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« Risposta #1 inserito:: Giugno 28, 2008, 05:49:51 pm » |
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Un civilista di grido per il «contratto prematrimoniale»
Le «nozze» di Hillary e Obama. Con avvocato
Questioni aperte Chi pagherà i debiti della Clinton, quale sarà il suo ruolo e quello del suo staff, che ne sarà di Bill
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON — «The road to Unity», la strada verso l'unità o verso Unity, il luogo- metafora del New Hampshire dove gli ex nemici Barack Obama e Hillary Clinton celebrano stamane il primo evento elettorale congiunto, è cominciata ieri sera. Ma contrariamente alla massima del generale De Gaulle, sempre convinto che «l'intendenza seguirà», il cammino della riconciliazione si annuncia accidentato e soprattutto non condiviso da tutto il popolo democratico. All'Hotel Mayflower, lo stesso dove l'ex governatore di New York Eliot Spitzer si trastullava con signorine da 5 mila dollari l'ora, il candidato democratico alla Casa Bianca e l'ex first lady sconfitta nelle primarie hanno fatto causa comune di fronte a 200 paperoni progressisti, quasi tutti finanziatori di Hillary, che li ha invitati ad aprire i portafogli, se non i loro cuori, all'ex rivale. Ma quello dei donatori è forse il problema più semplice di una trattativa complessiva, iniziata già da qualche giorno, così complicata e insidiosa, da aver richiesto i buoni uffici di uno dei migliori avvocati di Washington: Robert Barnett, lo stesso «brasseur d'affaires» che ha già procurato contratti miliardari con le case editrici, sia per i libri di Obama che per quelli dei coniugi Clinton. L'idea di affidargli l'arbitraggio è stata di Hillary. E in ballo c'è di tutto: il pagamento dei debiti lasciati dalla sua campagna; l'integrazione di parte dello staff clintoniano nella squadra di Obama; il ruolo che la senatrice di New York avrà da qui a novembre, per esempio se avrà uno staff e un aereo per andare in giro a perorare la causa di Barack; quale e quanto spazio le verrà riservato alla convenzione democratica di Denver, quando parlerà, che rilievo le verrà dato. Ultimo ma non ultimo, forse il capitolo più delicato, che ne sarà di Bill Clinton, l'incontrollabile ex presidente, che molti indicano fra le principali ragioni della sconfitta della moglie. I soldi vengono per primi. Anche se Hillary ha ormai rinunciato a recuperare i 10 milioni di dollari che ha sborsato di tasca sua, restano sempre 12 milioni di dollari di conti da saldare. Il fronte di Obama si dice pronto a dare una mano. Ma il campo dei Clinton è scontento che Barack non abbia finora fatto il gesto simbolico, quello di firmare un assegno personale di 2.300 dollari (il massimo consentito per legge) in favore della campagna di Hillary, dando così l'esempio. Né appare disposto a chiedere esplicitamente al suo milione e mezzo di piccoli donatori di contribuire a sanare il debito dell'ex avversaria: «Hanno bilanci ristretti — ha detto martedì —, sanno che lavorerò con il senatore Clinton, se vogliono contribuire possono farlo, io posso incoraggiarli ». E' un atteggiamento che alimenta ancora di più l'ostilità degli ultras clintoniani, minoranza bene organizzata e molto rumorosa, raccolta sotto la sigla «Just say no deal» che riunisce più di 100 siti Internet anti-Obama. Ci sono le donne di «Nobama Mamas», convinte che Hillary sia stata vittima di un'alleanza misogina e che si dicono decise comunque vada a votare per John McCain. Ci sono i Done (Democrats Over Nominating Elitist) e i Puma (Party Unity My Ass) che affibbiano al candidato ogni genere di nomignolo, come Barky, Obambi, Oblahblah. Oppure gli ex membri dello staff di Hillary, quelli che non ci pensano neppure a lavorare per Barack e continuano a chiamarlo spregiativamente come facevano al quartier generale di Arlington durante le primarie: Bho, per Barack Hussein Obama, con l'accento sul secondo nome. Nonostante pubbliche dichiarazioni di lode ed encomio verso Hillary, alcune recenti uscite di Obama hanno sparso altro sale sulle loro ferite. Lunedì mattina, incontrando alcuni congressisti che avevano appoggiato Clinton e parlavano dello shock subito, Obama ha invitato una deputata a get over it, a metterselo alle spalle. «C'è gente ancora arrabbiata, ci vuole tempo», ha detto Terry McAuliffe, ex capo della campagna di Hillary. Ma non è detto che basteranno i quattro mesi rimasti da qui a novembre.
Paolo Valentino 27 giugno 2008
da corriere.it
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