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Autore Discussione: ROSY BINDI... -  (Letto 35336 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Settembre 01, 2007, 11:49:38 pm »

Il ministro della Famiglia, rivale di Veltroni per la guida nazionale del Pd, ieri a Bari ha lanciato l´idea di un dialogo

La Bindi: in Puglia uniti si può

(p. r.)


"Gaglione è il nostro candidato ma siamo pronti al passo indietro"  La saletta, al primo piano del palazzo del Consiglio regionale, è la stessa dove la direzione dei Ds pugliesi, ha deciso di ricompattare l´asse coi "popolari" della Margherita per consolidare la candidatura di Michele Emiliano alla guida del partito democratico. Rosy Bindi, il ministro della Famiglia che sfida Veltroni per la leadership nazionale del nuovo partito, incontra qui i suoi supporter. E sono tanti: la saletta è strapiena di gente, tutti possibili candidati alla costituente pugliese. Una compagine allegra, in movimento, quella della Bindi che in Puglia ha un suo riferimento, un suo candidato, il sottosegretario alla Salute, Antonio Gaglione.

«Sono qui soprattutto per promuovere la mia candidatura», afferma sorridendo Bindi, quando gli chiedono cosa pensa di quella di Gaglione in Puglia. In apparenza sembra che lo voglia affossare. La sua filosofia, invece è più sottile. E diventa uno spot per Gaglione: «La sua - dice il ministro della Famiglia - è stata un´autocandidatura». Insomma non l´ha imposta lei dall´alto, nessuno può accusarla di "verticismo". Ed è come se dicesse che Veltroni ha fatto diversamente con Michele Emiliano. «Sul sottosegretario Gaglione - ha aggiunto la pasionaria della Margherita - c´è una convergenza molto forte tra chi mi sostiene». E chi la sostiene qui a Bari, era presente. Gaetano Piepoli, soprattutto che è il referente pugliese della sua lista. E poi Rosina Basso. A stringere la mano al ministro, ieri, c´era anche Michele Amoruso, uno dei dieci consiglieri comunali di Bari, che hanno firmato l´appello a Emiliano perché continui a fare solo il sindaco di Bari. «Noi andiamo a fare un partito nuovo e in questo partito non andiamo ad incontrarci tra persone uguali ma tra persone differenti che hanno la gioia di andare d´accordo anche con quelli che la pensano diversamente. Quindi, che ci siano delle scomposizioni è una cosa assolutamente positiva, spiega Bindi. «Non è strano - aggiunge - che chi viene dalla Margherita possa votare per Veltroni e chi viene dai Ds possa farlo per Rosy Bindi. Noi vorremmo - insiste - che questo fosse soprattutto il partito degli italiani, che fossero loro a decidere davvero chi farà il segretario regionale, chi quello nazionale, chi entrerà nell´assemblea nazionale e regionale. In Puglia, ad esempio - prosegue - c´è un folto gruppo di sostenitori e di sostenitrici e saranno loro a decidere chi votare per la segreteria regionale, non sarò io ad indicarlo. Questo è un metodo che ci differenzia da tutti gli altri».

E come se non bastasse, il ministro si spinge anche oltre: «Provo molta stima per il sottosegretario Gaglione e sono onorata del suo appoggio in occasione delle primarie nazionali. Ci siamo però detti che proprio perché noi vogliamo un partito unito, mettiamo a disposizione questa candidatura proprio per la ricerca di una soluzione unitaria. La soluzione, per quanto ci riguarda, può costituirsi attorno al nome di Gaglione, o anche attorno ad altre candidature se riusciamo a mettere insieme una operazione politica davvero democratica. In questa nostra posizione - conclude - c´è già una differenza politica chiara e netta rispetto a tutte le altre». E Gaglione? «A me basta che non sia un partito di correnti, l´unica corrente devono essere i cittadini».
Per ora Gaglione continua a correre. E per dimostrare di essere pronto a sfidare i suoi diretti concorrenti, ieri sera ha incontrato nel convento dei saveriani, a Taranto, dove poco prima aveva parlato Rosy Bindi, sia Emiliano sia Fabiano Amati in quello che, per quanto nessuno ufficialmente candidato, è stato il primo incontro a tre di questa singolare campagna elettorale.

(31 agosto 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #16 inserito:: Settembre 03, 2007, 07:19:30 pm »

Il ministro ospite della Videochat del Corriere.

Aborto? Non toccare la legge Bindi: non fanno bene a Prodi i continui contrappunti di Veltroni «Sulle tasse d'accordo col premier e Padoa-Schioppa.

Ma il clima di contrapposizione nuoce al governo e ai candidati segretari» 


MILANO - I «contrappunti» continui di Walter Veltroni a Romano Prodi? «Non fanno bene, né al governo né al candidato alla segreteria del Partito democratico». Rosy Bindi, ospite della Videochat del Corriere.it, lunedì pomeriggio, ha risposto così a una domanda di un lettore sulla sua posizione rispetto alla polemica nata tra il premier e il sindaco sul taglio dell'imposizione fiscale. «Sulle tasse sono d'accordo con Prodi e Padoa-Schioppa - ha detto Rosy Bindi, candidata alla poltrona di segretario del Pd - La riduzione di spesa e debito pubblico deve essere le priorità del governo. Compatibilmente con questo obiettivo, poi, si potrà restituire ai contribuenti una parte delle entrate eccedenti. Ma devo dire che non fa bene al governo né al nascente Partito Democratico, né ai candidati segretari, il conflitto giornaliero tra partito e governo così come questo contrappunto giornaliero di Veltroni a ogni azione di Prodi»

TASSE - Un lettore chiede: Prodi aveva detto che non le avrebbe mai alzate. Bugia o ripensamento? «Ma noi non abbiamo aumentato le tasse - risponde la Bindi - C’è qualcuno che lo dice perché combattiamo elusione ed evasione fiscale». Quanto all'utilizzo del maggior gettito fiscale, «noi - ha aggiunto la candidata alla guida del Pd - non possiamo permetterci di arretare di un centimetro sulla riduzione del deficit. Sono d'accordo con Prodi e Padoa Schioppa su questo punto. Non si può aumentare la spesa pubblica, si può investire per riqualificarla e una parte delle maggiori entrate possono essere restituite a chi ha pagato di più, che sono le famiglie», intervenendo quindi con un aumento degli assegni familiari e delle detrazioni. «Anziché aprire ancora una volta questo tormentone prima che la Finanziaria venga varata, sarebbe cosa buona - ha concluso - che si lasciasse lavorare il governo e lo si accompagnasse con una coerente azione politica».

CHIESA E FISCO - I lettori vogliono risposte sulla chiesa e le esenzioni fiscali, per esempio sull'Ici ma non solo, accordate dallo Stato al Vaticano. Un altro tema delicato per un politico di estrazione cattolica come Rosy Bindi: «Ma sono davvero privilegi fiscali? Molto laicamente dobbiamo partire da questo punto. Per me non lo sono. La Ue - ha spiegato la Bindi - ci ha fatti una domanda seria alla quale dobbiamo rispondere e capire se sono vantaggi impropri. Se lo fossero dobbiamo sopprimerli. Ai cattolici dico di non sentirsi perseguitati. E ai laici di non fare una crociata all'incontrario».

ABORTO - La polemica sulla revisione della legge 194 sull'interruzione gravidanza: «Non vale la pena cambiare la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza, se è il caso bisogna farla applicare correttamente. Io credo che quando una legge è stata approvata dal Parlamento e confermata da un referendum che diede, ancorché molti anni fa, una maggioranza aschiacciante. Non credo che valga la pena riaprire al questione. Quella legge ha per titolo tutela delal maternità e interruzione di gravidanza, applichiamola anche nelle altre parti. I consultori per esempio,.

PD - Riguardo al Partito democratico e alla corsa per la leadership, Rosy Bindi, imbeccata da un lettore, sostiene di «non sentersi affatto un braccio armato del professore». Prima di tutto, ha risposto, «non mi sento un’arma... Prodi mi sembra anche una persona mite. Ho tanto difetti ma non sono eterodiretta. Io mi sono autocandidata alla guida del Pd perché ritengo sia un appuntamento importante della vita politica italiana. E perciò ho ritenuto di dover fare un sacrificio in più.

PUNTI DI FORZA - L’ambizione - spiega il ministo per le Politiche della famiglia - è quella di creare un partito «plurale», che possa semplificare il bipolarismo italiano, così travagliato. E dove «non c'è una cultura dominante rispetto alle altre ma una sintesi. Questo dovrebbe servire a comprendere la complessità della società attuale. E cercare di realizzare una sintesi politica che possa aiutare governo e Parlamento a decidere».

ALLEATI - Il Pd, spiega Rosy Bindi, «sarà un grande partito nazionale, che necessariamente dovrà governare in coalizione. E che non potrà permettersi di lasciare il 15% della sinistra "radicale" all’opposizione. Così come non potrà fare a meno di dialogare con il centro». Per questo alla sinistra radicale verrà chiesta «coerenza con gli impegni assunti. Io credo - ha detto la Bindi - che all’interno della sinistra radicale stia maturando un'anima governativa». Rutelli e le alleanze di nuovo conio? Veltroni e il Pd in grado di correre da solo? «Chi provoca continuamente la sinistra radicale - taglia corto il miistro - non fa un bel regalo al governo».

MANIFESTAZIONI E GOVERNO - «Il 20 ottobre? La libertà manifestazione nel Paese non verrà meno», dice Rosy Bindi, rispondendo agli interventi dei lettori del Corriere.it che avevano chiesto la sua posizione rispetto ai ministri della sinistra radicale che vogliono scendere in piazza contestando l'accordo sul welfare. «Importante è che non sia manifestazione contro governo e contro accordo sul welfare del 23 luglio. Semmai dovrebbe essere un lugo in cui maturano nuove risposte. Io consiglierei di non farla, ma se proprio ci deve essere una manifestazione che sia un momento di riflessione, magari senza i ministri che ascolteranno le richieste che emergeranno dai loro uffici di governo».

IL CENTRO - Il Pd - chiedono i lettori - vuole allargarsi al centro: in cosa si differenzia allora dal centrodestra? «Vogliamo costruire un progetto chiaramente alternativo al centrodestra. Che dimostri al tempo stesso di non essere subalterno alla sinistra radicale. Vogliamo restituire agli italiani un Paese in cui credere, che si sviluppa secondo un modello in grado di superare le tante e profonde disuguaglianze che negli ultimi anni sono drammaticamente aumentate. Il Paese del Pd è più libero, con regole giuste, che combatte l’illegalità, che vuole riscoprire le comunità. Un Paese più ricco, ma non solo di prodotto interno lordo, ma di cultura, arte. In cui c’è più giustizia. E che vuole recuperare chi è rimasto indietro e affiancare chi vuole andare più forte. Il Sud vuole riscattarsi, ma il Settentrione vuole correre ancora di più. Ecco, noi vogliamo liberare tutte le energie positive».

PROSTITUZIONE E LAVAVETRI - I lettroi toccano altri due temi del momento: la possibile isituzione di cooperative per le prostitute, di cui ha parlato il ministro Damiano, e le ordinanze dei sindaci che mettono fuorilegge i lavavetri. «Sono contraria a qualsiasi forma di legalizzazione della prostituzione - taglia corto la Bindi - Sul caso dei lavavetri voglio dire che c'è una grossa differenza tra noi e il centrodestra: noi vorremmo che non ci fossero lavavetri, abusivi che vendono prodotti contraffatti. Ma sappiamo che ci liberemo del fastidio se libereremo lavavetri e abusivi dalla loro condizione. Noi ci chiediamo chi c’è dietro: il racket? Bene, allora combattiamo il racket. Le mafie che fanno soldi sulla pelle dei disperati? Bene, allora sia tolleranza zero anche nei confronti delle organizzazioni malavitose. E poi mettiamo in atto politiche di solidarietà, percorsi di integrazione per chi si trova in situazione disumana. Così libereremo noi e loro. Facendo un atto di legalità, carità e solidarietà».

SCOMMESSA - Un lettore chiede: scommetterebbe sulla vittoria della Bindi alle primarie? «Ci devo scommettere al 100%. Perché ci crediamo davvero. E lavoriamo sodo».

03 settembre 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #17 inserito:: Settembre 07, 2007, 11:14:21 pm »

6 Settembre 2007 - 18:20

BINDI IN VENETO: BISOGNA TORNARE A VINCERE QUI, IN LOMBARDIA E IN SICILIA




- Venezia, 6 set - ''Il Partito democratico deve avere tra i suoi obiettivi la riconquista al centrosinistra di Lombardia, Veneto e Sicilia''. Lo ha detto Rosy Bindi a Mestre, dove ha incontrato i militanti che sostengono che la sua candidatura alla segreteria nazionale del Pd.

''Se posso fare una critica ai partiti fondatori del Pd è che ho visto un atteggiamento troppo rinunciatario - ha detto il ministro della famiglia riferendosi alle tre regioni - Ho dubitato della loro volontà di vincere perché la premessa della vittoria è come si fa opposizione a chi governa e ho visto troppa acquiescenza. Il Pd deve invece avere la voglia di tornare a vincere''.

Per Rosy Bindi, esiste una ''questione settentrionale'' che il Pd dovrà fare propria: ''Su grandi questioni come la qualità dello sviluppo, le infrastrutture e il welfare il Pd dovrà riuscire a dire una parola capace di interpretare i sentimenti veri di questa parte del Paese - ha affermato - Il centrodestra è capace di lisciare ma non di interpretare profondamente questi sentimenti. Bisogna tornare a credere nell'anima profonda di queste terre, parlando al cuore e alla mente e non alla pancia, come fa il centrodestra. Questa è la sfida e credo che ci riusciremo''.

da ulivo.it


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« Risposta #18 inserito:: Ottobre 12, 2007, 10:02:36 pm »

Insieme per cambiare

Rosy Bindi


Domenica, insieme, cambieremo la politica italiana. Il Partito democratico nasce con un voto libero e popolare, con una scelta di grande innovazione che segna una vera discontinuità con il passato ma anche con il presente dei partiti che conosciamo. Nasce nell’interesse del Paese. Con passione in questi mesi ho sottolineato il valore di questa novità, la portata di un’impresa collettiva in cui tutti, a cominciare dai 35mila candidati all’Assemblea nazionale e alle assemblee regionali, hanno messo passione, fatica, disponibilità riscoprendo il gusto di fare politica in mezzo alla gente.

Dobbiamo essere orgogliosi della nostra impresa, contenti di questa fatica e di questa passione ritrovata. È uno straordinario patrimonio di energie di cui c’è bisogno per rispondere alla domanda di nuova politica e arginare la crescente sfiducia verso il ruolo e la funzione dei partiti, che rischia di travolgere le basi della nostra democrazia.

Sono convinta che la competizione tra più candidati alla segreteria del partito abbia contribuito a rendere più vere le nostre primarie. Abbiamo scongiurato il rischio dell’elezione plebiscitaria di un unico candidato che avrebbe depotenziato la svolta che il Pd deve realizzare nella vita politica del Paese. Non abbiamo avuto paura di nascondere le nostre differenze, differenze che in questi anni, grazie all’Ulivo, si sono dimostrate preziose per tutti. Ora però si tratta di fare il passo decisivo, e questo passo richiede un di più di chiarezza. A chi mi rimprovera di aver alzato i toni nel corso della campagna elettorale rispondo con molta serenità che la franchezza delle posizioni aiuta i cittadini ad una scelta consapevole e che la buona politica è prima di tutto assunzione di responsabilità: è dire dei sì e dei no.

Ho fiducia nella maturità dei nostri elettori, nella loro capacità di cogliere, al di là dei toni, la sostanza e l’onestà delle argomentazioni.

Mi sono candidata perché fin dalla nascita dell’Ulivo, come anche Walter Veltroni a cui mi legano stima e amicizia, credo nella prospettiva di un soggetto politico nuovo che riunisca il meglio delle culture politiche e riformatrici del Paese.

Su questo il terreno ho scelto di caratterizzare la mia proposta di candidatura, segnalando fin dall’inizio la necessità di distinguere tra funzione del partito e azione di governo.

In queste primarie, infatti, non si tratta di scegliere né il futuro presidente del consiglio, nè un programma di governo. Il governo c’è, ancorato ad un programma e ad un’alleanza legittimati dal voto popolare, e il risultato del referendum sul Protocollo del Welfare dimostra, tra l’altro, che ha imboccato la strada giusta e sta lavorando bene. E farà ancora meglio, dopo il 14 ottobre, quando Romano Prodi potrà contare sul sostegno del Pd, chiamato fin d’ora a rafforzare l’azione dell’esecutivo e l’unità del centrosinistra.

Ma con queste primarie, facciamo una scelta per certi versi, ben più coraggiosa ed esaltante: per dar vita ad un partito nuovo, capace di raccogliere le sfide del nuovo secolo, scegliamo di mescolare le nostre biografie e le nostre storie. Non faccio fatica a riconoscere che per i democratici di sinistra questa scelta è particolarmente impegnativa ed è anche, e soprattutto, grazie a loro se il 14 ottobre sarà una grande festa della democrazia.

La festa di popolo e di partecipazione per un partito vero, non personale e oligarchico; che supera le appartenenze ideologiche, partitiche e di corrente ereditate dal passato. Un partito nitidamente di centrosinistra e non moderato centrista, alternativo a centrodestra e al berlusconismo. Un partito laico e non laicista, con il culto della distinzione tra fede e politica. Un partito democratico davvero, cioè restituito al protagonismo dei cittadini anche grazie all’estensione delle primarie. Un partito che faccia i conti sul serio con i problemi di legalità e di etica pubblica che affliggono la politica e la società.

Vinceremo, la scommessa del Pd se nella vita del nostro partito, anticiperemo e praticheremo in modo esemplare quelle regole democratiche e quel costume sobrio e trasparente che proponiamo alla società. Solo così si restituisce dignità e credibilità alla politica.

Chi vincerà le primarie avrà il compito di rappresentare tutti e di assicurare che l’Assemblea costituente non si divida tra vincitori e vinti. E il nuovo segretario potrà contare sul contributo leale e appassionato della vasta rete di candidati e sostenitori, in gran parte provenienti dalla società civile, che si sono raccolti intorno alla mia lista. Vale davvero la pena di mobilitare una grande partecipazione, di chiamare al voto milioni di cittadini, per cambiare insieme l’Italia.

Pubblicato il: 12.10.07
Modificato il: 12.10.07 alle ore 9.22   
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« Risposta #19 inserito:: Novembre 09, 2007, 05:41:05 pm »

La mia alternativa democratica

di Marco Damilano

Il governo. Le riforme. Il tema della sicurezza. I rapporti con l'opposizione. E sul Pd, no al partito del leader e a quello delle tessere. Sì a un partito aperto.

Colloquio con Rosy Bindi. 

Un anno per fare le riforme istituzionali con il governo Prodi in carica, "in grado di concludere la sua azione politica". Il ministro della Famglia Rosy Bindi, solitamente in grande sintonia con i pensieri e gli umori del premier, polemizza con Fausto Bertinotti: "Mi insospettisce molto la diagnosi sul governo malato che arriva da un medico non molto esperto nelle terapie". E prova a tracciare il percorso della seconda metà della legislatura: "Dopo l'approvazione della Finanziaria ci sono tutte le condizioni perché si torni a parlare di riforme, con il governo Prodi. Bisogna prendere atto che difficilmente questa legislatura arriverà fino al 2011. Serve un tempo più breve, più intenso, più deciso". Con il Pd di Veltroni che, spiega la pasionaria, deve mantenere l'Ulivo nel simbolo e smettere di inseguire la destra sulla sicurezza.

Sul decreto espulsioni c'è la possibilità di dialogare con il centrodestra: lei è disponibile?
"Non mi pare che le offerte di dialogo siano veramente tali. E comunque le loro condizioni vanno respinte al mittente. Il centrodestra ha governato cinque anni, con la legge Bossi-Fini sono aumentati i clandestini e la micro-criminalità: è grave che cerchino di strumentalizzare una questione così delicata, non ci vengano a chiedere di uscire dall'Europa".

Anche nella maggioranza ci sono divisioni su un tema centrale per la vita dei cittadini. Sulla sicurezza si gioca la prima partita del Pd di Veltroni?
"Dobbiamo distinguere l'adozione del decreto da una discussione più generale tra di noi su immigrazione e sicurezza. Non è una contraddizione: il decreto non era evitabile, c'era un'emergenza molto grave. Anche se mi convince sempre poco il ricorso a uno strumento come il decreto per regolare materie di diritti e di libertà. Adesso il decreto c'è, sarebbe buono e corretto per la maggioranza di centrosinistra procedere rapidamente alla conversione in legge e subito dopo aprire una seria riflessione sulla sicurezza".

In che direzione?
"Non si possono mettere in conflitto i diritti dei cittadini più deboli, donne, bambini, anziani che sentono drammaticamente un problema che esiste, con il rispetto dei diritti di tutte le persone immigrate che bisogna saper integrare. In questo paese nei decenni passati abbiamo vinto contro il terrorismo senza sospendere le garanzie costituzionali, lo stesso dobbiamo saper fare ora. È una sfida su cui si misurerà anche la cultura del Partito democratico: di fronte al montare di posizioni xenofobe e violente, la nostra risposta non può essere banalmente dire che la sicurezza non è né di destra né di sinistra. La nostra impostazione deve sapere realizzare legalità e solidarietà. Altrimenti finiamo per legittimare le ronde di chi vuol farsi giustizia da solo".

Teme che il Pd rincorra la destra?
"Il Pd deve essere il partito della legalità. Ci sono poteri criminali, occulti, che sembrano interessare poche persone e invece determinano le grandi scelte del paese e poi una sensazione di insicurezza quotidiana che riguarda soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Serve all'Italia un bel bagno di legalità, il Pd è nato anche per questo".

Sulla sicurezza si misura la salute del governo Prodi: per Bertinotti è malaticcio. E per lei?
"Non so quali strumenti diagnostici ha deciso di usare il presidente della Camera. Mi insospettisce molto questa diagnosi che arriva da un medico non molto esperto nelle terapie. Il governo deve conquistarsi ogni giorno lo stato di salute che gli consente di vivere. È un corpo che va tenuto sotto controllo: appunto per questo, però, dovrebbe esserci maggiore impegno nelle cure preventive e maggiore sostegno soprattutto dal presidente della Camera, per il ruolo istituzionale che ricopre e per la funzione politica che continua a svolgere".

Anche lei, però, dopo la Costituente di Milano si è preoccupata per le parole di Veltroni sul Pd che deve puntare all'autosufficienza: andare da solo alle elezioni, senza alleanze con Rifondazione.
"Non è realistico pensare che il Pd possa essere autosufficiente. E chi sa di non esserlo si prende cura degli alleati, si prende cura della coalizione. Soprattutto ora il Pd deve farsi carico della maggioranza. Mi chiedo altrimenti che tipo di collaborazione si può trovare con gli altri partiti per fare una legge elettorale nel momento in cui si è pronti a scaricare gli alleati. Non è tatticamente corretto, lo si potrebbe capire solo se fossimo alla vigilia delle elezioni".

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #20 inserito:: Dicembre 04, 2007, 07:24:36 pm »

Dal Pd dure critiche all'intervista del presidente della Camera sul governo Prodi

Mastella ironizza: "Possiamo anche finirla prima". L'Idv: "Ma così non è più super partes"

Bindi e Damiano contro Bertinotti

"Fallimento? Se ne assuma le responsabilità"

 
ROMA - Se nell'intervista a Repubblica era stato fin troppo chiaro, quasi brutale, oggi Fausto Bertinotti preferisce tornare nei suoi giudizi sul fallimento dell'Unione usando toni ermetici. "Prodi non è un poeta..." e comunque "è solo una citazione. Il poeta morente era Cardarelli", risponde il presidente della Camera ai giornalisti che gli chiedono di chiarire il suo riferimento a una citazione di Flaiano su "Cardarelli, il più grande poeta morente". Replicando ancora all'osservazione di essere stato forse troppo forte nel suo giudizio sul governo, Bertinotti ha aggiunto: "Ma io sono un uomo forte...naturalmente è ironico".

Di certo diverse forze alleate di Rifondazione all'interno dell'Unione hanno ritenuto fuori luogo le parole del presidente di Montecitorio sul "fallimento" del gabinetto Prodi. Secondo il ministro del Lavoro Cesare Damiano, chiamato in causa da Bertinotti per le eccessive concessioni ai centristi nel pacchetto sul Welfare, l'esperienza politica dell'Unione non è stata fallimentare e "il centrosinistra sta attuando il programma dell'unione". "Se la logica è 'tutto e subito' - avverte l'esponente del Pd - nessun governo lo potrà fare". "Soprattutto sui temi sociali - prosegue Damiano - il governo ha portato avanti interventi positivi e importanti" e Rifondazione "dovrebbe andare orgogliosa di questi risultati".

Considerazioni simili a quelle espresse da Rosi Bindi. "E' un'affermazione molto forte - dice il ministro per la Famiglia - della quale, penso, il presidente della Camera si assumerà tutte le responsabilità". "Penso - aggiunge la Bindi - che il centrosinistra, anche con l'apporto di Rifondazione, abbia compiuto scelte molto importanti per la vita del Paese. Questo non è un fallimento, ma sono risultati importanti".

Critico con Bertinotti anche Clemente Mastella. Ma il leader dell'Udeur non contesta tanto la valutazione sui risultati del governo, quanto l'idea del Prc di chiamare i suoi elettori ad esprimersi con un referendum sulla validità del programma di governo. "Che modo di ragionare è questo? - commenta Mastella - Ora vedo che si va al referendum sul programma di governo. Per me l'esperienza di governo può anche finire prima. E poi per quanto mi riguarda io il referendum con i miei elettori lo faccio anche prima perchè il partito è più piccolo".

L'intervista del presidente della Camera non è piaciuta neppure all'Italia dei Valori. "Si potrebbe ragionare a lungo sulle considerazioni espresse da Fausto Bertinotti, e potremmo anche ritrovarci d'accordo con lui su alcuni passaggi - afferma il capogruppo a Montecitorio Massimo Donadi - ma la sua più che un'analisi è un'entrata a gamba tesa nei rapporti tra maggioranza e governo che non si addice a colui che riveste il ruolo di presidente della Camera che per definizione è superpartes".

Sottoscrivono invece le affermazioni di Bertinotti le forze dell'opposizione, che le leggono come la conferma della crisi della maggioranza. "Piu' che fallito, potrebbe dirsi a ragione che questo governo è nato morto, travolto in grembo dalle sue contraddizioni politiche d'origine", ironizza il presidente dei senatori di An, Altero Matteoli.

Usa l'arma dell'ironia anche Pier Ferdinando Casini. "Con tutto il rispetto per Bertinotti, che il governo Prodi avesse fallito noi lo abbiamo detto da un pezzo - afferma il leader dell'Udc - Lo dicono tutti gli italiani: non c'è un governo così distante dai problemi della gente come quello di Prodi". In vena di sarcasmo, Casini non risparmia però neppure Silvio Berlusconi e i suoi proclami sulle adesioni al nuovo partito. "Il bello delle cifre è che ognuno dà le sue...", commenta l'ex presidente della Camera.

(4 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #21 inserito:: Gennaio 18, 2008, 03:11:03 pm »

BINDI: VELTRONI DEVE FARE LE GIUSTE ALLEANZE

17 Gennaio 2008




Intervista di Alessandro Calvi – Il Riformista

«Veltroni deve fare le alleanze giuste. E con ciò voglio ricordargli come dovrebbe essere e non come è costretto ad essere dalle alleanze che ha scelto». Si riferisce alla legge elettorale Rosy Bindi ma guarda anche ad altro. Alle scelte fatte dal Partito democratico sulla sicurezza, ad esempio, e alle polemiche sulla 194 e, dunque, al rapporto tra laici e cattolici in un momento non facile non soltanto per la rinuncia di Benedetto XVI a intervenire alla Sapienza.

Ad ogni buon conto, a proposito di legge elettorale, Bindi a un richiamo non rinuncia: «con la bozza Bianco stiamo riproponendo il proporzionale della prima repubblica dopo che Berlusconi ha inventato quello della seconda repubblica». Invece, il Pd, secondo il ministro della Famiglia, deve recuperare le ragioni originarie della propria nascita, fermare chi si avvia a tradirle, e da qui far discendere il resto perché, dalla legge elettorale ai diritti civili passando per la sicurezza o la politica fiscale, tutto si tiene insieme. Chi lo guida, dunque, deve scegliere da che parte stare.

E questo vale soprattutto guardando dentro il partito che la Bindi si diverte a smontare e rimontare, con un giochino che fa emergere strane coppie e fatali attrazioni tra opposti. Fatali, si intende, per il partito. «Sono convinta che esista un problema di rapporti tra laici e cattolici - dice la Bindi - anche perché ci sono varie anime sia tra i primi che tra i secondi». «Tra i cattolici - prosegue - c’è una componente, quella dei teodem, che assume posizioni intransigenti e che parla di valori non negoziabili. C’è poi una componente tentata di ripercorrere una via identitaria che strumentalizza la provenienza cattolica per organizzare una corrente in politica. E basta pensare al seminario di Assisi e a Fioroni. Ce ne è infine una terza che ritiene che il Pd sia una grande occasione di laicità per tutti. Non è un paradosso, anche se a un cattolico può sembrarlo: ritengo che la negoziabilità dei valori sia la garanzia della loro fecondità nella storia». Se la sentisse, la Binetti inorridirebbe.

«Alla intransigenza - risponde - io preferisco la capacità di coniugare la coerenza dei valori con la fatica di inverarli nel contesto storico. La politica non è il luogo della evangelizzazione, non si fa politica per proclamare valori ma per rispondere, partendo da quei valori, ai problemi delle persone. I valori non negoziabili non possono rimanere appesi sopra la realtà che scorre e che da questi, senza il dialogo e l’incontro, non viene toccata». Il ministro esclude che questa terza anima possa organizzarsi in corrente come invece ritiene che stiano facendo le altre. «Non c’è nessuna disponibilità - dice chiaramente - Io un partito identitario ce lo avevo, il Ppi. Poi abbiamo deciso di superarlo con la Margherita e con il Pd: non intendo tornare indietro. Chi pensa ad organizzare correnti cattoliche tradisce il Pd ma anche la natura stessa del fare politica da cattolici. Non si può mettere vino vecchio in otri nuovi. Se vogliono riorganizzarsi come correnti, buona fortuna. Io preferisco trafficare i miei talenti con i talenti degli altri. E tutto ciò mi conferma come buona la scelta di entrare nel Pd come candidata dando vita a una esperienza plurale». Allora è dal frazionamento della componente cattolica, che occorre ripartire per spiegare le difficoltà di un Pd che non riesce a fare scelte chiare sui grandi temi.

Così, dunque, si spiegano anche le difficoltà tra laici e cattolici. «Proprio no», risponde rotondamente la Bindi che aggiunge: «anche di là sono divisi. E anche di là si trovano tre componenti diverse. Una laicista a oltranza della quale abbiamo visto qualche prova in questi giorni. Per fortuna il Pd è stato indenne da questo oscurantismo laicista. Poi, anche tra i laici c’è una componente strumentale che dice: “in Italia non possiamo metterci contro la Chiesa ed i cattolici” e però poi mostra insofferenza verso l’atteggiamento “laico” di certi cattolici. Potrei definirla l’anima togliattiana del Pd. Infine, c’è una componente curiosa che accetta la sfida del dialogo».

A veder così smontato il Pd, verrebbe voglia di fare un giochino e provare a ricostruirlo, magari dando un nome a correnti e protagonisti. Facile trovare i capofila delle due ali oltranziste: Binetti e Odifreddi. La Bindi annuisce divertita. Più complicato trovare i capofila delle due componenti che secondo la Bindi si potrebbero definire “negozianti dei valori”. Un nome la Bindi lo ha già fatto, quello di Fioroni. Sull’altro fronte la scelta appare ampia. «Faccia lei un nome», capovolge il gioco. L’identikit potrebbe corrispondere a un Latorre. Il nuovo sorriso della Bindi fa capire che quel nome va bene. Infine, ci sarebbero i “curiosi”. Naturalmente tra questi c’è la stessa Bindi. «Naturalmente». E poi? «Giuliano Amato», ribatte, «ma anche Franca Chiaromonte». Trasferito sulla carta, il giochino spiega molto del Pd. Quello che si muove sull’asse Fioroni-Latorre «è oggi - secondo la Bindi - il corpo del partito. Ma se è così - attacca - non si va da nessuna parte. È questo il vero ostacolo alla contaminazione tra le diverse culture. Sono quelli che dicono di voler fare i Dico e poi li abbandonano in Parlamento». Invece, osserva, bisognerebbe aprirsi a un dialogo permanente: «i laici non devono sentirsi portatori di un pensiero autosufficiente, i cattolici devono accettare di non avere il monopolio dei valori: la verità si cerca insieme». Insomma, tutti dovrebbero fare un passo indietro? «No - è la risposta - Un passo avanti». Se il Pd è così spezzettato, forse è anche mancata una guida forte, netta, in grado di prendere posizione su temi difficili e di scontentare qualcuno. Il caso delle unioni civili in Campidoglio - con il Pd che ha votato “no” insieme alla destra e con Veltroni in Vaticano - forse è rappresentativo di queste difficoltà.

«Lì - osserva - ha sbagliato la sinistra radicale a porre il problema in quel modo e in una città come Roma nella quale già si fa molto su questo tema. Certo, il Pd ha perso una occasione per dialogare con la sinistra e ha preferito la scorciatoia del voto con la destra. D’altra parte, se manca consistenza politica, poi si fa fatica a rimanere sul percorso indicato dagli elettori. E Veltroni a Roma non avrebbe vinto senza i voti di Rifondazione». Le stesse difficoltà il centrosinistra e il Pd le hanno mostrate anche su altri terreni: la sicurezza, il fisco, la bioetica. «Sui grandi temi - afferma il ministro - il Pd ha due possibilità: o diventa garanzia della maturità di cultura e di governo del centrosinistra, e come tale non vive la coalizione come frutto di un bipolarismo coatto, oppure sceglie di diventare il buon amministratore di idee in qualche modo mutuate dalla cultura avversaria». E cosa la Bindi intenda lo chiarisce con un esempio: «anche io sono convinta che gli imprenditori siano lavoratori, peccato che non si possa dire il contrario. Basta pensare ai metalmeccanici in attesa del contratto collettivo».
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« Risposta #22 inserito:: Gennaio 28, 2008, 11:25:22 am »

ROMA — Andare al voto da soli è un lusso che la situazione del Paese non ci consente.

Rosy Bindi, lei non crede nella sconfitta come purificazione?
«Ne abbiamo avute abbastanza, di sconfitte. E non ci hanno purificato per niente. Gli effetti buoni li anneghiamo nei nostri limiti, nei nostri vizi e anche in qualche peccatuccio. Preferisco purificarmi con le vittorie, io. Ma sia chiaro che noi siamo determinati a costruire un governo istituzionale per fare la legge elettorale».
Le urne però si avvicinano e Veltroni dice «io faccio il programma e chi mi ama mi segua».
«Il Pd deve presentarsi con la forza e l'autonomia della sua proposta, ma in una coalizione i programmi si fanno insieme».
Coalizione? Al loft è parola tabù.
«La pazienza esercitata da Prodi non può essere richiesta mai più né a lui né a nessun altro e solo per questo la coalizione che ha sostenuto Romano non potrà ripetersi. La forza dell'Ulivo è la vocazione a governare, ma non da soli».
Quindi pensate a una lista dei prodiani doc, magari con dentro i Verdi e Di Pietro.
«Fantasie, in questi giorni se ne sentono tante. Qualcuno può davvero pensare che Prodi, come ha detto Rovati, voglia Gianni Letta alla guida di un governo per le riforme?».
Ferrara ha sfidato Veltroni a farsi avanti.
«Non è elegante offrire un boccone avvelenato a un leader che è stato un tuo interlocutore».
Non è vero che nel Pd c'è aria di scissione?
«Non esiste, nessuno verrà privato della fatica di costruire una unità vera. Il discorso è un altro, il Pd deve andare da solo o in coalizione?».
Lo dica lei.
«Posso dirle con chi non ci potremo alleare mai più. Mastella, Dini, Scalera, Fisichella, Turigliatto...».
Radicali, socialisti e dipietristi possono entrare?
«Per me vocazione maggioritaria vuol dire vocazione a governare con un programma coerente e condiviso, quel che si deve fare è dire subito con chi ci si allea».
Con Rifondazione, sì o no?
«Dipende da loro. La vocazione maggioritaria intesa come solitudine può piacere a qualche partito che chiede il sistema tedesco per riprendersi la sua libertà».
Insisto, il Prc dentro o fuori?
«Il Pd deve avere un dialogo con la sinistra democratica. Lo stato dell'Italia non ci consente di tirarci fuori, tutti dobbiamo fare uno forzo. La coalizione deve restare unita».
D'Alema ha dichiarato chiusa la stagione di Prodi.
«Sarebbe un suicidio politico dal quale prenderei le distanze.
Io mi chiamo Rosy Bindi, ho fatto una corsa per la segreteria autonoma da Veltroni e, mi par di capire, anche da D'Alema. L'ultima cosa che ci possiamo permettere è creare discontinuità col governo Prodi, entreremmo in contraddizione con noi stessi».
Si arrenda, la stagione dell'Ulivo è finita.
«Il passato non torna, ma questo non significa perdere la forza e l'impronta di un progetto politico. Lo spirito dell'Ulivo non è morto e sepolto e il Pd in campagna elettorale non può che rivendicare i grandi risultati di questi venti mesi, dei quali purtroppo gli italiani non hanno avuto il tempo di accorgersi».
Infatti. La popolarità di Prodi è molto bassa.
«Ha fatto un giro sui blog? La sua chiarezza per come ha gestito la crisi è stata apprezzata».
Non al vertice del Pd.
«Ma dagli italiani, sì. Non ce lo dimentichiamo, Romano è l'uomo che per due volte ha battuto Berlusconi, lui è l'unico che ci è riuscito. Rutelli avrà pure fatto la rimonta nel 2001, ma fu sconfitto».
Prodi pensa di riprovarci?
«Avere Prodi come fondatore e presidente del Pd fa la differenza rispetto ad altre storie politiche. Nessun partito può vantare di avere come presidente una persona che ha il percorso politico e istituzionale di Prodi. Romano non può non essere protagonista della gestione di questa fase, come dell'apertura della campagna elettorale. E noi dobbiamo andarci a testa alta, convinti che la partita è aperta».
Veltroni è il vostro candidato premier?
«Non è scontato, non c'è un automatismo. Dobbiamo mettere in campo una sintesi intelligente di novità e tradizione. Il Pd ha grandi risorse e una si chiama Veltroni, ma c'è anche Prodi e ci sono altri leader. Chi sarà il candidato premier è una scelta che noi faremo insieme».
Lo statuto dice che il segretario corre per Palazzo Chigi.
«Stiamo ancora discutendo. Fare lo statuto oggi non è come farlo quando le elezioni sono lontane...».

Monica Guerzoni
28 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #23 inserito:: Febbraio 14, 2008, 04:19:42 pm »

8 Febbraio 2008

Rosy Bindi: "Mossa obbligata per vincere ma il progetto deve restare l´Ulivo"

di Alessandra Longo - da LA REPUBBLICA





Rosy Bindi allora andare da soli non è affatto un suicidio politico come qualcuno, a sinistra, ipotizza?
«Non abbiamo nessuna vocazione al suicidio, glielo assicuro. Sono arrivata a questa scelta attraverso un processo personale non scontato. Non è affatto un arroccamento, un´affermazione di autosufficienza e solitudine. La nostra priorità è vincere le elezioni con un partito, il suo leader e il suo programma».

All´epoca delle primarie, lei era preoccupata della personalizzazione, del rischio di un "partito del leader"...
«E invece adesso abbiamo deciso che nel simbolo ci sarà scritto "Veltroni presidente". Le mie riserve riguardavano allora la forma partito non la candidatura di Walter alla presidenza del consiglio. E poi è nella logica delle cose se ci presentiamo da soli. Se fossimo stati in una coalizione, certo avremmo dovuto fare le primarie ma oggi non è così».

L´esperienza dell´Unione è fallita.
«Dobbiamo riconoscerlo ma ci rimane la dote di un ottimo lavoro, che è quello del governo Prodi. Riusciremo a spiegarlo agli italiani quando la nebbia dei contrasti, dei conflitti che ci sono stati tra le varie parti della coalizione, si diraderà».

E gli alleati che fine fanno?
«Il Pd non si chiude, non è un capriccio quello che abbiamo deciso, è la nostra migliore carta. Serve a fare chiarezza, a sottolineare la differenza con il centrodestra dove la coalizione è frastagliata, vecchia. Poi arriveremo al passo successivo, al programma, e qui apriremo un confronto con i nostri eventuali possibili alleati».

Che cosa rimarrà alla fine dell´esperienza ulivista?
«E´ proprio questo il punto. Non nascondo che dentro il Pd ci sono sfumature politiche diverse. Follini, per esempio, parla di «un partito di centro», in competizione con la sinistra e con il centrodestra. Io invece vedo il Pd come il compimento dell´Ulivo, come il consolidamento di un soggetto politico, capace, partendo dalla sua autonomia, di tenere unito un nuovo centrosinistra. Questo deve essere il progetto di lungo periodo».

L´Unione ha fallito, l´Ulivo deve vivere.
«Sì, e la sfida è anche per i partiti della cosiddetta sinistra radicale. Bertinotti pare averla colta in pieno, anzi mi sembra che l´abbia cercata. Quella con il Pd ha l´aria di una separazione consensuale».

Altri soci della Cosa Rossa invece non hanno preso per niente bene l´iniziativa solitaria del Pd.
«La Cosa Rossa deve interrogarsi sulla scelta di fondo, quella fra cultura di governo e cultura antagonista».

Che fate dei radicali? Li scansate?
«E´ il programma, solo il programma che farà da base al dialogo. Non siamo disponibili ad anteporre le alleanze. Abbiamo già dato».

Come se lo immagina questo programma?
«Dovrà essere capace di rispondere a problemi complessi, di coniugare la crescita all´equità sociale. Il Pd sarà in grado di sfondare nell´elettorato di centrodestra, di recuperare i moderati ma non potrà permettersi di lasciare scoperto il fianco sinistro. Dovrà avere una visione globale e arrivare ad una sintesi rigorosamente di centrosinistra».

Un´impostazione squisitamente ulivista...
«Farò di tutto perché quella stagione non muoia».


8 febbraio 2008

da scelgorosy.it
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« Risposta #24 inserito:: Febbraio 26, 2008, 12:07:59 pm »

25/2/2008 (7:11) - INTERVISTA A ROSY BINDI

"I radicali? Se fossero coerenti dovrebbero star fuori dal Pd"
 
La Bonino: «Di lei ho la massima stima, le chiedo di restare come ministro, non come radicale»

BEPPE MINELLO


Orgogliosa Rosy, gentile con chi è gentile, dura con chi fa il duro: «Cappato stia attento a non provocare perché il patto con i radicali non è ancora stato firmato» replica al deputato europeo che ha rivendicato il diritto della futura pattuglia radicale nel Pd a «rompere i coglioni», a «discutere prima del voto, o no?».

Il ministro della Famiglia parla dal palco del Teatro Colosseo, scelto dai democratici torinesi per avviare la campagna elettorale con Fassino, Damiano, Turco, Vernetti, il segretario regionale Morgando e l’ormai onnipresente Antonio Boccuzzi, l’operaio-simbolo, il sopravvissuto al rogo della Thyssen.

Prima di affrontare il caso-radicali è tornata sulla vicenda dei Dico quale esempio «di legge sulla quale era stato raggiunto un punto di equilibrio per creare famiglie senza discriminazioni di sesso ed ha sbagliato chi avrebbe voluto fare di più». E per chi ha qualche dubbio su ciò che, per la pasionaria di Sinalunga, si deve intendere per cattolico impegnato in politica, ribadisce che «la nostra carta costituzionale riconosce la famiglia, ma non è contro il diritto delle persone, non è contro le loro scelte».

Fatta questa doverosa premessa, cosa dice a candidati radicali come Umberto Veronesi, l’uomo del testamento biologico, e a Silvio Viale, il ginecologo sostenitore della pillola abortiva?
«Candidati? E’ a loro che dovete chiedere se firmano il programma del Partito democratico e se rinunciano alle loro idee. Se sono coerenti non dovrebbero firmare e non dovrebbero candidarsi. Nel programma del Pd, a proposito di testamento biologico, sui diritti dei conviventi, sulla 194, sono scritte alcune cose e sono stati messi punti e virgole pesanti. Non è che se uno si candida con noi può permettersi di firmare quel documento e il giorno dopo in Parlamento presenta robe che non hanno niente a che fare con quanto stabilito o ricomincia a porre il veto su punti del programma quando vengono attuati».

Ha la stessa opinione di Emma Bonino capolista?
«Lo dico da componente cattolica di questo partito: ho una grande stima di Emma Bonino e a lei chiedo di stare nelle nostre liste da ministro e non da radicale. Così come chiedo a Paola Binetti di stare nel Pd da democratica e non da cattolica. Penso che ci dovremo limitare un po’ tutti».

Cosa che invece non sta avvenendo, o no?
«E’ sbagliato giocare a chi mette più bandierine, a dire “Se c’è un loro candidato allora ne metto uno mio”. Le estreme si autoalimentano e la forza del Pd dev’essere la logica opposta a quella dell’Unione dove uno compensava l’altro alzando la voce in una confusione generale che era la sola cosa percepita dagli italiani. La fatica sta nel trovare la sintesi, riscopriamo questa dimensione etica della politica, non creiamo divaricazioni strumentali ma lavoriamo per arrivare a una mediazione. Insieme».

Ha letto la difesa della 194 fatta dalla Federazione degli Ordini dei medici, cosa ne pensa?
«Che il Pd rispetta l’autonomia dei professionisti della medicina, della scienza e della ricerca. Detto ciò, credo che questa presa di posizione sia l’ulteriore dimostrazione che sarebbe cosa buona accettare il consiglio di chi chiede di tenere fuori dalla campagna elettorale temi così delicati e importanti per la vita delle persone».

Intanto mercoledì i cattolici del Pd terranno un convegno-convention, e dai teodem ai cristiano-sociali senza dimenticare i popolari e i cattolici ex-Ds tutti saranno uniti nel chiedere garanzie per i loro parlamentari uscenti e ipotizzano nomi pesanti per le liste da contrapporre ai vari Veronesi e Viale. Lei ci sarà?
«Si, ci andrò, ma a patto che non facciano una corrente dei cattolici democratici nel Pd; pretendo piena cittadinanza nel partito ma non voglio una corrente per ottenerla»

A chi sostiene che l’aver imbarcato i radicali può essere una sottile strategia per favorire la Rosa Bianca e danneggiare il Pdl al Senato cosa replica?
«Che verso la Rosa Bianca vanno i cattolici del centrodestra e che i nostri cattolici è meglio tenerceli».

da lastampa.it
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« Risposta #25 inserito:: Marzo 18, 2008, 12:33:34 am »

Rosy Bindi: "L'Italia dovrebbe scusarsi con Moro..."

Andrea Carugati


«L’assassinio di moro condiziona ancora la vita italiana: dobbiamo ancora recuperare il ritardo che il paese ha cominciato ad accumulare quando fummo privati del costruttore del progetto di una democrazia compiuta, dell’alternanza». Rosy Bindi, ministro della Famiglia, riflette sui 30 anni dal rapimento dello statista democristiano. «Sono 30 anni che ne stiamo pagando le conseguenze: una democrazia fragile nei suoi assetti istituzionali, la lunga transizione incompiuta, tutto ha origine con la morte di Moro. Su di noi pesa la responsabilità di colmare questo ritardo: stiamo facendo dei passi avanti importanti, dopo anni di contraddizioni e di passi indietro. Ma il Paese ancora ne deve uscire». «Sono convinta - aggiunge Bindi- che le Br siano stati gli esecutori di quel disegno criminale, ma non certamente i soli responsabili. E questo perché il progetto di Moro era talmente grande e lungimirante che qualcuno lo ha fermato».



Se è così, la strategia della fermezza era l’unica strada percorribile?



«Ero molto giovane, non facevo politica in prima persona, ma fui d’accordo con quella impostazione, forse perché non avevo capito fino in fondo cosa stava succedendo. Sono molti anni che dubito di quella scelta: e oggi sono convinta che c’era il dovere di liberare Aldo Moro. Non c’è ragion di stato che tenga di fronte a una vita umana, al valore della persona: e in particolare di quella persona, per il ruolo che aveva nella vita del Paese. Tutti noi abbiamo dubitato di quelle lettere, pensato che non fosse lui. Di questo dobbiamo chiedere profondamente scusa a lui e alla sua famiglia. Non ci fu neppure la consapevolezza che senza di lui quel progetto si sarebbe fermato. Quello che è seguito è sotto gli occhi di tutti, compreso il destino della Dc».



Con Moro la Dc avrebbe salvato anche se stessa?



«La Dc e il Pci avrebbero dovuto salvare il progetto moroteo, e gli stessi partiti. Non si sarebbe costretto il sistema politico italiano a 30 anni di ritardo. Quelli che dovevano essere i due attori principali del sistema dell’alternanza oggi hanno costruito un unico partito: questo dimostra che nel frattempo è successo quello che Moro annunciava nelle sue lettere. È stata la fine della Dc che ha provocato questo terremoto, e la fine della Dc non ci sarebbe stata se si fosse realizzato il progetto di Moro. Mi riferisco alla capacità di un grande partito riformista di tenere legato un elettorato moderato: questo è il grande merito della Dc. Non è un caso se per 50 anni in Italia non c’è stata la destra, non c’è stata la tentazione populista. Questa oggi è sfida del Pd: recuperare alle ragioni del riformismo la maggioranza degli italiani».



Qual è l’eredità di Moro che il Pd può e deve fare sua?



«La democrazia dell’alternanza tra due forze che si legittimano reciprocamente. Moro aveva in testa questo disegno, non il governo con i comunisti. Ma anche la visione strategica di una politica che sapeva guardare lontano e portare lontano un Paese, la grande capacità di leggere e interpretare i mutamenti culturali e alimentare di questo l’azione politica: penso alle sue riflessioni sul 68, il divorzio, al primo centrosinistra. C’era in Moro l’idea di una democrazia in cui i partiti condividono più di quanto non li divida. È questo che manca ancora al bipolarismo italiano: un comune sentire sulle cose fondamentali, a partire dal senso delle istituzioni».



Per la politica oggi è prioritario concentrarsi sull’eredità politica di Moro o scavare ancora sulle zone grigie, su chi si avvantaggiò di quel disegno criminale?



«È prioritario concentrarsi sull’eredità politica di Moro, e tuttavia le ferite si chiudono solo se c’è verità. Per questo sono sempre stata contraria a un colpo di spugna, ad un provvedimento di carattere generale verso i brigatisti: prima la verità».



Vede analogie con l’omicidio Kennedy, ferita che non trova una verità storica chiara?



«La vicenda italiana è più dolorosa e profonda, per le conseguenze che ha avuto: lo sconquasso del sistema politico, Tangentopoli, il rischio della bancarotta. Senza quella cesura avremmo avuto due grandi partiti europei, lo stesso fenomeno Berlusconi in politica non ci sarebbe stato. Negli Usa ci sono stati effetti sistemici meno pesanti. Anche per questo ritengo indispensabile che il Paese abbia tutte le risposte che attende. Sono convinta che almeno qualcuno di quei brigatisti sappia tutta la verità».



Che effetto le fa rileggere la lettera di Moro alla moglie Eleonora del 5 maggio 78 così intrisa di fede, di amore?



«Credo che siano tra le pagine più alte tra quelle scritte da un condannato a morte. Mi colpisce la forza della fede, e anche la dimensione umana, degli affetti, che non è di tutti i politici. Moro era uno statista, un politico professionista, e tuttavia la politica non ha mai avuto il sopravvento sulle cose essenziali. È un altro grande insegnamento: Moro vedeva la politica al servizio della vita, e non il contrario».



Secondo D’Alema Berlusconi è il contrario di Moro: una «somma di istanze particolaristiche» che non diventano un progetto per il Paese. È d’accordo?



«Come si può non essere d’accordo? E tuttavia è troppo facile. Forse davanti alla testimonianza di Moro è più importante interrogarci sulla nostra distanza. Siamo noi a doverci misurare con Moro, perché noi siamo gli eredi e a noi tocca la grande responsabilità di non far morire il suo insegnamento».

Pubblicato il: 17.03.08
Modificato il: 17.03.08 alle ore 8.56   
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« Risposta #26 inserito:: Giugno 23, 2008, 10:35:07 am »

9 Giugno 2008

Bindi: con le vecchie logiche "balcanizziamo" il partito

di Ninni Andriolo - da L'UNITA'





Onorevole Bindi, lei chiede al Pd di respingere le dimissioni di Prodi dalla presidenza, ma il Professore non torna indietro...
«Non ho chiesto a Prodi di ritornare sulla sua decisione. Io rispetto le sue scelte personali, Ma il Partito democratico non può considerarle tali e, quindi, deve respingere le dimissioni del presidente. Noi non possiamo non individuare il rischio di una rottura tra il Pd e il percorso politico dell’Ulivo. Senza Prodi questo pericolo sarebbe ancora più evidente. La presenza di Romano, da questo punto di vista, costituisce una garanzia».

La cesura con l’Ulivo è già avvenuta. Molti leader del Pd hanno tagliato i ponti anche simbolicamente...
«Non ho mai condiviso questo atteggiamento. Anzi, ho sempre chiesto a Veltroni di spiegare la sua presa di distanze dagli ultimi 15 anni. Da un periodo nel quale, per la verità, si è anche consumato qualche tradimento nei confronti dell’Ulivo».

Lei ritiene che il taglio delle radici uliviste abbia pesato sul risultato del Pd?
«Le motivazioni del voto non vanno ricercate all’interno di un riflessione strettamente politica. Per qualcuno si è perso per colpa del governo Prodi, per qualcun altro perché siamo andati al voto da soli. Queste spiegazioni, però, sono assolutamente inadeguate per capire un risultato da studiare con umiltà. Dobbiamo ammettere che non conosciamo più questo Paese o che  abbiamo negato a noi stessi il cambiamento che stava avvenendo nella società italiana».

Si è notata una certa riluttanza a parlare di sconfitta...
«La sconfitta è stata seria. Nei confronti della destra, ma anche in  rapporto alla percentuale del partito. Il Pd non ha superato quel 35% che tutti ci aspettavamo, e che poteva darci la possibilità di perdere diventando tuttavia la prima formazione politica, perché il poco tempo a disposizione ha impedito che il partito ci fosse davvero. L’idea è talmente giusta che dobbiamo ancora realizzarla in tutta la sua pienezza. Per me la fase costituente non è finita. Il Pd non lo abbiamo ancora fatto».

La riflessione sul voto va a singhiozzo, è d’accordo?
«Non ho dubbi che siamo dentro un percorso comune e che dobbiamo assumerci insieme le nostre responsabilità. Non intendo fare né polemiche, né attacchi. Sono stata a Catania per sostenere il candidato sindaco del Pd, Giovanni Burtone. Come spiegare che il centrodestra lascia il quartiere popolare di Librino da due anni senza luce e miete ugualmente una messe di voti?».

Anche con il fatto che la destra ha saldato un rapporto forte con territori abbandonati del tutto dal centrosinistra...
«Ecco, cos’è che non capiamo più? Io sono convinta che il problema non sia quello di cambiare le nostre idee. Continuo a ritenerle giuste e a considerare sbagliate quelle del centrodestra. Evidentemente non riusciamo a convincere, a creare consenso. E questo non è colpa di nessuno. Potremo dividerci su alcuni aspetti della campagna elettorale. In questo modo, però, potremo spiegarci l’uno o due per cento della sconfitta, non una differenza di tutti quei punti».

Il dopo voto sta provocando spinte centrifughe. Come ha accolto la lettera di Rutelli agli ex Dl?
«Quella lettera l’ho ricevuta e non l’ho letta. Di più, la considero irricevibile. Non mi interessa una missiva scritta dal segretario del mio ex partito, in quanto appartenente ancora a quel partito. Io non sto nel Pd come ex Margherita. Ci sto come Rosy Bindi che, tra l’altro, si è candidata per la segreteria nazionale. Ecco, se c’è in questo momento una mia specificità è quella della lista con la quale mi sono presentata alle primarie».

Quella lettera evoca la riorganizzazione delle vecchie famiglie politiche?
«Se evocasse un ritorno al passato forse qualche rischio per il Partito democratico ci sarebbe. Da più parti si avverte la preoccupazione del futuro, della costruzione di un partito plurale. E sarebbe una regressione ritornare alle appartenenze precedenti. Io, anzi, questa regressione la avverto nella spartizione che contraddistingue la composizione delle liste e la distribuzione degli incarichi. Dove si avvertono ancora le logiche delle vecchie appartenenze. Pluralismo non può significare ritorno al passato. Io non lo intendo così».

Significa fondazioni e associazioni, invece?
«No, così ci balcanizziamo. Deve essere il partito il luogo in cui esprimere e portare a sintesi sensibilità diverse».

Se mancano i luoghi della discussione è ovvio che si imbocchino strade  parallele. Non crede?
«Organizzare un partito plurale significa possibilità che ciascuno venga considerato. Che il dissenso venga giudicato una ricchezza e non un impaccio. Anche il Governo ombra, strumento prezioso che condivido, deve  assumere idee dal partito. Non deve essere il partito a plasmarsi sulle dichiarazioni di questo o quel ministro. Sulla sicurezza, ad esempio, siamo proprio sicuri che la collegialità ci sia stata? A me non pare. Sembra che riduciamo tutto a un fatto di galateo politico. I problemi non sono né di destra né di sinistra. Ma le soluzioni no. O sono di destra o sono di sinistra».

Il Pd «mai nel Pse». Lei è d’accordo?
«La lettera di Rutelli è irricevibile anche perché rischia di depistare. Se mi chiedi di fare la battaglia per non entrare nel Pse, in nome della mia appartenenza alla Margherita, automaticamente la mia scelta si carica di sospetti. Già nel 1997 dissi che bisognava fare l’Ulivo in Europa. Io sono convinta davvero che in Italia abbiamo una storia politica originale. Non c’è stato in nessun’altra parte del Continente l’incontro - tra un partito ex comunista, con tutte le sue evoluzioni, e una presenza organizzata di  cattolici - dirompente come quello che ha portato al Pd. Se sosteniamo la sfida di un partito plurale, non possiamo pensare di collegarci a una sola delle famiglie europee».

Il Pse cambierà nome. Un fatto di sostanza, non solo di etichette...
«Noi siamo europeisti veri, gli euroscettici sono dall’altra parte. Partendo da questo è chiaro che il nostro interlocutore principale non  potrà non essere il Partito socialista. Ma dovremo fare di tutto, prima delle europee, per riuscire a creare un gruppo autonomo, che sia davvero  dei democratici, che stabilisca un rapporto di gemellaggio e di coordinamento con il Pse».

Lei ha ipotizzato il gruppo misto, un contenitore un po’ indistinto per la verità...
«Se non riusciamo a costruire un gruppo nostro o dei democratici europei io non escludo che per un periodo di tempo si possa aderire al gruppo misto. Può darsi, infatti, che il cambiamento del nome del Pse non sia sufficiente per non apparire noi coloro che, comunque, vengono automaticamente annessi».

La casa dei riformisti che ipotizzava anche Prodi, quindi, dovrebbe sorgere sulle fondamenta di un gruppo misto, piuttosto che su quelle dei democratici e dei socialisti?
«L’alleanza con il Pse e la costruzione di un polo riformista in Europa è assolutamente indispensabile, credo però che una cosa è avere una nostra identità e lavorare in gemellaggio con i socialisti, altra cosa sia entrare nel Pse. Questo non ci impedisce di lavorare perché in futuro si possa  diventare un’unica realtà plurale. Sono i socialisti che devono diventare democratici e non i democratici socialisti».

da www.scelgorosy.it
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« Risposta #27 inserito:: Giugno 23, 2008, 10:39:41 am »

POLITICA

Franceschini: "Sono passati 70 giorni dal voto, un po' presto per chiedere svolte"

"Avremo il congresso nazionale, sarei un pazzo a dire che non si tocca niente"

"Basta con la corsa al logoramento E' Walter, anche al prossimo giro"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 

ROMA - Il vicesegretario del Pd Dario Franceschini dice di aver ben presenti i problemi: "Un clima di demoralizzazione fisiologico ma profondo, la necessità di una riflessione seria e non consolatoria sulla sconfitta per capirne le ragioni". Ma vede anche altro: "È ricominciato lo sport nazionale dei gruppi dirigenti del centrosinistra: logorare il leader. Questa disciplina va abolita. Veltroni ha ricevuto il mandato per costruire un partito e prepararsi a vincere le elezioni politiche come candidato premier. Solo un disonesto può pensare che il suo compito fosse invece quello di fare il Pd e conquistare Palazzo Chigi in appena tre mesi".

Lei pronostica lunga vita al segretario, altri invece si chiedono quanto possa durare un uomo così accerchiato.
"Penso, innanzitutto, che dobbiamo riflettere senza spiegazioni autoassolutorie sul voto del 13 aprile. La sconfitta è stata temperata da un nostro ottimo risultato in termini percentuali ed è positivo che un partito appena nato abbia superato, in tutta Italia, la somma dei partiti sciolti per dargli vita. Ma il dato più profondo è che i consensi raccolti da tutto il vecchio centrodestra e tutto il vecchio centrosinistra confermano che dal '94 in poi Berlusconi è sostanzialmente maggioranza nel Paese. Oggi, però, il divario è aumentato a loro favore. Quindi serve quello che abbiamo appena iniziato a fare: un ragionamento sui limiti del Pd, una registrata al nostro modo di stare all'opposizione per radicare il partito, per parlare a quel pezzo di Italia che ha apprezzato la novità del Pd ma questa volta non ci ha votato. Per realizzare questi obiettivi, lo capisce anche un bambino, non bastano i due mesi e dieci giorni trascorsi dal 13 aprile. Mi pare un po' presto per fare bilanci e chiedere svolte".

Quando si subisce una sconfitta pesante può succedere di passare la mano. Tornando a bomba: quanto dura Veltroni?
"Questa domanda riflette la storia dell'Ulivo da quando è nato, più di dieci anni fa. Lo sport principale di gran parte dei gruppi dirigenti è stato quello di logorare il leader. Prodi vince nel '96 e subito si comincia a dire che non è adeguato, va a Palazzo Chigi D'Alema e un minuto dopo si pensa che è impossibile andare con lui alle successive elezioni, viene sostituito da Amato ma ci si mette a cercare un candidato alternativo, si candida Rutelli, che gestisce un'altra faticosa rimonta, ma dopo la sconfitta bisogna rimpiazzarlo, torna Prodi e si ricomincia daccapo".

È il turno di Veltroni.
"Veltroni conduce tra gli applausi di tutti una campagna elettorale difficilissima, ma dopo il voto comincia il logoramento. Con una differenza profonda. Negli altri casi i leader erano i candidati di una coalizione alle politiche, in questo caso logorare Veltroni significa indebolire il partito che sta ancora nascendo. Mi chiedo: è davvero inevitabile questa specie di sport nazionale, non possiamo da questo punto di vista diventare più europei?".

Ma non è nei "paesi normali" che gli sconfitti si dimettono?
"In Europa si lascia al leader il tempo di costruire il partito e di gestire il cammino per vincere le successive elezioni. Cameron in Gran Bretagna è da quattro anni a capo dei conservatori e li guida in vista del prossimo voto. Aznar è diventato numero uno del Pp spagnolo nel '89, ha perso nel '93 e ha vinto nel '96. La Merkel è stata eletta segretario della Cdu nel 2000 e ha conquistato la vittoria nel 2005. Zapatero è capo del Psoe dal 2000, ma è andato al governo nel 2004. Blair è diventato il leader laburista nel '94 e ha vinto nel '97. Questi dirigenti politici hanno chiesto e avuto degli anni per fare un lavoro profondo di cambiamento dei loro partiti senza perdere le giornate nelle tensioni e nelle beghe interne. Possiamo fare così anche noi? Anche perché è del tutto chiaro che il giorno in cui al posto di Veltroni ci fosse un altro, il gioco del logoramento ricomincerebbe daccapo".

Stupisce che il 30 per cento di italiani abbia votato un partito guidato da dirigenti tanto ingenerosi e rissosi.
"Abbiamo fatto il Pd proprio per cambiare questa cultura. E in questo cambiamento si sono riconosciuti gli elettori delle primarie, quelli che hanno riempito le piazze durante la campagna elettorale e oggi ci chiedono di andare avanti. Certo, se aprono i giornali e vedono un partito avvitato su se stesso, hanno ragione a scoraggiarsi. Siamo a un bivio. Da una parte, si consolida una gestione collegiale del partito e si cerca di realizzare un dibattito aperto e franco, ma che concorre al rafforzamento della leadership e al radicamento del Pd. La strada opposta è quella di aspettare le Europee magari immaginando che con il 29,9 si perde e con il 30,1 si vince. Insomma, un percorso di guerra in cui tenere in costante litigiosa precarietà il partito e la leadership".

Ma davvero Veltroni può ricandidarsi alle prossime elezioni?
"Penso che questo sia il mandato che ha ricevuto. A meno che qualcuno, in modo disonesto, pensi che il suo compito fosse costruire il Pd e vincere contro il centrodestra in tre mesi e in quelle condizioni".

Il suo appello rischia di cadere nel vuoto. Non sarebbe il caso invece di prendere l'iniziativa, magari anticipando il congresso?
"Per carità, nessuno vuole sottrarsi. Avremo il congresso nazionale. Sarei un pazzo a dire che non si tocca niente per cinque anni. Anzi. Ma per mutare le cose serve profondità di analisi e tempo. Prendiamo il tema dell'opposizione. Cosa dovevamo fare: metterci a sbraitare subito contro il mostro Berlusconi? Sapevamo che sarebbero arrivate puntuali le occasioni per opporci. E vedrete che non ci manca né la forza né la voce per contrastare il Cavaliere".

Parisi è netto. Dice che bisogna cambiare subito il leader, altrimenti la crisi trascinerà nel baratro l'intero Pd.
"E dov'è la notizia? Parisi fa così da 15 anni. Pensa che ogni momento positivo sia merito suo e ogni difficoltà sia figlia invece della tragica colpa di non aver seguito i suoi preziosi consigli. Parisi approva, Parisi collabora: quella sarebbe stata la novità da titolo".

(23 giugno 2008)
 
da repubblica.it
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« Risposta #28 inserito:: Giugno 30, 2008, 02:35:16 pm »

POLITICA

Assemblea dei parlamentari democratici

Bindi non sta con Di Pietro, ma dice: "Svegliamoci"

E il Pd si divide sulla piazza

I cattolici: "Siamo troppo morbidi"

Furio Colombo: "Il partito spieghi cos'è l'opposizione"

 
dal nostro inviato GIOVANNA CASADIO



BOSE (Biella) - "Svegliamoci, ragazzi. Occhio, non abbiamo più anticorpi, neppure quello dei girotondini e non possiamo affidare a una manifestazione minoritaria di Beppe Grillo la reazione a quello che sta succedendo...". Cattolici del Pd chiamati alla mobilitazione da Rosy Bindi.

In un luogo di meditazione, com'è il monastero di Bose, immerso nel verde e nel tempo scandito dalla preghiera, i cattolici riuniti da "Argomenti 2000" per un seminario sulla laicità, sono arrabbiati. Parlano del partito, di come si fa l'opposizione ora nel momento in cui "Berlusconi fa carta straccia delle regole democratiche" e Di Pietro che "dallo scontro passa all'insulto". Bindi e gli altri non vogliano andare in piazza con Di Pietro ma pensano a un'opposizione più dura e a forme di mobilitazione che potrebbero arrivare fino alla disobbedienza civile e che "testimonino l'indignazione" per le impronte digitali prese ai bimbi rom, per il "blocca processi"del premier, per il conflitto d'interessi.

Una discussione che non potrebbe avere maggiore tempismo. Domani c'è un'assemblea dei parlamentari del Pd. Appuntamento pomeridiano alla Camera. Furio Colombo - tra i promotori della manifestazione dipietrista e grillina dell'8 luglio - solleverà la questione dell'opposizione in piazza subito e con Di Pietro. "Il capogruppo, Antonello Soro ha detto che il Pd non deve fare un'opposizione urlata e girotondina - sottolinea Colombo - spieghi allora cosa intende. Ciascun parlamentare, lì in assemblea, si assuma la propria responsabilità, dica la sua". Insomma, una resa dei conti su "piazza subito sì, piazza con Di Pietro no".
E anche, continua Colombo, sulla qualità dell'opposizione che il Pd mette in campo: "Io mi domando cosa è opposizione, a questo punto. E all'assemblea del Pd voglio chiedere: quando Obama va all'attacco di Bush, fa un'opposizione urlata o semplicemente parlata?".

Veltroni - che ieri doveva essere a Bose e poi a Ivrea per la conclusione del seminario sulla laicità ma dà forfait "per problemi familiari" - ha dato appuntamento alla piazza riformista in autunno. Troppo tardi? Soft non reagire a sprone battuto? Da Bose, alcuni dei parlamentari "in ritiro" come Paolo Corsini, Paolo Giaretta, Daniela Mazzucconi, chiedono un'opposizione con più mordente e meno attendismo. Corsini, l'ex sindaco di Brescia, uno abituato a confrontarsi con i problemi concreti, invita ad assumere posizioni nette, "che non significano confondersi con Di Pietro, tutt'altro".

A Roma, l'ala sinistra del Pd teme che si finisca nel "conflitto" tra opposizioni: "Perché contrapporre le diverse manifestazioni contro il governo? - avverte Vincenzo Vita - È utile che vi siano manifestazioni anche prima dell'autunno, come quella lanciata da Italia dei valori e da Micromega per l'otto luglio. Tuttavia è opportuno che i promotori chiariscano se è una manifestazione in cui prevale una polemica con il Pd". Ci sono poi, gli assolutamente contrari alla deriva dipietrista come Giorgio Merlo (che ieri è a Ivrea, in prima fila ad ascoltare Bindi, Savino Pezzotta, Stefano Ceccanti e Pierpaolo Baretta) e oggi lo dirà all'assemblea dei parlamentari. Da Bose inoltre, la sveglia della Bindi al partito di Veltroni suona sollecitando a "mettere l'orecchio come gli indiani per terra" per capire davvero quello che è accaduto nel paese non limitandosi a analisi superficiali.

(29 giugno 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #29 inserito:: Giugno 30, 2008, 02:36:04 pm »

Veltroni: l'opposizione torni nelle piazze


Tutti a parlare della svolta di Walter Veltroni. L'argomento appassiona soprattutto il centrodestra. Dopo l'intervista di domenica a Repubblica in cui segnalava la fine del dialogo con Berlusconi, il leader del Pd chiarisce lunedì con una lettera al direttore de l'Unità Antonio Padellasro cosa intende per rilanciare la mobilitazione e la discussione da settembre, tornando nelle piazze d'Italia «senza fare sconti al governo». Su l'Unità in edicola Veltroni accusa «le iniziative di governo e presidente del Consiglio» di aver dimenticato l'interesse generale, «dando di nuovo priorità a vicende legate ad interessi particolari e personali e assestando un colpo mortale a quel bisogno di confronto alto tra diversi schieramenti sulle riforme e la modernizzazione delle istituzioni e della politica».
Nel frattempo nel centrodestra la certificazione della fine del dialogo viene valutata con disappunto e finta sorpresa. Si dice che Veltroni si è fatto ostaggio di Di Pietro, che l'antiberlusconismo è una specie di malattia endemica del centrosinistra. Insomma, nessuna risposta nel merito.

Solo Umberto Bossi nella sua nuova veste di ministro delle Riforme manifesta su La Stampa un minimo di preoccupazione per il clima avvelenato che , dice, « non serve a nessuno, nemmeno a Veltroni» e si accoda al «giusto richiamo» fatto dal presidente Napolitano a ristabilire una dialettica più serena tra le forze politiche. Visto che così le riforme condivise non arriveranno, il Senatùr si propone di parlare con il Cavaliere. «Gli dirò di darsi una calmata». Dice Bossi che è disposto a ricoprire l'insolito ruolo di paciere. «Non sono più tranquillo, se voglio ho dieci milioni di persone con me che posso muovere... - gli scappa ma poi si riprende - Ma sulla magistratura cerco di fermare Silvio Berlusconi. Anche se capisco che fa così, perché i giudici lo stanno legnando inutilmente. Ma è anche vero che adesso, nelle condizioni in cui si trova il Paese, bisogna essere più calmi, ragionare a freddo per il bene dei cittadini».

Del resto se il ministro della Giustizia Angelino Alfano intervistato due giorni fa da l'Avvenire si è detto pronto ad andare a testa bassa a colpi di fiducia ad approvare il suo lodo salvaBerlusconi, sfidando l'infrazione della Costituzione e le intemperie dell'ostruzionismo, un altro che tenta a parole di fare il paciere è ilò ministro dei beni culturali Sandro Bondi. Anche lui dispiaciuto per la svolta di Veltroni che spera di recuperare circoscrivendo il «nuovo incendio scoppiato sulla Giustizia» proprio, però, «sulla base del provvedimento proposto dall'ottimo ministro Angelino Alfano».

Insomma il Pd - dalla Finocchiaro a Veltroni - dice: togliete di mezzo il lodo Schifani bis e parliamo. E il centrodestra fa orecchi da mercante in fiera: il lodo va bene, ma discutiamo lo stesso.

Così, Ignazio La Russa, ministro della Difesa e reggente di An, a Il Giornale spiega che è «a causa della complessa situazione in cui versa il centrosinistra» - per lui Veltroni è «ondivago» - non ci sarebbe «alcuna disponibilità a un confronto serio». Ma del resto sul lodo Schifani, La Russa vede come unico errore del governo l'averlo presentato tardi, perchè «se fosse stato il primo provvedimento», quando non c'era «questo clima di scontro», il problema «sarebbe già risolto». Sull'immunità per le alte cariche comunque, l'opposizione, per La Russa, «mettendo da parte le convenienze elettorali, non può non pensare che sia sacrosanta». Il lodo, per lui potrebbe addirittura «essere un passo per svelenire il clima e ridare dignità e prestigio alla magistratura». E se finora Veltroni appare recalcitrante è solo «perché è debole».

Occhi puntati su Pierferdinando Casini che rilascia una intervista al Corriere della Sera nella quale invita il Partito Democratico a «dissociarsi profondamente» dalla linea dell'ex pm Antonio Di Pietro- la sua opposizione dura è per Casini una assicurazione sulla vita per Berlusconi - , perché «così come siamo, noi opposizioni non siamo una alternativa credibile».


Pubblicato il: 30.06.08
Modificato il: 30.06.08 alle ore 11.52   
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