti pregiudizi su di lei agitati a poche ore dal voto in modo pretestuoso. E poi dobbiamo riflettere su come abbiamo governato il Sud, dati i risultati in alcune regioni come Campania e Calabria».

Vendola è tra i leader del futuro? Potrebbe entrare nel Pd?
«Vendola è già tra i leader, ed è apprezzato dal Pd, magari senza l'entusiasmo di qualche suo esponente. In questa campagna elettorale abbiamo ripreso i rapporti con la sinistra di governo, siamo un cantiere aperto. Ma attenzione a sciogliere partiti per poi rifondarli, è da anni che lo facciamo, dentro una logica tutta interna al sistema politico. Vendola vince in Puglia perché ha saputo comunicare ai suoi elettori una speranza, non un'organizzazione. È quello che dobbiamo fare in tutto il paese».

C'è un nuovo arrivato a sorpresa nel campo dell'opposizione, il movimento di Beppe Grillo: è possibile considerarlo un interlocutore?
«Noi dobbiamo parlare con tutto ciò che appare nella società. In Piemonte il movimento di Grillo ha preso il 4 per cento, incredibile è la sorpresa, un partito dovrebbe capire in anticipo quello che si muove nell'elettorato. E lo dico della regione che mi ha fatto soffrire di più, con Mercedes Bresso che ha governato con grande serietà. È un voto anti-sistema, come l'astensione. A pagare il prezzo più alto siamo noi che scommettiamo sulla politica e ha avvantaggiato la destra che ha un'anima anti-sistema. Però alcune istanze vanno ascoltate. E trovo positivo l'ingresso nelle istituzioni. Chi è in consiglio regionale non può più dire vaffa, deve trovare soluzioni».

In Parlamento si riapre il dibattito sulle riforme. Pdl e Lega chiedono al Pd di non tirarsi indetro. Raccoglierete l'invito?
«Inizia una stagione senza elezioni nazionali, c'è la possibilità di fare le riforme e io spero che si facciano. Ma con la schiena dritta. Nessun cedimento. Prendiamo il presidenzialismo: il Pd non è disponibile a costituzionalizzare la svolta populista e autoritaria di Berlusconi. Lo dico perché vedo anche in casa nostra qualche cedimento culturale: la simpatia rafforzata con i radicali e il presunto scambio con una legge elettorale complica le cose. Ma se qualcuno vuole percorrere questa strada lo farà senza di me».

E sulle alleanze? Riprenderà il cammino con l'Udc di Casini?
«Se l'Udc lavora a migliorare il bipolarismo siamo disponibili. Se pensano di togliere il potere di scelta ai cittadini e restituirlo ai partiti sarebbe una strada sbagliata. Le elezioni regionali confermano che i cittadini vogliono contare con il loro voto e apprezzano il bipolarismo: è un percorso segnato».

Nessuno nel Pd è antiberlusconiano quanto lei. Dopo queste elezioni è ancora sicura che l'anti-berlusconismo sia un'arma efficace?
«L'anti-berlusconismo è il presupposto dell'alternativa. Ma noi negli anni abbiamo comunicato soltanto il presupposto e non l'alternativa. È chiaro che se continuiamo a fare la foto a Berlusconi, gli italiani non smetteranno di rispecchiarsi in lui e nella sua foto. È tempo di scattare un'altra fotografia».

(31 marzo 2010)
da espresso.it
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« Risposta #46 inserito:: Agosto 01, 2010, 07:15:16 pm »

Bindi: «Caimano, siamo pronti a fermarti»

di G.M.Bellu


«Noi siamo pronti», dice Rosy Bindi, presidente del Partito democratico. Pronti alle elezioni, intende, o anche pronti a contribuire a un governo “di transizione” o meglio “di salute pubblica”. Lo dice prima di tutto ai militanti e agli elettori, ma lo dice anche ai commentatori politici che (ieri, sul <CF161>Corriere</CF>, Angelo Panebianco) vedono nella fine del Pdl la parallela fine delle ragioni del Pd: «Non siamo nati perché esisteva Berlusconi e non moriremo con lui. Non siamo nati su un predellino ma stiamo lavorando ormai da quindici anni su questo progetto le cui prime tracce si trovano nello spirito dei costituenti», dice Rosy Bindi.

Il richiamo alle radici non è retorico. Se, infatti, il tonfo del progetto berlusconiano provoca un certo comprensibile “godimento”, il timore che il Caimano ferito sia tentato di dare qualche micidiale colpo di coda alla nostra democrazia è alto. Ed è altissima la posta in gioco. Quel «siamo pronti», dunque, è anche un messaggio al presidente del Consiglio: «Berlusconi deve sapere che siamo pronti, in Parlamento, a isolarlo nella sua irresponsabilità. E, nell’elettorato, a sconfiggere la sua temerarietà».

Insomma, diamo per scontato che anche questa legislatura finirà in anticipo…
«Mi sembra molto improbabile che si arrivi alla scadenza naturale. Non dico che sia impossibile, ma occorrerebbe proprio quella capacità di guida politica che Berlusconi ha dimostrato di non possedere. Dovrebbe di colpo cambiare metodo: capire che non si governa a palazzo Grazioli, ma nel rapporto col Parlamento, con l’opposizione, con le parti sociali… Ma, a giudicare dalle ultime mosse, in testa la cacciata di Fini, il premier mi sembra molto poco lucido…».

E anche molto tentato dalle elezioni anticipate.
«Sì. Ma non è a lui che spetta il compito di sciogliere le Camere. E non credo che Fini e i suoi mentano quando dicono di non volere le elezioni e di essere intenzionati a sostenere il governo. Certo, per il premier sarà dura, ed è anche da questo che nasce il godimento. Se ripenso alla sicurezza che ostentava, al suo non venire mai in aula, a quell’arroganza… mentre ora lo vedo ora andare alla ricerca di voti…».

Ragioniamo sui due aspetti del suo «siamo pronti». A partire dall'ipotesi estrema delle elezioni a novembre. Il Pd è davvero “pronto”? Immagini di spiegarlo a un militante o a un elettore.
«Al militante o all'elettore dico che il Partito democratico ha un suo candidato che è il segretario Bersani, un leader che ha già come suo profilo dominante quello dell'uomo di governo. Se poi si andasse a individuare un candidato di coalizione ci sarebbero le primarie, un grande strumento che ci ha portato bene… Non dimentichiamoci che Berlusconi l’abbiamo già battuto due volte».

Le faccio due nomi che circolano, Vendola o Draghi?
«Vendola dovrà fare le primarie. E Draghi potrà essere uno dei nomi scelti dal presidente della Repubblica».

Altro scenario, più probabile: caduta “a medio termine” di Berlusconi…
«Penso che il capo dello Stato prima verificherà se la maggioranza uscita dalla urne può esprimere un governo. Ma qua si ripropone il problema della capacità di Berlusconi di fare politica e ribadisco il mio pessimismo sulla possibilità di un cambiamento così radicale…».

Governo di “salute pubblica” dunque…
«Sì, ma deve essere chiarissimo un punto. E lo dico a chi, con un riflesso automatico, appena si prospetta un’ eventualità del genere comincia a parlare di “inciuci”. L'obiettivo è l'alternativa, cioè chiudere definitivamente col berlusconismo. L’obiettivo è chiudere con questa cosiddetta Seconda Repubblica che, secondo me, non è altro che il proseguimento malato della Prima. Stiamo attraversando contemporaneamente una crisi di sistema e una crisi politica e sociale senza precedenti, non paragonabile con quella degli anni Novanta. Il caso Fiat sta dimostrando che la crisi porta via anche le sicurezze sociali. In più abbiamo una legge elettorale disastrosa che ha costretto prima noi, poi il centrodestra, ad alleanze disomogenee… È in questo quadro che vedo un governo dove le forze politiche che ci stanno, senza confusioni, senza annullare il passato né pregiudicare il futuro, si assumano un supplemento di responsabilità condivisa».

Ma quale legge elettorale? Anche nel Pd esistono molte visioni.
«Abbiamo già una nostra proposta e, lo dico da presidente, ci siamo espressi nell’assemblea nazionale. Bisogna approfondirla e giungere a una mediazione accettabile. Ma la sintesi è chiara ed è quella che ha illustrato Bersani. Ci vuole una legge che - in una sintesi equilibrata tra il sistema maggioritario e quello proporzionale - consenta agli elettori di scegliere chi va in Parlamento e qual è la coalizione che deve governare. Dire che questo bipolarismo è malato non significa voler tornare al parlamentarismo delle mani libere, ma arrivare un bipolarismo maturo, europeo. Anche i più critici verso il bipolarismo, Casini compreso, sanno bene che il centro o è uno dei poli, oppure si deve alleare con uno dei due poli. Non dimentichiamo che è nella nostra storia Roberto Ruffilli il quale, prima di essere assassinato dalla Brigate rosse, lavorava proprio a una riforma elettorale che aveva alla sua base l’idea di fare di ogni cittadino l’arbitro della scelta della maggioranza di governo».

A proposito di centro, quanto ritiene alto il rischio che la nuova fase politica spinga in quell'area i moderati del Partito democratico?
«Penso che in un momento come questo il Pd debba dedicare le sue energie per rafforzare la sua unità e dare voce a tutti, far sentire tutti a casa propria. A maggior ragione se in una fase di emergenza si va verso alleanze molto larghe. Perché ci si può stare a testa alta anche con alleati “innaturali”, ma a condizione che non ci siano fianchi scoperti. A chi avesse la tentazione di andare via dico che si può lavorare a un progetto politico in modo non subalterno se si sta dentro un grande partito. D’altra parte non mi pare che chi si è allontanato abbia ottenuto grandi risultati».

Parlava di “alleati innaturali”. Intende dire che così come può nascere un governo di salute pubblica, potrebbe nascere addirittura una “coalizione di salute pubblica”?
«Non lo escluderei affatto. È un’ipotesi della quale, al di là delle definizioni, hanno parlato Bersani, Di Pietro e Casini. Certo, dovremmo spiegarlo molto bene agli elettori. Dovremmo chiarire che ci sono forze politiche molto diverse tra loro che non intendono far passare un programma eversivo quale sarebbe quello che Berlusconi, non avendo nient’altro, porterebbe in campagna elettorale. Perché, se guardiamo ai risultati di questi due anni, vediamo un bilancio disastroso, un paese allo stremo. Non ho lanciato la proposta di una commissione d’inchiesta sulla P3 per divertimento ma per arrivare a capire quanto è ramificato l’uso scorretto del potere».

A proposito di “alleati innaturali”. Ritiene che la Lega, che ora tiene in ostaggio Berlusconi, potrebbe rientrare nella categoria?
«Se Berlusconi va a votare, il primo alleato sarà la Lega che non farà fatica ad assecondare le sue pulsioni eversive. In un’eventuale fase transitoria potrebbe essere l’interlocutore per una riforma sul federalismo fiscale solidale e davvero condivisa».

01 agosto 2010
http://www.unita.it/news/italia/101964/bindi_caimano_siamo_pronti_a_fermarti
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« Risposta #47 inserito:: Agosto 06, 2010, 05:51:57 pm »

6/8/2010 (7:15)  - INTERVISTA

Bindi: "Se si va alle urne, alleanza anche con Fini"

Il presidente del Pd: «Il partito sarà l'asse di ogni operazione politica futura»

CARLO BERTINI
ROMA

Presidente Bindi, se si va alle urne, il Pdl e la Lega spazzano via tutti, come dice Bossi?
«Ammesso che ci riesca, non tocca a lui sciogliere le Camere. Se Berlusconi con Bossi si assume la grave responsabilità di una prova di forza in autunno, pur avendo ancora una maggioranza e in un momento di grave crisi economica, con la necessità di un’altra manovra, con un bilancio fallimentare e un governo nel pieno di una bufera giudiziaria, non credo che possano fare il pieno dei voti. Nello sgretolamento del berlusconismo, anche la Lega potrebbe sfilarsi. Ma se la situazione precipita per colpa del premier, dobbiamo lavorare a un’alleanza molto larga, perché la priorità sarebbe salvare la democrazia».

Ma voi potreste mai presentarvi alleati con un terzo polo, se comprendesse anche Fini?
«Intanto dove è questo terzo polo? E poi in quel caso credo che il Paese capirebbe un’alleanza democratica e costituzionale e per quel che mi riguarda non avrei preclusioni verso nessuno, da Fini a Di Pietro, a Vendola. Quello di Berlusconi sarebbe un programma eversivo di snaturamento della Costituzione, all’insegna del “gli alleati mi hanno tradito, ora datemi tutto il potere”. E in un’emergenza del genere non bisognerebbe avere preclusioni di alcun tipo. Ma sia chiaro: non abbiamo alcuna paura del voto, perché come sempre daremo il meglio di noi in campagna elettorale. Ma stiamo parlando solo di uno dei vari scenari possibili».

Un altro scenario è il governo tecnico: avrebbe qualche possibilità di nascere senza i voti della Lega e del Pdl e con il caos nelle piazze evocato da Bossi?
«È evidente che siamo alla fine del berlusconismo nel senso de “il partito sono io, il governo è mio”. Ma non è vero che non c’è una maggioranza, semplicemente ha bisogno di essere guidata da chi sa cosa sono la politica, il dialogo e la persuasione. Ma non si possono fare governi tecnici, di transizione o di salute pubblica senza un accordo chiaro con tutti i partiti, altrimenti avrebbero un solo nome: ribaltone. Per carità, i numeri ci potrebbero anche essere e in una democrazia parlamentare sono possibili, ma si tratterebbe di un percorso complicato. Insisto, la via maestra è che Berlusconi salga al Quirinale, per dire che non ha più una maggioranza e che il Capo dello Stato lo rinvii alle Camere, dove potrebbe riottenere una fiducia per andare avanti, cambiando stile e magari facendo le riforme nel confronto con l’opposizione».

E non c’è il rischio che di fronte a una crisi parlamentare Casini approfitti delle mutate condizioni per entrare nel governo?
«Anche questa è un’ipotesi. E infatti definisco il gruppo degli astensionisti un “ircocervo”, con una parte di maggioranza e una di opposizione, che ora è servito anche a tenere in vita il governo e ad aprire qualunque strada. Se si facesse questo passo, Casini smentirebbe la sua storia degli ultimi tre anni con una fine ingloriosa. Avrebbe infatti usato il tema della responsabilità nazionale solo per entrare nel governo».

Voi del Pd reggerete l’urto di questa crisi senza perdere altri pezzi e cioè gli ex Ppi che fanno capo a Fioroni?
«Non credo vi sia questo rischio. Chi potrebbe essere tentato di uscire sa che ora è il momento di stare ben saldo dentro il Pd che resterà l’asse di qualunque operazione futura. E se non si materializza un voto anticipato, diventerà più stringente la necessità di costruire un’alternativa politica e culturale omogenea, per dare un minimo di stabilità al Paese. E a quel punto si porrebbe il problema delle alleanze».

Ecco, a questo proposito, D’Alema ha bocciato la leadership di Vendola ed Enrico Letta l’alleanza con Di Pietro e la sinistra auspicando un’intesa col terzo polo. Hanno fatto bene?
«Sono opinioni personali, queste scelte le deve assumere il Pd collegialmente. Ora il partito deve lavorare a includere e non a escludere. Vendola può essere scelto o rifiutato solo con le primarie. Certo, questa volta ha sbagliato i tempi e i modi nel lanciare la sua leadership. Aggiungo che se il Pd non facesse le primarie, ha un solo candidato, Bersani. Se si andasse a votare in autunno, non ci impiccheremmo agli strumenti per scegliere il candidato premier, ma è chiaro che nessuno può pensare di paragonare l’Ulivo di Prodi con un’offerta di premiership a Casini. Viceversa, se passano diversi mesi, prima di un ricorso alle urne bisognerà capire se l’ircocervo che è nato ieri ha l’ambizione di cambiare la destra o se ci sono le possibilità di costruire un’alternativa programmaticamente omogenea nel centrosinistra col Pd».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57377girata.asp
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« Risposta #48 inserito:: Agosto 21, 2010, 06:21:53 pm »

Rosy Bindi: «Spiegheremo agli italiani cosa sta veramente accadendo nel nostro Paese»

di Maria Zegarelli

Giovedì un percorso di alta montagna, «una ferrata», su a Peralba, 900 metri di dislivello, ieri per riposarsi un giro in bicicletta, casco nuovo fiammante lungo la Cavalzo-Cortina, poi a casa per seguire la conferenza stampa del premier e le reazioni dei finiani. Rosy Bindi, presidente del Pd, legge la dichiarazione di Italo Bocchino, «si va avanti per altri tre anni» e sorride. «È evidente che la maggioranza non esiste più e se resteranno insieme questa ricucitura non sarà altro che un rattoppo, passeranno il tempo a patteggiare e trattare su ogni punto ai danni del Paese».

Ha sentito Berlusconi? Se c’è la fiducia avanti per altri tre anni. Altrimenti si vota.
«Bisognerà leggere attentamente il documento, ma non mi sembra che lasci molti margini di trattativa. Vedremo se il premier sarà in grado di rimettere insieme la maggioranza, io non ci credo, sarà un continuo patteggiamento, tutte le loro forze saranno impegnate per stare insieme e non certo per risolvere i problemi del paese. Gli stessi punti del programma dimostrano non c’è nessuna attenzione dei problemi reali del paese, non c’è cenno al lavoro o alle disuguaglianze».

Il premier è stato chiaro: nessuno pensi di non rispettare la volontà del popolo formando un governo di non eletti. Messaggio al Colle?
«Più che un messaggio mi è sembrato un avvertimento non rispettoso delle prerogative del Capo dello Stato e soprattutto ci leggo una volontà di modificare la Costituzione materiale attraverso la legge elettorale, una legge incostituzionale che va cambiata. Berlusconi ha praticamente affermato questo: una legge elettorale ha modificato la Costituzione. Dimentica che siamo ancora una Repubblica parlamentare e che c’è un Capo dello Stato».

Ha anche sostenuto che dal 1994 la magistratura vuole abbattere il governo legittimo.
«Da una parte vuole trasformare la nostra democrazia parlamentare in una democrazia plebiscitaria senza neanche modificare la Costituzione e dall’altra continua a non rispettare la divisione dei poteri. Lancia intimidazioni al Colle e continua nel suo obiettivo di legare le mani della magistratura. Del resto questo è il suo programma: processo breve, legittimo impedimento, esasperazione delle leggi ad personam...».

Su questo non ci saranno margini di trattativa. Secondo lei i finiani voteranno la fiducia al documento e tutto finisce qui?
«Se non sbaglio ha riproposto il processo breve anche se lo ha definito “processo ragionevole”, ha detto chiaramente che la legge sulle intercettazioni così come è stata emendata non va bene. È evidente che con la Lega è già d’accordo, dunque è tutto in mano ai finiani, vedremo quanto resisteranno o se siamo di fronte al ruggito del coniglio...».

Il premier si dice sicuro, in caso di elezioni, di una vittoria di larga misura.
«Questa sua previsione ritengo che sia un modo di mostrare i muscoli sapendo di mentire. Le elezioni per Berlusconi sarebbero un fallimento. Non abbiamo alcun problema ad andare al voto subito, non ci spaventa, Penso che il Pd e l’attuale opposizione avrebbero mille motivi per vincere, ma ritengo che la soluzione migliore per il Paese sarebbe quella di un governo di transizione per cambiare la legge elettorale».

Ma Berlusconi non la pensa così e a sentire Bossi neanche la Lega.
«Berlusconi in questo momento porterebbe il Paese ad elezioni contro il volere di tutti: soltanto Bossi le vuole, non il mondo cattolico e la Chiesa, non le parti sociali, non la gente. Il Paese non reggerebbe un’altra consultazione: sarebbe la terza in sei anni. Il suo obiettivo è chiaro: chiedere un mandato per costituzionalizzare la repubblica presidenziale. Per questo motivo il Pd deve puntare ad un’alleanza molto larga, in difesa della nostra Costituzione».

Bersani ha lanciato la campagna d’autunno. Il Pd si prepara?
«Quella campagna sarà la nostra grande forza, spiegheremo agli italiani cosa sta davvero accadendo al Paese».

A proposito di spiegazioni, crede che il popolo Pd approverebbe un governo di transizione?
«Ne sono certa perché da quando abbiamo iniziato a spiegare di cosa si tratta la risposta è positiva. La posta in gioco è alta: rischiamo di andare ad elezioni senza che il Paese trovi una stabilità politica perché con questa legge elettorale è così. Noi vinceremo le elezioni, ma se ci fosse un risultato incerto non permetteremo domani di mettere in atto quello che si vuole impedire oggi. Perché Berlusconi non è disponibile a fare un governo di responsabilità? A cosa punta? A nuove elezioni dall’esito che potrebbe essere incerto per tirare a campare ed arrivare alla presidenza della Repubblica?».

Facciamo una previsione: quanto durerà la tregua, se tregua è, con i finiani?
«Se Fini è coerente la maggioranza non c’è più e allora Berlusconi venga in Parlamento, ne prenda atto e la parola passi al Presidente della Repubblica».

21 agosto 2010
http://www.unita.it/news/italia/102613/rosy_bindi_spiegheremo_agli_italiani_cosa_sta_veramente_accadendo_nel_nostro_paese
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« Risposta #49 inserito:: Agosto 29, 2010, 09:04:43 am »

Secondo Rosy Bindi

FEDERICO GEREMICCA
ROMA

Ci sono dei momenti in cui la chiarezza, in politica, diventa quasi un obbligo. E secondo Rosy Bindi - presidente dell’Assemblea nazionale del Pd - su due questioni (primarie e candidatura di Bersani alla premiership) in questo momento c’è bisogno del massimo della chiarezza. A costo perfino di qualche rudezza. Si pensi, per esempio, all’ipotesi - nuovamente circolata dopo la lunga lettera scritta per il Corriere della Sera - di una candidatura alle primarie di Walter Veltroni. Rosy Bindi è netta: «E si candiderebbe in nome di che? Di una linea con la quale abbiamo già perso, in un sol colpo, governo, alleanze ed elezioni?».

L'ipotesi non la convince, insomma.
«No, e non è una questione che riguardi solo Veltroni, ammesso che Walter pensi davvero di candidarsi».

E chi altro riguarderebbe, scusi?
«Alle primarie, per quanto ci riguarda, il candidato del Pd è il segretario, cioè Bersani. Dopodiché, visto che si tratterà - credo - di primarie di coalizione, se ci sono candidati di altri partiti, si facciano avanti. E’ nel loro diritto, non c’è problema».

Con Veltroni, invece, il problema ci sarebbe, è così?
«A dirla francamente, io credo che sia venuto il momento di farsi candidare, piuttosto che candidarsi: farsi candidare da qualcuno in nome di qualcosa, insomma».

In campo, però, ci potrebbe essere anche Sergio Chiamparino, che ne dice?
«Che per ora ha annunciato solo una sua disponibilità. Vedremo. Ma quel che vorrei dire è che qualunque democratico - in presenza della candidatura di Bersani - dovrebbe pensare molto seriamente a se è il caso di scendere in pista. Personalmente la considererei una scelta discutibile».

Nessun problema, invece, su candidature di esponenti di altri partiti, giusto?
«Si riferisce a Vendola?».

A Nichi Vendola.
«E’ in campo. A mio giudizio con una scelta quanto meno intempestiva. Detto questo, Vendola è una ricchezza. Sta facendo un gran lavoro nell’area della sinistra ed è un bene, perché noi dobbiamo vincere le elezioni, e per farlo abbiamo bisogno di recuperare un dialogo con tutte le aree e le fasce di elettorato di centrosinistra».

Però?
«Però c’è bisogno di una riflessione seria da parte di tutti. Anche di Nichi. Di fronte alla prospettiva politica di un nuovo Ulivo, motore di una più ampia alleanza democratica, abbiamo bisogno di candidati-premier capaci della più larga interlocuzione possibile. Insomma, non mi pare il momento di rincorrere parzialità...».

A proposito di interlocuzione, com’è che Bersani e Veltroni adesso parlano al partito via lettera? Che impressione le hanno fatto le due missive?
«Diciamo che una è una lettera, e racconta di un’isola ideale che purtroppo non c’è, indicando una prospettiva che non esiste e in nome della quale abbiamo già pagato prezzi pesanti; l’altra è una proposta politica solida e, secondo me, convincente. Diciamola così: Bersani ha indicato quale deve essere la linea per un partito realmente e concretamente riformista».

Tanto che è piaciuta anche a autorevoli esponenti della minoranza interna al Pd, come Franceschini, Marini e Fassino.
«Quella di Veltroni è un’iniziativa molto personale, naturalmente del tutto legittima, ma fortemente minoritaria nel partito, come si è visto. Comunque la sua lettera un pregio lo ha avuto: ha fatto risaltare la solidità della proposta avanzata da Bersani...».

Il suo amico Fioroni dice, però, che su quella linea si rischia che i cattolici abbandonino il Pd: non ha questo timore?
«L’idea che di fronte alla proposta di un nuovo Ulivo i cattolici si allontanino da noi, è bizzarra. E Fioroni sarà il primo a lavorare a questo progetto, come ha fatto per il primo Ulivo. Anche perché, me lo lasci dire, non è più tempo di inseguire - e senza successo - prospettive personali: magari prendendo a pretesto il disagio dei cattolici o il fatto che il Pd sarebbe diventato un “partito di sinistra”...».

Si riferisce all’uscita di Rutelli dal Pd?
«Mi riferisco a un problema, ad uno stile... Sono ben altre le questioni che abbiamo di fronte».

La più seria?
«Evitare che l’agonia del governo Berlusconi provochi ulteriori danni al Paese».

E poi?
«Correggere l’idea che il Pd avesse - o abbia - paura delle elezioni».

Non è così? La sensazione è proprio questa...
«Non è così. Noi abbiamo solo proposto che prima di andare al voto si riformi la legge elettorale, ridando ai cittadini la possibilità di scegliere chi mandare in Parlamento. Per il resto, siamo pronti alla sfida, che credo non sia comunque lontana».

Prevede insomma elezioni anticipate in tempi brevi?
«I tempi non riesco a immaginarli: ma è evidente che la soluzione trovata nel vertice dell’altro giorno è un rattoppo. In tutta evidenza, Berlusconi non riesce più a tenere assieme la sua maggioranza. E’ un’intera fase politica che si chiude, nel bene e nel male. Vede, il berlusconismo è sempre stato fondato sul “qui comando io”. Adesso, visto che la rottura con Fini è seria e che nel rapporto con la Lega non è più il Cavaliere ad avere il pallino in mano, quel metodo non funziona più. Ed è per questo, insomma, che le elezioni anticipate mi sembrano vicine, sempre più vicine».

www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58009girata.asp
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« Risposta #50 inserito:: Agosto 30, 2010, 04:20:12 pm »

Bindi: Gheddafi, celebrazione imbarazza


«Solo nell'Italietta berlusconiana che si compiace di barzellette e battute misogine e che ha incoraggiato una nuova forma di mercificazione del corpo della donna, è possibile assistere alla celebrazione così imbarazzante e subalterna di un personaggio come Gheddafi»: lo afferma la vicepresidente della Camera Rosy Bindi.

«Purtroppo – aggiunge la parlamentare - non c'è da stupirsi per lo spettacolo offerto agli italiani con l'avallo del nostro governo. Invece di chiedere ragione delle condizioni di vita di migliaia di migranti, il governo Berlusconi si presta ad offrire un palcoscenico a chi per fare la sua propaganda pretende di circondarsi di belle ragazze. Ma così Berlusconi finisce per rendersi complice non solo della sorte dei tanti disperati ricacciati nel deserto libico ma di una nuova umiliante violazione della dignità delle donne italiane».

29 agosto 2010
http://www.unita.it/news/italia/102898/bindi_gheddafi_celebrazione_imbarazza
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« Risposta #51 inserito:: Settembre 12, 2010, 09:09:30 am »

Bindi: «Ora il nuovo Ulivo» Vendola: «E' già vecchio»


di Maria Zegarelli


Sono arrivati un’ora prima per essere sicuri di trovare il posto. È l'appuntamento del giorno, il più atteso.
Tutti in piazza Castello per ascoltare Nichi Vendola, che già scalda i muscoli in vista delle elezioni e che, ha già fatto sapere dal mattino, proprio da questo palco lancerà la sfida a Rosy Bindi e al Pd: «Primarie subito, ora».

La sala scoppia, impossibile entrare già alle otto e mezzo di sera. C'è un cartello che campeggia. «Nichi e Rosy oggi sposi». Quando arrivano sul palco lo vedono e sorridono. Sposi proprio no, per ora ci si corteggia. Nichi la star, superacclamato, applaudito, un po’ poeta, un po’ visionario, come si definisce lui stesso, Rosy, concreta, gentile, ma ferma, che alla gara dell'applausometro forse arriva seconda, ma è una bella sfida. «Le primarie per fare il premier si fanno, non ci sono dubbi - risponde infatti quando Vendola rilancia -, abbiamo parlato di primarie di coalizione, lo scelgono i cittadini, gli iscritti. Ho qualche dubbio sulla tua proposta di farle subito: portasse un po’ male, aspettiamo che cada il governo. Noi sappiamo come farle, Nichi sa come vincere ma ogni volta è diverso».

Si rilanciano battute, accendono la platea, «è davvero una bella serata», ma potete starne certi non si risparmiano le critiche. Nichi resta sulle sue posizioni, quelle che qui a Torino va ripetendo dalla mattina, «Ieri era troppo presto per convocare le primarie, domani troppo tardi, allora le si convochi ora». Anzi, oggi è il tempo di metterci attorno al tavolo per definire il regolamento delle primarie e non sfuggire a quello che è percepito dal popolo del centrosinistra come un appuntamento fondamentale». Perché «la bella favola di Berlusconi, per metà Peron, per metà Vanna Marchi, è finita».

E il «grande animale politico», stavolta «ha paura del responso elettorale». Adesso davanti a migliaia di persone dice che non basta un atto di buona volontà per smontare il berlusconismo che è stato un mix di liberismo e populismo, che ci ha trasformato tutti da cittadini «a clienti, telespettatori», che ha cambiato antropologicamente il Paese.

Non basta perché «il centrosinistra si costruisce attorno ai precari, ad un nuovo modello di scuola, di società». E se al mattino smonta, con gentilezza, il ticket con il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, di cui ha una «grande stima» e di cui apprezza la sua voglia di mettere a disposizione l'esperienza torinese per trasferirla sul piano nazionale, di sera torna sul centrosinistra, popolato da «anime morte», temporeggia sul nuovo Ulivo, quando Bindi glielo chiede esplicitamente, lui risponde «In Puglia ci sono 60 milioni di ulivi».

Ma non ripete quando detto durante una video chat a La Stampa, il nuovo Ulivo «sarebbe un suicidio», inutile unire «i vecchi cocci» di quello vecchio "non avrebbe nessun appeal. Sarà perché Rosy Bindi dice che quel nuovo Ulivo è un cantiere a cui si deve lavorare tutti insieme, «non si fa senza di lui» sarà perché questo popolo di centrosinistra arrivato ad ascoltarlo chiede unità e non divisione, ma i toni sembrano più soft. «Per costruire l'alleanza, risponde, adesso, dobbiamo mettere insieme il lavoro e i diritti sociali». Ma per vincere non basta fare «un raduno, una sommatoria, bisogna ricostruire culturalmente l'orizzonte del cambiamento, occorre il coraggio del cambiamento».
E sulla riforma elettorale Bindi propone una riforma quale scopo unico del governo di transizione. Vendola è scettico: ho il calice pronto per brindare ma non credo che si trovi la maggioranza».

Ai Ferrero, i Diliberto, i Nencini e i Bonelli che non hanno apprezzato il suo giudizio sul progetto lanciato da Bersani, risponde che a lui non interessa «lo spazio per sventolare la mia bandierina», a lui interessa «che il centrosinistra diventi un nuovo racconto».

Bindi rilancia: scriviamolo il nuovo racconto, insieme, ritroviamo quello spiriuto che l'Ulivo diede al paese e ai cittadini, anche se sarà difficile oggi convincere le persone che pagare le tasse è giusto, che saranno necessari sacrifici.

Poi la chiusura. Se Vendola ribadisce che si candiderà alle primarie Bindi gli risponde: «Io ribadisco che voterò Bersani». Se ne vanno tra l’ovazione del pubblico.

08 settembre 2010
http://www.unita.it/news/italia/103266/bindi_ora_il_nuovo_ulivo_vendola_e_gi_vecchio
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« Risposta #52 inserito:: Febbraio 19, 2011, 04:40:15 pm »

Red. ,   18 febbraio 2011, 17:12

Bindi dice no a Vendola:

Politica

La presidente del Partito democratico parla alla conferenza delle donne democratiche. Afferma che "candidato alla presidenza del consiglio per il Pd è il segretario" ma Deve cominciare a cadere anche in Italia il tabù per cui una donna non può diventare presidente del Consiglio. Bisogna farci i conti". Punzecchiature a Vendola - "ha capito che deve fare un passo indietro" - e a Renzi: "Direbbe di sì solo a Renzi come candidato premier del Pd, ma non so se lo diremmo noi di sì"

 


"Il candidato alla presidenza del consiglio per il Pd è il segretario Pier Luigi Bersani ma i Democratici devono cominciare a pensare a una leader donna". Rosy Bindi parla alla conferenza delle donne democratiche e sgombera il campo dalle voci di attriti con il segretario sulla candidatura alla premiership. Bindi invita il leader del Pd a salire sul palco della conferenza, e al termine del suo discorso introduttivo riceve da Bersani un lungo abbraccio. Parlando alla platea femminile, Bindi spiega che la premiership del segretario "è una regola che sta scritta nel nostro statuto. Io la condivido molto e vorrei che lo facessero tutti. Mi sono permessa di ricordarlo anche in altre occasioni, ad esempio quando impazzava la discussione sul totoprimarie, o sul papa straniero". Indicare il leader del Partito come candidato premier "è una regola- osserva ancora la presidente del Pd- che rende il partito più forte. E Bersani è una persona che ha tutte le qualità per guidare il paese oltre Berlusconi".

Bindi precisa poi di condividere l'impostazione secondo cui in caso di alleanze larghe il leader andrà scelto d'intesa con gli alleati.
"Non lo diciamo perché siamo un partito che si affida agli alleati- spiega alle donne democratiche- ma perché l'Italia ha davvero bisogno di voltare pagina e ci dispiace che qualcuno non lo abbia ancora capito, magari perché preoccupato dall'esigenza di salvare una fetta dell'elettorato", dice Bindi riferendosi evidentemente alle dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini che ieri ha detto 'no' ad un'alleanza con il Pd. "Il candidato migliore - sottolinea ancora Bindi - sarà la persona in grado di tenere unita questa grande coalizione".

E' il momento in cui, mentre la platea la acclama ('Rosy, Rosy'), al leader di Sel Nichi Vendola la Bindi non risparmia una bacchettata, punzecchiandolo in relazione alla proposta di candidarla alla premiership: "Vendola ha capito che deve fare un passo indietro, ma quando si fanno passi così importanti bisogna farlo gratuitamente, evitando di trasferire i problemi in casa d'altri". Bindi dice no alle "strumentalizzazioni" e assicura: "Il Pd non si lascerà dividere". "Con Pier Luigi - aggiunge, guardando il segretario Bersani seduto al tavolo della presidenza - non abbiamo avuto bisogno di dirci molte parole. Non ci lasceremo dividere". Critiche al sindaco di Firenze Matteo Renzi, che aveva bocciata la ipotetica candidatura: "Lo abbiamo capito che Renzi direbbe di sì solo a Renzi come candidato premier del Pd, 'ma non so se lo diremmo noi di sì".

Vendola, però, ai passi indietro non ci passa minimamente. E a stretto giro dichiara: "Non ci penso neanche lontanamente di fare un passo indietro sulle primarie". Il governatore pugliese dichiara: "Le primarie sono l'unico strumento che io conosco, grezzo ma efficace, per far vivere il centrosinistra come un processo di partecipazione democratica, allargata, popolare", ha spiegato Vendola che ha imputato al suo schieramento di "avere una coalizione ma spesso non un'anima". Per questo, per Nichi Vendola, "le primarie possono essere l'anima che le manca".

Bacchettato Vendola, Rosy Bindi ci tiene però ad affermare una questione generale, una battaglia di principi: secondo la presidente del Pd bisogna distinguere la vicenda che la riguarda direttamente, per essere stata chiamata in causa da Nichi Vendola, da quella che attiene invece la possibilità che una donna diventi premier in Italia. Da questo punto di vista, osserva, il riferimento deve essere la manifestazione in 230 piazze del 'se non ora quando'. "Quelle parole- dice Bindi alle Democratiche e ai pochissimi uomini in platea- devono diventare un monito anche per noi. Deve cominciare a cadere anche in Italia il tabù per cui una donna non può diventare presidente del Consiglio. Bisogna farci i conti". Del resto, aggiunge la presidente del Pd, "in questi giorni, dopo la proposta di Vendola, mi ha sorpreso sentire in tanti dire 'magari, magari Bindi premier, magari una donna presidente del consiglio'. Ecco- conclude Bindi- io vorrei che lavorassimo perché la parola fosse 'finalmente'". Parole sottoscritte da un'altra donna illustre del Pd, la capogruppo al Senato Anna Finocchiaro: "Sono iscritta al Pd e lo statuto del partito dice che il candidato premier è il segretario. Dopodichè ritengo che il Paese è comunque pronto per una leadership femminile".

da - paneacqua.eu/notizia
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« Risposta #53 inserito:: Marzo 14, 2011, 12:28:50 pm »

Politica

14/03/2011 - INTERVISTA

Rosy Bindi: "La riforma? Non può farla Berlusconi"

Il presidente del Pd: «L’apertura di Alfano è solo un prendere o lasciare»

CARLO BERTINI
ROMA

Su questa riforma nessuno è aperto o chiuso al dialogo, finora registro solo modi diversi di esporre una forte diffidenza: io mi chiedo se una riforma costituzionale la possa fare una maggioranza numerica e non politica, con un presidente del Consiglio imputato di prostituzione minorile, concussione, corruzione di testimoni, evasione fiscale»: alla richiesta che Casini fa al Pd di non salire sull’Aventino, Rosy Bindi ribatte ricordando il peso della «pregiudiziale Berlusconi», ostacolo insormontabile su un tema come la giustizia.

Quindi finché c’è lui a Palazzo Chigi non si discute più di nulla?
«Non è certo un dettaglio il fatto che abbia violato l’onorabilità delle istituzioni. E comunque noi non siamo sull’Aventino ma in Parlamento, dove sul tema della giustizia le nostre proposte sono depositate da inizio legislatura. Poi noto che il processo breve, così come la legge sulle intercettazioni, non sono state ritirate e che dunque il canale parallelo delle leggi ad personam non è interrotto. Vorrei inoltre capire che risposte si attendano da noi: non ci sottrarremo al dibattito parlamentare, ma lo faremo con le nostre proposte, perché questa cosiddetta disponibilità del Guardasigilli assomiglia tanto ad un prendere o lasciare».

Sta dicendo che dietro la facciata si cela un aut aut?
«Chiedo ad Alfano: è disposto lui a discutere le nostre proposte? La loro non è una riforma della giustizia, ma una riforma costituzionale sulla magistratura, che non porterà ai cittadini alcun vantaggio nel medio periodo: mancano interventi sull’organizzazione, sulle risorse, sulle procedure civili e penali. Un cambiamento profondo nei rapporti tra potere politico e giudiziario si può fare solo se si condividono i principi di autonomia e indipendenza della magistratura. Non dicendo di essere disposti a qualche piccolo cambiamento e basta».

Certo, un anno fa anche voi avanzavate proposte sulla distinzione dei ruoli tra giudici e pm o sulla obbligatorietà dell’azione penale, non così distanti da quelle del governo...
«Innanzitutto partivano dal capitolo sul buon funzionamento della giustizia e comunque non contemplavano una modifica della Costituzione. Che non si può attuare rinviando a leggi ordinarie e dando mandato al governo di turno di mettere le mani in un settore così delicato. E poi sull’azione penale noi indicavamo la strada della depenalizzazione di molti reati per non intasare il lavoro dei tribunali, lasciando intatta l’autonomia della magistratura. Viceversa, penso che un criterio di responsabilità civile dei giudici debba essere introdotto, ma non capisco perché debba essere inserito in Costituzione, dato che non è previsto per altri pubblici funzionari».

Le aperture di Fini-Casini allargano il solco tra voi e il Terzo Polo?
«Nel tempo che ci separa dalle elezioni dobbiamo preoccuparci di costruire il dopo-Berlusconi con un’alleanza di governo larga avendo a cuore tre o quattro questioni di programma. E non sarà possibile ricostruire il paese senza un’alleanza tra progressisti e moderati. A Casini, che sostiene “dopo il voto non daremmo gratis la vittoria a nessuno”, dunque chiedo: e se alla Camera vincesse Berlusconi? Se si riesce a fare un accordo tra progressisti e moderati, il paese sarà governabile, altrimenti i problemi sarebbero gli stessi di oggi. Dunque il Terzo Polo da solo alle urne rischia o di far vincere Berlusconi o di ostacolare dopo un cambiamento reale del paese».

da - lastampa.it/politica
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« Risposta #54 inserito:: Maggio 15, 2013, 12:05:09 pm »

Politica
10/05/2013

Bindi: “Attento Pd, rischiamo di apparire correi di Berlusconi”


L’ex presidente: “L’idea della pacificazione è irricevibile”

Federico Geremicca
Roma


Scandisce bene le parole, quasi che il farlo potesse servire a controllare il travaglio - perfino la rabbia - che la tormenta: «È l’anniversario dell’assassinio di Aldo Moro, e io non accetto paragoni tra allora e oggi: nel ’76 si affrontò l’emergenza cercando di costruire il futuro, adesso tentiamo - malamente - di chiudere con il passato. È per questo che noi dobbiamo sostenere con lealtà il governo, ma sapendo che non è il governo del Partito democratico; io, personalmente, farò quanto possibile: ma avendo chiaro che il Pd che ho in testa - e non credo di esser la sola - è un partito alternativo alla destra. L’idea che è giunto il tempo di una “pacificazione” col berlusconismo, è irricevibile: venti anni di storia non si cancellano così».

Rosy Bindi e la sua inquietudine. E anche Rosy Bindi e la sua delusione: che la porta - a quattro anni dalla nascita del Pd - ad invocare un segretario pro-tempore «che crei le condizioni per un Congresso vero e, finalmente, per la fondazione del Partito democratico». Ma anche, in fondo, Rosy Bindi e il suo sgomento: che non è diversa da quella che attraversa il Pd, dalle Alpi alla Sicilia. Sembra incredibile, ma ad una manciata di ore da un’Assemblea nazionale che potrebbe rivelarsi perfino drammatica, non si sa chi sarà eletto segretario e non si è d’accordo nemmeno sul suo profilo e sul suo mandato. Tanto che Mario Monti può perfino ironizzare: «Scelta Civica partecipa a un governo che include il Pdl e un Pd a conduzione ignota...».

Siete davvero messi così male? 

«Benissimo non stiamo... ma ho fiducia nell’apertura di una fase congressuale che chiarisca e definisca profilo, ruolo e obiettivi del partito che vogliamo».

Quando farete il Congresso? 

«Rispetteremo la scadenza statutaria».

E quando eleggerete il segretario? 

«Nell’Assemblea di domani».

Lei ha un nome, un candidato? 

«Io ho dei criteri, credo semplici e comprensibili. Il primo: abbiamo bisogno di un segretario al quale non si possa attribuire la responsabilità della situazione nella quale ci troviamo, un uomo o una donna - insomma - che non venga dal gruppo dirigente che ha fatto tanti errori, altrimenti tanto vale chiedere a Bersani di restare fino al Congresso».

Il secondo criterio? 

«Vorrei un segretario che non venisse scelto perché di sinistra o perché del centro: vorrei, per esser chiari, un segretario semplicemente democratico. E che, uscendo eletto dall’Assemblea, non pensi di avere un futuro quanto - piuttosto - un compito: gestire il partito fino al Congresso con la collegialità».

Nomi ne circolano tanti, perfino troppi, segno che il Pd è del tutto diviso: lei non teme possibili scissioni?

«Non ho questo timore. Mi preoccupano, piuttosto, tentazioni che potrebbero farci dell’altro male».

Per esempio? 

«Stavolta la sconfitta è stata bruciante, tanto che non l’abbiamo ammessa, rifugiandoci in giochi di parole: non vorrei che quanto accaduto faccia rinascere nella componente ex Ds - che non ha mai vinto - la convinzione che, sfumata questa occasione, occorra rifare un partito di sinistra, che si rassegni e si accontenti, magari, di gestire una qualche forma di consociazione».

Altre «tentazioni pericolose»? 

«Insistere in una interpretazione sbagliata del cambiamento. Abbiamo ceduto alla tesi che innovare vuol dire” tutti a casa”, “tutti da rottamare”. Non è così, e aver imboccato quella strada può produrre danni. Leggo e sento che la condanna in secondo grado di Berlusconi non può avere ripercussioni sul governo; leggo della necessità di una “pacificazione” che, proposta oggi, somiglia piuttosto ad una chiamata di correità. Si innovi, e avanti i giovani: ma non si può riscrivere la storia così».

Però, avendo deciso di fare un governo con il Pdl, non potete certo attaccare un giorno sì e l’altro pure il leader di quel partito, no? 

«Siamo in una fase oltremodo delicata perché c’è un governo che non è il governo del Pd, ma è presieduto dal suo vicesegretario. Questo crea problemi, inutile negarlo: e a maggior ragione reclama la scelta di un segretario che sostenga il governo, ma tenendo unito il partito e rendendo chiara ai nostri iscritti ed elettori l’eccezionalità della scelta compiuta».

Crede che il Pd possa - o addirittura debba - rinunciare alle primarie per scegliere il suo segretario? 

«Possiamo discuterne, ma - per quanto mi riguarda - non sono disposta a rinunciare alle primarie. Con una avvertenza, naturalmente: che anche questa nostra ultima esperienza dimostra che non bastano per andare a Palazzo Chigi. Le primarie sono uno strumento, un metodo di selezione e di partecipazione: ma il problema che abbiamo di fronte oggi, il primo problema, è rivitalizzare il Pd, dargli una missione e riaprire i canali di dialogo con la società».

Insomma, dopo la sbornia nuovista il ritorno alla politica tradizionale... 

«Io non ho la stessa idea di alcuni circa la funzione quasi salvifica dei partiti, che pure sono importanti e vanno riformati: non credo, insomma, che la soluzione sia semplicemente nel ritorno al partito delle tessere e delle sezioni. Ma ora sappiamo che anche le primarie, da sole, non bastano. Quel che occorre è rimettere in piedi e dare un futuro al Pd: un partito, non dovremmo mai dimenticarlo, nato con vocazione maggioritaria e per essere chiaramente e decisamente alternativo alla destra». 


da - http://lastampa.it/2013/05/10/italia/politica/bindi-attento-pd-rischiamo-di-apparire-correi-di-berlusconi-kLhs8HGvEEdz840cSobbjK/pagina.html
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