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Autore Discussione: Rula Jebreal. Il nemico non è l’immigrato  (Letto 2645 volte)
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« inserito:: Giugno 01, 2008, 05:14:58 pm »

Il nemico non è l’immigrato

Rula Jebreal


Il mix è esplosivo. E si fa ormai fatica a capire che parte hanno l’intolleranza, il razzismo, l’odio politico, la giustizia fai-da-te nell’esplosione di violenza che da qualche giorno scuote il Paese dalle fondamenta. L’unico elemento comune che si trova all’origine di tutte le analisi che tentano di dipanare l’intricata matassa è il fallimento dello Stato, delle politiche che ha adottato, della Politica con la P maiuscola che ne ha guidato l’azione.

Vengono al pettine i nodi di tutte le contraddizioni prodotte dai continui compromessi che la politica ha accettato negli ultimi anni per governare fenomeni sociali molto complessi che avevano invece bisogno di essere affrontati con il massimo di trasparenza e di linearità. Quando il Capo della Polizia Manganelli dichiara l’impotenza delle forze dell’ordine e vede nell’azione della Magistratura un elemento di freno che vanifica gran parte del lavoro svolto; quando la Magistratura chiamata in causa risponde che non può sottrarsi all’applicazione letterale della legge e che non saremmo in uno Stato di diritto se l’azione giudiziaria si facesse strumento di una strategia operativa del governo, dobbiamo allora riconoscere che il Parlamento della Repubblica ha dato un colpo al cerchio ed uno alla botte e che ne è venuta fuori una situazione di stallo. Una condizione di immobilismo che gioca tutta a favore di chi, italiano o immigrato, è interessato a delinquere. In passato ho spesso denunciato l’incapacità degli uffici amministrativi a fare una selezione tra gli immigrati in base alla cultura, alla professionalità, alla condotta di vita, e mi sono lamentata di un livellamento verso il basso che produceva umiliazione e malessere nelle tante persone oneste e perbene che sono approdate in Italia da altri Paesi. Ora mi rendo conto di un secondo effetto, forse persino più grave, di questo atteggiamento: nel novero indistinto degli immigrati non c’è solo il mancato riconoscimento per i giusti; c’è anche un comodo rifugio per i delinquenti. Sono sinceramente dispiaciuta che la stampa non colga questa macroscopica anomalia e si faccia invece amplificatore di un giudizio che rischia di sovrapporre il fenomeno immigrazione al fenomeno delinquenza, senza capire che solo il riconoscimento di piena cittadinanza per gli immigrati, intesa nel senso di una comune condivisione dei diritti civili, può portare ad enucleare gli aspetti di degenerazione illegale o addirittura criminale che fisiologicamente accompagnano le migrazioni di massa. In Italia il confronto tra il buonismo e l’ostracismo ha soppiantato ogni serio dibattito sul funzionamento delle strutture che devono separare le mele marce da quelle sane e garantire ai cittadini la necessaria e dovuta serenità. Tutto è stato ricondotto ad una equazione tanto semplice quanto antistorica: per fermare la delinquenza bisogna fermare l’immigrazione. E ciò a dispetto delle statistiche che ci ricordano che ancora oggi oltre i due terzi di tutti i delitti sono commessi in Italia da italiani.

C’è da augurarsi che il nuovo governo sappia trarre le giuste indicazioni dalle esperienze e che coordinando le politiche della sicurezza, della giustizia e delle carceri possa restituire serenità alla popolazione, ritrovando anche il giusto ruolo dello Stato che ha il monopolio della forza e non deve aver bisogno di alcuna surroga. Su un diverso fronte mi aspetto l’avvio di una rigorosa politica di integrazione per gli immigrati che ponga anche requisiti severi ma che offra la possibilità a chi merita di sedersi a pieno titolo tra i cittadini degni di questo nome. Non ho dimenticato lo sforzo che fece il Ministro Pisanu con il suo progetto di Consulta e spero che questa strada venga ripresa con maggior vigore e porti ad attribuire responsabilità se non politiche almeno amministrative ad immigrati che lo hanno meritato. Nessun segnale è oggi più importante per riportare sulla giusta rotta un’opinione pubblica che si è troppo sbilanciata verso l’adozione di un giudizio sommario sul fenomeno immigrazione, sollecitata da troppe frasi irresponsabili pronunciate nei palazzi della politica e, purtroppo, dal risalto asimmetrico e poco oggettivo che i media danno agli avvenimenti.

Dobbiamo insieme puntare l’indice contro la diffusa illegalità che in questo paese regna sovrana e ricostruire un sistema di regole che valgano per tutti senza privilegi e senza eccezioni di razza, di censo o di potere. Sta qui il punto debole del sistema, un peso insopportabile che esaspera la cittadinanza e che si trasforma invece nella condizione più favorevole per i malintenzionati. La ragione per cui il numero degli extra-comunitari che delinquono è in Italia superiore alla media europea.

Pubblicato il: 01.06.08
Modificato il: 01.06.08 alle ore 6.54   
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 01, 2008, 05:16:09 pm »

Bonino: «Vertice Fao, la vera sfida è contenere l’esplosione demografica»

Toni Fontana


«Il vero tabù totale, il tema centrale del quale non si parla mai è l’esplosione demografica, la diffusione della contraccezione, l’emancipazione della donna. Il Vaticano e Bush non vogliono che se ne parli. L'amministrazione Usa ha tagliato i fondi alle agenzie Onu che accettano contraccezione e aborto. Questa è la vera priorità che dovrebbe essere posta al centro del vertice Fao». Lo dice Emma Bonino, vice presidente Senato.

Senatrice, la Banca Mondiale propone un “decalogo” al vertice Fao. Si parla di biocarburanti, aumenti dei prezzi dei cereali..
«Il “Decalogo di Zoellick” è ampiamente condivisibile e da salutare, ma questo improvviso spirito d’iniziativa è tardivo e mitiga solo parzialmente l’amarezza dovuta al ritardo con il quale le organizzazioni internazionali (Fao in testa) hanno reagito alla crisi alimentare mondiale. Ci sono volute rivolte popolari in 30 paesi nel mondo per trasformare la crisi in una priorità. Pochi giorni fa ho partecipato a Sharm El Sheikh al World Economic Forum sul Medio Oriente dove leader mondiali ed esperti hanno discusso i grandi temi caldi dell’area. Il tema della crisi alimentare, che non era formalmente all’ordine del giorno, ha dominato la discussione in maniera trasversale».

Perché la crisi alimentare ha stentato ad imporsi come una questione urgente?
«I motivi sono diversi. In cima alla lista metto un tema considerato tabù totale, quello dell’esplosione demografica. Come ha anticipato Giovanni Sartori nel suo libro “La Terra scoppia”, il tema è religiosamente scorrettissimo quasi ovunque, dai paesi islamici a quelli dove forte è la presa della Chiesa cattolica. Non a caso non ve ne è traccia neppure nel “Decalogo di Zoellick” (presidente della Banca Mondiale Ndr). Io, invece, lo metterei in testa alla gerarchia delle priorità. In un secolo la popolazione mondiale è passata da 1 miliardo e mezzo a oltre 6 miliardi e oggi ci sono 80 milioni di nuovi nati l’anno e un’aspettativa di vita più lunga: come si fa a non vedere l’urgenza di un approccio più responsabile alla pianificazione familiare? Un “rientro dolce” dall’esplosione demografica significa più contraccezione e più emancipazione femminile. In queste condizioni, offrire possibilità di sostentamento e di lavoro alle donne deve diventare una priorità strategica, per ragioni economiche oltre che umanitarie».

La globalizzazione però non ammette regole.
«Ha consentito a milioni di persone di uscire dalla povertà e di migliorare la qualità della vita. Ma quando mangiare di più e meglio riguarda, non una o due famiglie ma milioni di persone allora si crea una tale pressione sulla terra che beni di prima necessità diventano improvvisamente inaccessibili ad altrettante persone in altre parti del mondo. Ne deriva un aumento incontrollato dei prezzi che rischia di portare, nei migliori dei casi, a rivolte popolari e, nel peggiore, a nuove carestie».

La Fao elenca 37 paesi in crisi alimentare e, secondo la Banca Mondiale, l’aumento dei prezzi rischia di creare altri 100 milioni di affamati..
«Aiuti alimentari d’urgenza sono necessari, ma sarà vitale considerare le derrate alimentari non più come eccedenze di paesi produttori ricchi ma come risorse da gestire con parsimonia e senso delle priorità, ovviamente se si condivide che l’accesso al cibo non è una questione di scambi commerciali solamente ma è un diritto umano fondamentale. Governi ed organizzazioni internazionali non hanno visto ciò che stava per abbattersi sulle economie mondiali e sono corsi ai ripari con programmi a sostegno delle politiche agricole quando già nel passato protezionismi e sussidi hanno “drogato” l’agricoltura più di qualsiasi altro settore. Bisogna intervenire, certo, ma non con falsi rimedi come quello di vietare le esportazioni. È necessario ed urgente rivedere le politiche sui biocarburanti, inclusi quelli di seconda generazione, tenuto conto degli altissimi costi di produzione rispetto al rendimento (unica eccezione è il caso pluridecennale dell’etanolo prodotto da canna da zucchero in Brasile) e dello sfruttamento estensivo di aree coltivabili. Secondo il Fondo Monetario internazionale nonostante il biofuel rappresenti solo il 1,5% dell’offerta di carburante liquido mondiale, esso ha consumato quasi metà dell’aumento dei raccolti 2006-2007, soprattutto a causa dell’etanolo a base di cereali prodotto negli Usa. Inoltre, non da oggi, ritengo che occorra guardare agli Ogm senza pregiudizi ideologici, senza demonizzazioni, ma riconoscendone i benefici dove ci sono, in particolare per i paesi a rischio alimentare».



Pubblicato il: 01.06.08
Modificato il: 01.06.08 alle ore 13.23   
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