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Autore Discussione: La prima volta di Berlusconi. Sul giornale e la radio del papa  (Letto 2477 volte)
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« inserito:: Giugno 06, 2008, 10:36:18 pm »

Ieri 5 giugno 2008, 17.38.39

La prima volta di Berlusconi. Sul giornale e la radio del papa

 Sandro Magister


“Si tratta della prima intervista realizzata congiuntamente dai due organi di informazione della Santa Sede a un presidente del Consiglio italiano”. Così Marco Bellizi e Luca Collodi, rispettivamente de “L’Osservatore Romano” e della Radio Vaticana, introducono un ampio botta e risposta con Silvio Berlusconi, alla vigilia della sua udienza con Benedetto XVI di venerdì 6 giugno.

Ecco qui di seguito il testo integrale dell’intervista, che occupa due colonne di lancio in prima pagina e quasi l’intera seconda pagina del giornale del papa in edicola domattina, con nel titolo le parole di Berlusconi: “La Chiesa è una ricchezza. Dialogo su ogni argomento”.


*


La Chiesa è una ricchezza per lo Stato, perciò il dialogo è aperto su ogni argomento. Solo un regime totalitario elimina il contributo della religione al dibattito pubblico. È un passaggio dell’intervista che il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Silvio Berlusconi, ha concesso a “L’Osservatore Romano” e alla Radio Vaticana, alla vigilia dell’udienza con Benedetto XVI. Si tratta della prima intervista realizzata congiuntamente dai due organi di informazione della Santa Sede a un presidente del Consiglio italiano. Berlusconi passa in rassegna diversi temi la cui urgenza è stata sottolineata anche dalle riflessioni dei vescovi italiani nella loro recente assemblea. Sui fenomeni, preoccupanti, di ribellione e insofferenza da parte della cittadinanza, in Italia come in Europa – ha detto Berlusconi – ci sono responsabilità e colpe dell’Unione europea, che non ha tenuto adeguatamente conto delle necessità degli Stati membri. Ma in Italia, ora, c’è bisogno soprattutto di collaborazione, per affrontare le grandi emergenze del Paese.

D. – Presidente, sono molti i temi sul tappeto. Lasciamo sullo sfondo i temi del dibattito politico che troviamo trattati sui giornali e sui quali siamo tutti ampiamente informati. Focalizziamo, invece, il nostro colloquio su alcune grandi urgenze proposte dalla riflessione della Chiesa. Il primo è il rapporto tra Chiesa e Stato. Presidente Berlusconi, su quali temi è possibile dialogare e su quali, invece, è possibile trovare degli accordi?

R. – Direi su tutti i temi, senza che ci siano limitazioni alcune. Quindi è possibile ogni dialogo su ogni argomento. La nostra Costituzione, la Costituzione italiana, è molto chiara a questo riguardo. Non ci possono essere preclusioni alla manifestazione di opinioni e di principi da parte di alcuno, e la Chiesa e le sue organizzazioni hanno tutto il diritto di esprimere le proprie valutazioni e lo Stato – lo Stato laico – poi esprimerà un suo giudizio e potrà servirsi e seguire queste valutazioni nella sua azione politica. Anche lo Stato, da parte sua, ha le sue forme di espressione della volontà che, in un regime democratico, avviene attraverso gli organi rappresentativi, i quali hanno un potere legiferante. Non c’è nessun dubbio che non ci siano limiti a questo potere, se non quelli espressi nella Costituzione. E questo è il fondamento che legittima, appunto, la laicità dello Stato;  questo  non esclude però che tutte le forze che operano nella società abbiano il diritto di esprimersi in funzione delle proprie convinzioni, che sono politiche ma che sono anche religiose o culturali o di impostazione economica e sociale. Io ritengo che sarebbe una perdita significativa di libertà, per lo Stato, escludere o soffocare la manifestazione di queste convinzioni, direi di qualsiasi convinzione. È tipico proprio di ogni totalitarismo di sopprimerle, ed è un dato storico che i regimi totalitari incominciano proprio con il soffocare la libertà di espressione da parte delle istituzioni religiose. Io sono convinto che proprio per la sua millenaria esperienza, per il suo contatto con tutte le fasce sociali, a cominciare dalle fasce sociali più deboli, la Chiesa rappresenti una ricchezza per lo Stato. Lo Stato, volendo essere e volendo restare laico, deve fuggire dal pericolo di diventare ideologico, di diventare settario e alla fine addirittura totalitario. Perciò, il dialogo che precede il rapporto tra Stato e Chiesa come organismi giuridici, è un dialogo assolutamente positivo, che risiede nella natura stessa della società e dimostra la libertà e la pluralità della società.

D. – Presidente, la Chiesa insiste molto sul concetto di bene comune. In Italia, ma anche in Europa, ci sono segnali di inquietudine sociale, talvolta di ribellione, anche, alle decisioni istituzionali che arrivano fino anche all’intolleranza: pensiamo, ovviamente, al tema dei rifiuti in Italia e anche all’accoglienza degli immigrati. Secondo lei, le istituzioni nazionali ed europee, dove hanno sbagliato nell’azione politica, e come si può ricostruire il consenso sociale per il bene comune?

R. – Intanto, credo che sia necessario fare una premessa. In Italia, i fenomeni di cui ha parlato hanno assunto connotati molto minori di quelli che si evidenziano in altri Paesi. Si connotano soprattutto come avvenimenti singoli, episodici e non certo di massa: penso al raffronto  con  quanto  è  accaduto  nelle banlieues parigine, con certe tensioni che si sono create anche nelle città tedesche o anche in città britanniche. Detto questo, anche da noi esistono questi segnali che non vanno sottovalutati. E io direi che, soprattutto, non vanno sottovalutati i problemi che sono a monte di questi disagi, cioè le difficoltà economiche, i problemi occupazionali – in particolare per i giovani – le difficoltà di integrare il flusso massiccio di ospiti provenienti da altre nazioni con altre culture, con altre religioni, con i nostri cittadini. Sono questi tutti problemi che sono alla base, in Italia e in Europa, di quello che lei ha parlato disegnandolo come un “ribellismo” giovanile e, più in generale, di un nuovo egoismo, di un rinchiudersi in se stessi di fronte alle minacce esterne, vere o presunte che siano. Quindi, la politica del nostro Governo mira innanzitutto a tagliare alle radici queste motivazioni rilanciando l’economia, per creare un benessere più diffuso anche verso i nuovi cittadini, e costruendo una politica della sicurezza e dell’accoglienza che sappia coniugare la garanzia dei diritti con un rigoroso rispetto dei doveri. Credo, certo, che questo non basterà a sanare tutto, perché il disagio sociale è grande ed è una malattia che bisogna curare con un massiccio rilancio proprio dei valori morali e religiosi. Ma comunque, queste saranno le fondamenta necessarie per costruire una convivenza civile che metta ai margini le frange di ribellione collettiva e limiti nei singoli l’istinto di chiusura e di egoismo. Quanto poi su che cosa i governi o addirittura l’Unione europea abbiano sbagliato a questo riguardo, io non so darle ora una risposta documentata. L’Unione europea, secondo me, deve cambiare, perché oggi i cittadini di tutta Europa la sentono non come qualcosa che aiuta, ma come qualcosa che costringe i singoli Stati a tutta una serie di situazioni, di limitazioni che non vanno nella direzione del bene dei cittadini. Io credo che noi dobbiamo fare una profonda revisione del modo di agire dell’Europa. Ne ho parlato in questi giorni proprio con alcuni colleghi, con Sarkozy, con Rodríguez Zapatero, ne avevo parlato con Tony Blair e con altri, e sono tutti convinti che siamo di fronte alla necessità di una riflessione su ciò che l’Europa non ha fatto, su ciò che l’Europa ha fatto sbagliando, su ciò che l’Europa dovrà fare.

D. – Di recente il Papa ha espresso ai vescovi italiani la sua gioia per il rinnovato clima politico che si respira in Italia. La riflessione che vorrei fare con lei è questa: che rapporti ci sono con l’opposizione, con l’opposizione parlamentare e – ci permetta una franchezza –  vi parlate, al telefono, anche con Veltroni, con una certa regolarità?

R. – C’è una certa regolarità di contatti con Veltroni e anche con altri esponenti dell’opposizione che, da parte nostra, è sempre stato un atteggiamento convinto. Siamo assolutamente aperti al confronto con gli altri, e li rispettiamo tutti, a partire da quelli che sono i meno fortunati. Questo, perciò, nella vita politica vale assolutamente nei confronti di tutti. Le dirò che poi, tra l’altro, abbiamo anche una maggiore facilità adesso, perché ali estreme della sinistra e della destra non sono presenti in Parlamento, quindi l’opposizione che troviamo in Parlamento dovrebbe essere – io spero che lo sia – una opposizione che pensa soprattutto al bene comune. Abbiamo cinque anni di lavoro di questo Governo e l’opposizione non penso che voglia tornare a essere quella che è stata in passato, durante il mio primo Governo, quella – cioè – che aspettava che noi prendessimo una decisione per dire che era sbagliata. Io credo che invece la situazione dell’Italia, i tanti momenti negativi che noi abbiamo ereditato, e che viviamo, siano tali da necessitare l’impegno di tutti, se vogliamo veramente riuscire a far rialzare l’Italia. In questi giorni, mi sono incontrato con dei leader europei e tutti si lamentavano di quello che stanno soffrendo tutti i Paesi d’Europa: l’alto prezzo del petrolio, delle altre materie prime, il fatto della competizione che ci viene imposta con prodotti che vengono dall’Oriente, dove il costo del lavoro è una frazione del costo che abbiamo noi, il fatto del prezzo del petrolio, l’ipervalutazione dell’euro, che rende difficilissime le nostre esportazioni … A queste cose noi aggiungiamo altre cose che sono mali nostri e che purtroppo gli altri non hanno: l’eccessivo costo dello Stato, della pubblica amministrazione, che è circa il 50% di più di quello che costano gli altri Stati agli altri cittadini europei; il debito pubblico che qui è il più elevato, che ci fa spendere decine di miliardi in interessi passivi ogni anno; l’evasione eccessiva, che riguarda quasi il 20 per cento del nostro prodotto interno; l’energia, che paghiamo più di tutti gli altri Stati perché dobbiamo comprarla tutta all’estero; la carenza di infrastrutture, per non parlare poi della situazione tragica di Napoli, della Campania, che ci espone a un disastro per quanto riguarda anche le nostre esportazioni, del made in Italy, dell’alta tecnologia, dei nostri cibi pregiati, verso l’estero. Io credo che siamo di fronte a una situazione che tutti conoscono, e questa consapevolezza che sono sicuro sia in tutti, non possa che comportare un diverso atteggiamento anche nella lotta politica: che diventi meno lotta e diventi invece più considerazione dell’interesse comune.

D. – Presidente, l’inquietudine sociale di cui parlavamo prima coinvolge indubbiamente anche la famiglia, sul piano economico. Le associazioni familiari chiedono da tempo sgravi familiari. Crede che questa sia una strada praticabile?

R. – Guardi, noi lo abbiamo già praticata in due direzioni. La prima è quella di avere abolito l’imposta comunale sugli immobili sulla prima casa: e questo è un primo aiuto dato alle famiglie. Secondo, quello di avere abolito, praticamente ridotto moltissimo, quasi completamente, la tassazione di quel lavoro in più – gli straordinari – oppure di quegli stipendi e salari in più legati a premi di produttività. Con questo, credo, innovando e rivoluzionando il rapporto tra imprese e i loro collaboratori: si potrà da qui in avanti tenere fermo l’ammontare dello stipendio su cui grava una tassazione che, grosso modo, è intorno al 45-46 per cento, e lasciando ferma questa prima parte, fare incrementi di stipendio nella direzione di premi di produttività che saranno tassati soltanto per il 10 per cento. Questo credo che sarà un altro grande aiuto. Poi, di aiuti, ne abbiamo in programma tanti. Il primo, più importante, soprattutto per le famiglie numerose, sarebbe quello del quoziente familiare che già è una realtà – per esempio – in Francia: cioè, quando un capofamiglia singolo deve mantenere moglie e più figli, non ci sembra logico che, guadagnando la stessa somma, paghi le stesse imposte di un single. In Francia, per esempio – per fare un esempio concreto – chi guadagna 35.000 euro all’anno e ha a carico proprio la moglie e tre figli, praticamente non paga l’imposta personale mentre, invece, naturalmente, in Italia questa imposta arriva – mi sembra – a 5.600 euro. Ecco: questa è una cosa che noi abbiamo in mente e che sarà possibile se ci sarà uno sviluppo positivo dei conti pubblici nei nostri bilanci. Siamo impegnati a far sì che si risparmino molti soldi là dove le spese sono inutili, a evitare tutti gli sprechi, a limare i privilegi, a chiudere delle società che non portano nulla, a operare all’interno della pubblica amministrazione affinché tutti lavorino il giusto e chi non lavora possa essere anche allontanato. Insomma, è un lavoro non da poco; non è un lavoro immediato, breve. È un lavoro di medio periodo, però è il lavoro che noi ci stiamo accingendo a fare e nell’ambito della pubblica amministrazione, ha incominciato molto bene il nostro Gianni Letta.

D. – Presidente, affrontiamo il tema dell’emergenza educativa. Di recente, in Italia, il cardinale Bagnasco ha richiamato l’attenzione su alcuni aspetti problematici dei media, soprattutto nella prospettiva dello sviluppo del digitale terrestre e anche della tv satellitare. Cosa ne pensa lei? E crede che sia possibile armonizzare le esigenze commerciali con le responsabilità che hanno oggi la radio, la televisione, in particolare la televisione nella formazione dell’individuo? Pensiamo, per esempio, alla Campania, dove c’è un’emergenza rifiuti: quanto sarebbe interessante educare i giovani, per esempio, all’educazione ecologica?

R. – Non è necessario e interessante, è addirittura indispensabile. Tant’è vero che nel piano che sto mettendo a punto per risolvere questo problema dei rifiuti in Campania e a Napoli, una delle cose più importanti è la raccolta differenziata che verrà insegnata soprattutto nelle scuole, affinché gli stessi ragazzi possano, a casa loro, convincere padre e madre ad adeguarsi a quella che è una necessità affinché Napoli possa riportarsi a quel livello di civiltà che dovrebbe essere indispensabile per una città e che restituisca, tra l’altro, a Napoli lo splendore di città dell’arte quale essa è, in effetti. Perciò, è molto importante che la scuola educhi gli alunni al senso civico, al rispetto degli altri, anche attraverso questi comportamenti che riguardano fatti come la raccolta differenziata; ma è anche importante che i media si possano cimentare nella formazione dei giovani, ma direi anche di tutti i cittadini di qualsiasi età. Vede, qui c’è una carenza della nostra radio e della nostra televisione nazionale, che è pagata attraverso il canone e quindi con i soldi di tutti e che invece è diventata una televisione commerciale come le televisioni private, pur usufruendo – come ho appena detto – del canone da parte dei cittadini, di una tassa che i cittadini sono costretti a pagare. Vede, le funzioni della televisione privata, commerciale e della televisione pubblica dovrebbero essere assolutamente diverse. La televisione privata dovrebbe avere tra le sue funzioni quella di divertire, come seconda funzione quella di informare e soltanto successivamente, quella di formare. La televisione pubblica e la radio pubblica dovrebbero invece esattamente fare il contrario: dovrebbero avere come prima funzione quella di formare, poi quella di informare e infine, magari, anche quella di divertire. Pensate a quello che invece è la nostra televisione pubblica oggi: si vede che è esattamente come una televisione commerciale. Credo che dovremo introdurre un cambiamento se non globale, almeno limitato, destinando anche programmi di formazione, ma non nelle ore impossibili, oltre la mezzanotte, alla mattina prestissimo, eccetera: anche in ore centrali della giornata. E credo che questo, a Napoli, sia assolutamente indispensabile.

D. – Passiamo a un tema internazionale: il vertice della Fao sull’emergenza alimentare sta terminando. Sono – siamo – tutti d’accordo nel combattere la fame nel mondo ma poi, quando si tratta di operare concretamente impegnando soldi ed energie, gli Stati un po’ si defilano. Qual è la sua posizione e quella dell’Italia?

R. – Io sono stato per qualche ora presidente dell’Assemblea dei 183 Paesi che sono venuti a Roma e ho fatto un intervento in apertura, molto breve, perché volevo inviare un messaggio molto conciso e preciso. Cioè: siamo arrivati al tempo dei fatti e non delle parole, perché la fame non può attendere, perché circa un miliardo di esseri umani certamente non comprende i giochi della grande politica, le logiche del mercato, le sottigliezze delle organizzazioni internazionali, ma hanno semplicemente fame e muoiono di fame. Perciò, il mio invito ai partecipanti del Congresso è stato questo: non dilungatevi sulle analisi storiche, sulle analisi accademiche! Trovate soluzioni concrete su cui impegnarvi, e decidete anche i tempi della loro realizzazione. Quindi, la lotta alla fame si divide oggi in due momenti: anzitutto l’emergenza, dovuta al fatto che alcuni Paesi che prima erano Paesi di auto-consumo, hanno incominciato, allontanandosi dalla povertà, a soddisfare i loro bisogni anche acquistando i beni alimentari all’estero, in testa a tutti la Cina e l’India, e la speculazione si è subito infilata in questo varco. Ora, per questo bisogna avere subito disponibilità finanziarie, bisogna attingere alle riserve disponibili per alleviare le situazioni più drammatiche, più disperate, e bisogna che i Paesi più ricchi mettano a disposizione maggiori risorse per fare fronte a questa situazione. E a questo proposito io ho detto: ma, non dobbiamo assistere senza fare nulla alla impennata dei prezzi! Se c’è qualcuno che deve pagare i prezzi in più, c’è anche qualcuno che incassa prezzi in più. E quindi, bisognerebbe chiedere agli Stati, dove ci sono i produttori che hanno queste utilità, di incassare questi utili e che il sovrapprezzo speculativo dei produttori venga destinato in parte ad aiuti immediati. La seconda fase è chiedere contributi da parte delle Nazioni Unite ai Paesi produttori di petrolio che incassano ogni giorno degli utili straordinari. Infine, e noi abbiamo tra l’altro dato anche il buon esempio, perché abbiamo portato da 60 milioni a 190 milioni il nostro contributo per il 2008, bisognerebbe che l’Europa – e di questo ho parlato con Rodríguez Zapatero e Sarkozy che si sono dichiarati d’accordo – non calcolasse nei deficit, quando noi presentiamo i bilanci, le somme che i singoli Stati potrebbero destinare all’aiuto alimentare. E se questo accadesse – io ne parlerò nel prossimo Consiglio europeo – noi e tutti gli altri Paesi potremmo aumentare immediatamente i nostri aiuti. Ma poi, c’è il futuro, e il futuro si risolve soltanto con una maggiore formazione, con una più ampia messa a disposizione delle varie tecnologie, con il ricorso all’Ogm in tutti i singoli Paesi, dove si deve arrivare a una possibilità di sopperire autonomamente alle proprie esigenze alimentari. Cioè: il futuro non è che nell’auto-produzione di ciascun Paese. Per fare questo, c’è un grande ostacolo ed è che molti di questi Paesi sono Paesi ancora non democratici. E soltanto la democrazia può consentire la libertà dei singoli,  solo con la libertà i singoli possono mettere a frutto i loro talenti in ogni settore, quindi anche come imprenditori nell’agricoltura. E questo è il grande problema su cui dovrebbero ragionare e unirsi tutte le democrazie liberali del mondo per sviluppare tutte le azioni possibili affinché i Paesi che sono quelli più poveri, in cui esistono dittature e governi autocratici possano passare da questa situazione a una situazione di democrazia. Soltanto con la democrazia mondiale, di tutti i Paesi, potremmo avere in futuro una pace mondiale che dia veramente, a tutti i cittadini del mondo, la possibilità di guardare al futuro senza angoscia.

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