LA-U dell'OLIVO
Marzo 29, 2024, 07:20:31 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Costituente Partito Democratico perché non tagliamo i posti?  (Letto 5062 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Luglio 11, 2007, 05:09:56 pm »

Costituente Pd, perché non tagliamo i posti?

Nando Dalla Chiesa


Fermi tutti. Ripensateci, in nome del cielo (e della democrazia). Ma davvero avete in mente di affibbiare al Partito Democratico prossimo venturo un’assemblea costituente di duemila-duemilacinquecento persone? Ma lo sapete quante sono duemilacinquecento persone? Ma avete mai provato a contarle? Sono decine di plotoni. Sono piazza del Pantheon stracolma con la gente aggrappata ai lampioni e alle finestre. Sono cinque volte cinquecento. Volete dimezzare il numero dei parlamentari perché sono troppi a decidere per un intero paese, e poi quadruplicate i numeri della Camera, ottuplicate i numeri del Senato, per decidere per un solo partito? Ma pensateci, santi numi: che assemblea possono mai essere duemilacinquecento individui? Che cosa possono decidere insieme, su un piano di parità come è giusto e doveroso che sia in una vera assemblea costituente? Come possono parlare, farsi sentire, confrontarsi, obiettare, controargomentare, esprimere le proprie competenze, le proprie passioni, le proprie biografie? Ma chi l’ha avuta questa idea perversa? E perché nessuno si oppone, perché tutti la danno per scontata? Ve lo dico io allora (in tutta umiltà, si intende, pronto a inchinarmi davanti a dimostrazione del contrario), ve lo dico io che cosa sono duemilacinquecento persone. Sono il pubblico, non un’assemblea costituente. Sono il pubblico plaudente; pago, e in fondo perfino orgoglioso, di essere stato ammesso nel ring del grande spettacolo, di avere un pregiato titolo da esibire nei dibattiti e nei salotti locali della politica. Sono la dimostrazione che a dispetto di quel che si dice e si rivendica, siamo tutti berlusconiani, che il Cavaliere che si lascia scappare il “pubblico” al posto dell’“elettorato” o dei “cittadini”, in fondo esprime un senso comune condiviso, annuncia un cambio dei tempi che è di tutti. Dà la cifra anche di quello che vorrebbe essere il partito democratico. Un leader incoronato da duemilacinquecento persone di cui venti, trenta, cento potranno parlare, sette minuti a testa, salva la solita riserva aurea che ha diritto a mezz’ora o cinquanta minuti.

L’ideologia del pubblico travestito da assemblea federale, da organo decisionale, proprio mentre si denunciano le “derive plebiscitarie” della destra. Devo dire la verità. Io più ancora che il candidato unico temo questa assemblea costituente fasulla, che dovrà esprimere il dna del nuovo partito, certificandone sin dall’inizio, se sarà come annunciato, una struttura ferreamente oligarchico-autarchica. Sì, perché dietro il leader, comunque prescelto, non ci sarà un gruppo dirigente vero, votato dagli elettori, dagli iscritti e simpatizzanti nel vagheggiato bagno di democrazia autunnale. Ma ci saranno dieci-quindici capi che faranno parte dei duemilacinquecento; e che si distaccheranno con consumata scioltezza dal pubblico per dettare le loro volontà e ricontrattarle a ogni stormir di fronde della politica quotidiana. Dieci-quindici che assumeranno la guida del partito senza che nessuno li abbia mai indicati come guide. Ma che inventeranno l’ennesimo, arguto meccanismo misto - un po’ di cooptazione, un po’ di investitura unanimistica - che è riuscito a uccidere la passione politica in tanti elettori, perché ciò che nasce nei partiti si riflette inevitabilmente nello svolgimento dei ruoli pubblici e istituzionali e produce, come ha forse prodotto, la più grande crisi di sfiducia nella politica che l’Italia abbia mai sperimentato. La sfiducia, l’alienazione inevitabili quando nei congressi di partito anche il più assiduo dei militanti si ritrova smarrito a chiedere al vicino chi mai siano quel tipo o quella tipa seduti alla presidenza, militi ignoti dell’ultima spartizione a tavolino.

No, amici. Il Partito Democratico sarà tale se la sua assemblea costituente (costituente: si capisce questa parola?) avrà poteri veri. E sarà davvero rappresentativa del popolo democratico. Ossia se non verrà composta attraverso una pletorica affluenza di pubblico dai singoli “collegi” (sic...), dove le candidature verranno proposte con le solite cautele (i collegi sicuri, e gli sconosciuti ben piazzati a rappresentare questa o quella corrente). Ma se avrà, l’assemblea, queste elementari caratteristiche, che dovrebbero essere assolutamente ovvie per chi abbia una passabile nozione di democrazia. Prima caratteristica: essere costituita da duecento, al massimo trecento persone. Che è la dimensione massima per potere discutere e votare consapevolmente e sul serio, a ritmi veloci e senza rinunciare alla propria professione. La dimensione utile, anche, a formare al suo interno commissioni di lavoro né troppo ampie né troppo striminzite. Seconda caratteristica: essere votata effettivamente in base a criteri di libera competizione, senza le posizioni precostituite che tante volte si è detto di volere rifiutare; posizioni che invece possono essere tranquillamente garantite dai collegi, grazie a una sapiente redistribuzione delle candidature da parte delle nomenclature. Dunque si voti in un collegio unico nazionale. Ci si candidi con un certo numero di firme di sostegno. E poi i primi duecento (o trecento) più votati formino l’assemblea costituente. La quale finalmente sarà composta da coloro che hanno più seguito, da coloro che parlano di più al Paese. E per questa via l’assemblea contribuirà a ricucire un rapporto di fiducia e di identificazione tra popolo e politica, tra elettori e partito. Altrimenti, grazie al “pubblico” impotente dei duemilacinquecento e ai dosaggi correntizi dei collegi, avremo ancora sulla plancia di comando persone di cui nessuno ha mai misurato l’effettiva capacità di rappresentanza. Signori nessuno che non si sono mai guadagnati i galloni su alcun campo di battaglia. Dirigenti senza cicatrici sulla faccia. Giovani investiti con un tocco di spada da “vecchi” di cui esprimeranno volontà e pensiero. In linea con la legge elettorale. In linea con l’ideologia del pubblico plaudente. In linea con i congressi in cui il militante chiede “chi è?” indicando sbigottito il dirigente alla presidenza. In linea con una società che ha paura del merito e della concorrenza. In linea con una società a cui piacciono le rendite e le eredità. In linea con le caste.


www.nandodallachiesa.it

Pubblicato il: 11.07.07
Modificato il: 11.07.07 alle ore 8.01   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Luglio 11, 2007, 05:11:06 pm »

Franceschini: «Non saranno primarie all’americana»
Andrea Carugati


Onorevole Franceschini, vede il rischio di un eccessivo unanimismo intorno al ticket formato da lei e Veltroni per la guida del Pd?

«Mi sono divertito molto a leggere i retroscena sui giornali, che descrivono la nostra corsa come frutto di accordi tra apparati. Invece è stata dettata dalla volontà di rappresentare un mescolamento di esperienze. Se il 14 ottobre ci saranno più candidati, tutta salute: sarà comunque una competizione civile e virtuosa. Ma non mi sento di demonizzare - aggiunge Dario Franceschini - un’elezione senza competizione: sarebbe comunque un modo straordinario e inedito in Europa di raccogliere le disponibilità di tutti quelli che vogliono dichiararsi promotori del Pd. E anche per rafforzare la leadership: ne abbiamo un gran bisogno».

Lei ha chiesto prima di tutti l’elezione del leader del Pd per avere una voce netta e più libera da obblighi di mediazione. Correre da soli non vi costringerebbe a essere meno netti, nel Pd e nella coalizione? Le parole di Veltroni sul referendum, ad esempio, dimostrano un eccesso di prudenza?

«Non vedo questo rischio. Comunque venga eletto, dopo una competizione o con una manifestazione più corale di consenso, il leader deve farsi carico della sintesi nel Pd, raccogliere tutte le ragioni, soprattutto in una fase costituente».

Il passo indietro di Bersani...

«Avrei faticato a competere con una persona con cui non vedo differenze di idee, di valori. Sono sicuro che Bersani sarà una colonna portante del Pd e del riformismo italiano nei prossimi anni: ne ha tutte le qualità e la forza. C’è un bisogno straordinario di lui anche nel processo di costruzione del partito».

Se Enrico Letta dovesse candidarsi questo cambierebbe qualcosa per lei? Sarebbe una sfida insidiosa?

«No, assolutamente. Si può costruire un percorso comune anche scegliendo di candidarsi. Enrico sceglierà liberamente: comunque decida non ci saranno problemi nei nostri rapporti futuri. Continueremo a lavorare insieme».

Perché gli ha suggerito un ticket con un Ds?

«Questo sarebbe lo spirito del mescolamento, per evitare di far nascere una candidatura che rappresenta solo un pezzo della Margherita. Ma è solo un suggerimento...».

Negli Usa i ticket si formano alla fine delle primarie, non all’inizio.

«Questa ambiguità nasce dal fatto che abbiamo impropriamente chiamato primarie l’appuntamento del 14 ottobre. Noi non dobbiamo scegliere un ticket che debba sfidare il centrodestra, dobbiamo governare il partito».

Il comitato dei 45 decide le regole per le primarie. Ritiene giusto che ci siano più liste a sostegno di uno stesso candidato?

«Costringere tutti quelli che sostengono Veltroni in un’unica lista non mi pare sensato. Ci può essere una pluralità di ragioni di sostegno. Perché impedire di concorrere all’elezione di una leadership comune portando un po’ di sana originalità? Sono convinto che si andrà verso questa decisione. E non sta scritto da nessuna parte che questo debba portare a una proliferazione di correnti».

Davvero non lo teme?

«No, il nostro impegno è avere liste mescolate: non i Ds e la Margherita o le loro sottocomponenti che vanno alla conta».

Referendum elettorale. Lei condivide l’opinione di Veltroni, che sostiene il quesito ma non firma?

«Gli stessi promotori del referendum hanno detto che è uno strumento per forzare il Parlamento a fare una buona legge, sapendo che la legge che uscirebbe dalle urne sarebbe un pasticcio, che non risolve il problema delle liste bloccate, anzi lo amplifica. C’è tutto il tempo per fare una buona legge in Parlamento, bisogna tentare in tutti i modi».

Ha davvero fiducia che il Parlamento possa farcela?

«Penso che sia possibile. Nessuno, neppure gli autori, ritiene che la legge attuale funzioni. E nessuno sostiene che la legge che uscirebbe dal referendum sarebbe una meraviglia. Tutto ciò dovrebbe portare a un soprassalto di buon senso».

Che opinione ha del testo presentato in Senato da Enzo Bianco?

«È una proposta-base, vedremo...».

Sulle pensioni vede il rischio di una crisi di governo?

«C’è sempre questa malattia della ricerca di visibilità. Ma, come altre volte, alla fine la soluzione si troverà. Alla sinistra della coalizione chiedo: c’è una cosa più di sinistra che occuparsi dei più deboli? Non c’è dubbio che i più deboli, e meno tutelati, sono i giovani, i precari, quelli che hanno appena iniziato a lavorare. Loro non hanno voce, non siedono al tavolo della concertazione. Cosa c’è di male nel chiedere ai genitori di lavorare due-tre anni in più se serve a costruire un futuro previdenziale per i loro figli?».

Nel merito, lei a che soluzione pensa?

«Nel programma c’è scritto di eliminare lo scalone che crea ingiustizie e questo va fatto. Ma non vuol dire che non si debba fare più nulla. Anzi, nel programma c’è scritto di adeguare il sistema ai cambiamenti demografici. Va introdotto un meccanismo progressivo di innalzamento significativo dell’età pensionabile. Dai sindacati mi aspetto coraggio, e dal governo molta determinazione».

Pd e governo. Sui giornali non mancano retroscena che descrivono una certa freddezza dei prodiani sul vostro ticket. Lei cosa ne pensa?

«Sul referendum Veltroni è stato leale e responsabile, l’obiettivo era non creare problemi alla coalizione e al governo. Per quanto mi riguarda non c’è bisogno di parole: è più di un anno che dedico 14 ore al giorno a garantire stabilità al governo e alla coalizione».

Come stanno funzionando questi primi giorni di ticket tra lei e Veltroni? Vi dividete già i compiti?

«Ci sentiamo frequentemente durante la giornata. Stiamo definendo alcune cose da fare insieme. Ma ne faremo anche separatamente. C’è bisogno di andare in giro ad ascoltare. Lunedì in Calabria ho visitato luoghi di eccellenza, come le università di Cosenza e Catanzaro, e lì si incontra una marea di gente che non aspettava altro che un luogo, come il Pd, per impegnarsi».

Se Veltroni resterà a fare il sindaco di Roma, su di lei ricadrà un lavoro molto duro nel Pd...

«È giusto che Walter rispetti fino in fondo gli impegni presi con gli elettori di Roma. Non ci sarò solo io a lavorare sul Pd, ci sarà una squadra».

Una squadra che rappresenti fortemente anche il Nord?

«Sono consapevole che esiste una questione settentrionale. Ma ho voluto cominciare il mio giro dalla Calabria perché non c’è cosa più suicida che mettere il Nord contro il Sud: l’Italia si salva solo se lavora come sistema-Paese. Bisogna recuperare il senso di una grande missione nazionale, non rappresentare interessi particolari, territoriali o di categoria».

Quanto ha pesato, nel costruire il ticket con Veltroni, la vostra comune passione per la scrittura?

«Ci lega dal punto di vista del rapporto personale. Ma entrambi vogliamo tenere distinti i due piani. Avevo in programma l’uscita del romanzo il 5 settembre, ma mi sembrava brutto che coincidesse con le primarie. Per questo ho chiesto a Bompiani di rimandare».

Almeno in questo settore c’è un po’ di competizione tra voi?

«Perché dovrebbe? E poi io ho venduto dieci volte meno di Walter. In questo settore non c’è la competizione che c’è nella politica. Nella scrittura è tutto bello».

Pubblicato il: 11.07.07
Modificato il: 11.07.07 alle ore 8.02   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Luglio 11, 2007, 05:14:14 pm »

Mercoledì, 11 Luglio 2007
 
PARTITO DEMOCRATICO 
Bindi: pronta a candidarmi, che errore il ticket con Franceschini
 
 
«Sto valutando con grande serietà la possibilità di candidarmi alla segreteria del Partito Democratico». I book makers danno al 50\% la probabilità che anche Rosy Bindi, ministro delle Politiche per la Famiglia (oltre al ticket già annunciato Veltroni-Franceschini, a Letta e Parisi), scenda in campo per le primarie di ottobre del nuovo soggetto politico. Dopo la rinuncia dell'altro competitor Bersani, secondo un sondaggio del "Sole 24ore", il ministro toscano (con trascorsi politici in Veneto, "sua" terra di elezione e dove in piena Tangentopoli ha traghettato la Dc al Ppi) è al secondo posto (36\%) quanto a gradimento degli elettori come leadership alternativa a Veltroni per guidare il Pd, seconda solo a Letta (45\%). Non sarà una candidatura contro, ma di sicuro metterà un po' di pepe sull'ecumenismo (buono per tutti) dimostrato da Veltroni.
Ministro Bindi, si candida oppure no?

«Sono sempre più forti le motivazioni politiche per una candidatura...».

Quali motivazioni?

«Il percorso indicato è innovativo e non dobbiamo depotenziarlo, o annullarlo togliendo la competizione...».

Quindi ha ragione Parisi che prevede delle primarie bulgare.

«Credo che vincerà Veltroni, ma l'affermazione sarà ancora più forte se frutto del confronto tra varie candidature. Un'altra motivazione: è ora che anche in Italia una donna metta fuori la testa. Le assicuro che ero convinta che questa volta Anna Finocchiaro si sarebbe candidata... sarei stata in grave difficoltà a scegliere tra lei e Veltroni».

Se lei comunque voterà per Veltroni, a cosa serve la sua possibile candidatura?

«È per aiutarlo a rappresentare meglio alcuni aspetti che mi stanno a cuore».

Tipo?

«Penso alle tematiche sociali. Così come penso che il nuovo partito debba avere una nuova laicità tra i suoi valori, e per questo ritengo sia utile una cultura come la mia. E soprattutto, in questa competizione vorrei che ci fosse la mobilitazione dei movimenti, del volontariato, dei giovani, delle donne... fuori dai recinti dei partiti».

Però già ora si stanno svolgendo primarie anticipate, si stanno falcidiando i concorrenti di Veltroni.

«Ammetto che la candidatura di Bersani sarebbe stata più forte della mia (ride, ndr.)... sia chiaro, la mia non è una partecipazione di pura testimonianza, farò una vera battaglia, non di contrapposizione a Veltroni perché lo ritengo la migliore scelta. Ma porterò una piattaforma vera, precisa...».

Lo confessi, darà uno scossone al tono ecumenico con il quale Veltroni si è presentato a Torino e a Padova...

«Credo che ad un giusto ecumenismo vadano affiancate forti sottolineature e accentuazioni».

In vero, l'altro giorno Veltroni non è stato troppo ecumenico, ma di bottega, nell'appoggiare a parole il referendum elettorale senza firmare la richiesta.

«Vede, ad un certo punto l'ecumenismo ha bisogno di elementi di chiarezza!».

Il presidente del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, ha ideato il termine "polietica", la capacità di anteporre l'interesse generale al calcolo privato. Proprio l'opposto della decisione di Veltroni sul referendum elettorale.

«Tutti diciamo che l'attuale legge elettorale (definita porcellum dal suo stesso ideatore, cioé Calderoli) va cambiata. Il referendum è lo stimolo per il Parlamento a fare un'altra legge. Però, il contenuto referendario è preoccupante tanto quanto l'attuale legge: non solo costringe al bipartitismo, ma conserva due grandi difetti: il sistema proporzionale e lascia ancora potere assoluto ai partiti».

Veltroni è ritenuto ostaggio dei partiti, in particolare della Margherita che con Rutelli, Franceschini e Marini nel caso del referendum si oppone ai quesiti.

«Non ho apprezzato la scelta del ticket Veltroni-Franceschini perché per fare un partito nuovo, plurale chiunque deve avere l'ambizione di rappresentare tutti senza aver bisogno accanto di una sorta di sostegno diverso da sé stessi: il ticket era stato abbandonato, non capisco perché sia stato reintrodotto».

Nella confusione sulle candidature, si inseriscono gli ulivisti che riaprono la partita-candidati.

«Vede, da una parte c'è il ticket che non sa di nuovo, dall'altra una cosa preoccupante ripresa anche nella motivazione della rinuncia di Bersani: non dividere i Ds. Ma insomma, il nuovo partito deve preoccuparsi dell'unità che si vuole creare per sostenerlo, non di salvare l'unità del passato. Paradossalmente, qualcuno può essere preoccupato che Veltroni abbia a fianco qualcun altro, ma è anche giusto preoccuparsi di questa unità forzata dei Ds...».

In questo lei ci vede la difficoltà della Quercia a mischiarsi?

«Proprio così».

Lei è seconda dopo Letta nel gradimento degli elettori come candidata alternativa a Veltroni...

«Ma via, ho potenzialità diverse da quelle di Letta, il mix è un bene per il Pd».

L'abbandono di Bersani (ministro gradito all'imprenditoria del Nordest) mette in forse il rapporto del Nord con il governo nazionale?

«Sicuramente si metterà al servizio della causa, anche se non da segretario. Tutti dovremo lavorare sulle due grandi questioni nazionali: Nord e Sud».

Giorgio Gasco
 
 
da gazzettino.quinordest.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #3 inserito:: Luglio 11, 2007, 10:23:49 pm »

Le liste saranno collegate a un candidato.

Letta: «Ora devo riflettere» Pd, Comitato dei 45: via libera alle regole

Prodi: «Il 14 ottobre ci sarà pluralità di liste».

E le donne saranno la metà nella Costituente e in tutti gli organismi rappresentativi

 
ROMA - Via libera del Comitato dei 45 alle regole da utilizzare per le elezioni dell'assemblea costituente del futuro Partito democratico, fissate per il prossimo 14 ottobre. Trovata l'intesa sulle «quote rosa»: almeno il 40% dei capolista sarà di sesso femmilinile. E c'è il sì della Margherita per l'elezione delle assemblee regionali contestualmente a quella nazionale.
Come ha poi spiegato il premier Romano Prodi uscendo dal vertice di piazza Santi Apostoli: «È stata una bella discussione e le votazioni si sono concluse con una larghissima maggioranza in tutti i punti messi in votazione. Ci sarà pluralità di liste e il 14 ottobre i segretari regionali saranno eletti contestualmente al nuovo leader». 

PLURALITA' DI LISTE - Il comitato dei 45 ha anche approvato la proposta di collegare le liste per l'elezione dei delegati all'assemblea costituente al candidato alla segreteria. La decisione è passata a maggioranza con il voto contrario di alcuni prodiani, tra i quali il ministro della difesa, Arturo Parisi. È stato invece bocciato l'emendamento proposto dal ministro della Famiglia Rosy Bindi, che proponeva il voto disgiunto tra liste e candidati alla segreteria.

LETTA - Le nuove regole sembrano favorire chi gode di un sostegno forte all'interno degli attuali partiti e così la candidatura Enrico Letta alla segreteria del Pd è ancora in forse e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, al termine del comitato per la costituente del Pd che ha approvato le regole elettorali, spiega che ci vorrà un supplemento di riflessione: «Dopo l’approvazione di queste regole - dice Letta rispondendo ai giornalisti - bisogna riflettere bene».

VELTRONI - Il primo, e per ora unico probabile candidato leader del Pd, il sindaco di Roma, Walter Veltroni è intervenuto a lungo al Comitato dei 45 mettendo in chiaro la sua idea di partito, di candidature e di percorso che porti all'assemblea costituente. «Se sarò candidato, e sottolineo se, - avrebbe affermato - non accetterò che siano collegate alla mia candidatura liste che non siano espressione delle diverse anime del Pd». Anime che il sindaco di Roma ha riassunto nell'espressione dei partiti ma anche della società civile. L'obiettivo che Veltroni ha dichiarato, infatti, è di avere «un partito veramente nuovo, senza furbizie e che nasca con allegria».

DONNE - Molti esponenti del nascente Pd, intanto, si dicono soddisfatti per le quote rose approvate dal Comitato dei 45: il fatto che le donne avranno il 50 per cento delle candidature per la Costituente e saranno la metà in tutti gli organismi dirigenti del Pd «è un grande successo e il segno di una profonda innovazione», ha detto la senatrice dell’Ulivo Vittoria Franco, responsabile nazionale delle Donne Ds. «Sono soddisfatta. Il raggiungimento del 50% di rappresentanza delle donne nell'assemblea costituente è un ottimo inizio», ha invece commentato il capogruppo dell'Ulivo al Senato Anna Finocchiaro. «È il frutto di un grande lavoro e riconoscimento di autorevolezza delle donne presenti nelle forze politiche che stanno fondando il Pd». La decisione incontra anche il favore di Veltroni, che aveva chiesto nell'intervento al Comitato «grande partecipazione» di giovani e donne. «Mi congratulo con voi - avrebbe detto il sindaco dopo l'approvazione della regola - condivido totalmente ed è quello che volevo».

11 luglio 2007
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #4 inserito:: Luglio 12, 2007, 04:11:17 pm »

Primarie, decise le regole del Pd Liste multiple, metà donne

Anche i regionali eletti a ottobre

Andrea Carugati


Alla fine della riunione del comitatone del Pd le più soddisfatte sono le donne. Sorridono le diessine Marina Sereni e Donata Gottardi: «Avremo il 50% di donne negli organismi dirigenti». «È stata una battaglia che abbiamo condotto tutte insieme, tutte le donne del comitato». «Un ottimo inizio», commenta anche Anna Finocchiaro. Pochi metri più in là, i tre coordinatori Soro, Migliavacca e Barbi (da oggi a loro si aggiungeranno- nell'ufficio di presidenza che gestirà le primarie- tre donne: Lella Massari, Patrizia Toja e Vittoria Franco) illustrano il regolamento per il 14 ottobre: «Riforma la politica nel nostro Paese», esordisce Migliavacca, uno che di solito misura le parole. «Intendiamo realizzare una reale parità tra i generi». Come? Le liste per la costituente, oltre all'obbligo di avere un'alternanza uomo-donna, dovranno avere anche un 50% di capilista donne. Questo si realizzerà su base regionale: del totale di liste collegate fra loro, almeno la metà dovrà avere una capolista. La battaglia è stata sostenuta, ieri nella riunione, anche da Walter Veltroni e da Arturo Parisi, che ha ribattuto alle perplessità di Beppe Fioroni sulle difficoltà nel realizzare una simile operazione.

Sette le votazioni, compresa quella finale sul regolamento che ha visto la sola astensione di Rosy Bindi. Sulla parità tra i generi larghissima maggioranza. Battaglia più dura, invece, sul numero di liste collegabili a un candidato-segretario: è passata la linea più «liste per un candidato», sostenuta all'unisono da Ds e Margherita. Sette i contrari, tutti i prodiani. Volevano che ogni candidato avesse la sua lista, per incentivare la possibilità di una gara più aperta. Hanno ripiegato sulla proposta della Bindi del voto disgiunto (due schede, una per l'assemblea, una per il leader), ma i favorevoli sono stati solo 8. Vittoria diessina anche sui segretari regionali: si eleggeranno il 14 ottobre, contestualmente al leader nazionale. Solo 4 i contrari, tutti della Margherita, ma meno del previsto. «Abbiamo fatto valere le nostre ragioni», commenta il ds Migliavacca.

È passata anche la decisione di invitare «in modo impegnativo» i gruppi consiliari di Ds e Margherita in tutta Italia a dar vita a gruppi unitari «entro il ottobre 2007». Per votare alle primarie bisognerà pagare 5 euro e sottoscrivere il manifesto del Pd: chi ha meno di 25 anni pagherà solo 2 euro. Un po' deluso il tesoriere Ds ugo Sposetti.

«È stata una bella discussione e le votazioni si sono concluse con una larghissima maggioranza», commenta Romano Prodi all'uscita. Tutto liscio, dunque? Non proprio. In particolare per quanto riguarda gli altri potenziali candidati alla leadership. Rosy Bindi, che si è astenuta (ma ha votato sì sulle donne), ha detto in assemblea che sta pensando di candidarsi. Ma non ha nascosto la sua opinione: che si tratti cioè di regole vecchie, perché mancano le preferenze (invocate invano anche dai rappresentanti della società civile) e perché il leader non sarà votato direttamente dai cittadini ma solo collegato alle liste nei collegi. «Con queste regole devo valutare bene le scelte da fare», spiega Enrico Letta. Nel suo entourage non si nascondono le difficoltà con questo regolamento che «blinda Veltroni e lascia spazio ad accordi tra Ds e Dl per spartirsi i candidati alle segreterie regionali». Voleva un regolamento più libero, Letta. Meno «tagliato su misura per gli attuali gruppi dirigenti dei partiti», spiegano i suoi. Netto Veltroni sul rischio di correnti che ricalchino il passato: «Se mi candiderò, non accetterò che siano collegate alla mia candidatura liste che non siano espressione delle diverse anime del Pd: non firmo liste in cui non ci siano tante donne, giovani e persone che non sono politici di professione. Vogliamo un partito veramente nuovo, senza furbizie».

Fuori programma, durante la riunione, sotto la sede del Pd. Alcune centinaia di iscritti della Cisl hanno dato vita, armati di trombe, fischietti e striscioni, a un sit-in di protesta sulle pensioni. Dal camioncino ha parlato anche il segretario generale Bonanni, durissimo verso chi, nella maggioranza, «punta sul conflitto tra giovani e anziani»: «Non pensino di scaricare le loro contraddizioni su di noi. Nel governo ci sono persone serie e altri che sparano scemenze a mezzo stampa. Prodi deve dirci la sua opinione, basta pagliacciate».


Pubblicato il: 12.07.07
Modificato il: 12.07.07 alle ore 9.02   
© l'Unità.
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!