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Autore Discussione: ROSY BINDI... -  (Letto 35427 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Giugno 30, 2008, 09:30:58 pm »

Se torna lo spirito delle Primarie

Michele Ciliberto


È molto positivo, a mio giudizio, che si stia accendendo una vivace discussione sul senso e sul destino del Partito Democratico; e lo è non soltanto per questo Partito ma per la società italiana nel suo complesso. In Italia si stanno, infatti, affermando nuove forme di dispotismo che tendono a trasformarsi addirittura in nuovi sensi comuni fino al punto da fare apparire normali cose che solo qualche anno fa ci sarebbero apparse addirittura inconcepibili (dall’attacco sistematico alla divisione dei poteri, fino alla scelta - veramente repellente - di schedare i bambini Rom).

Ma questo nuovo dispotismo con cui siamo costretti a misurarci quotidianamente - e su questo bisognerebbe interrogarsi - è direttamente connesso alla crisi dei partiti di massa che hanno connotato la politica del Novecento, e al fatto che non si sia ancora riusciti ad organizzare partiti di tipo nuovo, che contribuiscano ad evitare la deriva dispotica di un potere esecutivo che vuole sfuggire, tenacemente, ad ogni forma di bilanciamento e di controllo.

Verso i vecchi partiti non bisogna avere, lo so bene, alcun atteggiamento di tipo nostalgico: occorre sapere, senza farsi illusioni, che l’epoca della politicizzazione di massa è tramontata e che i problemi con cui dobbiamo fare i conti a tutti i livelli - sociale, politico, persino antropologico - sono completamente nuovi e vanno dunque affrontati e risolti con strumenti e programmi all’altezza del nuovo millennio che si è aperto. Ma questa persuasione non toglie la consapevolezza che il ruolo dei partiti resta essenziale e che senza di essi non c’è, né può esserci, democrazia organizzata. Nel migliore dei casi, si precipita in forme di ribellismo e di astrattismo velleitario oppure in forme nuove di dispotismo che di fatto svuotano la vita democratica di qualunque consistenza e concretezza. Porre il problema del Partito Democratico e della sua consistenza significa, dunque, porre una questione di carattere propriamente nazionale; così come è interesse di tutti una riorganizzazione positiva, su nuove basi, anche delle forze della sinistra cosiddetta radicale. Una rapida riorganizzazione del sistema politico nella sua complessità - spazzando via la nebbia ideologica che ci ha sommerso in questi mesi - è interesse di tutti coloro che hanno a cuore la democrazia nel nostro paese.

Ci vuole perciò molto senso di responsabilità quando si affronta, in questo momento, il problema del Partito Democratico sapendo bene qual è la posta in gioco. Bisogna evitare affermazioni intempestive e anche giudizi ingenerosi facendo affidamento su un generale principio di etica della responsabilità. Ma, detto questo, occorre pur guardare la realtà quale è, misurando anche il rischio reale che il Partito Democratico possa fallire e si dissolva con conseguenze gravissime per l’intera democrazia italiana. Certo, la sconfitta elettorale, per il modo in cui si è prodotta, ha accentuato questo rischio; ma essa ha ragioni più profonde che si potrebbero concentrare in un punto specifico: il Partito Democratico non è riuscito fino ad ora ad essere all’altezza della sfida democratica che esso stesso ha innescato con la sua nascita producendo invece - quasi per contrasto - una situazione di disillusione, di disincanto, di distacco dalla vita politica - oltre che da se stesso - che rafforza e potenzia le inclinazioni dispotiche esplose con chiarezza in queste settimane.

Il Partito Democratico è nato dalla consapevole volontà di stabilire nuovi rapporti fra «governanti» e «governati», fra «dirigenti» e «diretti», stabilendo un nuovo nesso fra rappresentanza e partecipazione e riaprendo in questo modo il problema delle basi e del consenso democratici nel nostro paese. In altre parole, e per dirlo sinteticamente, il Partito Democratico si è proposto di intrecciare riforma del sistema politico e riforma della democrazia italiana nello sforzo di superare la crisi di sovranità apertasi con la fine della prima repubblica. Se si valuta quello che è accaduto in questo mesi non si può non riconoscere che il bilancio è nel complesso negativo. Non c’è stata maggiore partecipazione, non c’è stato maggiore coinvolgimento nelle decisioni, non c’è stata, in una parola, maggiore democrazia. Invece di stabilire nuove forme di comunicazione tra gli uni e l’altra, si è acuita la separazione tra cerchi sociali e dimensione politica (per usare termini classici che non danno misura della complessità e della novità della situazione).

In questo esito negativo c’è stata sicuramente una grave responsabilità da parte di tutti: della «società» - compreso i cosiddetti intellettuali - che ha teso nuovamente a rinchiudersi in se stessa e nei suoi interessi immediati; della politica, ridottasi in modi sempre più chiusi e compatti ad un ceto che si riproduce secondo logiche autistiche senza contatto con il «mondo grande e terribile».

Se si considera l’ultima fase della vita politica italiana, appare chiaro che in questo processo una funzione di vero e proprio spartiacque è stata costituita dall’esperienza delle primarie; ed altrettanto evidente appare che l’indebolimento del progetto del Partito Democratico è strettamente intrecciato al venir meno e all’esaurirsi, nel disincanto e nella disillusione, delle energie che proprio attraverso quella esperienza avevano manifestato, quasi rivelandola a se stesse, una nuova e rinnovata aspirazione al cambiamento e alla trasformazione di assetti di potere apparsi, fino ad allora, quasi immodificabili. È a questa esperienza che bisogna perciò, a mio giudizio, fare riferimento e alle esigenze di nuova partecipazione che in essa si sono espresse con l’obiettivo di definire in termini nuovi il rapporto tra partecipazione e rappresentanza - se si vuole riprendere il cammino del Partito Democratico -. Ed è a questa stregua, a mio parere, che vanno valutate anche le varie iniziative che vengono prese in questi giorni, comprese le «correnti» di cui oggi si parla in modo quasi ossessivo. Occorre chiedersi se vanno in questa direzione oppure no, e su questa base esse vanno giudicate.

Naturalmente per risolvere un problema bisogna porlo in modo corretto: se le «correnti» esprimono solo assetti di potere, devono essere duramente combattute perché vanno in direzione precisamente contraria a quella che serve. Se invece rappresentano tendenze culturali e politiche significative esse vanno riconosciute senza complessi, perché in un partito strutturalmente plurale come il Partito Democratico esse possono essere un’effettiva sorgente di vita democratica e di arricchimento della vita stessa del partito. Allo stesso modo deve essere valutato l’ipotesi del Congresso, il quale a mio giudizio può essere particolarmente utile se riesce a portare alla luce la molteplicità di istanze che si intravedono nel Partito Democratico e che rischiano di rimanere sospese come in un vuoto pneumatico e quindi di decadere, se non vengono comprese e valorizzate, e quando sia necessario criticate. Sarà naturalmente compito del Congresso riuscire a trovare un «punto dell’unione» fra queste varie istanze; e dovrà farlo sul terreno schiettamente politico - e non ideologico, voglio sottolinearlo -, corrispondendo alle esigenze della situazione e ritrovando nuove forme di comunicazione con gli uomini e le donne che hanno aderito al Partito Democratico.

Tanto più questo obiettivo potrà essere raggiunto se il Congresso sarà organizzato in modo tale da soddisfare quelle esigenze di nuovi rapporti fra rappresentanza e partecipazione che si sono espresse nelle primarie e che sono alla base della crisi di legittimità del sistema dei partiti in Italia e anche, ora, del Partito Democratico. Altre soluzioni non ci sono.

Pubblicato il: 30.06.08
Modificato il: 30.06.08 alle ore 9.04   
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« Risposta #31 inserito:: Luglio 03, 2008, 06:52:44 pm »

2 Luglio 2008

Opposizione in Parlamento e nel Paese

Un governo forte che scheda i bambini su base etnica come presunti criminali ma che pretende immunità per i potenti, a cominciare dallo stesso Presidente del Consiglio.


di Rosy Bindi

Un governo forte che scheda i bambini su base etnica come presunti criminali ma che pretende immunità per i potenti, a cominciare dallo stesso Presidente del Consiglio. Berlusconi riprende la marcia interrotta nel 2006 e assesta colpi micidiali ai principi della democrazia e della Costituzione repubblicana.
Il problema non sono solo il ritorno delle leggi ad personam, con le norme blocca processi, il nuovo lodo Alfano, il linguaggio intimidatorio verso la magistratura, i tentativi di zittire il CSM, la previsione di un decreto legge sulle intercettazioni, anche se tutto questo rappresenta un gravissimo vulnus alla legalità. Il nostro problema è l’idea stessa di democrazia, politica, economica e sociale, che Berlusconi sta praticando, o meglio imponendo, con la forza dei numeri parlamentari e con l’arroganza di chi pensa che il voto popolare gli abbia consegnato una delega in bianco.

La nostra opposizione, come si conviene ad un grande partito, popolare e radicato come vuole essere il Pd, non si limiterà a restituire dignità al Parlamento umiliato dai decreti legge. Su come fare l’opposizione non accettiamo lezioni da nessuno, né da Di Pietro né da Flores D’Arcais, e respingiamo gli intollerabili attacchi al Presidente Napolitano.

Ma possiamo e vogliamo fare la nostra parte anche nel paese. Non costruendo una piazza contro un’altra ma mobilitando in modo democratico e fermo nelle nostre feste e in ogni città gli italiani che, nel centrosinistra ma anche nel centrodestra, non vogliono che la nostra democrazia, con i suoi pesi e contrappesi si trasformi, de facto, in un regime personale. Possiamo costruire un’opposizione più corale, più incisiva e più larga.


da www.scelgorosy.it
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« Risposta #32 inserito:: Luglio 11, 2008, 10:27:24 pm »

10 Luglio 2008

Un macigno sulla strada del dialogo


Sotto l’urgenza dei problemi giudiziari del presidente del Consiglio, il governo scavalca la Costituzione, mortifica il Parlamento e con la forza dei numeri impone l’approvazione di un provvedimento che non ha precedenti in alcun sistema democratico parlamentare come il nostro.


di Rosy Bindi

Sotto l’urgenza dei problemi giudiziari del presidente del Consiglio, il governo scavalca la Costituzione, mortifica il Parlamento e con la forza dei numeri impone l’approvazione di un provvedimento che non ha precedenti in alcun sistema democratico parlamentare come il nostro.
Un provvedimento che per sospendere un processo a carico di Silvio Berlusconi prefigura un sistema abnorme di impunità, in modo peraltro pasticciato, per le più alte cariche dello Stato. Si dice che occorre mettere fine all’emergenza giustizia e chiudere una presunta anomalia italiana nel rapporto tra magistratura e politica.

Il salva processi e il Lodo Alfano, che sono indissolubilmente legati, non avrebbero alcuna attinenza con il processo in corso a Milano, perché, afferma l’on. Ghedini, l’on. Berlusconi non se ne avvarrà, perchè si risolverà con l’assoluzione del premier. Ma allora a che serve? 

La risposta dell’avvocato difensore del premier è a dir poco inquietante: “I processi si devono sospendere per il bene del paese e non di Berlusconi”. Il lodo serve insomma a “governare con serenità” e, ha ripetuto l’on. Pecorella, assicurare la stabilità politica che da troppo tempo manca all’Italia.

Ma si può fare il bene dell’Italia se la giustizia non è al servizio di tutti, se la legge non è uguale per tutti, se la serenità di chi governa è affidata ai suoi privilegi e alla sua immunità anziché alla sua retta coscienza? E’ come dire che la legittimazione del popolo sospende il valore della legalità e solleva chi detiene il potere dal rispetto della legge.

Il nostro presidente del Consiglio ci ha detto oggi: la legge la faccio io. C’è chi ha parlato di “sultanato”. A me è venuto in mente il Leviatano di Hobbes in cui si dice che il sovrano per essere libero di governare  non può essere sottoposto neppure alla legge. Ma quello era il tempo dell’assolutismo non era il tempo dello Stato di diritto e delle liberaldemocrazie.

E mi è tornato alla mente anche un dialogo pubblico, a Monaco di Baviera, tra il filosofo Habermas e l’allora cardinale Ratzinger su “I fondamenti morali prepolitici dello Stato liberale”. In quel dialogo il futuro pontefice affermava: “E’ compito della politica sottomettere il potere al criterio del diritto e in tal modo ordinarne l’uso sensato”. E aggiungeva che se il diritto non appare come “espressione di una giustizia che sia al servizio di tutti ma come prodotto di un arbitrio, di una pretesa di essere nel diritto solo perchè si detiene il potere su di esso” è inevitabile alimentare nei cittadini “il sospetto verso il diritto e la legalità” e minare l’autorevolezza e la dignità della politica.

Si è ripetuto più volte, che la dignità della politica sarebbe compromessa da un cattivo rapporto tra politica e magistratura. Anch’io vorrei affrontare questo rapporto. Ma vorrei che fosse la politica a fare il primo passo. Solo una politica capace di essere trasparente, libera e autorevole è in grado di porre seriamente questo problema.

La moralità, pubblica e privata, di chi fa politica non può essere sfiorata dai dubbi o dai sospetti. E’ uno dei requisiti essenziali per l’esercizio di ogni responsabilità istituzionale. E la politica che pretende autonomia dalla magistratura deve dimostrare di essere autonoma e libera da tutti gli altri poteri, soprattutto da quello economico-finanziario e da quello degli affari.

La norma salva processi e questo provvedimento dimostrano invece che la politica anziché riformare se stessa altera gli equilibri delle istituzioni, travolge il diritto e piega il principio di legalità agli interessi personali del presidente del Consiglio.

Tutti, avete affermato, saremmo stati vittima di un cattivo rapporto tra magistratura e politica. E’ vero, il governo Prodi è caduto per l’intervento di un pubblico ministero. Ma il ministro Mastella si è dimesso e non abbiamo fatto una legge per salvare quel governo da quel pubblico ministero.

E anche se volessimo andare indietro nel tempo, potremmo ricordare l’articolo 68 della Costituzione, che è stato tolto da un Parlamento di cui non facevo parte. Di quel parlamento faceva parte una classe politica da cui ho preso più volte le distanze. Ma quella classe politica ha pagato duramente e non è giusto che sia stata sostituita da chi dopo 15 anni continua a tenere ingombrato il Paese dai suoi interessi personali.

In questi giorni, abbiamo preso tutti le distanze dalla piazza. Ma io non sono solo preoccupata dall’uso smodato delle piazze, sono anche preoccupata dall’indifferenza. Sono preoccupata da un Paese che ha tanti problemi che il governo si ostina a non risolvere e che per questo non ha neppure la libertà di comprendere che vulnus viene portato alla democrazia italiana. 

Nessuno scambi il nostro senso di responsabilità, la nostra disponibilità al dialogo, perché questa ha un alto prezzo e non è gratuita. Ed io mi chiedo se può esserci dialogo con chi è gravato da un gigantesco conflitto di interesse e ha preteso e ottenuto di dettare leggi su misura e garantirsi immunità. Non so se questo macigno potrà essere tolto dalla strada del dialogo.

da scelgorosy.it
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« Risposta #33 inserito:: Ottobre 13, 2008, 05:06:39 pm »

I cattolici al tempo del Pd

Rosy Bindi


Il ruolo della religione nella società contemporanea è tornato con forza al centro del dibattito culturale e politico. I recenti interventi di Benedetto XVI, sulla laicità nel viaggio apostolico in Francia e sui rapporti tra Stato e Chiesa hanno rilanciato la riflessione sul rapporto tra fede e politica. Un discorso che va ben oltre la «questione cattolica», intesa come un capitolo della storia d’Italia che si dipana da Porta Pia fino alla Dc e oltre, e rinvia piuttosto al tema più profondo - tutt’altro che estraneo allo sconquasso a cui stiamo assistendo della finanza mondiale - del deficit etico delle nostre democrazie. Un deficit che il fattore religioso può contribuire a colmare a patto di superare la tentazione, in cui cadono credenti e non credenti, di usare la religione come un surrogato, un riempitivo del vuoto creato dal tramonto delle ideologie del Novecento.

Sono invece convinta che una nuova laicità possa restituire chiarezza e nuovo senso al rapporto tra fede e politica. Anche per questo non credo si possa archiviare o deviare il compito del cattolicesimo democratico, quel movimento che ha permesso di riconciliare i cattolici italiani - e in qualche modo anche la Chiesa - con la modernità e la democrazia. Grazie ai cattolici democratici la laicità si afferma come metodo della politica, e nella Costituzione il rapporto tra verità e libertà, valori e consenso permette di superare lo iato tra democrazia formale e democrazia sostanziale. La storia di questo movimento non coincide con quella della Dc, anche se ne ha incarnato le fasi più avanzate, le personalità più scomode e creative. E non è un caso se l’esperienza dell’Ulivo affonda le proprie radici nell’orizzonte culturale del cattolicesimo democratico. Oggi si tratta di capire come spendere questa eredità nel Pd per riconciliare i cattolici italiani con il bipolarismo e rendere nuovamente feconda la loro presenza per il futuro della democrazia.

Molte analisi sul risultato elettorale si sono concentrate sul voto cattolico. I cattolici, è stato detto, questa volta non hanno scelto in base all’appartenenza, hanno votato per tutti i partiti anche se in maniera predominante si sono riconosciuti nell’offerta di Berlusconi. Dobbiamo ancora capire le ragioni profonde di un voto che ha premiato la paura invece della speranza, l’apparenza invece della coerenza e che mai prima d’ora ha contribuito a spingere a destra l’asse politico del Paese.

Non mi convince chi, come Tremonti e D’Alema cerca spiegazioni nel risveglio di uno spirito integralista che avrebbe fatto da collante intorno ai valori di Dio, Patria e Famiglia. Nel dialogo sul peso delle religioni, insieme ad una non scontata ammissione che la fede non è confinabile alla dimensione privata, si avverte ancora la persistente difficoltà di una certa cultura laica a superare un’idea di religione come espressione di una sorta di “preistoria dell’umanità”, in conflitto con la libertà, la ragione, la scienza. E la Chiesa sembra apparire ancora come un potere che attenta alla modernità e alla laicità dello Stato.

È visibile in questa impostazione l’eco di una politica che tende a stabilire con le gerarchie un rapporto pattizio e guarda all’elettorato cattolico in modo opportunistico. Ma sbaglia anche chi, come Rutelli, immagina di agganciare quello stesso elettorato presentandosi come unico interlocutore affidabile delle gerarchie. Dopo la breve esperienza dei teodem, con cui ha separato i cattolici dai cattolici innestando nella Margherita un’enclave integralista, ora rilancia la vecchia tesi della trasversalità cattolica e sotto le insegne di una nuova associazione mette insieme Bobba, Casini e Lupi. La “moderna laicità” di Rutelli ha in realtà un volto vecchio, quello gentiloniano della strumentalità con cui spesso sono stati utilizzati i cattolici in operazioni politiche di stampo moderato.

Per il Pd, la ricerca di nuove alleanze politiche, necessaria a costruire l’alternativa al governo Berlusconi, esige di rafforzare e non snaturare il profilo ideale e programmatico del partito. Così, invece, si minano le ragioni fondative del Pd: dar vita a un partito nuovo, laico e plurale, capace di tenere insieme credenti e non credenti in un unico progetto di innovazione della politica e della democrazia.

Il cantiere democratico è ancora aperto. E i cattolici che hanno scommesso fin dal ‘95 nell’Ulivo non possono farsi né da parte, coltivando formule alternative, né da un lato, dando vita all’ennesima corrente.

A cosa serve il richiamo all’identità su cui fanno leva gli ex popolari riuniti ad Assisi? Anche questa mi pare una scelta strumentale. Il richiamo alla cultura cattolico democratica, accreditando per giunta l’idea di averne il monopolio, diventa la credenziale per formare una corrente. Col risultato di farlo guardando al passato, a come eravamo, e non a come dobbiamo essere oggi, democratici e mescolati agli altri eventualmente in una corrente, ma in nome del progetto politico e non delle appartenenze. Di separatezza in separatezza il passo verso l’irrilevanza culturale, anche se mascherata dalla possibilità di contrattazione politica, è davvero breve.

La scelta non può che essere quella di tornare al progetto e alla proposta. Nel dna dei cattolici democratici ci sono la laicità dello Stato e la lotta alle ingiustizie e i temi su cui offrire il nostro contributo non mancano. Penso alla necessità di regolare il mercato e riaffermare il primato del lavoro umiliato dall’economia delle transazioni finanziarie. Alla qualità della democrazia, alla difesa della Costituzione e della legalità. La nostra laicità è la garanzia di una corretta distinzione dei poteri, contro gli strappi alle regole e la prevaricazione del Parlamento. Penso ad una nuova cittadinanza, aperta e accogliente anche verso gli stranieri. L’intolleranza che la Lega e la destra alimentano, utilizzando in modo blasfemo il cristianesimo come un baluardo a difesa dell’identità italiana o più semplicemente veneta o lombarda, è un veleno che produce violenza e razzismo e non possiamo neutralizzarlo affidando le nostre ragioni solo agli editoriali dell’Osservatore romano e Famiglia cristiana. E penso alle sfide della bioetica, che ormai coinvolgono con mille contraddizioni e interrogativi la vita quotidiana di ognuno di noi. Non ha alcun senso contestare il diritto della Chiesa ad esprimersi, è invece molto più utile che credenti e non credenti imparino a confrontarsi, senza reciproche scomuniche, nella ricerca nel bene possibile, nella difesa della dignità e libertà della persona umana.

Basterebbe insomma riprendere con coraggio e speranza la lezione dei nostri maestri. Ricordo, tra tutti, gli ultimi che ci hanno lasciato, Pietro Scoppola e Leopoldo Elia. Una lezione di dialogo, contaminazione culturale, libertà intellettuale. Una lezione di nuova laicità.

Pubblicato il: 13.10.08
Modificato il: 13.10.08 alle ore 13.17   
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« Risposta #34 inserito:: Ottobre 30, 2008, 11:48:31 pm »

Ora serve una nuova opposizione

di Marco Damilano


Azioni coordinate in Parlamento. E intese per le amministrative.

La ricetta della vicepresidente della Camera dopo la manifestazione al Circo Massimo.

Colloquio con Rosy Bindi 

A giorni di distanza dalla manifestazione del Pd al Circo Massimo, Rosy Bindi è ancora entusiasta: "È stata bella per tanti motivi: la dimostrazione che il tempo dell'assopimento è finito, la capacità di indignarsi per il governo Berlusconi c'è ancora". Attenzione, però, avverte la vicepresidente della Camera, la piazza non basta: serve un coordinamento delle opposizioni e riprendere il filo delle alleanze partendo dalle elezioni amministrative, per fermare "una chiara e netta svolta autoritaria che non può essere mascherata da decisionismo".

Cosa insegna la piazza al palco, a voi dirigenti? Spazzerà via le correnti, i personalismi?
"La piazza ci dice che il Pd c'è, in mezzo a tante difficoltà. Ma la bacchetta magica non ce l'ha neppure quella piazza. Ma quel popolo ci insegna che dalla scelta del Pd non si torna indietro. Tutti quelli che più o meno palesemente in questi mesi si sono assicurati fughe in avanti, nostalgie, strade parallele, devono capire che non ci sarà un ritorno al passato. Al tempo stesso, la manifestazione del 25 ha cancellato un'idea ristretta del partito. Ha spazzato via i complotti, ma anche l'idea di un partito che non valorizza la sua pluralità. Entrambe sono un tradimento di quella gente, e tutti noi dirigenti abbiamo la responsabilità di non tradirla. E soprattutto la forza di quella piazza non è il suo palco, ma la sua capacità di guardare al futuro".

Basta un bagno di folla per risalire nei consensi? Anche prima delle elezioni il pullman era accolto dalle piazze piene e invece...
"È vero: il dato elettorale è lì, i sondaggi dicono che la luna di miele del governo Berlusconi è finita, però noi dobbiamo ancora riconquistare il Paese alle nostre ragioni. Le elezioni di Bolzano dimostrano che il Pd recupera voti, ma quello che perde la destra finisce all'estrema destra. Siamo tutti in attesa delle elezioni americane che potrebbero segnare un cambiamento in caso di vittoria di Obama, ma dobbiamo sapere che ci stiamo confrontando con una naturale tendenza delle società europee che premia le forze della paura e della disperazione. E noi dobbiamo organizzare un'alternativa culturale e politica. Riprendere il nostro rapporto con l'Italia, il mondo economico, la scuola, le famiglie. Interpretarne i bisogni, superare insieme le difficoltà economiche e sociali. E rinsaldarci attorno alla nostra diversità dalla destra che governa".

Diversità è parola che appartiene alla storia del Pci. Marco Follini ha messo in guardia: attenzione, così si teorizza la superiorità morale degli elettori del Pd su quelli del Pdl...
"Non vedo nessuna presunzione di superiorità. Vedo la consapevolezza orgogliosa della nostra diversità. Dobbiamo essere fermi oppositori di questo governo. E al tempo stesso dobbiamo essere forti nelle proposte per il Paese".

Il primo effetto del Circo Massimo è che in Abruzzo Pd e Idv andranno alle elezioni insieme. State rimettendo insieme il fronte anti-berlusconiano?
"Non torneremo indietro, le alleanze vanno costruite sul programma, non basta essere contro Berlusconi, anche se questa è una condizione necessaria. Dobbiamo ricostruire l'opposizione sulla base di due punti fermi: il Pd è il partito che fa da perno alla coalizione. Ma il Pd deve allearsi con altre forze politiche: con il 33 per cento non mandiamo a casa Berlusconi e non costruiamo una forte alternativa politica. Le elezioni delle prossime settimane ci vedono alleati con l'Udc in Trentino e con Di Pietro in Abruzzo. Questa è la strada da seguire: in Parlamento un coordinamento tra le opposizioni e la costruzione di nuove alleanze nei laboratori delle elezioni amministrative. Senza dimenticare che il congresso di Rifondazione non è finito con l'elezione di Ferrero".

Il coordinamento tra le opposizioni farà il suo esordio nella battaglia parlamentare sulla nuova legge per le elezioni europee?
"Sulla legge europea dobbiamo fare una battaglia forte per le preferenze e per abbassare la soglia di sbarramento. Dobbiamo evitare due tentazioni. La prima è quella che ci offre il Pdl quando dice che lo sbarramento del 5 per cento serve a rafforzare in Italia un sistema fondato su due partiti. A noi del Pd dicono: 'Conviene anche a voi'. Ma noi non abbiamo mai mirato al prosciugamento dei nostri alleati. La seconda tentazione è quella rappresentata dall'Udc. Facciamo con loro la battaglia sulle preferenze, ma deve essere chiaro che noi continueremo a batterci per un sistema maggioritario e bipolare".

Sembrano materie molto lontane dai cittadini...
"E invece non lo sono. Arrivare alla fine del mese è più importante delle preferenze. Ma oggi battersi sulla legge elettorale per restituire ai cittadini il potere di scelta dei loro rappresentanti e per evitare che il Parlamento sia un luogo di pura ratifica delle decisioni del governo significa battersi per la democrazia. In questi mesi il Parlamento è stato svuotato e umiliato, ma siamo ancora una democrazia parlamentare e non si può cambiare surrettiziamente sistema. Siamo di fronte a una chiara e netta svolta autoritaria che non può essere presentata come capacità di decidere. La velocità con cui il governo Berlusconi decide maschera scelte che vanno contro il Paese".

Sulla scuola è nato un movimento che ha colto di sorpresa anche il Pd.
"È una protesta serena e matura. Questi ragazzi non sono politicizzati, nel '68 i giovani volevano gestire il futuro e esserne protagonisti, oggi temono che il futuro venga loro negato. Questo movimento impegna noi del Pd a capire e il governo a non provocare. Su YouTube circola il video con la lettura dell'intervista in cui il presidente Francesco Cossiga invitava a inserire gli infiltrati tra i ragazzi delle scuole. Una cosa di una gravità assoluta che non ha avuto le reazioni che meritava. Non vorrei che, come in passato, ci sia la tentazione di inquinare questo movimento. Ancora una volta a noi è richiesto di essere vigilanti, sentinelle della democrazia".

Sono parole pesanti, onorevole Bindi. Di questa vigilanza democratica fa parte il referendum sul lodo Alfano? Veltroni non firma, ma alla manifestazione del 25 ottobre ai banchetti di Di Pietro e di Parisi c'erano le file...
"Non lo metto in dubbio. Ma io vorrei una firma in meno e dieci voti in più. Il referendum è come un formaggio in una trappola per topi: raccogliere le firme è facile, superare il quorum e vincere il referendum è difficilissimo, capita di restare intrappolati. Spero comunque che la Corte costituzionale dichiari il lodo incostituzionale, rendendo il referendum inutile".

Intanto torneremo ad assistere al tradizionale derby Veltroni-D'Alema?
"Nel Pd non c'è nessun conflitto nuovo, sono tutti conflitti che abbiamo ereditato dai vecchi partiti. In tanti, dopo essersi bruciati la nave dei vecchi partiti alle spalle, hanno poi conservato una scialuppetta. Non si può pensare di risolvere il problema con i rinnovamenti generazionali che pure sono necessari, sono il problema del Paese e dunque della politica. No, il problema del Pd è stare tutti insieme ed essere aperti, non autoreferenziali, non burocratici. I cittadini che sono venuti al Circo Massimo, come quelli che hanno votato alle primarie, non sempre in questo partito si sono sentiti utili. Ora dobbiamo farli contare"

(30 ottobre 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #35 inserito:: Novembre 09, 2008, 12:29:18 am »

Ora serve una nuova opposizione

di Marco Damilano


Azioni coordinate in Parlamento. E intese per le amministrative. La ricetta della vicepresidente della Camera dopo la manifestazione al Circo Massimo. Colloquio con Rosy Bindi  A giorni di distanza dalla manifestazione del Pd al Circo Massimo, Rosy Bindi è ancora entusiasta: "È stata bella per tanti motivi: la dimostrazione che il tempo dell'assopimento è finito, la capacità di indignarsi per il governo Berlusconi c'è ancora". Attenzione, però, avverte la vicepresidente della Camera, la piazza non basta: serve un coordinamento delle opposizioni e riprendere il filo delle alleanze partendo dalle elezioni amministrative, per fermare "una chiara e netta svolta autoritaria che non può essere mascherata da decisionismo".

Cosa insegna la piazza al palco, a voi dirigenti? Spazzerà via le correnti, i personalismi?
"La piazza ci dice che il Pd c'è, in mezzo a tante difficoltà. Ma la bacchetta magica non ce l'ha neppure quella piazza. Ma quel popolo ci insegna che dalla scelta del Pd non si torna indietro. Tutti quelli che più o meno palesemente in questi mesi si sono assicurati fughe in avanti, nostalgie, strade parallele, devono capire che non ci sarà un ritorno al passato. Al tempo stesso, la manifestazione del 25 ha cancellato un'idea ristretta del partito. Ha spazzato via i complotti, ma anche l'idea di un partito che non valorizza la sua pluralità. Entrambe sono un tradimento di quella gente, e tutti noi dirigenti abbiamo la responsabilità di non tradirla. E soprattutto la forza di quella piazza non è il suo palco, ma la sua capacità di guardare al futuro".

Basta un bagno di folla per risalire nei consensi? Anche prima delle elezioni il pullman era accolto dalle piazze piene e invece...
"È vero: il dato elettorale è lì, i sondaggi dicono che la luna di miele del governo Berlusconi è finita, però noi dobbiamo ancora riconquistare il Paese alle nostre ragioni. Le elezioni di Bolzano dimostrano che il Pd recupera voti, ma quello che perde la destra finisce all'estrema destra. Siamo tutti in attesa delle elezioni americane che potrebbero segnare un cambiamento in caso di vittoria di Obama, ma dobbiamo sapere che ci stiamo confrontando con una naturale tendenza delle società europee che premia le forze della paura e della disperazione. E noi dobbiamo organizzare un'alternativa culturale e politica. Riprendere il nostro rapporto con l'Italia, il mondo economico, la scuola, le famiglie. Interpretarne i bisogni, superare insieme le difficoltà economiche e sociali. E rinsaldarci attorno alla nostra diversità dalla destra che governa".

Diversità è parola che appartiene alla storia del Pci. Marco Follini ha messo in guardia: attenzione, così si teorizza la superiorità morale degli elettori del Pd su quelli del Pdl...
"Non vedo nessuna presunzione di superiorità. Vedo la consapevolezza orgogliosa della nostra diversità. Dobbiamo essere fermi oppositori di questo governo. E al tempo stesso dobbiamo essere forti nelle proposte per il Paese".

Il primo effetto del Circo Massimo è che in Abruzzo Pd e Idv andranno alle elezioni insieme. State rimettendo insieme il fronte anti-berlusconiano?
"Non torneremo indietro, le alleanze vanno costruite sul programma, non basta essere contro Berlusconi, anche se questa è una condizione necessaria. Dobbiamo ricostruire l'opposizione sulla base di due punti fermi: il Pd è il partito che fa da perno alla coalizione. Ma il Pd deve allearsi con altre forze politiche: con il 33 per cento non mandiamo a casa Berlusconi e non costruiamo una forte alternativa politica. Le elezioni delle prossime settimane ci vedono alleati con l'Udc in Trentino e con Di Pietro in Abruzzo. Questa è la strada da seguire: in Parlamento un coordinamento tra le opposizioni e la costruzione di nuove alleanze nei laboratori delle elezioni amministrative. Senza dimenticare che il congresso di Rifondazione non è finito con l'elezione di Ferrero".

Il coordinamento tra le opposizioni farà il suo esordio nella battaglia parlamentare sulla nuova legge per le elezioni europee?
"Sulla legge europea dobbiamo fare una battaglia forte per le preferenze e per abbassare la soglia di sbarramento. Dobbiamo evitare due tentazioni. La prima è quella che ci offre il Pdl quando dice che lo sbarramento del 5 per cento serve a rafforzare in Italia un sistema fondato su due partiti. A noi del Pd dicono: 'Conviene anche a voi'. Ma noi non abbiamo mai mirato al prosciugamento dei nostri alleati. La seconda tentazione è quella rappresentata dall'Udc. Facciamo con loro la battaglia sulle preferenze, ma deve essere chiaro che noi continueremo a batterci per un sistema maggioritario e bipolare".

Sembrano materie molto lontane dai cittadini...
"E invece non lo sono. Arrivare alla fine del mese è più importante delle preferenze. Ma oggi battersi sulla legge elettorale per restituire ai cittadini il potere di scelta dei loro rappresentanti e per evitare che il Parlamento sia un luogo di pura ratifica delle decisioni del governo significa battersi per la democrazia. In questi mesi il Parlamento è stato svuotato e umiliato, ma siamo ancora una democrazia parlamentare e non si può cambiare surrettiziamente sistema. Siamo di fronte a una chiara e netta svolta autoritaria che non può essere presentata come capacità di decidere. La velocità con cui il governo Berlusconi decide maschera scelte che vanno contro il Paese".

Sulla scuola è nato un movimento che ha colto di sorpresa anche il Pd.
"È una protesta serena e matura. Questi ragazzi non sono politicizzati, nel '68 i giovani volevano gestire il futuro e esserne protagonisti, oggi temono che il futuro venga loro negato. Questo movimento impegna noi del Pd a capire e il governo a non provocare. Su YouTube circola il video con la lettura dell'intervista in cui il presidente Francesco Cossiga invitava a inserire gli infiltrati tra i ragazzi delle scuole. Una cosa di una gravità assoluta che non ha avuto le reazioni che meritava. Non vorrei che, come in passato, ci sia la tentazione di inquinare questo movimento. Ancora una volta a noi è richiesto di essere vigilanti, sentinelle della democrazia".

Sono parole pesanti, onorevole Bindi. Di questa vigilanza democratica fa parte il referendum sul lodo Alfano? Veltroni non firma, ma alla manifestazione del 25 ottobre ai banchetti di Di Pietro e di Parisi c'erano le file...
"Non lo metto in dubbio. Ma io vorrei una firma in meno e dieci voti in più. Il referendum è come un formaggio in una trappola per topi: raccogliere le firme è facile, superare il quorum e vincere il referendum è difficilissimo, capita di restare intrappolati. Spero comunque che la Corte costituzionale dichiari il lodo incostituzionale, rendendo il referendum inutile".

Intanto torneremo ad assistere al tradizionale derby Veltroni-D'Alema?
"Nel Pd non c'è nessun conflitto nuovo, sono tutti conflitti che abbiamo ereditato dai vecchi partiti. In tanti, dopo essersi bruciati la nave dei vecchi partiti alle spalle, hanno poi conservato una scialuppetta. Non si può pensare di risolvere il problema con i rinnovamenti generazionali che pure sono necessari, sono il problema del Paese e dunque della politica. No, il problema del Pd è stare tutti insieme ed essere aperti, non autoreferenziali, non burocratici. I cittadini che sono venuti al Circo Massimo, come quelli che hanno votato alle primarie, non sempre in questo partito si sono sentiti utili. Ora dobbiamo farli contare"


(30 ottobre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #36 inserito:: Dicembre 21, 2008, 10:41:20 am »

Non basta dire casi isolati. Ma Veltroni va sostenuto»

di Maria Zegarelli


Cammina nervosamente su e giù per la stanza. Umor nero, forte il contrasto con i toni morbidi e caldi - panna e giallo - della sua stanza a Montecitorio. «Mi dispiacerebbe aver assistito alla fine della Dc con Tangentopoli e trovarmi oggi, con il Pd, esattamente nella stessa posizione. Non posso pensare che vada bene adesso quello che non andò bene per la Dc allora: il Pd deve allontanare da sé ogni ombra, non possiamo dare la patente di moralizzatore ad Antonio Di Pietro».

Rosy Bindi, Abruzzo e questione morale sembrano essere strettamente legati da quello che raccontano le urne. Bettini dice che non esiste, che sono casi isolati. Secondo lei?
Non ci sono dubbi: la tempesta giudiziaria che ha colpito i nostri amministratori ha portato a questo risultato. L’astensionismo è un’indicazione chiara: i nostri elettori non sono quelli del Pdl. Se queste cose accadono a destra Berlusconi ne guadagna. Fa il ganzo, si scaglia contro i giudici e i suoi lo votano. Sembra un paradosso ma va avanti così dai tempi di Tangentopoli. La nostra gente, invece, o non va a votare o ci vota contro. È vero, sono casi isolati, ma la questione morale va oltre.

Del Turco ha gioito per la sconfitta del Pd e sta pensando di candidarsi con il Pdl. Vuole fare un commento?
Del Turco è la principale causa della nostra sconfitta e adesso con Berlusconi diventa una risorsa. Ma noi siamo il Pd: non possiamo che assumere una posizione chiara sulla questione morale, non possiamo permettere che siano i giudici e la piazza a processare di nuovo la politica. Velardi, in Campania ci sfida a fare la lista dei cacicchi. La faccia, ma senza di noi. Noi non ci lasceremo stritolare tra il giustizialismo di Di Pietro e la trappola berlusconiana di una intesa sulla giustizia che stravolge la Costituzione.

Bassolino, però, non intende mollare.
Bassolino è libero di fare quello che vuole, è stato eletto dai cittadini. Si assuma le sue responsabilità per governare questo scampolo di legislatura, noi pensiamo al futuro.

Venerdì ci sarà la direzione. C’è chi parla di resa dei conti. Lei come ci arriva?
Ponendo sul tavolo della discussione la qualità della nostra politica e del nostro profilo etico. Sono convinta che per ripartire abbiamo bisogno di fermarci a discutere del rapporto tra partito e istituzioni. Il rinnovamento sta in un modo diverso di gestire il potere, non nel nuovismo
.
Dopo questa sconfitta c’è chi vorrebbe la testa del segretario. Bindi, cosa auspica?
Questa non è la risposta ai nostri problemi. Che c’entra Veltroni con l’Abruzzo o Firenze? Si discute della linea politica, non di altro. Se il segretario vuole aprire una fase di rinnovamento andrà sostenuto e mi aspetto segnali a partire da Firenze, dove la candidatura di Cioni alle primarie è imbarazzante. .

Lei che sostiene il segretario è una notizia...
C’è chi mi prende in giro per questo. Mi dicono che quando tutti erano con Walter io competevo con lui, ora che sono tutti contro lo sostengo.

Quali sono stati gli errori del segretario, se ce ne sono stati?
Di aver accettato il sostegno dei partiti alle primarie senza discutere della linea politica; di aver faticato ad accettare l’idea di un confronto reale... Ma questo appartiene al passato, ora è chiaro a tutti che non possono esserci unanimismi, le cose si condividono, soprattutto con chi non la pensa come noi.

Guardiamo al futuro: con l’Udc, con Di Pietro, con la Sinistra. Con chi deve allearsi il Pd?
Avere la vocazione maggioritaria non vuole dire precludere alleanze. Ma devono essere il frutto di una interlocuzione programmatica e non di una sommatoria percentuale e ci si arriva quando un partito ha sua identità forte, un suo profilo politico definito e da questo punto di vista mi sembra che ci sia ancora molto lavoro da fare. Non penso faccia bene al Pd sciogliere l’alleanza l’alleanza con Di Pietro, passata al vaglio dei nostri elettori. Vale la pena verificare la possibilità di fare insieme un percorso, continuando a guardare con attenzione anche a quanto sta accadendo a sinistra.

mzegarelli@unita.it


17 dicembre 2008     
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« Risposta #37 inserito:: Aprile 21, 2009, 08:50:16 am »

Etica e politica

Laicità, valore non negoziabile

di Rosy Bindi


Pubblichiamo una sintesi dell’intervento di Rosy Bindi, vicepresidente della Camera, al convegno “Soggetto e norme. Individuo, religioni, spazio pubblico”, promosso dall’Associazione Italiana di Filosofia e Teologia a Torino il 2-3 aprile 2009



Etica, pluralismo, politica: sono termini alla ricerca di se stessi. Sono caduti grandi riferimenti. I credenti hanno perso sicurezze. Una doppia fatica: condividere l’incertezza del tempo; non credere di dover dare certezze.

La politica del bene comune è già di per sé etica. Ma oggi c’è una debolezza della politica, incapace di portare dal dominio alla liberazione.
Le teorie della giustizia sono minimali. Inoltre, c’è una deficienza etica della politica praticata, mera amministrazione dell’esistente, fino all’immoralità.
Quindi, in nome della morale, sorge l’antipolitica.

Il ricupero della funzione della politica passa dal riscoprirne il limite e dall’accettare il pluralismo etico della società. Da qui si può ricostruire un’etica condivisa sulla base della laicità. Né relativismo, né conflitto, né solo tolleranza, ma ascoltarsi.

L’Italia non è abituata al pluralismo, ha una reazione di paura. O cogliamo l’opportunità del pluralismo, oppure soccombiamo al pensiero unico più forte, un potere senza regole.

La laicità è l’unico valore davvero non negoziabile nella nostra società (come dice Rusconi). Irrompe qui con forza il pensiero religioso, le religioni. La Chiesa si offre con buone intenzioni per il bene della società, a rischio di ridursi a religione civile, ma rompe il pluralismo quando si impone come dominante, come interprete della natura. Ciò si complica nell’Islam.

Nella difficoltà di fare ius comune, si fa lex comunque, d’autorità. Tutto dipende dal senso del limite della maggioranza.

C’è rischio in Italia di bipolarismo etico: la maggioranza si impone su tutto. Vorremmo un diritto mite. Le istituzioni decidano sapendo interpretare un’etica condivisa, nel pluralismo etico. La politica ritrovi questo compito. È compito particolare dei credenti: la mancanza di laicità è responsabilità dei credenti, è tradimento di Dio e della propria responsabilità politica.

L’uso strumentale dei valori cristiani viene più da chi non è credente, da chi non ne conosce il prezioso valore. I cattolici si mettano al servizio della laicità.

Il pluralismo è incontro di parola e di pace, nella convivenza. Valore e limite della politica di fronte al mistero e alla coscienza della persona.

Noi (formati negli anni ’60-’70) siamo una generazione fortunata, più dei giovani di oggi. Abbiamo una responsabilità. Avevamo un quadro di riferimento, sulla cui base potevamo rilanciare fatti nuovi. Oggi la gente ha solo da difendersi nel particolare, da chiudersi, proteggersi. Bisogna ripartire dalla Costituzione: pluralismo, etica condivisa, che sia un bene per tutti. Ma questa cultura è solo di una parte del paese. Il referendum costituzionale ha scelto bene. Ma la politica della menzogna ha tutta un’altra etica, tutto un altro metodo. Si organizza il paese intorno alla menzogna, comunicata come una verità, legittimata dalla Chiesa e dalla tv.

Ci vuole una resistenza culturale. Ci dicono che non dobbiamo parlare male di Berlusconi se no va anche peggio. Vorrei scrivere un libro: “La colpa dei cattolici”.
Chi deve essere resistente se non un credente? La maggioranza dei cattolici ha votato per l’attuale maggioranza parlamentare!
Di fronte al decreto governativo sul caso Englaro, la Chiesa che non rispetta la Costituzione non rispetta nessun valore, nessun diritto.
Da cristiani laici abbiamo da reimparare che non si chiede alla legge la difesa dei valori.

Sturzo fu licenziato dai clerico-moderati e dalla Chiesa, non dai fascisti!

Il Pd è un partito plurale, è l’incontro con chi e tra chi pensa diversamente. Plurali e non divisi. La pluralità è un valore.
Così il Pd si presenta in Europa, né socialdemocratico né democristiano.
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« Risposta #38 inserito:: Giugno 28, 2009, 05:15:38 pm »

L’intervista: «.Lui il più adatto a guidare un partito alternativo alla destra»

Bindi: «Sostengo Bersani ma niente ticket .Non promuovo il segretario»

L’ex ministro: «Basta con la storia che noi sappiamo governare e il Pdl no, non è più vero»
 

Rosy Bindi, come le sembra il risul­tato elettorale?
«Sconfitta con onore a Milano. Perdi­ta dolorosa di Prato. Recupero del Pd rispetto al primo turno delle ammini­strative. Forse è iniziata la fine dell’era Berlusconi; ma la destra è radicata nel paese, l’assioma per cui noi siamo ca­paci di governare mentre loro non han­no classe dirigente non è più sostenibi­le. Il Pd è vivo. Ma i toni trionfalistici mi sembrano davvero fuori luogo».

Che giudizio dà della segreteria Franceschini?
«La sua linea di competizione all’in­terno dell’opposizione era giusta. Non mi pento di averlo sostenuto. Ma sareb­be troppo generoso dire che il bilancio è positivo. Abbiamo perso quattro mi­lioni di voti e molte amministrazioni locali. Non me la sento di bocciare Franceschini, ma neppure di promuo­verlo ».

Giuliano Amato vi chiede di evitare divisioni, e di rinviare le primarie.
«E perché mai? Noi non ci stiamo di­videndo. Ci sarà una sana competizio­ne. Dopo due anni di prova, e dopo tre tornate elettorali concluse con una sconfitta, è tempo di decidere sul ruo­lo del partito, sulla sua identità, sul suo progetto di società. Per questo il Pd ha bisogno di un congresso vero e di primarie vere, non come quelle del­­l’altra volta».

L’altra volta lei si candidò. Perché dice che non erano vere?
«Per il motivo che indicai già allora: Veltroni era sostenuto da tutto e dal contrario di tutto. Infatti tentò di segui­re più di una linea politica, la propria e quelle degli altri. Abbiamo usato le pri­marie da apprendisti stregoni, rischian­do di buttarle via. Ora dobbiamo con­solidarle ad ogni livello e usarle bene. Io non mi candiderò, ma concorrerò con le mie idee a far emergere un nuo­vo segretario».

Lei quindi sosterrà Bersani?
«Sì. È un sostegno non improvvisa­to, bensì costruito e preparato nel tem­po; anche perché mi è stato richiesto. Sosterrò Bersani con un gruppo di per­sone che due anni fa appoggiò la mia corsa alle primarie, insieme abbiamo scritto un documento con le proposte che qualificano la nostra scelta».

Proprio lei, prodiana e ulivista, si schiera con l’uomo di D’Alema?
«A parte il fatto che sono un’estima­trice di D’Alema, anche se talvolta non ne condivido idee e fatti, Bersani è di Bersani. Sono testimone dell’autono­mia della sua candidatura e a Bersani chiedo proprio di fare la sintesi tra lo spirito dell’Ulivo e l’idea di partito radi­cata nella cultura politica italiana. Il Pd come lo intendo io è un partito davve­ro plurale».

Ma perché non va bene il segreta­rio che c’è già? Perché non France­schini?
«Perché Bersani mi pare più adatto a costruire un partito che si presenti co­me alternativo a questa destra, a rico­struire il centrosinistra, e a restituirgli la credibilità di una forza di governo. Non possiamo permetterci un partito che stia anni a bagnomaria. I voti si prendono se ci si presenta come un partito capace di aggregare e di gover­nare. E anche di porre con forza, nel momento più cupo del berlusconi­smo, la questione morale: sapendo che il conflitto di interessi l’abbiamo an­che dentro casa nostra».

A cosa si riferisce?
«Il voto ci ha rivelato più di un caso in cui il nostro modello di governo ne­gli enti locali è stato rifiutato dagli elet­tori. A cominciare dalla Campania».

Franceschini propone un rinnova­mento del gruppo dirigente. E molti giovani, dalla Serracchiani in giù, gli sono vicini.
«Non c’è dubbio che il nuovo segre­tario dovrà costruire il Pd con i giova­ni e per i giovani. Non dobbiamo avere timore di mettere al centro i grandi te­mi della sinistra: la dignità del lavoro, la mobilità sociale, l’uguaglianza, le nuove generazioni, e anche le donne, così umiliate dal comportamento del presidente del Consiglio. Ma dico no al nuovismo. Non si può dire 'tutti a ca­sa, tranne me'. Le novità non si inven­tano, né si costruiscono ad arte. Le no­vità emergono dalla battaglia politica, dall’esperienza, anche dagli errori e dalle sconfitte, non dalla scelta di volti accattivanti che vengono bene in tv; che poi così nuovi alla politica non so­no. Né mettendo in lista gente simpati­ca che passa per caso, come si è fatto alle elezioni del 2008. Franceschini è stato il vice di Veltroni; non può chia­marsi fuori da quella stagione».

Lei è molto severa con Veltroni, che ora sta per rientrare in campo a due anni dal Lingotto.
«Il suo ritorno non mi convince per­ché al Lingotto si è sbagliato tutto. Vel­troni di fatto si candidò a presidente del Consiglio, quando c’era già un pre­sidente del Consiglio del suo partito. E la 'vocazione maggioritaria' si è tra­sformata in vocazione alla solitudine».

Bersani le ha chiesto anche di farle da vice?
«No. Un altro errore di Veltroni fu il ticket. Non è in questa fase che si deci­dono queste cose».

Anche Letta appoggia Bersani, a condizione che mandi in archivio la socialdemocrazia.
«La socialdemocrazia è già stata ar­chiviata dalle elezioni europee. In Ita­lia poi un vero partito socialdemocrati­co non c’è mai stato, e da certi punti di vista è una fortuna. Piuttosto, nessuno pensi ora di fare la Cosa 4, cioè l’ennesi­ma evoluzione del partito storico della sinistra italiana».

Però lei, cattolica, sostiene un uo­mo che viene da quella storia.
«Proprio perché vengo dal cattolice­simo democratico, scommetto sulla contaminazione delle culture; come avevo fatto già due anni fa, quando la mia candidatura fu sostenuta da un gruppo che andava da Franca Chiaro­monte a Giovanni Bachelet. Voglio un partito che non si limiti a innestare il liberalismo sulla socialdemocrazia, ma sia il compimento dell’Ulivo. La diffe­renza la fa proprio la presenza dei cat­tolici ».

L’accordo con l’Udc è indispensabi­le? Che farà Casini secondo lei?
«Indispensabile è ricostruire un nuovo centrosinistra. Il Pd ha vinto con l’Udc, come a Bari e Torino, senza l’Udc, come a Bologna, e con l’Udc schierata dall’altra parte, come a Pado­va. Il Pd si deve porre il problema del centro e della sinistra; ma anche l’Udc si deve porre il problema del proprio futuro, fin dalle prossime regionali. Credo che Casini coltivi ancora il so­gno di essere protagonista di un cen­trodestra di tipo europeo, senza Berlu­sconi. Ma credo pure si stia rendendo conto che la fine di Berlusconi passa attraverso una sconfitta politica, che Casini può infliggergli solo alleandosi con noi. A quel punto vedremo se ri­nuncerà al suo antico sogno e se, accet­tando il bipolarismo, la presenza del­l’Udc nel centrosinistra sarà duratu­ra ».

Per Berlusconi è davvero l’inizio della fine?
«Il declino è cominciato, e credo lo sappia anche lui. Di sicuro lo sa il suo partito».

E Prodi? Anche lui sosterrà Bersa­ni?
«Il padre fondatore è una risorsa e un patrimonio per tutti. Da Prodi ci si attende un grande contributo di idee e di passione»

Aldo Cazzullo
27 giugno 2009
da corriere.it
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« Risposta #39 inserito:: Luglio 28, 2009, 06:49:05 pm »

23 Luglio 2009

Il principio di realtà che manca a Franceschini


di Rosy Bindi




Le mozioni sono state depositate e non sarà difficile cogliere le differenze e le affinità. Né le une né le altre mi spaventano: siamo tutti democratici e tutti impegnati a fare un congresso vero. E congresso vero significa che la sana e robusta discussione, di cui c'è bisogno, non deve scadere in un ‘parlarsi addosso'.

La prima regola dovrebbe essere quella di attenersi al principio di realtà.  Quello che purtroppo manca a Franceschini, quando attribuisce alla mozione Bersani insofferenza per il bipolarismo. Nulla di più falso: nessuno ha nostalgia per maggioranza variabili, nessuno rimpiange pratiche e  vizi del trasformismo. Siamo invece sostenitori convinti della democrazia dell'alternanza, che vogliamo rafforzare con una legge elettorale che garantisca ai cittadini la scelta degli eletti e del governo.

Ma uno schema bipolare non coincide necessariamente con il bipartitismo: non è questa la vocazione maggioritaria del Pd, che Veltroni e Franceschini hanno interpretato con quel ‘corriamo da soli' che archiviò l'esperienza dell'Ulivo, accelerando la crisi del governo Prodi. Non si va a Palazzo Chigi né con il 33% men che meno il 26 e visto che il Pd vuole tornare a governare l'Italia il compito prioritario è quello di ricostruire un campo omogeneo di forze alternative alla destra.

La vocazione ulivista del Pd è questa: diventare il motore di una nuova alleanza riformatrice e di governo chiaramente alternativa a Berlusconi. Per questo può essere utile anche il dialogo e l'intesa con l'Udc. Ma nella chiarezza d'intenti, sapendo che Casini si sente a casa propria nel centrodestra ed è lì che vuole tornare. E come lui stesso ha affermato è disponibile ad un'alleanza con noi solo per mandare a casa Berlusconi. Anche questo è un principio di realtà.

A Franceschini e Fassino vorrei dire che la differenza non è tra chi vuole andare avanti e chi vuole tornare indietro. Ma tra chi pensa di andare avanti ripercorrendo gli errori di questi due anni, che ci hanno portato al 26%; e chi -  come noi - è convinto che per andare avanti bisogna riconoscere gli errori di questi due anni e cambiare strada.

da lastampa.it
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« Risposta #40 inserito:: Agosto 23, 2009, 11:53:27 pm »

20/8/2009


Rosy Bindi: «Se risponde, il premier va in crisi con Bossi»


di Francesca Schianchi - da La Stampa



Rosy Bindi, vicepresidente della Camera del Pd, il presidente della Repubblica è ancora in attesa di chiarimenti dal governo sulle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia...

«Questo governo è latitante su molte cose, e alcune inadempienze sono dettate dalle divisioni dentro la maggioranza e dalla forza della Lega di imporre il suo punto di vista. Il tema dell'Unità d'Italia provoca le reazioni leghiste, anche scomposte e pericolose come quelle viste in questi giorni: in un Paese in cui ogni giorno si indebolisce il tessuto civile, abbiamo passato l'estate a discutere di inni e dialetti. Il governo non può dare una risposta al presidente Napolitano perché, se lo fa, la Lega fa le bizze».

In effetti i leghisti non fanno che dire: non si spenda una lira per le celebrazioni...
«Celebrare i 150 anni dell'Unità significa ricordare cosa vuole dire tenere unito il Paese: non è un fatto formale, ma sostanziale. Se si ricorda come l'Italia è diventata una sola nazione si fa un'operazione culturale e politica esattamente opposta a quello che vuole la Lega. Lo dice Bossi stesso, "Noi non vogliamo cambiare l'inno, vogliamo le gabbie salariali"; vogliono dividere il Paese davvero. E questo governo è sotto ricatto: non può rinunciare alla Lega, altrimenti crolla tutto. Il presidente del Consiglio ha bisogno della riforma della giustizia, della legge sulle intercettazioni, di mantenere il suo conflitto d'interessi: la Lega lo sa e alza continuamente il prezzo».

Ma non c'è solo il Carroccio: a Sud c'è chi, come il presidente della Sicilia, Raffaele Lombardo, dice che non c'è nulla da festeggiare...
«Lega chiama Lega: il senso di essere una sola nazione non è scontato, ha sempre bisogno di essere sostenuto e motivato. La politica ha due strade: unire o disgregare. Questo governo ha scelto di disgregare: e allora, se c'è una Lega al Nord, perché no una Lega al Sud?».

Sulle celebrazioni, però, quando Ernesto Galli Della Loggia sollevò il problema non risparmiò le critiche nemmeno al centrosinistra e al governo Prodi, in cui lei era ministro della Famiglia...
«Noi avevamo avviato un comitato e stanziato risorse: prova di noi l'avremmo poi dovuta dare in questo momento. E comunque, a noi il merito di aver insediato un comitato apposito, agli altri il demerito di averlo vuotato di contenuti».

Ma ora il premier dice che il programma era costoso e con la crisi non ci sono più soldi...
«Sta sempre a dire che la crisi sta finendo, l'Italia è in ripresa, ora la crisi c'è? No, guardi, per altre cose le risorse le trovano: basti pensare ai milioni di euro dati all'Alitalia o ai regali fatti agli evasori con lo scudo fiscale».

Voi come opposizione cosa fate per aiutare a unire anziché disgregare, a recuperare il senso dello stato?
«Noi siamo culturalmente alternativi: quando siamo stati al governo non abbiamo mai compiuto atti che dividessero il Paese, ma che lo unissero. Basti pensare alle risorse stanziate per il Mezzogiorno. La cultura dell'unità del Paese è nel nostro dna».

Come saranno, alla fine, questi festeggiamenti?
«Temo che saranno celebrati sottotono, con un livello culturale bassissimo e in assenza di contenuti. Senza coinvolgere i giovani e senza che siano un'occasione per unire e aprire il Paese».

da democraticidavvero.it


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« Risposta #41 inserito:: Ottobre 02, 2009, 05:25:55 pm »

Pd, zero progetti

di Marco Damilano


Scarse ricette politiche. Cattolici trascurati.

L'analisi dell'ex ministro schierata con Bersani.

E su Rutelli: 'Mi viene in mente Giuda'.

Colloquio con Rosy Bindi
 

SPECIALE PRIMARIE I candidati a confronto

La sinistra? Ne facciamo parte anche noi.... La cattolica Rosy Bindi si sente a casa nella mozione di Pierluigi Bersani. È in uscita il suo libro 'Quel che è di Cesare' (a cura di Giovanna Casadio, editore Laterza) sulla laicità, il manifesto dei nuovi cattolici democratici. "Siamo sempre stati una minoranza. Ma la politica non è affermazione della propria identità, è servizio a un progetto che si ritiene utile".

Sulla laicità il Pd si è lacerato per mesi. Perché dedicare un libro a questo tema?
"La laicità non è solo la questione bioetica. È la frontiera delle democrazie moderne. La sfida di costruire un partito plurale in cui le diverse identità concorrono a una nuova sintesi. Questo non capiscono Ignazio Marino da una parte e Dorina Bianchi dall'altra: la laicità non è un pensiero da contrappore a altri. Un partito plurale lo puoi fare solo se hai una cultura forte, un pensiero rivolto al mondo e non solo al tuo orticello".

Per Massimo D'Alema al Pd non basta l'anti-berlusconismo. È d'accordo?
"Non serve l'anti-berlusconismo da strapazzo. Serve un grande partito di opposizione. In Italia c'è una mutazione genetica: un paese che applaude i respingimenti, che consente l'abbassamento dell'offerta formativa della Gelmini, un consenso spontaneo verso Berlusconi. È responsabilità della destra, ma anche nostra: non siamo riusciti a mettere in campo un progetto culturale e politico che gli italiani potessero incontrare. E ritroveremo il consenso solo se li convinceremo che siamo più capaci della destra. Come ha fatto Prodi, due volte".

Tra loro ci sono i cattolici. Dopo il caso Boffo si riapre la partita per il loro voto?
"I cattolici sono stati determinanti per la vittoria di Berlusconi non solo sul piano elettorale, ma perché hanno dato alla destra un'identità, i valori. Ora una rottura c'è. Basta? No, perché c'è il rischio che i cattolici riscoprino la fuga dalla politica, il rifugio nella dimensione spirituale e nel volontariato. Ma anche qui ci sono le nostre colpe. Siamo stati troppo timidi nel rivendicare la nostra coerenza tra impegno politico e ispirazione religiosa. E c'è stata un'assenza del Pd. Rutelli, Fioroni e la Binetti parlano con singoli prelati, ma il partito non ha sviluppato un rapporto serie e franco con il mondo cattolico. Ma il Pd che aspira a essere il partito degli italiani può ignorare l'esistenza del Vaticano? O della Cei?".

Perché l'ex Pci Bersani dovrebbe essere capace di dialogare con questi e altri mondi?
"E perché dovrebbe essere in grado di farlo Franceschini? L'ambizione del Pd è parlare al mondo cattolico, ai ceti produttivi, ai moderati. Bersani è un uomo di sinistra, e non mi dispiace, ma ha saputo governare con le liberalizzazioni, vince non solo nel Nord e al Sud, dialoga con gli imprenditori e con i sindacati. Franceschini è più capace di lui? È tutto da dimostrare".

Franceschini avverte: se vince Bersani il progetto del Pd è in pericolo.
"Dal Pd non si torna indietro e Dario non può attribuire ad altri intenzioni non dichiarate. Mentre è doveroso fare un bilancio dei primi mesi del partito. Se si va avanti così si dissipa un patrimonio di 15 anni. Abbiamo perso 4 milioni di voti per i nostri errori, non per la litigiosità dell'Unione. Bisogna cambiare strada".

Altro attacco: Bersani cerca l'alleanza con l'Udc, mette in crisi il bipolarismo.
"Ricordo che Piero Fassino, sponsor di Franceschini, ha chiesto l'alleanza in Veneto con Galan e nessuno lo ha accusato di tradire il bipolarismo. Il bipolarismo è messo a rischio se il Pd resta al 26 per cento e non ha nessuna possibilità di tornare al governo. Penso che Casini voglia correre per la leadership del centrodestra, ma per raggiungere l'obiettivo prima deve sconfiggere Berlusconi. Per questo in alcune regioni farà un'alleanza con noi, tattica. E io sono d'accordo con lui".

E Rutelli? Accusa: "Il Pd a sinistra tradisce le sue ragioni fondative". Uscirà dal Pd?
"Mi viene in mente quello che Gesù dice a Giuda nel Vangelo prima del tradimento: 'quello che devi fare fallo subito'. Se qualcuno ha già deciso di lasciare il partito non cerchi un pretesto nella vittoria di Bersani. Che democratici sono quelli che non riconoscono l'esito del congresso e delle primarie? La responsabilità di una rottura sarà solo di chi esce".

(01 ottobre 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #42 inserito:: Dicembre 28, 2009, 05:15:38 pm »

Bindi: "Dialogo e riforme? Così non si va da nessuna parte"

di Maria Zegarelli


"Così partono male, non si va da nessuna parte". Tormentata dal raffreddore Rosy Bindi risponde al telefono dalla sua casa di famiglia a Sinalunga e mette subito un freno a questa voglia di dialogo che avrebbe invaso il centrodestra, nuovo “partito dell’amore”.

Cicchitto dice che legittimo impedimento, processo breve, lodo Alfano e immunità parlamentare non sono «leggi ad personam» e dunque non possono essere un impedimento al dialogo. Ma quali sono le leggi ad personam, allora?
«Sono esattamente quelle elencate dall’onorevole Cicchitto, non si può utilizzare l’argomento che siccome hanno delle conseguenze, in alcuni casi devastanti, anche per altri cittadini, non siano pensate per tutelare Silvio Berlusconi. Pretendere di farci passare anche per sprovveduti mi sembra troppo».

Cicchitto sostiene che soltanto una volta sciolto questo nodo si può passare alle riforme istituzionali e a quella sulla giustizia. Il Pd che risponde?
«Che è l’opposto di quello che abbiamo chiesto noi. La nostra posizione è chiara: facciamo le riforme - anche quella della giustizia - e alla conclusione di questo percorso siano loro ad affrontare, se credono, quelle norme di sistema che possono servire anche a Silvio Berlusconi. Per quanto ci riguarda, sia chiaro, non ci troveranno mai disponibili. Ma forse a quel punto non servirebbero neanche a loro. Comunque mi sembra che stiano partendo proprio male, l’unica cosa positiva è che Cicchitto sta finalmente svelando le loro vere intenzioni».

Dialogo morto prima ancora di nascere?
«Non so se hanno traduttori sbagliati, ma noi abbiamo sempre detto che questo Paese ha bisogno di riforme e siamo disponibili al confronto per metterle finalmente in agenda, purché siano riforme per i cittadini».

Il Pdl ha tracciato il suo percorso, quale è quello del Pd?
«Abbiamo il bicameralismo perfetto e per una volta potrebbe tornare utile: in un ramo del Parlamento si può iniziare con una sessione economico-sociale, cominciando ad affrontare i temi della crisi e delle riforme economiche e sociali di cui c’è bisogno e di cui non si è ancora parlato perché si è proceduto a colpi di fiducia. Nell’altro ramo si potrebbe cominciare il percorso delle riforme istituzionali, compresa la riforma elettorale. Mi sembra di capire che loro ci chiedono il contrario: sospendere l’attività parlamentare nell’interesse degli italiani e tenere bloccate le Camere per una serie di leggi ad personam. Si tratta di leggi che si incrociano tra di loro e che hanno all’orizzonte il Lodo Alfano, attraverso una legge costituzionale, per creare il paracadute più grande. Il percorso è già iniziato: al Senato si lavora al processo breve, alla Camera al legittimo impedimento, mentre sembra che il Lodo Alfano sia già pronto...».

E Gasparri ritira fuori il presidenzialismo.
«È molto preoccupante, qui bisogna chiarirsi. Loro dicono “si parte dalla bozza Violante”, io rispondo “si arriva alla bozza Violante, non si fa un passo di più”, altrimenti si riproporrebbero i contenuti dell’altra riforma che gli italiani hanno già bocciato».

Ma c’è una legge su cui sareste disposti ad aprire uno spiraglio?
«Tutte queste leggi non sono scandalose in quanto tali. Mi spiego: il processo breve, come problema anche se con soluzioni diverse, lo ponemmo noi. Io, tra l’altro, non ero d’accordo, ma questo è un altro discorso. Quanto all’immunità parlamentare esiste in altri paesi ed è esistita anche da noi. Una legge che sospenda i procedimenti verso alte cariche dello Stato non è in assoluto scandalosa. Può essere non condivisibile, e infatti noi non la condividiamo. Lo scandalo è la connessione tra qualunque provvedimento e i problemi di un singolo cittadino, sia pure il premier. Credo che l’unico modo per passare dallo scandalo al dissenso sia questo: si faccia la riforma della giustizia e al suo interno, se credono, inseriscano queste misure. Naturalmente non parlo di una qualsiasi riforma che serve come pretesto. Parlo di una riforma seria. Insomma: la legge ad personam devono levarsela dalla testa».

Bindi, ma lei sta picconando il partito dell’amore...
«Nella nostra concezione della politica, che è autorevole e mite nello stesso tempo, non si usano certe parole. Noi non assegniamo alla politica la salvezza del mondo, tutte le ideologie che lo hanno fatto hanno provocato solo disastri. I nostri timori su degenerazioni populiste e autoritarismi sono sempre più forti. Ci sembra che lo stesso uso di questi termini sia un tentativo di impedire il confronto perché quando ci si confronta sui contenuti i toni possono anche essere aspri. Se si definisce “odio” il dissenso si vuole impedire lo stesso dissenso».

Le elezioni regionali e il dialogo sono compatibili?
«Le riforme di sistema sono un bisogno di questo paese e non c’è più tempo da perdere. Tra l’altro non credo proprio che prima delle regionali accada molto, la maggioranza ha l’interesse ad approvare prima tutte le leggi per il premier, poi penserà ad altro».

Che ne pensa dei sospetti di inciucio che aleggiano tra Pd, meglio tra D’Alema e Pdl?
"Chiariamo subito una cosa: nessuno di noi ha intenzione di barattare alcunché. Le nostre proposte sono state già presentate in parlamento, la nostra posizione è chiara. Ma nessuno può dire che è sbagliato provare a cercare il confronto: è la maggioranza che ci perderebbe perché sarebbe costretta a gettare la maschera, non noi».

Il Pd vuole essere “alternativa” propositiva. Partiamo dalla legge elettorale: al vostro interno ognuno la pensa in modo diverso. Come pensate di arrivare ad una vostra proposta?
«Abbiamo posizioni divergenti, non si può negare, ma su questo tema deve esserci una scelta chiara, netta. A questo punto credo sia necessario che il segretario si cimenti molto su questo e che Violante, responsabile delle riforme, trovi il punto di sintesi, elabori una proposta, la sottoponga al coordinamento politico e poi non escludo che sia l’Assemblea stessa del Pd ad occuparsene. Qui ne va dell’idea non soltanto del Paese e dei partiti, ma dello stesso sistema politico, della natura stessa del Pd".

D’Alema sostiene che c’è qualcuno che non ha digerito il risultato del congresso e che punta a spaccare il partito. Esagerazioni o sospetti fondati?
«Che ci sia qualche segnale di insofferenza mi sembra evidente, ogni tanto si riproducono antiche schermaglie, qualche volta in maniera esagerata. C’è qualcuno che accusa qualcun altro di tentare il dialogo dimenticando che ci hanno provato tutti a parlare con Berlusconi. Ha ragione D’Alema quando dice che Veltroni ha aperto la legislatura all’insegna del dialogo e delle riforme. Forse dovremmo smetterla di darci addosso l’un l’altro anche perché alla fine Berlusconi non dialoga con nessuna. Dovremmo calmarci e rimettere le cose al loro posto: ci si confronta in parlamento, si avanzano proposte, poi se la maggioranza non le accoglie si vota da sola le proprie riforme».

Cosa sa della presunta telefonata tra Bersani e Berlusconi?
«C’è una smentita ufficiale, quella telefonata non è mai avvenuta. C’è qualcuno che “gioca” e non mi piace».

28 dicembre 2009
da corriere.it
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« Risposta #43 inserito:: Gennaio 09, 2010, 11:17:16 am »

9/1/2010 (8:2) - INTERVISTA

"Primarie in Puglia e Lazio altrimenti si snatura il Pd"
 
Parla Rosy Bindi: «Non si può rompere con Vendola perchè lo chiede Casini»

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


Lei però mi deve concedere due brevissime premesse, altrimenti il rischio è che lo spirito di questa nostra intervista venga del tutto frainteso». Rosy Bindi è a casa sua, a Sinalunga: e visto che lo chiede, cominciamo appunto con le premesse. «La prima: il Pd sta molto meglio di quanto sembri leggendo i giornali, e anche le elezioni regionali andranno meglio di quel che qualcuno ipotizza. La seconda: io non sono una che brontola, sono il presidente dell’Assemblea nazionale del Pd e dunque quel che le dirò non è una critica ad alcuno quanto, piuttosto, un contributo a fare le scelte giuste e magari a correggerne qualcuna già compiuta. Bisogna sapere che non abbiamo molto tempo: e che dalle prossime 36 ore dipendono molte più cose di quel che si possa immaginare...».

Queste le premesse: che non bastano, però, ad addolcire l’impatto di un ragionamento rigoroso e severo. Del resto, il quadro è quello che è. La vicenda che sta dilaniando il Pd pugliese, quella della candidatura di Emma Bonino nel Lazio, le primarie mandate in soffitta quasi ovunque, un eccesso di accondiscendenza verso l’Udc, la rottura con Vendola e con la sinistra... Un arcipelago di scelte - o non scelte - che stanno facendo fibrillare i democratici e che spingono Rosy Bindi a lanciare il suo allarme: «Rischiamo di snaturare il Pd. Se ci sono degli equivoci, meglio chiarirli subito».

Cominciamo a chiarirli, allora.
«Per esempio: vedo che Casini, in queste ore concitate, si permette di entrare nel merito della nostra discussione per dire che c’è chi, utilizzando le elezioni regionali e i problemi ancora aperti su alleanze politiche e primarie, starebbe tentando di ribaltare il risultato congressuale. Mi permetto di obiettare: le cose non stanno così».

E come stanno?
«Noi in congresso abbiamo detto due cose molto chiare. La prima è che avremmo lavorato per allargare il centrosinistra. Ma appunto allargare il centrosinistra: e non limitarsi a tentare di fare intese con l’Udc scaricando, magari, chi non è gradito a Casini. Non a caso il compito che si è assunto Bersani è trovare una nuova sintesi tra i nostri alleati tradizionali e il centro».

Ci dica la seconda cosa chiara.
«Tra noi c’è stato un dibattito su come scegliere il segretario del partito, se con le primarie oppure no: ma non ci sono mai stati dubbi sul fatto che avremmo fatto elezioni primarie - e primarie di coalizione - per scegliere i nostri candidati alle cariche monocratiche. Questi sono due punti fermi del congresso. E io penso che la capacità di Bersani e del gruppo dirigente, cioè di tutti noi, debba essere appunto quella di tenere insieme queste due scelte».

Ammetterà però che quel che sta accadendo in Puglia - e in parte anche nel Lazio - va in direzione del tutto opposta.
«C’è assolutamente tempo per rimediare. Vendola ha le sue responsabilità, e lo dice una che è stata addirittura definita vendoliana. Ma non è pensabile immaginare di vincere in Puglia - o di considerarlo un laboratorio politico - rompendo con la sinistra di Vendola che ha fatto una scissione da Rifondazione comunista. Non ce lo possiamo permettere. E la strada per uscirne è una sola: sono le primarie».

Il Pd però ha scelto Boccia. Anche se, in verità, non si capisce nemmeno chi, dove e quando lo ha scelto...
«In una riunione a Roma è stato indicato Boccia? C’è un unico modo perché diventi il candidato anche di Vendola: che vinca le primarie contro di lui. Facciamole, e non per litigare: ma perché questa è la strada maestra. Quando non ci sono candidature unitarie il Pd fa le primarie e le fa di coalizione. E Boccia non può dire che così salta la coalizione...».

Può anche non dirlo, ma Casini davvero non ci sta a fare le primarie.
«Casini dimostrerà la sua forza facendo vincere Boccia alle primarie. Sia chiaro, occorre aprire all’Udc: ma va fatto con la lucidità di chi ha in testa una strategia politica per il futuro. Casini non può dirci, per esempio, che non farà mai il capo di un centrosinistra simile a quello che ha guidato Prodi, perché nessuno glielo ha chiesto e perché non accetto nemmeno da un possibile alleato che venga liquidata la nostra storia politica e il legame tra il Pd e Prodi. Comunque, ripeto: nessuno gli ha chiesto di fare il capo del centrosinistra».

Però magari qualcuno ci pensa, no?
«Io resto convinta che Casini sarà un ottimo capo del centrodestra liberato da Berlusconi: e vorrei che quel giorno, quando avremo di fronte un centrodestra migliore di quello che abbiamo oggi, il Pd sia così forte da batterlo».

Quindi, primarie.
«Non c’è altra strada. Casini è alleato fondamentale in questa fase, ma noi non possiamo permetterci di rompere con tutta la sinistra. E credo che nemmeno all’Udc convenga allearsi con noi per perdere».

E nel Lazio? La convince la candidatura di Emma Bonino?
«E’ inutile che stia a ridire della mia stima per Emma, ma alcune considerazioni vanno fatte. Quella, per esempio, che sostenere la Bonino nel Lazio, dunque a Roma, non è una scelta scontata per un partito come il nostro. La decisione è stata presa in modo frettoloso e con una motivazione poco convincente: o scende in campo un leader nazionale o si sostiene Emma, che all’inizio si era candidata contro il Pdl e il Pd. So che nel Lazio c’è una situazione difficile: ma so anche che vi sono autorevoli leader regionali capaci di competere, e che la Polverini non è imbattibile».

E dunque?
«Io propongo di andare a elezioni primarie, perché se il Pd dovrà sostenere Emma Bonino è giusto che la scelga in un confronto aperto: altrimenti tutto sembrerà un modo, perfino troppo evidente, per permettere a Casini di sostenere la Polverini. Del resto, sull’uso delle primarie - e sul progetto politico - la mozione Bersani era così chiara da aver ricevuto il voto di quasi tutti gli ulivisti: fare del Pd la forza centrale del centrosinistra. La forza centrale, appunto: e non un partito di sinistra ancora con la sindrome di esser figlio di un dio minore e alla perenne ricerca di qualche alleato moderato che lo legittimi a governare».

da lastampa.it
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« Risposta #44 inserito:: Gennaio 12, 2010, 09:47:40 pm »

12/1/2010

Le primarie della libertà
   
ROSY BINDI*

Caro direttore,
trovo francamente un po’ ingeneroso il giudizio di La Spina sulla confusione che regnerebbe nel Pd. Ma rispetto e anzi apprezzo ogni stimolo a meglio definire il profilo e la linea di un partito che lo stesso La Spina giudica essenziale per la democrazia italiana. Sento però il dovere di offrire qualche chiarimento su due specifici punti, per dimostrare di non essere entrata in contraddizione nella mia intervista a Federico Geremicca. Il primo: la mozione congressuale di Bersani non proponeva un rapporto preferenziale o addirittura esclusivo con l’Udc ma l’impegno del Pd a costruire un nuovo centrosinistra per stabilizzare il bipolarismo italiano. Abbandonata ogni pretesa autosufficienza, si trattava e si tratta di mettere insieme un quadro di alleanze che, muovendo da un confronto aperto e senza pregiudiziali con le forze oggi all’opposizione, prefigurasse un’alternativa di governo al centrodestra.

Secondo chiarimento: io non auspico affatto che l’Udc rifluisca di nuovo nel campo del centrodestra. Con o dopo Berlusconi. Vorrei anzi potermi augurare il contrario. Registro solo, per il rispetto che porto ai propositi da loro stessi enunciati, che l’ipotesi di un futuro approdo dell’Udc a un nuovo centrodestra è tutt’altro che da escludere. Ricordo che Casini ha sempre parlato di alleanze con il centrosinistra in chiave di Cnl da Berlusconi e mai in prospettiva strategica, arrivando addirittura ad annunciare in tono minaccioso alleanze per la democrazia e la Costituzione.

Naturalmente ne consegue però che, come noi accettiamo che l’Udc si allei in alcune Regioni con il Pd pur coltivando dichiaratamente un diverso disegno di lunga lena, reciprocamente, al Pd non si possa chiedere di rinunciare alla propria prospettiva strategica. Prospettiva entro la quale il Pd svolga coerentemente la propria identità e la propria missione. Pena il proprio snaturamento. La nostra visione, ripeto, è quella di un nuovo, largo centrosinistra dentro un bipolarismo più maturo e finalmente consolidato.

In questa luce, le primarie di coalizione non sono solo uno istituto contemplato dal nostro statuto. Rappresentano anche, in concreto, uno strumento utile proprio al fine di dare modo agli alleati e ai loro elettori di partecipare alla designazione del candidato comune alle cariche monocratiche.

Come spesso ha osservato Bersani nel confronto congressuale, con i propri alleati il Pd deve essere umile e generoso e proprio il rispetto per gli alleati e la cura per le alleanze suggeriscono il ricorso alle primarie con le quali coinvolgerli nelle decisioni comuni.
Decisioni che non possiamo assumere da soli né confinare entro segrete stanze.

La libertà, per ciascun alleato, di non parteciparvi non può tradursi nella pretesa che il Pd vi rinunci.

*Presidente del Partito democratico

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