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« inserito:: Giugno 23, 2008, 12:11:07 am » |
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Blocca-processi: chi spegne la Giustizia
Giovanni Salvi
C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria, anzi d’antico. C’è un premier che pretende immunità e giura sui figli. Ci sono p.m. che si addormentano dialoganti e si destano sovversivi. C’è la fantasia al potere, con avvocati-parlamentari-avvocati che inventano sempre nuovi marchingegni da spendere nelle aule giudiziarie. Ci sono processi ansimanti sulla dirittura d’arrivo, mentre qualcuno cerca di eliminare il traguardo o almeno di spostarlo un po’ più in là, per poi rimproverare giudici e p.m. di aver corso invano. È il 1994? Direi proprio di no.
Secondo le anticipazioni, il documento che il Csm si appresta a varare individua tre profili d’illegittimità costituzionale della norma che sospende un gran numero di processi, per reati anche assai gravi. Innanzitutto si censura la violazione dell’art. 111 della Costituzione che impone che i processi abbiano una ragionevole durata; esso limita la discrezionalità di un legislatore che dei tempi della giustizia non si preoccupi o addirittura che ne persegua la dilatazione: al di là della diatriba sul numero dei processi sospesi, certi sono gli effetti a catena su di un sistema già sull’orlo del disastro. Cosicché sembrano aver ragione coloro che, nella stessa maggioranza, indicano la vera ragione del provvedimento nel conflitto politica-giustizia e dunque nel processo Mills. In secondo luogo appare violato il principio d’uguaglianza, per la scelta dei reati da sospendere, appesa a criteri imperscrutabili (perché il 30 giugno 2002? Perché il limite dei dieci anni di pena edittale? Sulla base di quali studi circa i riflessi organizzativi e processuali?). Infine, perché l’emendamento è in una procedura di conversione di un decreto legge con tutt’altra finalità.
Ma se anche queste preoccupazioni si rivelassero fondate, è evidente che l’autorità giudiziaria sarebbe inerme di fronte all’approvazione della legge. I costituenti immaginarono di dover difendere il cittadino dall’ingerenza di uno Stato repressivo e non certo il contrario e cioè che un cittadino particolarmente potente potesse mettere in crisi i meccanismi della giustizia penale. Se pure un giudice sollevasse questione di legittimità costituzionale e se la Corte l'accogliesse, la norma avrebbe raggiunto comunque i suoi effetti deleteri, cioè la sospensione dei processi per un lungo periodo di tempo (probabilmente più dello stesso anno previsto dalla legge): anzi il bel risultato sarebbe di aver per di più escluso anche la sospensione dei termini di prescrizione. Alla beffa, un danno ulteriore.
È illusorio pensare che possa funzionare un secondo meccanismo di bilanciamento, quello costituito dalla verifica parlamentare: i numeri e l’atteggiamento ossequioso all’esecutivo della maggioranza non lasciano sperare in un guizzo d’indipendenza della Commissione incaricata del vaglio di costituzionalità. Restano i poteri, circoscritti, del Presidente della Repubblica.
Questa erosione dei sistemi di controllo e bilanciamento è resa possibile dal fatto che sono ormai divenute senso comune affermazioni che sono invece tutt’altro che pacifiche. A questa diffusione ha contribuito l’insofferenza ai controlli, cui non è stato estraneo neanche il centro sinistra. Penso, ad esempio, all’entusiasmo che fino a poco fa destava ovunque il richiamo al primato della politica, che è quello in base al quale oggi si pretende l’impunità per chi governa (investito dal consenso popolare e dunque intoccabile) e la libertà da ogni vincolo (“mi controllerete tra cinque anni, col voto”). Un giacobinismo che non tiene conto di duecento anni di riflessione sui pericoli della tirrania della maggioranza e sul valore della democrazia come procedura, come limite in difesa dei diritti della minoranza.
È la sicurezza di agire su di un terreno incontrastato che consente all’imputato Berlusconi di ricusare il Giudice Gandus perché detentrice in passato di qualche azione Mediaset, in un fondo d’investimenti comune, e dunque in conflitto d’interessi! Non sono un magistrato scrittore, ma se fossi un De Cataldo o un Carofiglio mi divertirei a immaginare la scena in cui si decide di metter dentro anche questo, in un’istanza avanzata da chi, concessionario pubblico, proprietario di mezzi di informazione privati e controllore di quelli pubblici, è anche al governo della Repubblica.
Questa serie di mosse ben studiate coglie l’Associazione Nazionale Magistrati in mezzo al guado. Con una nuova dirigenza giovane e aperta e con un congresso focalizzato sulla funzionalità del sistema giudiziario, l’Anm sembra aver compreso che la sfida sulla giustizia non si vince con orgogliose rivendicazioni d’indipendenza, ma solo quando i valori della giurisdizione sono sentiti dai cittadini come loro diritti e non come privilegi di casta. I magistrati s’interrogano ormai senza remore sulla propria parte di responsabilità. Il terreno principale di confronto è quello del servizio reso, dei diritti tutelati, dei tempi ragionevoli. Intorno a questi obiettivi potrebbe suscitarsi il consenso e forse l’entusiasmo di tanti; penso alle stesse organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori, che pagano un prezzo assai caro, soprattutto al sud, per l’impossibilità di veder definiti i conflitti in tempi equi e di veder affermata la legalità, condizione prima di un’economia di mercato davvero libera.
Quindici anni di campagna di disinformazione a reti unificate sono riuscite a far apparire il disastro della giustizia come una colpa della magistratura e non come l’effetto di un totale disinteresse per il suo funzionamento da parte di chi n’è responsabile. Basti pensare che negli stessi giorni in cui si affermava con disinvoltura che la giustizia avrebbe funzionato se solo i magistrati si fossero impegnati contro la criminalità, invece di perseguitare il premier, a Salerno si concludeva Spartaco, uno dei tanti (e non lo dico per sminuirne l’importanza, ma anzi per farla risaltare nel più ampio contesto in cui va iscritta) processi al crimine organizzato. Il rapporto tra i fatti e la loro rappresentazione dipende dalla forza di chi controlla i mezzi di informazione. Capovolgere convinzioni ormai consolidate non è affare da poco. È questa la sfida che ci aspetta.
Pubblicato il: 22.06.08 Modificato il: 22.06.08 alle ore 14.38 © l'Unità.
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 27, 2008, 11:51:30 am » |
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27/6/2008 Se fallisce la "moral suasion" Per il Presidente della Repubblica un compito arduo: può riuscire solo di fronte a una sensibilità istituzionale che sembra estranea alla cultura del premier STEFANO PASSIGLI L’avvio della legislatura aveva fatto registrare un clima nuovo nel rapporto tra maggioranza e opposizione, e con esso la speranza che fosse possibile perseguire consensualmente le più urgenti riforme costituzionali, ponendo così fine alla nostra transizione. Ma sono bastate poche settimane per mostrare che, assieme ai provvedimenti per fronteggiare l’emergenza rifiuti e per rispettare le promesse elettorali in materia di sicurezza, i «cento giorni» di Berlusconi avrebbero riproposto una serie di controversi interventi sulla giurisdizione. Come già nel caso della Bicamerale, ancora una volta le vicende giudiziarie del premier e la sua decisione di andare a uno scontro frontale con la magistratura sembrano avere spento ogni possibile accordo sulle riforme istituzionali. In questo contesto ben si comprende, e va apprezzato, che il Presidente della Repubblica abbia fatto ogni sforzo per tenere aperto un dialogo sulla questione giustizia e ricercare un possibile compromesso fondato sulla rinuncia da parte del governo a mantenere nel decreto sicurezza la norma blocca-processi, e sulla disponibilità dell’opposizione a esaminare senza ricorrere all’ostruzionismo una nuova versione del lodo Schifani.
L’indisponibilità di Berlusconi Sforzo apprezzabile - ripeto - ma impresa tra le più difficili che un Capo dello Stato si sia mai trovato ad affrontare, per l’indisponibilità del premier a rinunciare alla sola strategia in grado di evitargli una probabile condanna nel processo Mills, ma anche per la necessità sottolineata dall’opposizione di procedere all’approvazione di un nuovo lodo Schifani solo con legge costituzionale. Molti sono infatti i dubbi di costituzionalità nei confronti di un’approvazione con legge ordinaria di una simile norma, specie alla luce della già dichiarata incostituzionalità del vecchio lodo Schifani. In cosa il nuovo lodo si distinguerebbe dal vecchio? E come superare il forte ostacolo posto dal vincolo di eguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione? Il compito del Presidente della Repubblica è dunque ben arduo e merita rispetto, ma evidenzia anche i limiti di una moral suasion che riesce a essere tale e ad avere successo solo se trova nelle controparti un’analoga sensibilità istituzionale. Ma la sua principale controparte, e cioè il presidente del Consiglio, è invece portatore di una cultura istituzionale ben diversa, che il suo consigliere Baget Bozzo ha così efficacemente descritto (Il Giornale del 24 giugno 2008): «Berlusconi, il Pdl, la Lega Nord \, queste forze vengono tutte dall’affermazione che il popolo sovrano che si manifesta nel corpo elettorale e nel Parlamento è la prima Costituzione della democrazia e che volerla bloccare con la lettera della Costituzione del ’48, con la Corte Costituzionale, con la Magistratura, è impossibile. \ La Costituzione scritta è diventata un blocco della costituzionalità reale che è la democrazia in crescita, la partecipazione in aumento, la volontà di contare del corpo elettorale. \ Questa dinamica della Costituzione e della democrazia non si può fermare alla lettera del testo scritto di cui la Corte Costituzionale è divenuta il gendarme. Democrazia contro Costituzione rigida, corpo elettorale contro Corte Costituzionale e Magistratura: questa è la crisi dello Stato italiano».
La voce della Costituzione Tutte le recenti dichiarazioni di Berlusconi, tutta la sua insofferenza verso ogni forma di checks and balances, confermano che questa è la sua cultura istituzionale. E se questo è il caso, allora la moral suasion è inevitabilmente destinata al fallimento, o a progressivi cedimenti. Molto dobbiamo nella nostra storia recente alla moral suasion dei Presidenti. Ma quando la moral suasion incontra il suo limite, al Presidente della Repubblica, supremo garante della Costituzione, rimane solo un compito: quello di un’integrale applicazione della Costituzione vigente. Perfino un inveterato innovatore come l’ex Presidente Cossiga ha invitato a rinviare alle Camere una legge ordinaria che introducesse un nuovo lodo Schifani. Sarebbe ben lesivo del ruolo di garante degli equilibri costituzionali del Presidente della Repubblica se una successiva pronuncia della Corte Costituzionale sancisse l’incostituzionalità di una legge promulgata dal Capo dello Stato malgrado le riserve che nei confronti di tale legge da più parti (giurisprudenza, dottrina e forze politiche) si levano. È un vulnus alla funzione del Presidente della Repubblica che il nostro ordinamento non si può permettere. Quando la moral suasion è costretta a tacere occorre ascoltare solo la voce della Costituzione. da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 28, 2008, 05:45:18 pm » |
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28/6/2008 Come è vecchio il nuovo lodo MICHELE AINIS Un tratto di penna del legislatore e intere biblioteche vanno al macero», recita il celebre aforisma di Kirchmann, coniato durante la metà dell’Ottocento. Lui, però, scriveva quando la politica era davvero onnipotente, perché non incontrava il baluardo delle Costituzioni rigide, e perché quindi non subiva l’altolà dei tribunali costituzionali. Ecco, è proprio la Consulta il convitato di pietra che sedeva ieri in Consiglio dei ministri, mentre il governo decideva la riesumazione del lodo Schifani, già varato nel 2003, già annullato dalla Corte costituzionale nel 2004. Avrà miglior fortuna questo lodo redivivo? Se la Corte rispetterà alla lettera la sua precedente decisione, la risposta è no. Perché il governo Berlusconi si è curato d’arginare la prima obiezione sollevata nella sentenza n. 24 del 2004, ha finto di parare la seconda, ha glissato sulla terza. Vediamole dunque una per una, le ragioni che a suo tempo accesero il rosso della Consulta sulla sospensione per legge dei processi contro le alte cariche dello Stato. Primo: la salvaguardia del diritto di difesa processuale. Quello dei terzi coinvolti nel giudizio, ma altresì quello del medesimo imputato, costretto a tenersi sul groppone un’accusa (in ipotesi) infamante, oppure a dimettersi a tambur battente. Ma qui il nuovo lodo ci mette una pezza dichiarando rinunziabile l’immunità, e stabilendo una corsia preferenziale per le parti civili. Poi, certo, si potrà discutere sulla coerenza d’una garanzia oggettiva (l’immunità non garantisce l’uomo bensì la carica) legata alle scelte soggettive del suo titolare; però almeno formalmente il lodo del governo rispetta il lodo della Corte. Secondo: nel 2004 quest’ultima aveva stabilito che l’immunità non può protrarsi a tempo indeterminato, per non offendere il principio della ragionevole durata dei processi. E infatti stavolta il governo ne ha circoscritto l’estensione a un'unica legislatura, a un unico mandato. Domanda: e se nella legislatura successiva il presidente della Camera diventasse presidente del Consiglio (a Fini non dispiacerebbe), o se il presidente del Consiglio salisse al Quirinale (neppure Berlusconi ne sarebbe dispiaciuto)? Secondo il lodo-bis, e sia pure con qualche oscurità linguistica: nuovo giro, nuova immunità. E allora qui il semaforo da verde si fa giallo, perché la Corte aveva preso espressamente in esame quest’ipotesi, traendone una ragione d'incostituzionalità. Ma il vero punto critico è piuttosto il terzo, caduto singolarmente nel silenzio durante il dibattito che ha preceduto l'iniziativa legislativa del governo. Disse la Corte: il (vecchio) lodo viola il principio d'eguaglianza perché «accomuna in unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni»; e perché inoltre «distingue i Presidenti rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti». E il nuovo lodo? Ripete pari pari il vecchio, limitandosi a escludere dal suo ombrello normativo il presidente della Corte. Magari è una vendetta, ma non suonerà come una contro-vendetta la sua futura stroncatura. Anche se, diciamolo: la Consulta aveva posto una condizione impossibile. Per soddisfarla, il nuovo lodo avrebbe dovuto restringersi al capo dello Stato, o allargarsi a tutti i ministri e a mille parlamentari. La santificazione della casta. micheleainis@tin.it da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 05, 2008, 12:09:03 am » |
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Salva premier, a rischio anche il processo per la Diaz
Tra i processi che rischiano di saltare per effetto della norma blocca processi, c’è pure quello sui misfatti della caserma Diaz. È ripresa giovedì la requisitoria dei pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini contro i 29 poliziotti che nelle tragiche giornate del luglio 2001 fecero irruzione nella sede del Genoa Social Forum picchiando a sangue 93 manifestanti che dormivano nella scuola Armando Diaz. Gli agenti delle forze dell’ordine sono accusati a vario titolo di violenza privata, lesioni, falso, calunnia, perquisizione arbitraria e porto d'armi da guerra.
Ma a far cadere tutto potrebbe arrivare proprio quella norma voluta dal premier per bloccare il suo processo per corruzione in atti giudiziari: la blocca processi infatti sospenderebbe tutti i procedimenti per reati “minori” compiuti prima del giugno 2002. Dunque, Diaz compresa. Ma quella pagina nera della nostra storia non può essere archiviata così. Per questo il Comitato verità e giustizia per Genova l’8 luglio parteciperà alla manifestazione promossa da Colombo, Pardi e Flores D’Arcais contro le intenzioni del governo Berlusconi in materia di giustizia. «Ci pareva già tutto molto grave - dicono - ma questo sarebbe un colpo di mano indegno di una democrazia minimamente decente. La sospensione – concludono – sarebbe una beffa per chi aspetta giustizia, ed un ulteriore colpo alla credibilità delle istituzioni».
Contro questa possibilità si è scagliato anche l'eurodeputato Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum ai tempi del G8, secondo il quale «è fondamentale che il processo sulle violenze alla Diaz si concluda e non venga sospeso a causa della salva premier». «Al tempo il governo Berlusconi fu complice delle violenze e oggi cerca di bloccare il processo».
Secondo fonti giudiziarie, potrebbe comunque restare in piedi la contestazione ad alcuni imputati del reato di porto d'armi da guerra, le famigerate bottiglie molotov che la polizia piazzò nella Diaz, perché il reato prevede pene maggiori rispetto a quelli sospesi dalla blocca-processi. La requisitoria dei pm si articolerà in quattro udienza: per il 10 luglio sono previste le richieste di condanna, mentre la conclusione del processo, e di conseguenza la sentenza di primo grado, non arriverà prima del prossimo ottobre. Norme salva premier permettendo.
Il processo, comunque, intanto va avanti. E il pm Enrico Zucca ha aperto la sua requisitoria smontando il principale pilastro della difesa: non ci fu nessuna sassaiola. Secondo gli avvocati dei 29 agenti di polizia imputati nel processo, infatti, la sanguinosa irruzione alla Diaz fu la reazione a una sassaiola dei manifestanti contro le forze dell’ordine. Ma il pm sostiene che nemmeno una pietra fu lanciata contro la polizia.
La requisitoria, durata circa 4 ore e mezza. Il pm, riferendosi al processo in corso, ha spiegato:«Noi riteniamo di aver usato prudenza nelle indagini, ma ora chiediamo alla giustizia rigore. Invochiamo ordine e legge per il rispetto delle persone e dei diritti». «Il G8 nel suo complesso è stato messo fuori da questo processo - ha sottolineato - perchè ci siamo dovuti concentrare sui fatti».
Il pm ha quindi citato il prefetto Ansoino Andreassi, responsabile del G8 a Genova fino all'arrivo del prefetto Arnaldo La Barbera, il quale nella sua deposizione spiegò che all'origine della perquisizione nella scuola Diaz vi fu la ricerca da parte delle forze dell'ordine del riscatto del loro operato e della loro immagine offuscata dai disordini e dalla morte di Carlo Giuliani. Andreassi inoltre rivelò che fu deciso dall'alto e dai vertici presenti a Genova di intraprendere un'azione più efficace nei confronti degli autori di reati che avevano caratterizzato le giornate del vertice e che avevano messo in crisi l'operato delle forze dell'ordine.
Il pm ha ricostruito poi cosa avvenne fuori della scuola prima dell'irruzione: giovani picchiati a manganellate perchè tentarono di fuggire all'arrivo della polizia. Tra questi il giornalista free lance inglese Mark Cowell che solo un poliziotto «buono» riuscì a salvare. «Mi sembrava - ha riferito Cowell, oggi presente in aula - di essere un pallone a cui ognuno voleva dare un calcio». Il giornalista inglese riconobbe anche dei carabinieri presenti davanti alla scuola prima dell'arrivo della polizia. Cowell riportò ferite molto gravi, tra cui la rottura della mascella e di tutti i denti, e venne ricoverato per 45 giorni. «La sera del 21 luglio in via Cesare Battisti e nelle vie limitrofe alla scuola - ha aggiunto il pm - non vigeva neppure il codice penale».
La requisitoria prosegue venerdì per poi concludersi il 10 luglio con le richieste di condanna.
Pubblicato il: 03.07.08 Modificato il: 03.07.08 alle ore 19.50 © l'Unità.
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 06, 2008, 09:36:40 pm » |
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L'Osservatorio
La maggioranza approva il premier
Offensiva sulla giustizia Il Cavaliere «sale», meno consensi ai giudici
Berlusconi è, in questi giorni, nell'occhio del ciclone. Ma le polemiche non sembrano avere nuociuto alla popolarità del Cavaliere. I provvedimenti sul funzionamento della giustizia, che hanno suscitato così intense discussioni, hanno sortito infatti effetti diversi nell'elettorato. I votanti per il centrodestra — che costituiscono a tutt'oggi la netta maggioranza della popolazione — approvano nella loro grandissima parte l'operato del premier, anche in questa circostanza. Non solo: una quota consistente di costoro dichiara di simpatizzare ancor più di prima per il capo del governo e, talvolta, si sente immedesimata (in certi casi, solidale) con lui. Viceversa, all' interno dell'elettorato di centrosinistra sono emersi svariati dubbi e perplessità, sia nel merito delle proposte avanzate da Berlusconi, sia perché queste appaiono a molti finalizzate perlopiù a proteggere se stesso.
Nell'insieme si registra, rispetto a maggio (il mese di insediamento del governo), una crescita della fiducia espressa nei confronti del presidente del Consiglio (dal 47% al 56%, originati ovviamente in netta prevalenza da elettori del centrodestra) e un incremento ancora maggiore delle valutazioni positive rispetto all'operato del governo nel suo complesso. Questo andamento è frutto della netta diminuzione delle dichiarazioni di "sospensione del giudizio" espresse a maggio e evidenziate dalle risposte "non so" (erano il 26% e sono oggi il 6%) e del loro trasferimento verso opinioni negative (della gran parte dell'elettorato di centrosinistra) o positive. Queste ultime costituiscono oggi il 61%: l'esecutivo può dunque contare sul sostegno della maggioranza assoluta degli italiani.
Si tratta di un esito assai diverso rispetto a quanto accadde qualche mese dopo l'avvio dei precedenti governi Berlusconi, nel 1994 (quando i giudizi positivi raggiungevano il 38%) e nel 2001 (27%). Anche allora si assisteva a scontri roventi tra il Cavaliere e la magistratura. Ma oggi appaiono mutati significativamente gli orientamenti della pubblica opinione riguardo ai giudici e ai temi della giustizia. In particolare, si registra una progressiva irrilevanza percepita nei confronti di questi ultimi da buona parte dell'elettorato, specie quello di centrodestra. In questo settore prevale l'idea, ben sintetizzata da un intervistato, secondo il quale «se Berlusconi fa una politica che mi aggrada per i temi economici e quelli della sicurezza, faccia pure tutto quello che vuole per difendersi dai giudici. La cosa non mi riguarda».
Ma il motivo principale del mutamento dello stato dell'opinione pubblica va ricercato nel diminuito consenso popolare per la magistratura, rilevabile in questi mesi e frutto di un trend di decremento in corso da diversi anni (ciò che spiega anche il significativamente più positivo andamento della popolarità di Berlusconi rispetto al 1994 e al 2001). Se si confronta il livello attuale della fiducia nella magistratura con il dato di solo un anno fa, si nota che il favore per i giudici è calato: l'andamento negativo è presente nell'elettorato di centrodestra, ma si riscontra, in misura ancora maggiore, in quello di centrosinistra e tra gli indecisi o potenzialmente astenuti ed è quindi, in sostanza, percepibile in tutta la popolazione. La tendenza è tanto più significativa se si considera il fatto che nel medesimo periodo si è fortemente accresciuto il consenso per diverse altre istituzioni. In primo luogo per il presidente del Consiglio in carica. Ma anche, in misura notevole, per il presidente della Repubblica e per il Parlamento. E, ancora, per Polizia e Carabinieri, nonché perfino per l'Unione Europea. Le uniche ad avere un andamento opposto, cioè negativo, sono, oltre alla magistratura, il sindacato e le banche, da sempre ultime nella classifica della fiducia.
Nel 1994, all'epoca del primo governo Berlusconi, i giudici rappresentavano l'istituzione alla quale i cittadini davano in assoluto i voti più alti (67%), tanto che essi si collocavano in vetta alla graduatoria dei consensi. Oggi le cose appaiono radicalmente cambiate. E il Cavaliere sembra esserne pienamente consapevole.
Renato Mannheimer 06 luglio 2008
da corriere.it
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