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« Risposta #1 inserito:: Giugno 06, 2008, 01:57:59 pm » |
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6/6/2008 (7:32) - RETROSCENA - LA STRATEGIA DEL DOPPIO BINARIO DEL PREMIER
Silvio, bastone e carota per imbrigliare Veltroni Il numero uno del Pd Walter Veltroni
Tremonti e Letta, due linee diverse: e Berlusconi le usa a suo vantaggio
AUGUSTO MINZOLINI
ROMA Che tra Walter Veltroni e Giulio Tremonti non corra buon sangue non è una novità. Al primo piace il linguaggio felpato e accomodante di Gianni Letta. Al secondo il sarcasmo di Massimo D’Alema. L’antipatia tra Veltroni e Tremonti negli ultimi tempi è venuta spesso a galla. Nella sua ultima apparizione a Ballarò, ad esempio, il leader del Pd ha preteso e ottenuto di non avere in trasmissione come interlocutore il ministro dell’Economia ma il meno ruvido Roberto Formigoni. Solo che le distanze, a quanto pare, oltre ad essere caratteriali sono in qualche modo anche politiche. L’altra sera Tremonti si è incontrato con il neo-sindaco di Roma, Gianni Alemanno, per un confronto sul bilancio del comune e ne ha tracciato un quadro severo. «C’è da mettersi le mani nei capelli», ha spiegato. E per risolvere la situazione ha addirittura ipotizzato uno strumento da «ultima ratio», una dichiarazione di dissesto finanziario del Campidoglio. Una decisione su cui Alemanno ha diversi dubbi visto che gli legherebbe le mani: a lui rimarrebbe la gestione degli affari correnti mentre per il resto dovrebbe essere affiancato da commissari del ministero dell’Economia. Il provvedimento nella testa di Tremonti poi andrebbe aggiungersi ad una decisione che è data quasi per scontata: il commissariamento del settore Sanità della Regione Lazio guidata da un altro veltroniano di ferro, Piero Marrazzo. Ora, aldilà degli strumenti che alla fine saranno utilizzati, l’operazione, a conti fatti, non manca di un risvolto politico: sentenzierebbe la «crisi» del «modello Veltroni».
Naturalmente il leader del Pd sta tentando di correre ai ripari usando il canale preferenziale che ha nel centro-destra, cioè il «gran visir» del Cavaliere Gianni Letta. Sembra che l’argomento, insieme a tanti altri, ha fatto capolino anche nell’incontro che i due hanno avuto ieri mattina. «Lo considererei - avrebbe spiegato Veltroni - un attacco personale al leader dell’opposizione». Traduzione: un colpo al dialogo. Una tesi che Letta non mancherà di riportare al Cavaliere per sollecitarlo a chiedere al ministro dell’Economia di trattare la vicenda con i guanti di velluto. La vicenda, però, segnala la presenza nella maggioranza di governo se non proprio di due politiche sicuramente di due sensibilità diverse. «Inutile nasconderlo - osserva un ministro della corte del Cavaliere - dentro il governo ci sono due linee diverse: una più protesa al dialogo a tutti i costi, cioè quella di Letta; un’altra che invece privilegia il dialogo in un rapporto chiaro, limpido e magari duro, quando occorre, con l’opposizione. Una posizione perseguita da Tremonti che è condivisa da altri tra noi e che piace alla Lega. Ma è chiaro che se venissero fuori i numeri della gestione di Veltroni del Campidoglio, più di sette miliardi di buco, il personaggio dovrebbe ritirarsi dalla politica».
Per cui il «pendolarismo» del Cavaliere tra il decisionismo e il dialogo non è solo dettato dalle propensioni caratteriali del personaggio, ma anche dalle due scuole di pensiero che convivono nel governo e nella maggioranza. E il premier ne approfitta pure. Ieri Berlusconi ha ripetuto che con Veltroni e altri esponenti dell’opposizione «c’è una regolarità di contatti», osserva che «il dialogo è necessario» e che «per ora sta andando avanti bene nell’interesse del paese». Ma si ha anche la sensazione che il Cavaliere utilizzi la tradizionale tattica del bastone e della carota. E’ disposto a dialogare, ma vuole in cambio una disponibilità dell’opposizione a collaborare. Altrimenti Veltroni potrebbe vedersela non più con la carota-Letta ma con il bastone-Tremonti. E la “tecnica” ha portato risultati in queste settimane. Veltroni aveva chiesto come pregiudiziale per il dialogo la proroga sul rinnovo del cda Rai. All’inizio il premier ha cincischiato poi alla fine il nuovo governo Rai si farà. «Andremo avanti - spiegava ieri il sottosegretario alle comunicazioni, Paolo Romani - come un treno». Ed ancora più evidente è quello che è successo sul «reato di immigrazione clandestina»: prima è stato inserito nel disegno di legge; poi Berlusconi ha espresso le sue perplessità; poi per placare Bossi si è ipotizzato un reato contravvenzionale, che prevedesse solo una sanzione pecuniaria e l’espulsione sul modello spagnolo; ieri, infine, a quanto pare è tornato in voga l’idea di un regime più severo che prevede la detenzione o l’ammenda. «Un sistema simile - ha spiegato uno dei consiglieri del Premier, Niccolò Ghedini - a quello francese». Insomma, un no alla proposta dell’opposizione di non introdurre il reato.
Appunto, il Cavaliere utilizza le due linee presenti nella sua maggioranza e, contemporaneamente, si barcamena. Anche perché malgrado la dose di “decisionismo” che c’è nel governo deve far fronte anche alla gran voglia di protagonismo che serpeggia tra i suoi. Ieri il premier avrà avuto anche altri impegni, come le interviste alle emittenti vaticane in preparazione della visita di oggi al Papa, ma la riunione del Consiglio dei ministri è saltata perché non si era trovato ancora un accordo sulla suddivisione delle deleghe tra alcuni ministri senza portafoglio e sottosegretari alla presidenza. Nulla di drammatico, ovviamente. Ieri sera, ad esempio, il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, ha trovato un’intesa con altri due ministri che intervengono sulla sua materia, Bossi e Calderoli. Ma, c’è ancora da accontentare Michela Brambilla che è di nuovo sul piede di guerra: «Sono pronta a rompere ancora le scatole, avrò dell’altro in prospettiva». E lo stesso vale su alcune deleghe che riguardano la “famiglia” contese tra Giovanardi e Mara Carfagna. Per non parlare del protagonismo di Brunetta, che dichiara come se fosse il ministro dell’Economia, facendo arrabbiare l’originale.
Cose che sono capitate in passato anche a governi di cui il cavaliere non vorrebbe seguire l’esempio: anche una riunione dell’ultimo gabinetto Prodi saltò perché non c’era intesa sulle deleghe. Si tratta di segnali fisiologici, di assestamento, anche se preoccupanti. Come l’insoddisfazione che regna nei gruppi parlamentari del Pdl, di chi pensava di ottenere un posto di governo ed è rimasto deluso: ieri tra i banchi di Montecitorio continuavano ad esserci troppe assenze a testimonianza di questo malessere. Il Cavaliere per ora fa finta di niente: tutti giurano che all’inizio dell’estate nominerà qualche viceministro e aggiungerà 8-9 sottosegretari. Ma più che di certezze si tratta di speranze. Gli aspiranti comunque non si danno per vinti. Qualcuno come il segretario del Pri Francesco Nucara è andato a parlare addirittura al Quirinale dei limiti di una compagine ministeriale ridotta ai minimi termini: «Napolitano mi ha dato ragione - racconta -. Mi ha detto: “Hanno posto questo tetto di 60 membri senza usare la testa. E poi come si fa ad introdurre una norma simile come ha fatto Prodi, con un comma nella finanziaria?”».
da lastampa.it
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