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Autore Discussione: E se questo non fosse un paese per cattolici?  (Letto 3516 volte)
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« inserito:: Maggio 30, 2008, 11:24:36 pm »

E se questo non fosse un paese per cattolici?


• da Il Riformista del 29 maggio 2008, pag. 1


di Filippo Facci

Una discreta fetta di mondo cattolico, d’un tratto, si sta accorgendo che questo è un paese laico. Si sta accorgendo che questo Paese riposa per lo più sulle iniziative dei singoli e che la dottrina sociale della Chiesa non ha più diritto a iscrizioni d’ufficio al novero delle cose politiche e istituzionali. Le esortazioni di Tarcisio Bertone affinché l’impegno sociale si accompagni a quello politico, dunque, divengono particolarmente emblematiche: se non altro perché di impegno sociale, nel governo, non v’è effettivamente traccia. Nella sua logica lobbistica, non ha torto Famiglia Cristiana quando osserva che tra i vari ministeri non è presente «neanche un cattolico che sia espressione di associazioni e movimenti le cui radici affondano nella dottrina sociale della Chiesa»: in effetti il governo è pieno di cattolici e basta. Quelli che sono espressione di qualcosa hanno ottenuto poco: fuori Giuseppe Pisanu, fuori Roberto Formigoni, fuori Maurizio Lupi (che però è vicepresidente della Camera) e soprattutto cancellazione di quel ministero della Famiglia che persino il governo Prodi aveva mantenuto: niente più che una delega affidata a Carlo Giovanardi. E poi sì, certo, fuori l’intera Udc. Ma sostenere che «nel governo non c’è nessun ministro cattolico», come pure ha fatto Famiglia Cristiana, pare una sciocchezza, perché appunto cattolici lo sono tutti.   Ma cattolici laici, forti di convincimenti da tempo banditi da ogni programma elettorale e sostanzialmente assenti dal discorso introduttivo del Premier. Non siamo ancora a una dimensione religiosa relegata al privato, forse siamo semplicemente alla consapevolezza di Silvio Berlusconi (un libertario, ma soprattutto un grande frequentatore di sondaggi) che la Chiesa alla fine non sposta un voto, e che i temi etici, imbracciati come vessillo elettorale, portano disgrazia.

 

Ma non tutti hanno capito la lezione Nonostante gli esiti esemplari della lista di Giuliano Ferrara (0,37%, ha preso di più Siegfried Brugger della Svp) più ancora di Famiglia Cristiana a scalpitare è stato appunto il Foglio. Ha scritto, due giorni dopo il voto, che aborto e legge 40 e testamento biologico «saranno tra i primi temi con cui il governo dovrà misurarsi». Il giorno dopo, pure, titolava: «Aborto e altro, l’agenda delle questioni vitali che il governo ha di fronte». Più che di un paio di interviste molto generiche a Eugenia Roccella, da allora, non si sono avute. Chiaro che Berlusconi abbia altro per la testa. E’ per questo che si diceva, all’inizio, che questo paese riposa per lo più sulle iniziative dei singoli.

 

Da un lato, ossia, abbiamo Rocco Buttiglione secondo il quale «la grande maggioranza degli italiani dice che l’aborto è un omicidio» (falso) e secondo il quale, attenzione, «in tutta Europa c’è una rinascita cristiana che cammina, grandi movimenti che hanno un potenziale molto più grande del ‘68 e che hanno energie morali per rinnovare la nostra società». Questo da un lato. Dall’altro, in attesa del nuovo ‘68, c’è il misconosciuto deputato leghista Massimo Polledri che ha già presentato diverse mozioni di legge contro la fecondazione assistita e contro ogni ipotesi di eutanasia: e non se n’è accorto nessuno. Eppure, nel Parlamento italiano, l’avanguardia cattolica è uno come lui, un singolo. Un fiero e rispettabile singolo in un paese laico, mica Tarcisio Bertone.
 

 da radicali.it
 
 
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